Riporto il seguente articolo tratto dal quotidiano Repubblica di oggi sulle conseguenze sempre più drammatiche del riscaldamento climatico. Il riscaldamento è dovuto al 100 % alla combustione di idrocarburi (petrolio, gas e carbone) da parte dell'uomo, ma nessuno sembra fare nulla per arrestare l'immissione in atmosfera di circa 27 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno dovute all'attività umana.
SCIOGLIMENTO
GHIACCI
"Manhattan sommersa nel
2050"
il grande disgelo minaccia New York
Il cambiamento climatico sta
accelerando l'innalzamento del livello delle acque che bagnano la metropoli.
Nei prossimi 60 anni un terzo della città potrebbe essere soggetta a
inondazioni costanti se non si corre ai ripari. Il sindaco Bloomberg ha già
varato alcune misure di prevenzione ma sarà indispensabile fare molto di
più
Di
FEDERICO RAMPINI
NEW YORK - Accadeva un anno e 2 settimane fa: cessato
allarme, l'uragano Irene aveva risparmiato New York. Ce l'eravamo cavata con
assalti ai supermercati per le scorte d'emergenza, 370.000 evacuati, migliaia
di voli cancellati e tanti turisti bloccati qui alla fine delle vacanze. Ma era
stata più la paura del danno. Qualcuno aveva perfino accusato il sindaco
Michael Bloomberg di allarmismo.
E invece no: il 28 agosto 2011 abbiamo sfiorato un disastro
immane. E il futuro ne ha altri in serbo, Manhattan è una vittima pre-destinata
del cambiamento climatico, una delle metropoli più vulnerabili all'innalzamento
delle acque. Oggi si scopre che per soli 30 centimetri l'uragano Irene non
paralizzò completamente il sistema dei trasporti. Bastava una marea un po' più
alta per "rendere inservibili i tunnel della metropolitana sotto i fiumi
Harlem e East River, chiudendo quelle linee per oltre un mese, con un danno di
55 miliardi". Sarebbero state sommerse anche le tangenziali della Franklin
Roosevelt Drive e quella che costeggia il fiume Hudson.
I treni dei pendolari bloccati sine die, anche loro. Una
paralisi quasi "da 11 settembre", nella capitale finanziaria degli
Stati Uniti. Lo rivela un rapporto consegnato al sindaco da un'équipe di
scienziati del Columbia University Earth Institute sotto la direzione di Klaus
Jacob. Fa parte di una serie di studi commissionati subito dopo Irene, e che
ora stanno arrivando sulla scrivania di Bloomberg. Le conclusioni sono
drammatiche.
Le acque che bagnano l'isola di Manhattan nonché Brooklyn, Queens,
il Bronx, si sono alzate di 3 centimetri ogni 10 anni nell'ultimo secolo ma ora
la velocità d'innalzamento sta crescendo: entro il 2050 saranno più alte di 60
centimetri. Non ci sarà bisogno di un uragano tropicale come Irene, basteranno
normali temporali per allagare e paralizzare interi quartieri. E quando il
livello dell'oceano sarà salito di 120 centimetri (entro il 2080) oltre un
terzo della metropoli sarà soggetta a inondazioni costanti.
New York è seconda solo a New Orleans per il rischio-marea.
Duecentomila newyorchesi vivono in zone vulnerabili, meno di un metro al di
sopra dell'alta marea. I preparativi per adeguare la metropoli sono inadeguati.
"Manca un senso di urgenza", ha dichiarato al New York
Times l'ingegnere
Douglas Hill, uno degli esperti consultati dal sindaco dopo Irene. Eppure
l'amministrazione municipale non è inerte. Bloomberg, che è un noto
ambientalista (finanzia con il suo patrimonio il Sierra Club, potente ong
"verde"), ha varato una serie di misure post-Irene.
Sono state allargate le lagune naturali che servono da
"serbatoi di contenimento" delle maree; sono stati moltiplicati i
"tetti verdi", giardini pensili che potenziano l'assorbimento delle
acque piovane; nuovi regolamenti comunali vietano di tenere nelle cantine le caldaie
e i serbatoi per il riscaldamento. Una delle accuse degli esperti è che
l'attenzione si concentra sulla punta meridionale di Manhattan, dove le
inondazioni danneggerebbero Wall Street. Ma rischi superiori sono nelle aree
industriali del Bronx e di Brooklyn: lì i danni colpirebbero impianti chimici,
depositi di carburanti, centri di smistamento dell'immondizia, con effetti
tremendi per l'inquinamento.
Altre città americane sono più avanti di New York nella
prevenzione delle inondazioni da cambiamento climatico. San Francisco, Chicago,
Charlotte, oltre a sperimentare nuovi tipi di asfalto poroso che accelerano lo
scolo delle acque (il materiale è usato soprattutto nelle piste ciclabili),
hanno anche cominciato a espropriare terreni edificabili e a vietare nuove
costruzioni nelle aree vicine a mari, fiumi, laghi.
Questo è un tabù che Bloomberg ancora non osa affrontare. Gli
espropri forzati sarebbero ben più impopolari e costosi in una metropoli di 8,5
milioni di abitanti. Tanto più che New York si appresta a ricevere, secondo le
proiezioni sui flussi migratori, un altro milione di abitanti entro i prossimi
vent'anni. Vittime predestinate, e ignare, dell'apocalisse ambientale in
agguato.
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