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martedì 31 dicembre 2013

Esplosione demografica e picco alimentare




Nel suo libro “L’aumento della popolazione nell’era moderna” il demografo Mc Keown attribuisce un ruolo determinante nella crescita demografica alla quantità e al livello dell’alimentazione, riprendendo le tesi malthusiane sul rapporto tra popolazione e disponibilità di alimenti. Molti demografi contestano questa relazione diretta tra alimentazione e popolazione, tra cui l’italiano Livi Bacci che riconosce l’importanza del fattore alimentare solo sui brevi periodi, mentre sui tempi lunghi intervengono altri fattori come quello culturale, religioso o le aspettative economiche. E. Wrigley e R. Schofield studiando le dinamiche demografiche in Inghilterra mettono in relazione la crescita demografica più con il regime nuziale e riproduttivo connesso con le condizioni di vita dei lavoratori, piuttosto che con le risorse alimentari. Ma quale è la situazione e come si stanno modificando i rapporti tra demografia e nutrizione in un mondo di sette miliardi di abitanti, i quali richiedono sempre di più l’accesso a cibi abbondanti, di qualità, ricchi di proteine, raffinati nei gusti e nelle preparazioni? Oggi il pianeta si sta avviando ad una situazione in cui i suoli destinati all’agricoltura saranno sempre di meno per il cambiamento climatico, la modificazione della distribuzione delle piogge, la cementificazione, la desertificazione, la salinizzazione e l’inaridimento dei suoli, l’esaurimento delle risorse idriche; nuovo suolo disponibile potrà esserci, come sta avvenendo in Africa e in Asia, solo distruggendo le foreste fluviali e l’habitat silvestre di numerose specie animali. Un esempio di distruzione ambientale per esigenze alimentari è quello che avviene  in Brasile, dove migliaia di ettari di foresta amazzonica vengono sacrificati ogni anno per riconvertirli a colture cerealicole o a pascolo per la produzione di carne. Soltanto ulteriore deforestazione, distruzione di ambienti naturali, uno sfruttamento più intensivo di suoli, un uso più massiccio di pesticidi e veleni chimici potrà assicurare il sostentamento per ulteriori masse di umani. Ci sono limiti all’uso di fertilizzanti sia per l’esaurimento dei suoli sia per problemi di costi e di produzione di prodotti azotati. L’azoto, principale componente dei prodotti chimici per aumentare la resa produttiva dei suoli, è presente in abbondanza nell’atmosfera in una forma libera molecolare (N2), una forma stabile che non è in grado di essere assorbita dal metabolismo degli esseri viventi. Per una sua utilizzabilità come nutrimento di piante e animali, l'azoto deve essere convertito nella forma fissata ad altri elementi, in particolare l’idrogeno. Per produrre fertilizzanti abbiamo a disposizione il processo Haber-Bosch che permette di combinare l’azoto con l’idrogeno per formare ammoniaca in presenza di un catalizzatore ferroso. Ogni anno si producono centinaia di milioni di tonnellate di ammoniaca, e la richiesta continuerà a crescere con l’aumento della popolazione mondiale per la necessità di fertilizzanti azotati. Per far combinare l’azoto libero con altre sostanze è necessario fornire al sistema irriducibili quantità di energia. C’è in pratica un limite termodinamico alla quantità di ammoniaca e altri prodotti azotati che possiamo produrre. Allo scopo di scindere il triplo legame che lega i due atomi di azoto nella molecola si richiede molta energia dall’esterno. Si deve inoltre fornire ulteriore energia per formare i composti azotati. Nel processo Haber l’energia libera deve essere fornita dall’idrogeno gassoso, la cui produzione è possibile industrialmente solo ricorrendo agli idrocarburi. La disponibilità di petrolio e gas per la produzione di composti azotati è sempre più limitata dal picco del petrolio e dai prezzi crescenti. Nuovi metodi basati sulla produzione con catalizzatori organo-metallici che cercano di riprodurre i sistemi enzimatici dei batteri, produttori naturali di composti azotati, è costosa e lenta, e non adatta per l’utilizzo su vasta scala. E’ prevedibile che in presenza di una maggiore richiesta di cibo da parte della popolazione mondiale in crescita (si parla di 10-11 miliardi di abitanti per la fine del secolo) assisteremo ad un picco alimentare che, secondo alcuni demografi, ci costringerà a mangiare le alghe e gli insetti. Senza contare che i prodotti azotati sono inquinanti delle acque e producono nitrificazione, eutrofizzazione, ipossia e tossicità per la vita marina.

mercoledì 25 dicembre 2013

L’Affare Immigrazione



Una notizia la possiamo dare. I fenomeni migratori nei prossimi anni non si arresteranno, anzi aumenteranno. E insieme alle migrazioni aumenterà la natalità delle zone di origine dei flussi. Il perché di queste certezze si può capire da alcuni dati che mostrano gli enormi interessi economici che sono alla base del fenomeno migratorio e le cifre gigantesche in gioco. L’immigrazione economicamente conviene ai paesi di origine, alle popolazioni locali, ai governi corrotti delle zone da cui partono i “disperati”, ai trafficanti e alle potenti organizzazioni che vi sono dietro, ma non solo; il flusso di migranti sta arricchendo anche molti speculatori dei paesi di arrivo che hanno fatto del fenomeno migratorio e della demagogia che lo sostiene una fonte diretta di guadagno, per non parlare dei palazzinari che vedono nelle masse immigrate occasioni di sviluppo dell’edilizia, ai datori di lavoro che si vedono rifornire di manodopera a basso prezzo, al grande capitale che ci vede nuovi potenziali consumatori.
Come afferma Virginia Abernethy nel suo famoso saggio “Ottimismo e sovrappopolazione”, l’emigrazione è uno dei fattori chiave che influenzano la natalità:

Anche l’immigrazione può influire sulla popolazione mondiale complessiva. Studi relativi all’Inghilterra e al Galles del XIX secolo e alle popolazioni Caraibiche moderne, evidenziano che in comunità già nel pieno di una rapida crescita della popolazione, la fecondità rimane elevata fino a quando esiste la possibilità di emigrare, mentre declina rapidamente nelle comunità prive di questa valvola di sicurezza… Questo effetto sulla fecondità è coerente con studi indipendenti secondo i quali l’emigrazione accresce le entrate sia tra coloro che emigrano sia tra coloro che rimangono. In sostanza, è vero, anche se scomodo, che gli sforzi per alleviare la povertà spesso stimolano la crescita della popolazione, così come fa il lasciare aperte le porte all’immigrazione. I sussidi, le ricchezze inattese e la prospettiva di opportunità economiche rimuovono l’immediatezza del bisogno di preservare. I mantra della democrazia, della redistribuzione e dello sviluppo economico innalzano le attese e i tassi di fecondità, incoraggiando la crescita della popolazione e quindi rendendo più ripida una spirale ambientale ed economica discendente.

Le rimesse delle grandi masse di emigrati –cioè il denaro che mandano a casa alle famiglie di origine- sono quasi triplicate, tra il 2000 e il 2013, da 180 a 511 miliardi di dollari. Se si considera la parte di denaro (il 77% contro il 60% del 2000) che va ai Paesi a basso o medio reddito (la cui media pro-capite è sotto i 12.615 dollari l’anno, secondo la definizione della Banca Mondiale), si  tratta di tre volte quanto gli aiuti internazionali destinano loro. Un motore essenziale per lo sviluppo di queste economie se si considera che per i paesi a basso reddito le rimesse degli emigrati rappresentano circa il 10 % del Prodotto lordo, per alcuni casi limite persino il 20-30%. I dati, basati su statistiche della Banca mondiale, sono stati elaborati in uno studio del centro di ricerche americano Pew Research. E’ interessante notare come siano i Paesi a reddito medio (come per esempio Cina, India e Messico) a giocare una parte sempre più consistente nel fenomeno migratorio. Su 232 milioni di migranti, il 58% è nato in Paesi oggi a medio reddito e una percentuale minore in nazioni a basso reddito. Così gran parte delle rimesse raggiungono i Paesi a reddito medio. Le rimesse degli immigrati dall’Italia verso i paesi di provenienza , secondo una stima che riguarda il 2011, sarebbero dell’ordine di 7 miliardi e mezzo. Viene da pensare che le rimesse abbiano giocato un ruolo molto rilevante nella crescita economica ( e non solo, anche demografica) dei paesi  oggi giudicati emergenti. In questo quadro i governi di molti paesi a basso e medio reddito si sono già da tempo resi conto che non conviene incrementare il controllo delle nascite, ma al contrario favorire la natalità per mantenere alto il tasso di migranti e le conseguenti ricadute positive sul Prodotto interno e sul commercio. Nei paesi in rapida crescita come Cina e India inoltre mantenere alta la natalità significa aumentare i consumi interni oltre che le rimesse dall’estero. I governi corrotti di molti paesi africani o asiatici vedono nelle rimesse occasione di arricchimento personale  e favoriscono il fenomeno anche appoggiando organizzazioni religiose e fondamentaliste che propugnano famiglie numerose e la conquista migratoria delle terre occidentali.
Ma come dicevo a guadagnarci sul fenomeno migratorio non ci sono solo interessi locali.
Sulle speranze di miglioramento economico e di cambiare la vita propria e dei propri familiari speculano i trafficanti di carne umana.  Guardiamo ad esempio al ruolo della mafie negli sbarchi dei migranti nel sud Italia. Secondo uno studio dell’Università di Messina (M. Centorrino e P. David) il flusso di migranti  e profughi sulle coste italiane alimenta le organizzazioni mafiose di varia nazionalità, consentendo profitti non lontani da quelli del narcotraffico.  Continuano i due autori:

 “Gli sbarchi sono la fase finale di un processo con diversi passaggi. Non nascono da una imprenditoria della clandestinità improvvisata, ma dal lavoro di una organizzazione complessa, che da questa attività ricava utili consistenti, ripartiti nella filiera di tratta, dall’offerta del transito allo sbarco. Si tratta spesso di una filiera lunga, anche dal punto di vista della durata nel tempo e quindi richiede azioni ben concertate”.

Citando alcuni rapporti, gli autori dello studio fanno emergere che il flusso di migranti e profughi

si alimenta e alimenta organizzazioni mafiose. Sono composte in prevalenza da soggetti di nazionalità straniera (molti dei quali stabilmente residenti in Italia) con permesso di soggiorno o cittadinanza italiana, con forte caratterizzazione etnica, poco propensi alla collaborazione con cittadini italiani o di differente etnia”.






mercoledì 18 dicembre 2013

Bonus bebè

Il governo inserisce il bonus bebè nella Legge di Stabilità 2014

Il governo ha presentato un emendamento alla legge di stabilità che sblocca fondi per il bonus bebé, lo rendono noto fonti dell'esecutivo aggiungendo che la cifra sbloccata dovrebbe valere intorno ai 30 milioni di euro.

La deputata Binetti (Scelta Civica) parla in favore del Bonus (di cui lamenta la scarsità dei fondi) e della necessità di combattere l'"Inverno demografico" della penisola.

La popolazione italiana è passata da 40 a 62 milioni di abitanti in 50 anni. Se questo è l'inverno demografico cosa sarà l'estate demografica?

Ovviamente la maggior parte dei fondi andranno agli immigrati, che hanno tassi di natalità doppi o tripli rispetto agli italiani.

Le speranze di salvare il suolo verde e il paesaggio italiano dalla cementificazione sono inutili con questi politici. Tutto continuerà come prima, anzi peggio di prima. 



lunedì 16 dicembre 2013

sabato 14 dicembre 2013

Il Secolo Inutile




 “Si vede bene com’è che brucia un villaggio, anche a venti chilometri. Era allegro. Un borgo da niente che non si notava nemmeno durante il giorno, in fondo a una campagna meschina, eh bè, si ha mica idea la notte, quando brucia, l’effetto che può fare! Potrebbe essere Notre-Dame! Ci mette anche tutta una notte a bruciare un villaggio, anche uno piccolo, alla fine si direbbe un enorme fiore, poi, nient’altro che un boccio, poi più niente. Fuma, allora è mattino.” 
(Celine: Viaggio al termine della notte)

1914 – 2014  E’ passato un secolo dallo scoppio della prima Guerra Mondale, un secolo in cui illusioni, speranze e disperazione si sono alternate a guerre e scontri ideologici, per finire poi in uno sfrenato consumismo all’arrembaggio di una nave ormai sovraccarica di umani e pericolosamente inclinata sul mare del nulla. Il romanzo di Celine sembra riassumere su di sé questa disperazione di un intero secolo, preveggente e sensibile a ciò che stava più o meno sotterraneamente accadendo e che avrebbe poi trasformato ogni cosa, compreso la vita stessa degli uomini. La Grande Guerra fu definita la “guerra dei materiali” la prima grande guerra tecnica. Per la prima volta artefice della guerra erano i mezzi, le nuove armi prodotte sulla scorta del progresso tecnico-scientifico degli anni precedenti: gli uomini erano quasi un contorno, un accessorio destinato ad essere sacrificato per una cosa più grande.
Era l’epoca del positivismo, c’era grande speranza nella scienza e si pensava che tutti i problemi dell’umanità sarebbero stati risolti dal progresso scientifico.
Sui campi di battaglia della Somme e di Verdun si sarebbero bruciate anche molte di quelle speranze. Lì la tecnica mostrò il suo volto peggiore, una belva rombante assetata di sangue umano. Per la prima volta furono  usati i gas –un mezzo invisibile ed infido, metafora di un avvelenamento generale delle coscienze- per annientare altri uomini. I cannoni a lunga gittata, i radiotelefoni, l’aviazione consentivano per la prima volta di uccidere uomini senza avere alcun rapporto con loro, neanche quello di vicinanza fisica. Tutte le leggi, scritte e non scritte,  delle guerre precedenti furono stravolte.
Era solo l’inizio, la trasformazione tecnica ed economica in atto stava cambiando profondamente non solo la società, ma l’uomo stesso. L’illusione della scienza di poter guidare la tecnicizzazione del mondo in modo da costruire una società a dimensione di un certo tipo di uomo, come il marxismo e i vari altri ismi hanno tentato di fare, è durata pochi decenni. Alla fine è emersa la verità che già dagli anni 20 e 30 del novecento molti avevano indicato: è la tecnica a gestire l’uomo e non viceversa. Marcuse parlerà dell’uomo ad una dimensione, altri di alienazione della vita moderna. La nascita delle megalopoli, la riduzione della vita umana ad una serie di atti ripetitivi all’interno di meccanismi stereotipi, i sistemi di controllo sempre più centralizzati e astratti, disumanizzati,  sono tutti fenomeni mai visti in precedenza. Certo il novecento è stato il secolo della comodità, delle auto, dei frigoriferi, della televisione, dei riscaldamenti, della cura di malattie sempre nuove e dell’allungamento della vita media. Ma il prezzo da pagare è stato altissimo. Dopo il 1945 si pensava che il mondo sarebbe stato distrutto dalla bomba atomica; nessuno aveva previsto che la bomba che oggi lo sta distruggendo sarebbe stata di altro tipo: la bomba demografica. Quello che Hosbawm ha definito il “secolo breve” è stato il periodo della più grande esplosione demografica che si sia mai vista. La scienza, la tecnologia, la medicina e l'economia avevano fatto un "miracolo". Dal 1900 il pianeta è passato da 1 a 7 miliardi di umani facendo impennare tutte le curve economiche oltre che demografiche: sono spaventosamente cresciuti i consumi, il prodotto interno lordo, la combustione di carbone,gas e petrolio, l’immissione di CO2 in atmosfera, l’uso e l’inquinamento delle acque. Soprattutto si è trasformato il concetto stesso di uomo. L’uomo è divenuto lui stesso merce come tutte le altre; da consumatore a prodotto e da prodotto a consumatore, il cerchio si chiude. Nel massimo delirio antropocentrico si è attuata  la più grande massificazione che svuota Homo di ogni significato. Hanna Arendt definisce con il termine risentimento la disposizione affettiva caratteristica dell’uomo moderno. Risentimento contro “tutto ciò che è dato, anche contro la propria esistenza”; risentimento contro “il fatto che egli non è il creatore dell’universo, né di sé stesso”. Spinto da questo risentimento fondamentale a “non scorgere alcun senso nel mondo quale gli si offre”, l’uomo moderno “proclama apertamente che tutto è permesso e crede segretamente che tutto sia possibile”. 
Tutto è possibile: questo assioma ha rivelato la sua forza devastatrice sia nei crimini perpretati in nome dell’umanità universale sia nel disinteresse verso l’ambiente, la natura e le altre specie viventi ridotte a magazzino dei propri appetiti di consumatore. Tutto è possibile è il motto dell’antropocentrismo egoistico dominante ormai su scala planetaria alla fine del secolo inutile. Con questa delirante visione di potere assoluto dell’uomo abbiamo dimenticato l’appartenenza, l’amicizia, la distinzione del vicino e del lontano. E’ l’epoca del turismo generalizzato, del fruire senza sentire, del parlare con tutti (anche con i cellulari) senza colloquio, senza uscire da campo limitato dei propri interessi. In tutto questo abbiamo dimenticato il mondo comune, l’idea vera di umanità come parte della natura, il rispetto per le altre specie, la gratitudine per ciò che da senso, in quanto natura, a noi stessi.

"Il processo segue il suo corso. Gli eventi non hanno fatto abbastanza da scuotere l’uomo moderno. Il regno del sentimento e la disfatta –forse solo provvisoria- dell’ideologia non hanno messo fine al regno del risentimento. Inutilità del XX secolo?"
(Alain Finkielkraut: L’umanità perduta. Lindau editore).

venerdì 13 dicembre 2013

Il Corriere e la follia demografica

Il Corriere della Sera, il maggior quotidiano nazionale controllato dai poteri economici forti, continua ad assecondare la folle corsa alla devastazione demografica di questo nostro disgraziato paese. In una risposta della sua rubrica di lettere del 7 dicembre scorso, il giornalista ed ex ambasciatore Sergio Romano rappresenta questa posizione maggioritaria nella redazione del giornale (l'unico contrario è l'editorialista Giovanni Sartori). Riporto alcuni passi:

...Questa tendenza a combattere l'immigrazione coincide con una fase in cui l'incremento della popolazione di molti Paesi europei è garantita soltanto dai nuovi  arrivati. Secondo studi recenti, promossi dall'Istituto Universitario Europeo di Firenze, l'Ue sembra condannata a perdere entro il 2025 un sesto della sua popolazione giovanile in età di lavoro. Accompagnato dall'emigrazione di giovani europei verso altri continenti, il blocco dell'immigrazione avrà l'effetto di rendere l'Europa sempre più vecchia. Sempre secondo lo stesso studio, l'Europa potrebbe conservare gli equilibri demografici del 2010 soltanto se accogliesse almeno 21 milioni e mezzo di nuovi immigrati...

Non ci sono parole. La posizione ricalca le stesse opinioni dei fautori  della crescita economica perpetua e dell'aumento costante del Pil. Secondo Romano anche la popolazione ha bisogno di una vigorosa crescita costante (evidentemente per supportare i poteri economici assetati di nuovi consumatori). Sembra che la Terra (ed anche la nostra povera Italia...) sia -secondo la visione paranoide di costoro- ancora una terra vergine e sconfinata in cui l'arrivo di milioni di persone e la nascita di altri milioni di bambini porterebbe sviluppo e benessere. In Italia l'aumento demografico aggiunge ogni anno una città come Bologna ad un territorio devastato da cementificazione, periferie invivibili, terre dei fuochi, veleni chimici, acque inquinate, aria delle città irrespirabile, asfalto, fumi, amianto, particolati e tumori. Una terra che fino agli inizi del '900 era una delle più belle del mondo per paesaggi, campagna e piccoli borghi ed oggi è ridotta a cementificio sovrappopolato da 62 milioni di abitanti, con il suolo verde quasi completamente urbanizzato. Una terra che solo cento anni fa aveva 25 milioni di abitanti ed oggi si avvia ai 70 milioni, in presenza di future ancora più massicce immigrazioni. In questa situazione c'è chi piange per la ancora troppo scarsa crescita demografica...non ci sono parole.

martedì 10 dicembre 2013

Demografia e migrazioni: l’ombra di Darwin


  


E’ possibile che i fenomeni in atto nel mondo attuale come l’esplosione  della popolazione di Africa e Asia, la crescita economica di Cina, America  e India, i colossali processi migratori, il commercio mondializzato, la multietnicità culturale ecc. possano essere letti in chiave darwiniana?
Che i meccanismi della selezione naturale siano sempre in atto nella società contemporanea è un argomento di cui gli antropologi sono coscienti, ma che a livello politico e della cultura di massa si preferisce evitare. Non è politicamente corretto. Oggi domina la visione dell’assolutismo antropocentrico, in cui l’uomo è visto come depositario di diritti assoluti e “creatura culturale” al di sopra di ogni appartenenza alla natura ed alle sue leggi. Un antropologo dell’Università di Neww York, Gorge C. Williams, e un medico psichiatra,Randolph M. Nesse, scrissero alcuni anni fa un libro importante: “Why We Get Sick? The New Science of Darwinian Medicine” (Trad. italiana: Perché ci ammaliamo?  Einaudi) in cui spiegano come gran parte delle malattie della odierna popolazione siano tentativi di adattamento all’impetuoso sviluppo tecnologico e ai cambiamenti della vita materiale e immateriale succedutisi rapidamente in pochi secoli.

Il nostro corpo si è formato durante milioni di anni trascorsi nelle savane africane in piccoli gruppi dediti alla caccia e alla raccolta. La selezione naturale non ha avuto il tempo di modificarlo per affrontare alimentazioni ricche di grassi, automobili, droghe, luci artificiali  e riscaldamento centralizzato. La maggior parte delle malattie moderne, almeno quelle che è possibile prevenire, derivano da questa imperfetta combinazione tra l’ambiente e la nostra struttura. L’attuale diffusione di malattie cardiache e di tumori alla mammella ne è un tragico esempio” ("Perché ci ammaliamo", pag.14. Einaudi  1999).

Non c’è solo la biologia, anche a livello culturale agiscono meccanismi selettivi. In passato la diffidenza per le persone di culture ed etnie diverse ha rivestito un ruolo centrale nella difesa delle comunità locali e delle tradizioni culturali. Eliminare questa difesa avrebbe potuto avere in certi periodi  conseguenze catastrofiche; oggi con i moderni mezzi di spostamento e con la possibilità di avere a disposizione grandi quantità di risorse locali mediante commercio e tecnologia, questo meccanismo innato di difesa delle popolazioni locali di cultura omogenea, ha perso gran parte della sua funzione.  Ma esso, se pur depotenziato, è sempre presente nel sottofondo culturale di molte popolazioni e sopravvive come  sentimento di ostilità verso culture ed appartenenze estranee, che spesso viene sfruttato da forze politiche nazionaliste per i propri scopi. Gli stress di una convivenza ad alta densità demografica e con molta tecnologia, come quella presente nella grandi megalopoli contemporanee, è una situazione che si è venuta a sviluppare negli ultimi secoli e  mai sperimentata in passato dalle popolazioni di Homo. Anche in questa nuova situazione stanno agendo meccanismi selettivi che   sui tempi brevi hanno effetti a livello culturale e delle tradizioni sociali e, almeno in via teorica, potrebbero agire in senso biologico nei tempi lunghi, anche se non è possibile prevedere come.
Se prendiamo come esempio l’Europa contemporanea vediamo che i fenomeni antropici in atto la stanno profondamente trasformando in qualcosa che , alcuni decenni fa, non avremmo mai potuto prevedere. Se pensiamo che questi cambiamenti sono intervenuti in pochi decenni possiamo immaginare gli effetti sui tempi lunghi. La crescita delle grandi città europee sta trasformando irreversibilmente la vita, l’organizzazione sociale, la cultura, la politica, la tecnologia, il paesaggio, la percezione stessa della città e con essa aspetti materiali e psicologici che fanno di un cittadino europeo attuale un soggetto umano molto diverso da quello di un secolo fa.


Possiamo vedere che analoghi cambiamenti stanno interessando il continente 
nordamericano. La giornalista Chiqui Cartagena, immigrata naturalizzata americana, ha descritto la profonda trasformazione che gli Stati Uniti stanno subendo da alcuni decenni  sotto l’influsso della massiccia immigrazione dei Latinos. Oggi gli immigrati ispanici rappresentano il 17% della popolazione totale nordamericana e presto si avviano a diventare il 20%. Tutto sta cambiando in america: aspetti materiali come le merci in vendita, il lavoro, l’intrattenimento, il marketing, la pubblicità, ma anche aspetti culturali come l’arte, la lingua, il modo di fare dibattiti, la politica stessa. Romney ha perso le ultime elezioni anche perché ha ignorato il peso rappresentato dalla parte ispanica degli elettori.  Gli industriali ad esempio, che all’inizio avevano ignorato il problema, si sono accorti che se vogliono continuare a vendere i prodotti debbono adattarsi alle esigenze e alle richieste della nuova popolazione. Gli ispanici, racconta la giornalista, stanno creando un nuovo Baby Boom negli Stati Uniti: ogni 30 secondi per ogni non ispanico che entra in pensione, c'è un ragazzo ispanico che compie 18 anni. Il boom demografico e l'immigrazione hanno aumentato in pochi anni di cento milioni la popolazione americana; si stanno modificando i paesaggi, le città si espandono, la cementificazione e l'inquinamento aumentano, le tensioni sociali anche. Sebbene non se ne parli molto da parte degli intellettuali e degli scienziati,  questi fenomeni che interessano comunque, in modi e condizioni variabili,  tutte le aree del pianeta, fanno parte di processi della selezione naturale e della evoluzione darwiniana almeno a livello delle culture, delle organizzazioni sociali e su aspetti antropologici non marginali.

Forse l’effetto principale, percepibile nei tempi brevi della nostra esistenza individuale,  sarà a livello della cultura occidentale che si sta velocemente adattando ai nuovi cambiamenti. Già abbiamo assistito nel '900 all'abbandono pressoché definitivo della cultura contadina e delle tradizioni collegate: basta guardare qualsiasi foto che ritrae gruppi di persone delle nostre campagne  dedite all'agricoltura della prima metà del secolo scorso per accorgersi dei profondi cambiamenti dei tipi umani rispetto ad oggi. I cambiamenti culturali e del modo di vedere la vita sono stati anche maggiori di quelli fisici e antropologici.  Molti fenomeni contemporanei come la perdita del sentimento religioso, l’accettazione dei matrimoni gay, l’eutanasia, la svalutazione della nazionalità e dell’appartenenza, il trionfo dei diritti umani su tutti gli altri valori come il rispetto della natura, del paesaggio, dei luoghi e delle memorie locali, sono aspetti di questa visione del mondo come “campo aperto” all’espansione infinita dell’uomo e delle sue esigenze. In fondo è come se a livello politico e culturale la visione universalistica di Kant avesse prevalso su quella della cultura locale e delle appartenenze storiche tradizionali, aspetti su cui richiamavano l'attenzione pensatori importanti come Helder, Taine, Burke  e il nostro Vico. Solo che l’evoluzione darwinistica è imprevedibile: il nuovo tipo umano che sta definendosi dalla scomparsa del vecchio cittadino europeo e dall’emergere del nuovo cittadino globale, frutto di sradicamento, immigrazioni, caduta di vecchie barriere, crollo e scomparsa di culture, commercio internazionale, nuovi boom demografici ed espansioni economiche in aree prima depresse, sembra essere un mostruoso mix di qualità non esaltanti. Kant non avrebbe forse gradito gli effetti pratici delle sue ricette basate su una ragione universale e sull’esaltazione esasperata dei diritti dell’uomo rispetto al resto della natura. L’uomo nuovo prodotto dalla società tecnologica e antropocentrica contemporanea è molto diverso dai modelli teorizzati dagli illuministi: un egoista centrato sui propri interessi, assetato di guadagni e di consumi, sprezzante dell’ambiente, cementificatore, disinteressato alla sorte delle altre specie viventi. Un tipo umano completamente privo di senso estetico, abituato a vivere in suburbi e bidonville sovraffollati, a produrre rifiuti ed emissioni senza limiti, a soggiornare in mezzo a terre devastate da tossici e inquinanti, tra acque mortifere di colore giallognolo, fumi soffocanti e cancerogeni e in un clima caratterizzato da eventi estremi e riscaldamento globale. Perfino Darwin ne avrebbe avuto ribrezzo.


mercoledì 4 dicembre 2013

Il pericolo dell’Ecologia di Stato





Hegel fa capolino anche tra i moderni ecologisti. L’impianto dirigista e costruttivista del pensiero “verde” è evidente nella pretesa di regolare i processi economici e sociali in funzione della salvaguardia dell’ambiente, ricorrendo a programmi razionali di “ingegneria” sociale.
Il ritorno massiccio alle filosofie politiche stataliste non riguarda solo gli Hegeliani di destra e di sinistra. Molti paesi che in passato avevano accarezzato l’idea liberista stanno facendo marcia indietro. E le economie in via di sviluppo seguono spesso modelli basati su di una sorta di socialismo appoggiato alle vecchie aristocrazie (di casta, di partito o militari, quando non addirittura familiari).
Anche il liberalismo non se la passa bene. Lasciamo stare quello classico di provenienza ottocentesca di ascendenza whig, in cui un governo illuminato esercita la propria funzione  limitato da norme di legge con valore generale, nonché da severe restrizioni dei poteri dell’esecutivo e da bilanciamenti tra poteri diversi. E’ la dottrina tipica del liberalismo inglese, che ha assicurato al suo tempo un grande sviluppo sociale  ma si basava su una classe, la borghesia ottocentesca, e su un sistema economico e industriale che non esiste più. Anche il neo-liberalismo così come teorizzato da Mises e Hayek e attuato da Tatcher e Reagan sembra aver esaurito la sua spinta. Di fronte al disastro ambientale dovuto alla pressione antopica sull’ecosistema e all’esaurimento delle risorse ambientali ed energetiche, il liberismo mostra tutti i suoi limiti non solo interni al modello economico ma   soprattutto in relazione al mantenimento degli ecosistemi del pianeta. Il libero mercato è infatti un sistema di capitalismo basato sulla libertà di produrre e vendere merci, sulla libertà di commercio, su una minore pressione fiscale e su una presenza limitata dello stato, relegato ad un ruolo di regolatore dei processi economici senza il potere e l’illusione di poterli dirigere secondo obiettivi prestabiliti (ad esempio la giustizia sociale o un minor impatto ambientale). I problemi rivelati dal liberismo sono numerosi, a cominciare dalla necessità di mantenere una moneta stabile. Affinché il meccanismo autoregolante del libero mercato funzioni non è necessario infatti solo una legislazione antitrust e assicurare le condizioni di una libera concorrenza. Ci vuole il mantenimento di un sistema monetario stabile. Sebbene il liberalismo classico ritenesse il gold standard capace di fornire un meccanismo automatico di regolazione dell’offerta monetaria e creditizia, tale da garantire un funzionamento soddisfacente del sistema di mercato, nel corso della storia è di fatto emersa una struttura creditizia in gran parte dipendente dalla regolazione attuata da un’autorità centrale.  In epoca recente, queste facoltà di controllo, che per qualche tempo erano state poste nelle mani di banche centrali indipendenti, sono state di fatto trasferite ai governi, soprattutto perché la politica di bilancio è diventata uno dei principali strumenti di controllo monetario. Purtroppo in questa maniera  è di nuovo “ricicciato” lo stato dirigista nel pieno dell’economia liberista di mercato. Con l’aumentare della frequenza e della durata delle crisi economiche all’interno del sistema di mercato, l’esigenza di un maggiore   intervento del governo ha messo definitivamente  in crisi il modello minimalista liberista. E, ad aggiungere un aspetto paradossale, vi è l’esempio del “mostro” cinese in cui una politica economica ultraliberista (almeno nel senso empirico del termine) si associa ad un molok statale che controlla la vita dei cinesi fin nei minimi particolari con aspetti autoritari tipici del comunismo. Il liberismo è dunque andato in crisi, ma non a causa di politiche di tipo diverso che accontentassero meglio i cittadini, ma proprio perché per poter funzionare il sistema doveva assicurare una crescita perenne, o al massimo intervallata da temporanei periodi di stagnazione. La crisi del 2008 si è rivelata invece strutturale, in quanto dovuta ad una insostenibilità di sistema. Basata ufficialmente sulle bolle del debito e sui titoli tossici, la causa strutturale è invece centrata sui prezzi dell’energia per il raggiunto picco del petrolio e l’aumento dei prezzi di estrazione degli idrocarburi. Anche in presenza di una futura probabile ripresa, l’economia si dovrà ristabilizzare a livelli di funzionamento inferiori, in quanto si è modificata irreversibilmente la costellazione dei prezzi e le dinamiche dei salari e dei mercati delle merci e del lavoro, oltre che il quadro internazionale che ha visto lo spostamento in altre aree delle produzioni e delle risorse monetarie strategiche. I problemi generali di tenuta del sistema sono poi emersi da parte di una evidente devastazione ambientale, da un aumento degli inquinanti e dal fenomeno del global warming, potenzialmente letale per tutto l’ecosistema. Queste evidenze hanno mostrato che le esigenze di una produzione teoricamente in continua crescita, come teorizzata dai modelli neo-liberisti, è incompatibile con i limiti ambientali e delle risorse naturali. Le devastazioni dei suoli, le cementificazioni massiccie, l’esplosione delle megalopoli con le montagne di spazzatura che si accumulano intorno, le nubi di smog che sovrastano le aree del pianeta dove si concentrano le emissioni di gas e particolati , e le isole di materiale plastico che inquinano gli oceani inaciditi dal carbonio e intossicati dai veleni chimici e depredati della fauna marina,  fanno da corollario agli scricchiolii di tutto l’edificio basato sull’economia di mercato e gli alti consumi.
Pur a fronte  di questi scenari, teorizzare un ritorno all’economia di stato pianificata non è tuttavia sostenibile, né dal punto di vista politico né da quello ambientale. Non dimentichiamo quanto affermava Von Hayek: “Senza detenzione privata delle risorse, non ci può essere libertà di scelta”. La facilità con cui viene criticato, da parte dei neo-hegeliani, il sistema di libero mercato è infatti basata sulla sottovalutazione che il sistema riveste per il mantenimento della libertà. Finora, storicamente, il sistema di libero mercato è l’unico compatibile con un sistema politico che assicuri la libertà dei cittadini. Un libero cittadino può infatti avere ciò di cui necessita acquistandolo al libero mercato regolato da leggi contro i trust e con prezzi fissati dalla libera concorrenza; senza di esso un cittadino deve chiedere ciò di cui necessita o al Principe o al Funzionario del Partito, in un mercato non libero spesso monopolizzato dallo stato con prezzi artificiali. O è addirittura lo Stato stesso, nella figura del Burocrate, che stabilisce ciò di cui il cittadino ha bisogno. Ma è evidente che a questo punto ogni libertà è perduta. Né si può dimenticare che la libertà è dell’individuo o non è. Non esiste una libertà “del popolo” o una libertà di classe (come quella teorizzata dai marxisti) o  una libertà di razza o di nazione (come teorizzata dalla destra nazionalista). Questi sono tutti sinonimi di sistemi in cui la libertà del cittadino viene repressa da burocrati e funzionari di stato che decidono sulla vita delle persone in base alla propria ideologia e alle proprie opinioni, e poi infine provvedono al benessere personale e della propria famiglia con interventi autoritari a scapito del bene degli altri, come mostrato dalle vicende storiche del ‘900. Tutti i sistemi politici che prevedono l'uso di controllori delle libertà altrui, come sono in fondo quelli teorizzati da tanti difensori dell'ambiente in buona fede, non possono sfuggire alla domanda famosa di Popper: "Chi controlla i controllori?". 
Il dramma della vicenda politica ecologista sta dunque nel fatto che i movimenti politici basati sulle priorità ambientali si trovano di fronte al dilemma di quale strada intraprendere nel momento in cui  il liberismo ha mostrato i suoi limiti di sistema con la crisi di crescita dell’economia mondiale e la devastazione  ambientale, e un ritorno alle strade della pianificazione statalista è impraticabile per la concreta possibilità di far perdere la libertà ai cittadini, di creare nuovi tipi di burocrazie che per quanto si ammantino dei termini “green” o “ecosostenibili”, sarebbero pericolosamente simili alle burocrazie che hanno dominato negli stati autoritari del ‘900.   

mercoledì 27 novembre 2013

La Beffa della Conferenza di Varsavia


Nuova Beffa Ecosostenibile alla Conferenza di Varsavia (COP 19) . Si sono riuniti i governi di vari paesi di tutto il globo per stabilire che non si può fare niente o poco meno contro il riscaldamento climatico dovuto alle emissioni di gas serra. Il più chiaro è stato il Giappone:   ha candidamente annunciato di non essere in grado di sostenere l'impegno di un taglio delle emissioni di gas serra del 25 per cento rispetto ai livelli del 1990. La percentuale alla sua portata è del 3 per cento. Da scoppiare dal ridere. A seguire la dichiarazione di Christiana Figueres, segretario dell’UNCCC, che ha detto ai rappresentanti del World Coal Association, che il carbone non va tanto bene perché è una materia prima tra le peggiori quanto ad impatto ambientale e ad emissioni di anidride, però si deve continuare ad usarlo, magari con accorgimenti che ne riducano l’impatto per il bene di tutti. Cosa significa? Nulla. Specifica la Figueres che l’uso del carbone può continuare se è compatibile con l’obiettivo di contenere entro i due gradi Celsius l’incremento della temperatura media globale. Cosa significa? Nulla di nuovo, quindi bene così. L’invito ai produttori di carbone sembrerebbe quello di diversificare il portafoglio, investendo sulle energie cosiddette rinnovabili, così come hanno già fatto diverse compagnie petrolifere e del gas. Poiché le rinnovabili non incidono sulle emissioni per un bel niente, in quanto inutili per la domanda energetica industriale e le altre esigenze principali, traduco la cosa così: continuate a produrre veleno, l’importante è che ci appiccichiate sopra l’etichetta verde “contribuisce alle rinnovabili” e così salvano l’anima e il portafoglio. In fondo trovare la parola "Rinnovabile" scritta ogni tanto e da qualche parte,  acquieta gli animi e rende tutti sereni: si tratta di roba equasolidale e sostenibile. Si può continuare -ergo- a bruciare miliardi di tonnellate di idrocarburi e che si fottano le calotte polari e i polmoni della gente! Tutti hanno fatto marcia indietro, dagli Stati Uniti alla Cina, dall’India al Sud america. Dell’effetto serra non frega niente a nessuno. Forse non ci credono, forse non esiste. Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti, seguendo il consiglio di fare qualcosa di buono onde nasconderci sotto il malloppo puzzolente, si sono impegnate a ridurre il processo di deforestazione, allocando a questo progetto 280 milioni che verranno gestiti dal BioCarbon Fund della Banca Mondiale. Polonia, Russia e Ucraina si oppongono a tutto e sono ultrafavorevoli al gas e petrolio di scisto, sparando nel sottosuolo i peggiori solventi e liquami e facendo sgusciare fuori miasmi di metano, gas, petroli, zolfo, solfuri e altre diavolerie che andranno ad inquinare le terre e le acque per chilometri quadrati,  mentre l’Unione Europea si tappa gli occhi e predica bene, senza tuttavia fare nulla. Chi può continua beatamente a farsi le sue centrali nucleari, e forse sono i più lucidi, come Cameron ed Erdogan. Per finire il solito: nessuno ha parlato dell’esplosione demografica alla base dell’aumento delle emissioni di gas serra ed altri inquinanti nell’ultimo secolo. La sovrappopolazione per COP19 non esiste. Non è un problema. Conseguenti sono le previsioni che si possono fare: questa conferenza di Varsavia è l’ennesima Beffa e non servirà a nulla, come a nulla è servita quella di Kyoto. La prossima di Parigi nel 2015 sarà ugualmente inutile. Ci guadagneranno solo i partecipanti, gli esperti con le provvigioni per le consulenze, le residue imprese che producono rinnovabili solo grazie agli incentivi, ed altre amenerie del genere.  Se abolissimo del tutto queste Prese in giro, non se ne accorgerebbe nessuno, e la Terra forse respirerebbe perfino meglio.

domenica 24 novembre 2013

Sviluppo economico e caos demografico





Quali sono i fattori determinanti che intervengono nella scelta del numero di figli nelle femmine di Homo? Molto importanti sono certamente i condizionamenti religiosi  e delle culture tradizionali, come avviene ad esempio in certe società islamiche o tra gli appartenenti a sette religiose tradizionaliste. Secondo gli studi dell’antropologo Marvin Harris (1927-2001) sembra che abbiano maggiore importanza i fattori materiali ed in particolare gli interessi economici. “Nelle famiglie contadine delle società preindustriali, i bambini cominciavano ad occuparsi delle faccende domestiche non appena muovevano i primi incerti passi. Verso i sei anni aiutavano a raccogliere la legna per il fuoco e a portare l’acqua per cucinare, si prendevano cura dei fratellini più piccoli; seminavano i campi, li ripulivano dalle erbacce e mietevano i raccolti…più grandi badavano a portare il cibo agli adulti, pascolavano il bestiame…”. In definitiva i figli erano economicamente convenienti in quanto i bambini producevano più di quanto consumassero. Proprio per questo ogni abbassamento del valore attribuito al lavoro infantile nell’agricoltura può determinare una riduzione del tasso di natalità. Se i profitti economici che i genitori si attendono dai figli possono essere aumentati mandandoli a scuola e facendo loro imparare un mestiere impiegatizio, il tasso di natalità può decrescere molto rapidamente. Negli anni sessanta, i ricercatori dell’Università di Harvard scelsero un villaggio dello stato del Punjab, Manupur, nell’India settentrionale, come sede di un progetto che puntava all’abbassamento del tasso riproduttivo attraverso l’uso di tecniche contraccettive e vasectomie. I ricercatori scoprirono che, se in linea teorica gli abitanti del villaggio non avevano problemi ad accettare l’idea di una pianificazione familiare, in pratica rifiutavano di farsi sterilizzare o di usare contraccettivi fino a quando non avevano raggiunto il numero di due figli maschi. Questo implicava spesso, tenendo conto delle femmine, la nascita di tre, quattro o più figli. Quindici anni dopo, alcuni ricercatori americani tornati nel villaggio scoprirono sorprendentemente che le donne facevano uso di metodi contraccettivi per ridurre in modo sostanziale il tasso di natalità e che il numero di figli maschi a cui aspiravano era notevolmente diminuito. La vera ragione di questa inversione di tendenza era la seguente: dopo la conclusione del progetto di ricerca americano, gli abitanti di Manupur erano stati coinvolti in una serie di progressi economici e tecnologici che avevano fatto del Punjab uno degli stati più avanzati dell’India. Lo sviluppo della rete dei canali di irrigazione e il sempre maggior utilizzo di trattori, diserbanti chimici e stufe da cucina a cherosene avevano drasticamente ridotto il valore economico dell’aiuto prestato dai bambini nelle fattorie. Nello stesso tempo, gli abitanti di Manupur cominciavano a rendersi conto dei vantaggi offerti dalla possibilità di impiego nelle fabbriche e negli uffici commerciali e statali. Avvertivano la necessità di essere maggiormente istruiti per poter gestire le loro fattorie meccanizzate e finanziate dalle banche. Oggi molti genitori vogliono che i loro figli proseguano gli studi e non hanno interesse a utilizzarli come contributo al lavoro manuale. Di conseguenza, le iscrizioni alla scuola superiore sono salite dal 63 all’81 % per i ragazzi, e dal 29 al 63 % per le ragazze. E i genitori di Manupur aspirano a che almeno un figlio si impieghi nel terziario, in modo che la famiglia non dipenda esclusivamente dai guadagni dell’agricoltura; molti progettano addirittura di mandare sia i figli sia le figlie all’università.
Questi motivi ricordano quelli alla base dei profondi mutamenti del tasso di riproduzione che hanno accompagnato il passaggio, nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, dalle società agricole a quelle industriali. L’industrializzazione ha aumentato il costo dei figli e ha tolto ogni convenienza ad averne molti. I benefici che si possono ottenere dai figli consistono nella loro disponibilità ad aiutare i genitori nelle difficoltà economiche e nei problemi di salute della terza età. Tuttavia l’allungamento della vita e l’aumento del costo delle cure mediche rendono sempre più irreale la possibilità che i genitori ricevano questo aiuto dai figli. Le nazioni industrializzate non hanno altra soluzione che quella di costruire case di riposo e predisporre assicurazioni mediche per la terza età, in sostituzione al sistema in uso nelle società preindustriali, nelle quali i figli si prendono cura dei genitori anziani.
Purtroppo le società industriali sono enormemente più impattanti sull’ambiente rispetto a quelle preindustriali. La riduzione dei tassi di natalità nelle nazioni progredite non ha perciò portato a benefici sull’ambiente, anche perché gli effetti della diminuita natalità sono stati surclassati negli ultimi decenni dall’arrivo di milioni di immigrati dai paesi che hanno ancora tassi di natalità molto elevati. C’è inoltre un grave ritardo culturale nelle nazioni occidentali dove le tradizioni religiose e le visioni solidaristiche antropocentriche hanno determinato un supporto a politiche di stimolo delle nascite che –purtroppo-  hanno spesso avuto successo come ad esempio negli Stati Uniti o in certi paesi europei (ad esempio Gran Bretagna e Francia). Una popolazione complessivamente  in crescita in presenza di economie industriali fortemente inquinanti è un coktail esplosivo per il residuo ambiente verde delle nazioni sviluppate. Ciò è ancora più vero per le economie emergenti dove esigenze di risorse non consentono l’utilizzo di tecnologie avanzate e meno inquinanti. Questi aiuti dati dallo stato (a carico della fiscalità generale) a politiche pro-nataliste è un vero dramma per le prospettive di successo di ogni tentativo di rientro ambientale sostenibile. La caparbia ostinazione  con cui le associazioni ambientaliste ignorano il fattore della riduzione della natalità  quale elemento determinante ed alla base di tutti gli aspetti del disastro ambientale che sta sotto i nostri occhi, aggiunge un aspetto paradossale al problema  ecologico e alle possibilità residue del pianeta.
Le prospettive per il futuro non sono rosee.
Nonostante tutte le mitologie su riduzioni sostanziali dei consumi energetici   e su fantomatici futuri sviluppi delle tecnologie riguardanti le fonti rinnovabili, la realtà è che negli ultimi decenni non vi sono state importanti innovazioni tecnologiche in grado di dare una svolta al problema del crescente inquinamento ambientale da fonti energetiche tradizionali e a quello del riscaldamento del clima. Solo per fare un esempio: il paese europeo con l'economia più forte, la Germania, ha ancora alla base del suo sistema energetico il carbone che rimane una fonte in assoluto tra le più inquinanti. La mancanza di un disegno strategico complessivo e basato su dati certi, l’assenza di una autorità politica in grado di condurre progetti a livello planetario, l’inconsistenza delle proposte dei vari convegni e consessi internazionali, il deficit di risorse da destinare alla ricerca aggravano i problemi. Ogni paese, ogni associazione, ogni istituzione segue politiche diverse e per lo più lasciate al gioco spontaneo degli interessi in campo. L’evoluzione delle economie e delle politiche sociali nelle varie aree geopolitiche  è priva di un disegno lungimirante di salvaguardia ambientale e lasciata allo spontaneismo caotico. Il fatto più grave è che tutti  ancora ignorano –o fingono di ignorare- il problema sovrappopolazione, ed il tempo sta per scadere.



lunedì 18 novembre 2013

Dallas 1963




Il prossimo 22 novembre sarà il 50° anniversario dell’assassinio a Dallas del Presidente John F.  Kennedy.
A Dallas (Texas) quel 22 novembre del 1963 , alle ore 12,30 tre colpi risuonarono lungo la Main street, sparati dal Depositery (magazzino dei libri scolastici) da un dipendente a contratto del magazzino, un uomo folle dall’aspetto stranulato, metafora di una follia collettiva, Lee Oswald. Ex tiratore scelto del marines, ne era stato poi cacciato per aver aderito al comunismo. Prima dell'omicidio era stato esule in Unione Sovietica e poi filo-castrista. Secondo alcuni aveva collegamenti con ambienti della mafia americana. Fu ucciso due giorni dopo l'assassinio di JFK da un gestore di Night-club intrufolatosi tra i giornalisti, mentre veniva trasferito dalla sede della polizia al carcere. Dopo gli spari contro il Presidente, la macchina nera scoperta su cui era anche la moglie Jacquelin e il governatore Connally, si avviò di corsa verso il sottopasso, diretta al Parkland Hospital. John F. Kennedy era ormai morente con il cranio trapassato da uno dei colpi di Oswald (sparati da un fucile Mannlicher Carcano di fabbricazione italiana). Alle 13,30 l’annuncio ufficiale della morte di Kennedy.  Il giovane Presidente aveva assunto la carica il 20 gennaio del 1961, era visto con simpatia non solo dagli americani, ma dal mondo intero, per la sua età, per le parole di fiducia su un futuro di progresso non solo degli Usa ma dell’intera umanità. Con la presidenza Kennedy, dopo  la vittoria del mondo libero sui totalitarismi, era nata una nuova speranza, una fiducia nell’avvenire supportata dal rapido sviluppo  della tecnologia che proprio in quegli anni con le scoperte sull’atomo, nel campo della chimica  e della medicina,  tornava a brillare come mito dell’occidente e non solo. Si accendeva in quegli anni la competizione tra America e Unione Sovietica per la conquista del cosmo e per il predominio tecnologico ( e degli armamenti). Sembrava che  la vita fosse facilitata dalle grandi scoperte, gli antibiotici, il DNA, la vittoria possibile sulle malattie, l’energia dalla fissione dell’atomo, e che fosse alle porte un nuovo rinascimento sull’onda del sogno  americano: la felicità sulla Terra era possibile.  Kennedy aveva saputo incarnare questa voglia di vivere  dopo la fine della guerra che aveva devastato l’Europa, che aveva visto la deportazione e la gasificazione di milioni di ebrei, e reso l’America colpevole del primo bombardamento nucleare della storia su due città abitate da popolazioni civili. Con JFK l’America aveva cambiato registro rispetto agli uomini che avevano partecipato al conflitto dai posti di comando, come Truman ed Eisenhower.  Kennedy era stato un soldato coraggioso, un ufficiale  che non aveva visto la guerra da lontano ma  da eroe sul campo, come  quando aveva salvato in mezzo alla battaglia  i suoi marinai dall’affondamento del suo mezzo da sbarco. Il Presidente era un forte comunicatore e sapeva parlare alla gente risvegliando la speranza nel futuro:  i suoi discorsi erano tutti animati da una grande  energia interiore, da una carica e uno spirito che da allora si definirà “kennediano”.  I suoi progetti di viaggi nello spazio con la promessa di  raggiungere la luna e poi gli altri pianeti ( i viaggi sulla luna sarebbero venuti negli anni seguenti secondo le volontà del presidente ma presto abbandonati), la sua contrapposizione al comunismo e il primo forte incitamento ad abbattere il muro di Berlino( Ich bin ein berliner…) sono ricordati con ammirazione da tutti . Così come i lati oscuri della tentata invasione di Cuba, la cosiddetta “Baia dei Porci”, e l’origine del conflitto in Vietnam. Col suo richiamo alla nuova frontiera, con il suo celebre invito ai cittadini di darsi da fare senza aspettare lo stato, e la sua politica di riduzione delle tasse, JFK  è anche all’origine dell’idea liberista poi ripresa da Reagan, pur essendo Kennedy un democratico. Fu uno di primi a parlare di sovrappopolazione e della necessità di destinare più risorse allo sviluppo e meno alla natalità.
Erano gli anni della vita che tornava dopo le stragi di tanti giovani nel conflitto mondiale, della voglia di divertirsi; c’era la volontà di migliorare, era l’ora dei balli scatenati, del Rock, la nuova musica con  i ritmi mai visti, del nuovo credo nei mezzi dell’uomo per affrontare i problemi, dei motori sempre più potenti, delle auto che si allungano e sfrecciano veloci, della corsa al benessere, alla ricchezza che sembrava a portata di mano.  L’uomo va nello spazio carico di fiducia nel futuro. I nuovi media accelerano la sensazione di una nuova vita che rinasce, la radio, la televisione, il cinema in casa con il mondo che entra dentro l’intimità, il quotidiano delle persone. I dischi, le canzoni, le gonne di mille colori, la pubblicità a farci sognare una vita diversa dal passato…Quella figura di giovane Presidente con la sua bella moglie sorridente, il linguaggio diretto, una sensazione di novità, di nuovi possibili sviluppi… Tutto destinato a finire quel 22 novembre a Dallas. Alla notizia del suo assassinio i più avveduti ebbero la sensazione netta che finiva l’epoca di ottimismo succeduta alla guerra e che iniziava un’altra storia. Dopo pochi anni, nel 1968, sarebbe stato pubblicato da Paul R. Ehrlich il libro “The population bomb” sulla denuncia della eccessiva pressione demografica incombente da parte della specie Homo, e successivamente il mondo si sarebbe avviato alla globalizzazione e  poi al disastro ambientale che si sta avverando sotto i nostri occhi.
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Ma prima che il giovane Presidente fosse ucciso, c’era stata la morte di Marilyn. Un altro segno fatale di un cambio d’epoca. Forse, come dice Hobsbawm, il 900 è stato veramente un secolo breve, ed è finito precocemente in quei primi anni sessanta. Anche Marilyn aveva incarnato un sogno: il sogno che fosse possibile la felicità in un mondo fatto di luci, di macchine, di cinema, di brillanti, di frigoriferi, di consumi a gogò, di auto lussuose. La morte di Marilyn fu il segnale che la strada era sbagliata, che quel sogno poteva tramutarsi in un incubo. Pochi anni prima c’era stato il fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki. La precarietà della vita era ormai sentita da tutti. La natura non era più l’infinito scenario a cui potevamo attingere secondo i nostri bisogni. La possibilità di distruzione immediata del mondo era alla portata dell’uomo. L’essere e il nulla erano vicinissimi. Marilyn era uno schermo di luccicanti meraviglie posto davanti a tutto questo, una maschera gioiosa e innocente su un senso di tragedia incombente. Una bambola bellissima ma di estrema fragilità.  La sua sensualità debordante era la forza con cui riusciva a far dimenticare l’angoscia esistenziale di quegli anni, a creare una  realtà piacevole sovrapposta all’altra inquietante. Ma  nella vita e nella morte di Marilyn c’era un lato oscuro che aveva a che fare con John Kennedy e con suo fratello Robert, ambedue molto disinvolti nel  loro rapporto con le donne. Riporto il magnifico ritratto che da di lei Ceronetti in una descrizione che attraverso Marilyn apre una chiave di interpretazione su tutto il periodo. La   sua incredibile, sorprendente   e inaspettata  morte nella pienezza degli anni rimane un  mistero e alimenta la leggenda sui due Kennedy che, forse indirettamente, furono una delle cause del suo strano suicidio.

“Marilyn morì il 4 agosto 1962, un sabato sera, alle 22,30 quando si dice che a Los Angeles accadano morti strane, per restare mito erotico del secolo e vittima emblematica di un destino di sciagura. Era nata il 1° giugno 1926; aveva 36 anni.
Tra i film…ricordo bellissimo di grande cinema “Giungla d’Asfalto”, del 1950, di John Huston, e “La magnifica Preda”, di Otto Preminger, del 1954. Il titolo italiano voleva allettarci, noi popolo di predatori maschi, riempì le sale. L’originale era modesto: The River of No Return, la voce di lei lo percorreva, piena di seduzione staccata dal corpo, triste come un uccellino in gabbia solitario. Il ritornello cadeva come lacrime sul mondo incantato: No Return…No Return…
Il suo fiume-del-non-ritorno fu la corrente che la trascinò insieme ai fratelli Kennedy;  la loro Ragione di Stato l’uccise.
Volle ricattare il potere, povera piccola scema, che per un certo tempo ebbe una linea speciale diretta con la Casa Bianca – finché non fu avvertita di non tentare più di comunicare col Presidente. Incontrava a turno i due Potenti nella casa di Peter Lawford, cognato di John, dove non mancavano le microspie, collocate per incarico del padrino mafioso Jimmy Hoffa. Ce n’erano anche nella sua casa di Brentwood, 12305, 5th Melena Drive, dove nel pomeriggio di quel sabato piombò Bob Kennedy con due gorilla, per offrirle un milione di dollari in cambio di un quaderno rosso,dove Marilyn, credendosi furbissima, annotava tutto quel che succedeva, e ascoltava, durante i suoi convegni con quelle due altre leggende della giungla americana.Pretendeva, la tapina, che Bob divorziasse e la sposasse! Stufa di far da troia clandestina, lei già più volte divorziata, sognava ricevimenti di capi di Stato, con verginità di fenice, di First Lady…Suicidio si disse, quando il titolo “Marilyn Dead” traboccò nei giornali e il corpo della piccola martire bionda era in attesa dell’ordine del Coroner per essere portato alla Morgue. Non ingerì Nembutal: non se ne trovarono tracce nello stomaco e nell’intestino. Accanto a lei non c’era bicchiere è bottiglia d’acqua per ingoiare pastiglie nere.  C’erano invece dosi del barbiturico e di cloralio nel sangue e nel fegato, da provocare più di una morte. Nessuno udì grida. Nuda fu trovata, come appariva nei calendari, distesa sulla pancia…
Un anno e quattro mesi dopo Qualcuno vendicò a Dallas quella triste carne che si aggrappava a un’anima disperata. E il 6 giugno 1968, sempre nella stravagante Los Angeles, anche Bob Kennedy incontrò il suo Fato, mentre, forse, stava per raggiungere anche lui il trono della Casa Bianca.
D’indecifrato, resta parecchio. La certezza è questa: il mio secolo crudele prescrisse a Norma Jean, figlia di una madre pazza e di un padre fotografo di nome Stanley Gifford, un destino dei peggiori. Punita per aver segnato l’epoca con la sua nociva bellezza, o cara agli Dei per non aver conosciuto vecchiaia? Un segno che fu dato  dentro un soffrire.
“C’è una speciale Provvidenza nella caduta di un passero”.
 Il Fiume Senza Ritorno risalirà alla sorgente.

(G. Ceronetti: “Ti saluto mio secolo crudele” Einaudi pagg. 17-19).


La morte di John Kennedy, quella di Marilyn e poi, nel 1968, quella di Robert Kennedy avviato anche lui alla Presidenza, tutte e tre morti violente,  furono un segno del secolo crudele, quello senza ritorno, come il fiume della Monroe. Le illusioni sul progresso illimitato stavano finendo. Ma non sarebbe stato il comunismo, né la guerra, né la bomba atomica a invertire la rotta. Da allora apparve evidente che il cielo stava per non essere più azzurro, il mare stava diventando acido e con gigantesche isole di plastica, la Terra una discarica. Una cortina di esalazioni stava lentamente ma inesorabilmente iniziando a circondare il pianeta. Ritornava alla mente  l’avvertimento di Nietzsche: “Umano, troppo umano…”

giovedì 14 novembre 2013

Fusione Fredda: il prossimo reattore Lenr sarà americano o giapponese




Su invito di Vincenzo Valenzi ho partecipato alla recente conferenza sulla Fusione Fredda tenutasi a Roma   nell’ambito di Coherence 2013. Il tema verteva sugli ultimi sviluppi delle ricerche. La corsa al nuovo reattore Lenr-ahe riguarda attualmente in particolare i ricercatori  americani e i giapponesi. Soltanto in Usa e in Giappone ci sono infatti finanziamenti adeguati a portare avanti la ricerca con buone prospettive di successo. In America accanto ai classici centri di ricerca   (il gruppo del Mit, coordinato dal professor Hagelstein, quello di Miley dell’Illinois, quello che fa capo alla Nasa, la Boeing corp. e tanti altri)  c’è soprattutto quello del professor David Nagel (Washington University) che ha ricevuto dal governo l’incarico di centralizzare  la miriade di ricercatori americani e di coordinare le ricerche a livello internazionale. In Giappone sono attivi i ricercatori dell’Universita di Osaka e di Koba e della Technova. Ma sono  in particolare i ricercatori   della Toyota che stanno accelerando in vista dei futuri auspicabili sviluppi commerciali.

Su questi temi e sulle ricerche che si svolgono in Italia riporto una breve sintesi dell’intervento di Celani (Infn )e di Mastromatteo (ST Microdinamics) nella conferenza di Coherence 2013 tenutasi il 30 ottobre ottobre a Roma nei locali della Casa dell’Aviatore. Un buon segnale è stata la partecipazione: la sala era piena e il pubblico molto interessato.

Nel suo intervento  Celani , dell’istituto nazionale di fisica di Frascati, e principale esponente della ricerca sulle Lenr in Italia,   ha  passato in rivista lo stato attuale degli studi e degli esperimenti e le prospettive a breve-medio termine.
Celani ha riferito in particolare sulle novità emerse dall’ultima conferenza ICCF 18 tenutasi dal 21 al 27 luglio 2013 in Missouri.

La prima (ed importante) novità è che gli Usa hanno deciso, anche per  diretta spinta del governo americano, di centralizzare tutti gli studi, in particolare quelli collegati alle istituzioni pubbliche (Navy Lab della Marina), quelli della Nasa, dei principali istituti universitari, all’interno del progetto di ricerca del professor David Nagel (G. Washington University), e di affidare a lui il coordinamento internazionale  di questo settore (LERN). Vedi a questo proposito il  lavoro riepilogativo di Nagel:  http://www.infinite-energy.com/images/pdfs/NagelIE103.pdf
E’ molto probabile che, in base al crescente interesse nel settore e a nuovi cospicui finanziamenti,  gli sviluppi futuri di un reattore LENR – AHE  avverranno negli Usa e che presto ci saranno novità preliminari ad una eventuale commercializzazione di  sistemi di riscaldamento e di produzione di energia per usi inizialmente domestici e di piccole imprese, destinati poi a crescere in altri campi con il progredire delle sperimentazioni. Ricordiamo che negli Usa è anche in attività di ricerca la Leonardo Corp. di Rossi, su cui però non si dispongono dati certi per la politica del segreto industriale perseguita da Rossi e collaboratori.

Oggi i lavori internazionali che riguardano le LERN- AHE (Anomalous Healt Effect) si svolgono in numerosi paesi, ma i centri principali sono gli Usa e il Giappone, dove si stanno interessando al problema i ricercatori dell’Università di Osaka, dell’Università di  Kobe,  e quelli della Toyota.

Celani ha fatto un cenno alle varie tappe che hanno portato allo stato attuale della ricerca. Dopo le celle elettrolitiche iniziali che producevano una temperatura operativa di 50-60 C° si è passati alla combinazione di metalli con struttura molecolare a reticolo e di gas di deuterio o di idrogeno che hanno permesso temperature assai superiori (300-500 C°) .  Nella costruzione dei reattori sperimentali oggi non si utilizza più il palladio , raro e costoso, oltre che facilmente deperibile nelle reazioni, ma nuove leghe a base di nichel-rame in forma parcellizzata micrometrica, al cui uso hanno contribuito molto i ricercatori italiani, tra cui Piantelli, Focardi e Rossi, e per ultimo Celani stesso con la sua costantana. I reattori con cui sperimentano gli americani sono derivati in gran parte  dagli esperimenti del Prof. Arata e dal reattore di Celani , e gli esperimenti si avvalgono di un nuovo sistema di condivisione (Live Open Science),  si svolgono sotto l’occhio di numerose  telecamere e vengono messi in onda in tempo reale . Chiunque dall’esterno può osservare gli esperimenti, portare il suo contributo e fare commenti (Open Science). Si è stabilito che il termine Fusione fredda non è idoneo a indicare le reazioni che avvengono in questi sistemi sperimentali: si tratta di fenomeni termici e nucleari a bassa intensità che, probabilmente non  riguardano una reale fusione nucleare. Oggi si preferisce definirli AHE (anomalous healt effect). Qual’ è l’utilità di usare il rame-nichel? 
a)   Abbassare il costo rispetto al palladio. Riuscire a fare a meno del deuterio che è costoso e considerato di interesse strategico.
b)   Aumentare la temperatura operativa esterna degli esperimenti (300-500    C°) per facilitare la produzione di energia elettrica.
Nel 2010 due gruppi indipendenti, uno italiano e l'altro giapponese,  che lavoravano in segreto e ciascuno senza conoscere il lavoro dell’altro, hanno usato leghe di Nichel-Rame per costruire reattori in cui veniva immesso idrogeno gassoso per innescare la reazione. I giapponesi hanno utilizzato polveri nanometriche di nichel-rame stabilizzate in una matrice di silicio, mentre quelli italiani (Celani, IFNF) pseudopolveri aderenti a fili sottili (0,2 mm) di costantana. Ricordiamo che il primo ad aver scoperto che i materiali metallici per favorire le reazioni debbono avere dimensioni nanometriche fu il prof. Arata, antesignano delle ricerche sulla fusione fredda in Giappone.   I risultati sono stati comparabili tra i due gruppi, e ciò dimostra che le reazioni esistono, sono produttive di un effetto termico non spiegabile dalla fisica fin qui conosciuta, sono replicabili.
Oggi il materiale è stato ulteriormente sviluppato e migliorato dai ricercatori del MFMP ( Martin Fleischmann Memorial Project) e il funzionamento dei reattori sperimentali in America è migliore rispetto a quelli che usiamo noi in Italia. Con l’appoggio di numerose università e istituzioni oggi gli americani sono molto più avanti di noi (il governo italiano e la grande industria in Italia si è completamente disinteressata a questa ricerca).

Il rettore da noi usato attualmente (Celani- Infn) consiste di fili di 200 micron che hanno una “corteccia” di materiali nanometrici di nichel-rame. Questi sono all’interno di una camera le cui pareti possono essere metalliche o in vetro, in cui viene immesso idrogeno gassoso. Cambiando i parametri: tipo di gas, pressione, temperatura, si può capire come migliorare la reazione.  Il dott. James Truchard , fondatore della National Instruments, ha fornito gli strumenti di misura nei laboratori americani in cui vengono studiate le LENR.  Il dott. Kidwel che dirige i laboratori di ricerca della Marina americana è stato all’inizio un forte oppositore alle LENR di cui negava l’esistenza. Oggi Kidwel da nemico è divenuto amico ed è uno dei principali ricercatori nel campo in Usa. E’ stato uno degli artefici del passaggio dall’elettrolisi ai nanomateriali ed ha contribuito a migliorare i reattori. Il professor Nagel infine è intervenuto, anche per incarico del governo, a coordinare una miriade di ricercatori e attualmente dirige gran parte della ricerca in America e coordina numerosi studi internazionali.
In Giappone ricordiamo le ricerche della Mitsubishi dove gli sperimentatori, attraverso le reazioni LENR hanno realizzato trasmutazioni di elementi. Tra le principali quella del Cesio in  Praseodimio (documentata nel 2002), dello Stronzio in Molibdeno (2004). Che ci sia trasmutazione e non contaminazione è dimostrato dallo spettro isotopico corrispondente tra i due elementi prima e dopo la trasmutazione. Questi studi sono interessanti per poter tramutare il Cesio radioattivo (prodotto dalle centrali nucleari ad esempio) in elementi a breve decadimento, e quindi per lo smaltimento delle scorie radioattive. Successivamente sono state le Università di Osaka e poi di Kobe a portare avanti la ricerca sui nanomateriali. La Technova conduce attualmente le ricerche con leghe di nichel-rame in matrice nanoporosa di silicio.  Oggi la Toyota  guida un settore  di  ricerca sulle Lenr  in Giappone volto alla creazione di utility tecnologiche che possano portare a prodotti commerciali, e gli studi sperimentali riguardano sia le trasmutazioni che la produzione di energia.

La realtà della produzione di energia da parte dei fenomeni precedentemente chiamati FF è sempre più riconosciuta a livello internazionale. Si tratta di reazioni difficili (non facili!) da produrre che richiedono preparazioni complesse degli elementi costituenti i reattori e particolari stati dinamici. Le reazioni in situazioni di stabilità sono difficili da riprodurre e la reazione è facilitata da stati di squilibrio del sistema. La standardizzazione di queste “perturbazioni” dinamiche che creino temporanei disequilibri utili alla reazione è uno dei campi principali di ricerca.  Inoltre non tutta l’energia prodotta è inspiegabile. Parte della temperatura del reattore di Celani, ad esempio, è un prodotto riconducibile all’effetto Longmire in cui l’idrogeno in forma molecolare (H2) viene scisso dall’aumento della temperatura nel gas (H + H), e poi si ricombina  sulla superficie del vetro della cella restituendo calore.
Ma nonostante queste spiegazioni, gran parte dell’effetto rimane non spiegato  ed attualmente, con l’uso di catalizzatori che permettono di abbassare la temperatura della reazione è possibile vedere meglio la produzione netta di energia. Oggi, nelle migliori condizioni di lavoro, con un grammo di materiale reagente si producono 104 megajoule cioè l’equivalente di tre litri di benzina. Il reattore di Celani usa questi catalizzatori contenuti in una cella di vetro: un filo di costantana è quello reagente e un altro filo è di riferimento per confronto sperimentale (stiamo parlando di sistemi sperimentali e non ancora ingegnerizzati per la produzione). Quando l’idrogeno permea la costantana si ha la produzione di 10 watt di calore  (100 watt/grammo – si tenga presente che una centrale convenzionale da una produzione di 30 watt/grammo). I Giapponesi hanno usato per i loro reattori una nanopolvere composta da 80 % di Nichel  e  20% di Rame dispersa in una matrice di zirconio o silicio. Noi usiamo una percentuale diversa (più rame) e leghiamo il nanomateriale alla superficie del filo di costantana. Per la reazione è importante che l’idrogeno passi da H2 ad uno stato atomico  H ed entri così nei nanomateriali: a questo scopo la costantana si è rivelata materiale migliore rispetto al palladio.

Nella relazione del dott. Mastromatteo (ST Microdinamics) si accenna alle fonti energetiche principali del prossimo futuro e alle recenti ricerche sulla cosiddetta Fusione Fredda. In presenza di un ambiente terrestre che si surriscalda e del possibile futuro esaurimento dei combustibili fossili, bisogna agire ora nel campo della ricerca e della sperimentazione. Siamo pronti a rinunciare al nostro benessere? Avremo bisogno di sempre più energia e  di considerare la disponibilità dei combustibili e del loro costo. Inoltre una energia non più legata ai giacimenti di gas,carbone e petrolio, consentirà una maggiore condivisione su scala planetaria del benessere e  dello sviluppo, e di un minor impatto ambientale che potrà   avvantaggiarsi dell’assenza di emissioni di CO2 o di scorie radioattive.
Per un confronto delle varie fonti del futuro  si può considerare che oggi   l’energia nucleare è l’unica disponibile, sperimentata, è caratterizzata da alta densità dei reagenti, da una buona portabilità (si fanno reattori sempre più piccoli),ma da  probabile futura scarsità dei combustibili, e da una dannosità potenzialmente elevata sia per le scorie sia per il possibile uso militare. L’energia da fusione calda è invece ancora in fase sperimentale, è caratterizzata da alta densità, da complessità tecnica del reattore, scarsa portabilità, ma senza problemi di scorie e   i combustibili sono abbondanti in natura. La FF è  l’unica che soddisfa tutti i criteri ed è caratterizzata  da alta densità, abbondanza di materiali, assenza di radioattività, alta portabilità, una tecnologia relativamente semplice. Oggi gli Usa e il Giappone sono all’avanguardia nella ricerca sulle LENR e si stanno sperimentando nuovi materiali e nuove tecniche, tra cui l’uso di laser per l’innesco della reazione. 

lunedì 11 novembre 2013

Complessità e utopia




 “L’Utopia è semplice. La Realtà è complessa”.

  Lo sviluppo della tecnologia e il boom demografico stanno aumentando la complessità della organizzazione materiale e tecnica del sistema uomo, e ciò determina una pressione sempre maggiore sul sistema natura. La  gestione di questa complessità sta divenendo un problema centrale per la scienza e non solo: anche la politica deve cominciare a pensare in termini di complessità. Pensiamo un attimo alle megalopoli, un aspetto di fondo  della società sovrappopolata contemporanea, una società –soprattutto in futuro- sempre più urbana. Le megalopoli sono strutture organizzate adattative con aspetti di enorme complessità   come, ad esempio, le reti di elaborazione e trasmissione delle informazioni e i media perennemente connessi, i sistemi di produzione e distribuzione dell’energia necessari ad assicurare il funzionamento giornaliero delle strutture di supporto per milioni di persone, i sistemi sanitari con la gestione di macchinari e reti ospedaliere su vari livelli, i trasporti metropolitani e tra metropoli diverse,  ecc.
Quando vediamo i grandi concentrati di grattacieli che costituiscono i centri strategici (economici, politici, amministrativi, energetici) dei sistemi megapolitani, siamo portati a sottovalutare la complessità insita in tali megastrutture umane, complessità che deve essere continuamente mantenuta ed implementata. Il Club di Roma studiò questo aspetto della modernità e diede incarico nel 1970 a Jay Forrester , esperto in Dinamica dei Sistemi e professore al MIT, di redigere uno studio sulla complessità e relativa fragilità delle società umane caratterizzate da sovrappopolazione, alti consumi e alte richieste energetiche. Forrester valutò la “difficile situazione del genere umano” e la futuribile crisi globale a causa delle richieste di consumo sulla capacità di carico della terra (delle relative fonti di risorse rinnovabili e non rinnovabili e dei relativi dispersori per l'eliminazione delle sostanze inquinanti) da parte della popolazione mondiale in crescita esponenziale. I suoi studi portarono alla elaborazione di modelli di sviluppo, in particolare il  World3 sulla cui simulazione al computer fu basato il famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo (traduzione errata di "Rapporto sui limiti della crescita"), commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato nel 1972.

Uno dei problemi centrali nelle strategie di “rientro “ dall’eccesso demografico dela specie umana è quello di assicurare una continuità di gestione e sviluppo della complessità tecnologica in presenza di un calo demografico. Un problema ancora più grave è la sostenibilità in termini di sistema di una riduzione dei consumi, in particolare di quelli energetici. Una decrescita economica non è solo un problema politico e culturale, si tratta di analizzare le dinamiche e le retroazioni che possono portare a squilibri di sistema fino a collassi veri e propri.   La gestione di un calo demografico mondiale o dei consumi e dei relativi prodotti interni delle principali nazioni sarà gravata da problemi di tenuta dei sistemi economici e sociali con forti ricadute materiali sull'ambiente. Non si tratta banalmente di chi pagherà le pensioni.  Le società complesse composte da megalopoli, con scambi di grandi quantità di merci e di energia, con alti consumi energetici e strutture stratificate in vari livelli funzionali,  sono anche caratterizzate, come rilevò Forrester nei suoi modelli, da elevata fragilità e tendenza al collasso in situazioni critiche. Per assicurare il funzionamento di queste megacomplessità si richiede la presenza di servizi finora assicurati dalla moderna società tecnologica: sistemi intelligenti di computazione, sistemi a feed-back semiautomatici, condivisione sincronica delle informazioni, apparati industriali ed energetici flessibili ed efficienti in grado di far fronte ai cicli produttivi ed economici. Fino ad oggi abbiamo assistito a delle fasi di crescita economica intervallate da periodi di crisi. Questi aspetti erano però interni al sistema economico mondiale. Oggi per la prima volta assistiamo ad una crisi in cui fattori extra-economici ed in particolare fattori  ambientali planetari giocano un ruolo preminente. 
Nella nostra civiltà contemporanea  molte intelligenze debbono essere al lavoro contemporaneamente ed ininterrottamente e deve essere in atto una costante elaborazione nei vari livelli organizzativi. Un rientro demografico o un generale rimodellamento dei consumi, più o meno rapido, deve prevedere sistemi di adattamento e gestione che assicurino continuità e mantenimento dei sistemi con  implementazione di funzioni, in  situazioni in cui i grandi numeri e le variabili in campo influenzano l’evoluzione in maniera imprevedibile.  Non disponiamo di sistemi informatici in grado di fare previsioni di sistema valide sui tempi lunghi. L'unica possibilità di mantenere in equilibrio la complessità è quella di un continuo progresso tecnologico. Paradossalmente la stessa strategia di decrescita dei consumi e di riduzione e riqualificazione  energetica (comunque ottenuta) richiede reti di complessità e di elaborazione tecnologica non minori, ma superiori rispetto alla situazione attuale, se non si vuol precipitare l’umanità in uno stadio pre-industriale o addirittura di medioevo tecnologico. Tutti coloro che propongono uno stop alla crescita della tecnologia nel  quadro di una decrescita delle società umane espongono l’umanità ad alto rischio di collasso strutturale e disastro materiale, politico,   economico e culturale.  Una società delle megalopoli non può essere supportata da una economia fondata, ad esempio, sull’agricoltura. Un sistema industriale sviluppato e  una disponibilità energetica a prezzi sostenibili per i principali attori internazionali sono condizioni irrinunciabili per una società delle megalopoli in cui è strategica la formazione e lo sviluppo tecnologico.  Le questioni riguardanti le fonti energetiche del pianeta per i prossimi 50 anni e le relative tecnologie sono il campo in cui si gioca la partita tra le utopie e le strategie vincenti e costituiscono la base di fattibilità di ogni tentativo di rientro nei limiti della biosfera.