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lunedì 29 luglio 2013

AUMENTO DELLA POPOLAZIONE E CONSUMO DI SUOLO



Popolazione-italiana-1861-2011-trend
Finalmente. Ci voleva l'Associazione Salviamo il Paesaggio a rompere il tabù. Per la prima volta in maniera così chiara Gaia Baracetti dice apertamente la verità che nessuno dei verdi ufficiali osa dire: la distruzione del paesaggio italiano e il consumo di suolo è dovuto alla eccessiva densità demografica, alla sovrappopolazione del territorio italiano. Sembrerebbe una verità talmente lapalissiana che neanche c'è bisogno di spiegarla. Eppure, per ragioni di bassa ideologia (la colpa è del capitalismo, dei mercati, delle multinazionali, della grande finanza, ecc. ecc.) per troppi anni nessuno ha detto questa semplice verità, se non quei pochi pochissimi che hanno avuto l'ardire di parlare contro il pensiero unico antropocentrico. Basta un nome per tutti: Luigi De Marchi, psicologo e antropologo, grande pensatore liberale. Ma per i cosidetti verdi, quelli che si autodefiniscono ecologisti e difensori dell'ambiente, l'argomento sovrappopolazione non si può toccare. Si rischia di essere additati come razzisti, anche se i veri razzisti, anzi specisti, sono loro. L'uomo, anche per loro, deve stare al di sopra di tutto e sull'altare dei diritti assoluti degli umani si può procedere alla devastazione del territorio, alla cementificazione massiccia, all'annientamento di tutte le altre specie viventi, magari salvaguardando l'apparenza con qualche piantina messa qua e là in mezzo al cemento.  Per questo l'articolo di Gaia mi da molta soddisfazione, vuol dire che la lotta che stiamo conducendo da anni comincia ad avere i risultati sperati. 
Molto interessante è anche la discussione che segue all'articolo pubblicato sul blog della Associazione. Ne riporto le parti salienti.  Qui si vedono i soliti verdi ortodossi che tentano di ribaltare la verità: non è la sovrappopolazione il problema, ma gli interessi economici, le speculazioni, i centri commerciali. Ovviamente anche questi fattori hanno un ruolo, ma nel senso che fanno anch'essi parte della pressione antropica. Alla base di ogni interesse speculativo c'è una popolazione in crescita.



Aumento della popolazione e consumo di suolo


Perché in Italia ci troviamo oggi ad affrontare la tragedia del consumo di suolo e della distruzione del paesaggio? Alcuni dei motivi li sentiamo nominare spesso: speculazione edilizia, lacune nelle norme di tutela o nella loro applicazione, classe dirigente miope o corrotta, interessi dei grandi costruttori, cattivo uso degli incentivi alle fonti rinnovabili…
C’è un colpevole che però non viene mai additato, nonostante sia tra i più importanti: la crescita della popolazione italiana. Nessuno ricorda che siamo passati dai 22 milioni di abitanti dell’Unità d’Italia ai quasi 60 attuali, e che non sono solo i nostri consumi ad essere cresciuti, ma anche il nostro numero.
Dietro alla colata di cemento, dietro ai nuovi quartieri, strade, parcheggi, centri commerciali, centrali elettriche, ma anche scuole ospedali, strutture sportive, centri vacanza e chi più ne ha più ne metta non c’è solo la perversione dell’offerta ma anche, a conti fatti, l’aumento innegabile della domanda. E la domanda viene determinata da due fattori: che tenore di vita vogliamo mantenere, e quanti siamo.
Nonostante tutto quello che ci viene detto, la popolazione italiana, con rarissime eccezioni, non ha mai smesso di crescere. Attualmente il tasso si assesta sullo 0,49 % all’anno – che nel 2012 ha significato quasi trecentomila persone in più. Davvero possiamo pensare che incrementi del genere non abbiano nulla a che fare con il consumo di suolo?
Anche il blog di Salviamo il Paesaggio, che leggo regolarmente e con attenzione, non tratta quasi mai l’argomento. Mi permetto di fare qualche osservazione sulla base di una ricerca che ho effettuato sul sito, prendendo in considerazione articoli sia originali che tratti da altri media.
Effettivamente di popolazione ogni tanto si parla, ma per dire quasi sempre che non sta crescendo: a Nuoro (qui è vero, è in leggero calo), nella provincia di Bologna (falso: secondo l’Istat nel 2012 è aumentata di 14 mila unità rispetto all’anno precedente), a Osoppo e Pozzuolo in provincia di Udine (ni: nel comune cala leggermente od oscilla, ma nella provincia continua a crescere), Laigueglia nel Savonese (idem)… È fuorviante prendere in considerazione il raro centro in cui la popolazione cala appena, quando nell’intera provincia questa aumenta, facendo magari sperare agli amministratori di attirare nel proprio comune i nuovi abitanti della zona.
Il punto è proprio questo: se le città si svuotano e si riempiono le campagne intorno o i comuni limitrofi, il consumo di suolo nella zona nel complesso aumenta.
Non corrette anche le affermazioni fatte per quanto riguarda la Lombardia e Roma: nella prima il “documentato calo demografico” in realtà è un aumento (nel 2001 la regione risultava popolata da 9032554 persone; da 9794525 alla fine del 2012). Lo stesso discorso si può fare per la capitale: se c’era stato un decremento negli anni ’90, nell’ultimo decennio la popolazione non ha fatto che crescere, e risulta attualmente maggiore di ben 92038 unità rispetto al 2001. Chiunque dubiti di questi dati può consultarli sulla pagina demografica dell’Istat; il censimento del 2011 ha corretto al ribasso le stime del precedente decennio, ma non nega la tendenza di fondo. Senza contare che, secondo i dati raccolti da wikipedia, la situazione sarebbe grave anche se stabile: la densità di abitanti in Italia è di quasi 200 per chilometro quadrato, molto al di sopra della media dell’Unione Europea, 116 per chilometro quadrato.
Perché la menzogna viene ripetuta ossessivamente? Perché si dice che la popolazione cala quando invece aumenta?
Una possibile risposta è la più semplice: perché il saldo naturale in Italia, nel complesso, è negativo: muoiono più persone di quelle che nascono. La popolazione però cresce a causa dell’immigrazione: la differenza tra il saldo migratorio e quello naturale dà un aumento molto consistente, che non si ferma nemmeno davanti alla crisi. Curiosamente, però, i media considerano ‘popolazione’ solo quella italiana e fanno finta di non sapere che anche gli immigrati, in quanto persone, abitano, vivono, consumano sul territorio.
Più complessa forse è la risposta alla domanda: perché ogni volta che si parla di consumo di suolo non si ricorda anche uno dei suoi motori, cioè l’aumento della popolazione? Forse è più facile mobilitare l’opinione pubblica se si pensa che il nemico sia uno solo, cioè l’avidità dei costruttori e la complicità dei politici. Aggiungere all’equazione anche l’effettivo aumento della popolazione e della conseguente richiesta di antropizzazione del territorio significa complicare le cose e fare domande molto scomode.
Inoltre, si potrebbe sostenere che non necessariamente le due cose sono legate: il nostro paese è pieno di case sfitte e capannoni vuoti. Vero: però la soluzione proposta, cioè di utilizzare prima l’inutilizzato, ha senso solo se la crescita della popolazione si arresta. Se continua, arriverà per forza di cose un momento in cui anche tutti gli edifici inutilizzati saranno riempiti e ne serviranno di nuovi. È una questione matematica. Ogni successo ottenuto nel recuperare un edificato o un pezzo di città in disuso è automaticamente vanificato dall’aumento della domanda di case, strade, negozi, parcheggi, servizi… Questo vale, per inciso, per qualsiasi risparmio di risorse.
Il tema è tabù, probabilmente, anche perché ammettere che la popolazione italiana è in crescita e anche per questo si costruisce ha come conseguenza logica la domanda: cosa si può fare per fermare questa crescita? Dato che essa è dovuta interamente all’immigrazione, si capisce che si entra in un territorio minato in cui già è scomodo porre domande, figurarsi offrire soluzioni. Se non lo facciamo, però, non possiamo sperare di risolvere davvero il problema del consumo di suolo in Italia.
Gaia Baracetti

COMMENTI POSTATI SUL BLOG

Finalmente, dopo tanti anni di “silenzio stampa” ( a parte Sartori e Levy Strauss e tanti altri..scherzo ovviamente….) una voce come quella di Gaia che nella sua lucida analisi prevede quello che ormai da 30 e più anni ho cercato di spiegare in tanti convegni e luoghi “politici”, ricevendo solo fraintendimenti (talvolta pelosi e voluti), sul necessario concetto di “carico” sostenibile di popolazione umana nei diversi ecosistemi e nelle diverse situazioni agro-territoriali e urbane,che sarebbe urgentemente auspicabile promuovere, in relazione anche alla presenza di tanti altri “viventi” che non dovrebbero da noi umani che siamo liberi di farlo, venire “suicidati” ed eliminati senza averne nessuna consapevolezza e contezza.
Insomma il diritto del riccio a poter attraversare una strada… a cui nessuno pensa ….le future TAV del mondo, in Asia, Sudamerica e Africa, oltre a frammentare tutti gli ecosistemi con tracciati invalicabili, sono strettamente connesse ad una visione di antropizzazione e sovvrapopolazione , senza limiti ed indirizzo
Noi siamo solo una delle tante specie e dato che ne abbiamo coscienza, avremmo il dovere morale ed esistenziale, di rispettare le altre, anche l’ultima formichina, nei limiti dei rapporti biologici e di predazione, senza sentirci investiti da missioni divine che ci giustificano in ogni nefandezza verso gli altri viventi.
Inoltre, a volte penso che forse saremmo troppi, anche solo in 2 miliardi, con gli stili di vita che il modello anglosassone e turbo-capitalista propone nel suo dominio mediatico e culturale mondiale, con la lucida e suicida corsa verso le megalopoli del mercato globale che implicano i ghetti interni e l’agricoltura intensiva e mortifera, all’esterno.
Senza contare che ormai le miniere di rame e di altri minerali si stanno esaurendo e che l’eccesssiva richiesta, anche dei minerali rari per l’informatica, stanno facendo dilagare guerre e contrasti, di cui la sovvrapopolazione mondiale costituisce il brodo di coltura.
Solo l’esistenza di “biospazi” socio-industriali e di reti di imprese cooperative internazionali, in un ottica di equilibrio ( meglio del confusivo termine di decrescita) nei rapporti con gli spazi degli altri viventi, potranno forse rallentare la corsa verso il “grande fratello del disastro prossimo venturo”.
Esso vive di boom demografici,guerre conseguenti, migrazioni incentivate per incrementare l’offerta di manodopera e per far fare i lavori che non vogliamo facciano i nostri figli, disoccupati con tre masters.
Ed inoltre a ciò concorre il buonismo spray di tutte le forze politiche, a caccia di voti ma incapaci di analisi…Per fortuna solo un mese fa, 2 insigni economisti indiani ( di quelli che non invitano nei salotti buonisti), hanno recentemente detto a tutti i ciechi benpensanti del mondo (che non vogliono sentir parlare di sovvrapopolazione), che se continua l’attuale trend demografico ( non bastano lievi rallentamenti), solo in India ci saranno a breve circa 500 milioni di persone che non hanno NESSUNA possibilità di integrazione sia in agricoltura che nei servizi che nell’industria.
L’automazione dilagante,dall’agricoltura all’industria, congiuntamente alla quasi assoluta mancanza di politiche reali sulla maternità consapevole, renderanno a breve la situazione fuori controllo come sta già succedendo in Egitto , in cui NON UNO , dei nostri politici, sociologi, economisti, ecc. ha il coraggio di dire che l’incremento demografico egiziano, spinto anche culturalmente da forze religiose , porterà ai disastri prossimi venturi, come quelli a cui assistiamo in Brasile e dintorni, alla faccia dei cosiddetti BRICS emergenti.
Ghetti, sofferenze e fame nelle baraccopoli,guerre, ecco i risultati del silenzio totale, da tutti condiviso, sulla sovvrapopolazione pilotata e sulla visione del mondo che la sottende, ecco il futuro del mondo ….anzi con un futuro, quello di disperati che si affidano a religioni e sistemi economici che hanno bisogno di carne da cannone, anche informatica, di voli su Marte per galvanizzare le folle……in un mondo sempre più invivibile,in cui la presenza degli altri viventi viene inserita contabilmente nei bilanci ambientali…
p.s. a fronte della chiarezza dell’intervento ed analisi della Baracetti, mi stupisco come si possa equivocare o dire cose che assolutamente non si evincono. Ma mi rendo conto che questo ed altri argomenti tabù, sono difficili da digerire, se non si adotta una visione fortemente laica comunitaria, autogestita ed internazionale, realmente solidale e biocentrica nonchè alternativa sia al modello mercatistico anarco-liberale che a quello religioso-ecclesiale ..nei fatti strettamente connessi
paolo debernardi — AGER


Nel mio paese Canale a iniIo ’900 gli abitanti erano 5500 ,più o meno quelli di adesso.Il perimetro urbano
 Intanto è aumentato da sei a dieci volte come nella media dei paesi e città italiane.L’articolo rischia di
giustificare la colossale abbuffata che ha stravolto un intero territorio. GUNO

Cara Gaia, è utile e doveroso dibattere sulla questione e far emergere tutti i risvolti che un fenomeno ha – in questo caso – sull’ambiente, la società etc. Urge doveroso però farti notare che l’aumento della popolazione, attualmente e qui da noi in Italia, non giustifica lo spreco (oltre che consumo) di suolo cui stiamo assistendo. Lo dico riportando solamente alcuni dati relativi al Veneto (li trovi in numerosi lavori del prof. Tiziano tempesta): 1. mediamente esistono dieci (10!!!) aree produttive per singolo comune. Il sistema di gestione del territorio così non è certo efficiente. Non è nemmeno efficace, visti i risultati che abbiamo in termini di crescita economica/qualità della vita etc. 2. I permessi di costriure case in Veneto, tra il 2001 e il 2009 sono stati pari a 127 milioni di mc, a fronte di un aumento di popolazione di 370 mila persone il cui fabbisogno, stando agli standard di 120-150 mc su abitante, si attesta a 44-55 milioni di mc. 3. Infine, nello stesso periodo le concessioni edilizie rilasicate per costruire capannoni sono state oltre 111 milioni di mc, ma nello stesso periodo l’occupazione nell’industria è diminuita per oltre il 6% e la ricchezza per oltre il 14%. NICOLA

Dopo aver fatto le considerazioni precedenti
sono anche ovviamente sconcertato da
 questa strenua difesa “dell’ingresso ” degli stranieri a prescindere
 dal numero delle persone che potrebbero essere accolte compatibilmente
 con la densità di abitanti del territorio che le dovrebbe ospitare.
 E’ illusorio pensare che i figli degli stranieri, che
 stanno frequentando le scuole italiane, vorranno fare i lavori umili dei loro
 genitori, perché, ovviamente, ambiscono a diventare ingegneri,
professori, ecc. Quindi mi domando perché si
 difenda la necessità di fare entrare tanti stranieri (quanti? Si
 intravede un limite?) adducendo come motivazione
quella che essi saranno indispensabili in futuro per fare
 lavori umili. Ma se i loro figli, che stanno studiando e
sono nelle stesse condizioni dei ragazzi italiani, vorranno diventare (tra
qualche anno ) insegnanti o ingegneri, diremo allora che
avremo bisogno che vengano a stabilirsi in Italia tanti altri stranieri perché continuino a fare i
lavori più umili ? Così saremo da capo, ma con milioni di persone in più.
E’ LA DENSITA’ ASSOLUTA DI PERSONE NEL NOSTRO PAESE LA COSA CHE DOVREBBE PREOCCUPARE TUTTI !Questo è a mio parere il dato più importante che si deve prendere in considerazione quando si vogliono fare valutazioni sulle risorse che un paese è in grado di offrire ai propri abitanti, e sulla QUALITA’ della vita.
Un settantenne che è appena andato in pensione consuma tanta energia nella sua abitazione quanto un giovane, e tanto gas per riscaldamento ( anzi di più perché sopporta meno bene il freddo ). Egli ha la possibilità (giustamente) di spostarsi quotidianamente molte volte con l’automobile, mentre un giovane va al lavoro e torna una sola volta o due al massimo.
Quindi i calcoli energetici sulla idoneità di uno stato di poter sopperire alle esigenze di una popolazione devono sempre fare riferimento al numero degli abitanti di un territorio a prescindere se sono più o meno giovani.
E lo spazio ? Dopo il cibo è a mio parere l’esigenza più insopprimibile di ogni essere vivente, animale o umano che sia. E lo spazio è un’altra cosa che non si può modificare ed inoltre è DECISIVO nel determinare la qualità della vita di tutti.
Chi vi racconta che l’Italia ha bisogno di tanti stranieri lo fa solo
per il secondo fine di avere il consenso politico nei prossimi anni,
(quindi più sono meglio è ), oppure vuole sfruttarli economicamente,
trascurando che in Italia ci sono anche gli italiani !
Non ho comunque risentimenti nei loro confronti, li ho solo nei confronti di coloro i
quali fanno credere di essere altruisti
e invece vogliono perseguire esclusivamente altri obiettivi ! ROBERTO

L’articolo di Gaia Baracetti è cristallino e pone un dilemma etico a semplicità elementare, artimetica che è quello della ovvia correlazione tra cementificazione e distruzione del territorio, del paesaggio e delle risorse naturali e degli spazi selvatici ed agricoli e la crescita demografica alla quale, sciaguratamente, hanno contribuito gli immigrati (si veda nel grafico l’impennata nel decennio 2001 – 2011) invertendo un salvifico principio di decrescita, purtroppo.
La popolazione nel 1881 era di poco inferiore ai 29M homo (dati Istat qui) e non di 45M, come afferma Roberto.
Il criterio politico fondamentale è e dovrebbe essere quello di una decrescita radicale dell’impronta ecologica (consistenza numerica della popolazione e suo tenore di consumi) fino a rientrare ad un certo margine di sicurezza inferiore per una certa quota alla biocapacità complessiva nazionale (qui i dati riassuntivi).
E questo si deve ottenere agendo sia sulla consistenza numerica della popolazione di homo sia sui consumi di questa (il problema è drammatico ed è necessario attaccarlo su entrambi i fattori).
La decrescita demografica non è assolutamente compatibile con l’immigrazione di massa, specie considerando che gli immigrati hanno compulsioni consumistiche e riproduttive fortissime e, quasi sempre, nessun anticorpo intellettuale, cognitivo, culturale e negli usi rispetto al peggio della società liquido-consumistica.
La crescita (esponenziale) della popolazione annullerebbe molto velocemente qualsiasi meritevole sforzo di uso di edifici vuoti. Anche questo è estremamente chiaro, matematico.
La cementificazione e la distruzione dei sistemi biotici sono ovviamente correlati anche con la consistenza numerica della popolazione: a parità di condizioni, 6M homo consumeranno ca. un millesimo di 60M homo.
In realtà è peggio perché si ha una sensibile correlazione tra aumento della popolazione e diminuzione assoluta della biocapacità (l’aumento della popolazione non solo comporta un aumento dei consumi delle risorse ma comporta anche una *diminuzione* della produzione biologica rinnovabile ed annuale di risorse, una riduzione delle capacità di biodegradazione dei rifiuti prodotti da homo).
Gaia Baracetti ha scritto in modo chiaro e ha esposto in maniera limpida il problema del disastro del carico antropico anche in termini di distruzione del territorio (sua artificializzazione, cementificazione, infrastrutturazione, inquinamento irreversibile, riduzione e scomparsa dei francobolli di aree non ancora antropizzate, etc.).
Semplicemente esercitate il sistema al contorno, immaginatevi che paradiso potrebbe essere un’Italia con 6M di homo in termini di sostenibilità totale, di margini di sicurezza, di restauro del selvatico, di recupero degli spazi vuoti da homo e lasciati alla natura, etc. .
Viceversa immaginate il pessimo stato attuale di molte zone o l’inferno che sarebbe l’Italia, con, ad esempio, 120M di homo. UOMO IN CAMMINO

IL PIU’ GRANDE GUAIO (tutti gli altri sarebbero risolvibili quasi istantaneamente), e quello dal quale derivano praticamente tutti I problemi più gravi, è proprio che siamo in troppi. Se fossimo rimasti qualche centinaio di milioni potremmo vivere ora TUTTI da nababbi ! E la salute della Terra sarebbe indubbiamente migliore.
In Italia, al contrario di quello che sostengono anche giornalisti come Piero Angela, che contraddice quello che ha detto in decine di anni di trasmissioni che iniziavano con il monito di non consumare il territorio naturale , la situazione è fra le peggiori .
In Italia nel 1870 morivano 4 bambini su 10 prima dei 5 anni e l’età media era di circa 45 anni anni. Oggi, se muore un solo bambino per cause naturali è una catastrofe, lo si dice addirittura al telegiornale perché fa notizia
Ci avviamo quasi tutti a raggiungere l’età di 100 anni e non ci sono per il momento più guerre (per fortuna).
Quindi è ovvio che
la percentuale di persone tra i 45 e i 100 anni nel prossimo futuro sarà sempre preponderante su quella dei giovani dai 20 ai 45 che entrano nel mondo del lavoro, o se vogliamo dirlo in altro modo la società sarà composta da più vecchi che da giovani
L’unico modo per sovvertire ciò sarebbe immettere decine di milioni di giovani coppie prolifiche istantaneamente che per qualche decennio riporterebbe i giovani a prevalere .
Ma dopo qualche decennio la situazione ritornerebbe come prima per quanto riguarda la proporzione giovani e longevi
E questa volta sì sarebbe la catastrofe perché saremmo diventati magari 100 milioni o più invece dei 60 che eravamo
Ogni anno in Italia nascono circa cinquecentomila bambini
L ” ‘intera gamma dei lavori più faticosi ” che in tutta l’estensione del territorio dell’ Italia possono essere svolti solo da giovani intorno ai vent’anni , richiederebbe solo qualche decina di migliaia di lavoratori ogni anno ; quasi tutti gli altri possono essere al giorno d’oggi svolti a qualsiasi età, ( esempio : ho fatto il facchino insieme a sessantenni che lavoravano benissimo )
Quindi è una fortuna che almeno per un po’ la popolazione italiana (mi rivolgo al giornalista Piero Angela se gli capita di leggere su questo sito) diminuisca e il rapporto nati morti sia momentaneamente alterato (ricordo che nel 1880 la popolazione in Italia era più o meno di 45 milioni)
altrimenti la densità di abitanti aumenterebbe sempre , e questa è una cosa di cui doversi preoccupare in una nazione già sovraffollata
a meno che qualcuno non spieghi come farebbero , ad esempio 120 milioni di persone in Italia , a : lavorare tutti – farsi la doccia ogni giorno – guidare la macchina – avere gas , corrente elettrica – avere a diposizione i materiali per produrre tutti i beni di cui facciamo uso – spazio per una qualità di vita come quella odierna  ROBERTO


Secondo me andrebbero confrontate le curve di crescita della popolazione, con quella consumo di suolo durante lo stesso periodo. Confrontare queste due curve aiuterebbe a dare una risposta a questo articolo.
Negli ultimi 20-30 anni mi aspetterei una crescita del consumo di suolo molto piu’ pronunciata rispetto alla crescita di popolazione. Anche perche’a guardar bene, dal 1980 la crescita si e’ridotta di molto.
Insomma, i capannoni, i centri commerciali, le strade, gli outlet, gli expo non sono realizzati solo in funzione della crescita di popolazione, ma soprattutto in funzione di interessi economici. Secondo me questo articolo e’ fuorviante ed incompleto nella sua analisi.
Tanto per fare un esempio vorrei ricordare la soluzione berlusconiana di incentivare il settore delle costruzioni come rimedio alla crisi..
Oppure ai numerosi ettari consumati nei dintorni di Pisa in un solo colpo per rilanciare l’industria nautica e construire l’IKEA. Quelli non sono per niente legati all’aumento di popolazione  GUIDO


Cosa c’è nel mio articolo che giustifica la cementificazione in Italia?
È vero che alcuni piccoli paesi nel corso del Novecento si sono spopolati o hanno mantenuto la stessa popolazione, ma spesso si trattava di paesi dove i giovani non riuscivano a trovare lavoro e dovevano emigrare (quindi la popolazione era eccessiva rispetto alle risorse e possibilità di allora), dove si viveva con pochissimo e le famiglie, numerose, stavano tutte in una sola casa. Quasi nessuno aveva la macchina, si comprava poco (niente centri commerciali) e sicuramente non si facevano ferie. Molti, me compresa, pensano che si debbano ridurre i consumi: ma fino a che punto? Il passato non è perfetto. GAIA


Rispondo a Guido e alle altre obiezioni. Non sostengo, come precisato esplicitamente nell’articolo, che l’unica causa del consumo di suolo sia la crescita della popolazione. Quello che volevo dire è che non ci si può concentrare solo sullo sfitto e sulla speculazione dimenticando il fatto che la domanda effettivamente è in aumento: questo significherebbe trovarsi prima o poi nella situazione in cui lo sfitto è tutto occupato ma la popolazione continua a crescere e bisogna edificare ancora. La crescita demografica, che era rallentata (senza però fermarsi) dagli anni ’80, è ripartita dopo il 2000 e non si sta arrestando. L’anno scorso sono state aggiunte all’Italia quasi trecentomila persone: come una città di dimensioni medio-grandi con tutto il suo corredo non solo di abitazioni, ma di infrastrutture di ogni tipo.
Ricordo infatti che il consumo di suolo legato alla crescita della popolazione non è solo quello di case, o di grandi opere. C’è l’edilizia che è uno dei settori principali dell’economia italiana e uno dei grandi datori di lavoro (più popolazione significa anche più richiesta di lavoro), c’è la produzione di energia e di merci per soddisfare i bisogni, ci sono i tanti piccoli parcheggi e parcheggetti costruiti continuamente sul territorio italiano anche (non solo) perché ce n’è sempre domanda, le case vacanza, i negozi, gli uffici, le nuove strade locali e gli allargamenti delle strade perché il traffico aumenta, e così via. Per non parlare di asili, ospedali… dire: “ci sono tante case vuote quindi il problema non esiste” significa pensare che l’unica esigenza materiale delle persone sia quella di dormire da qualche parte, e tutto il resto non conti nulla.
Certo, si può pensare di potenziare settori dell’economia che non siano quello edile, ma comunque chi lavora ha bisogno di spazio e strutture, che siano uffici (che occupano spazio), campi (idem), scuole, negozi… il problema rimane.
Per quanto riguarda il fatto che gli stranieri spesso occupano edifici abbandonati vivendoci in molte famiglie, io non credo che sia qualcosa di cui rallegrarsi: l’affollamento non piace a nessuno. Inoltre, nel momento in cui il tenore di vita aumenta aumentano anche le richieste di consumi e di spazio. L’ambiezione di ogni immigrato di tipo economico, a lungo andare, è raggiungere un tenore di vita simile a quello dell’italiano medio.
Concludo dicendo che una piccola parte di sfitto è fisiologico: certo non ai livelli a cui siamo abituati, ma dobbiamo mettere in conto una bassa percentuale di abitazioni temporaneamente vuote perché alla ricerca di un affittuario o un acquirente. GAIA BARACETTI











giovedì 25 luglio 2013

PUBBLICITA' CONTRO LA VITA



Mi trovavo all'Ikea di Roma quando resto di stucco di fronte alla pubblicità della Oxfam, organizzazione dedita allo "sviluppo, emergenza e campagne di opinione contro l’ingiustizia della povertà nel mondo". Fin qui tutto bene, ma la lettura della didascalia della solita foto equa e solidale è sconvolgente: "Vogliamo sfamare 9 miliardi di persone". Ora io non so nulla di questa associazione e non ne voglio sapere nulla. Ma in una situazione che vede il pianeta vicino al collasso sotto la pressione di sette miliardi di umani in termini di inquinamento, consumo delle risorse, emissioni di gas serra, riscaldamento globale, deforestazione e desertificazione, di emigrazione ed esodo di decine di milioni di persone, di povertà e fame per mancanza di cibo e di sostentamento, in questa situazione, dicevo, andare ad affermare l'auspicio di un mondo con nove miliardi di umani, non è sciocco ma semplicemente criminale. A ciò si aggiunge esplicitamente la volontà eroica di volerli sfamare: non c'è nulla da temere ci pensa Oxfam italia. Il pianeta si avvia alla fine con la distruzione quotidiana delle specie viventi e la cappa di anidride carbonica? Chissenefrega, Oxfam ci gode perché così può soddisfare l'egoica ambizione di sfamare 9 miliardi di umani. Si distruggeranno le ultime foreste e gli ultimi paesaggi naturali? Ecchissenefrega, l'importante è l'affermazione  dell'uguaglianza: i poveri l'avranno vinta in un mondo di macerie fumanti ma giusto, in cui non ci saranno paesi ricchi e poveri, ma un'unica globale povertà egualitaria. La foto è poi molto espressiva del concetto sotteso: una madre caricata del fardello dell'ennesimo figlio (si presume il decimo o l'undicesimo) si trascina sotto una cappa di caldo a innaffiare con acqua (inquinata) un misero campo rinsecchito dal sole e palesemente arido e improduttivo. 
Ma non c'è da preoccuparsi, ci pensa Oxfam italia. 

mercoledì 24 luglio 2013

I Maggiori quotidiani in Italia si accorgono della sovrappopolazione





Sembra che il tema della sovrappopolazione, finalmente, cominci a trovare spazio anche nei grandi giornali italiani. Fino a qualche anno fa era un tabù,  semplicemente non se ne parlava, oppure il problema era l’esatto contrario: le culle vuote. Il primo a scrivere sul Corriere dell’eccessiva pressione demografica in Italia fu il grande giornalista Alberto Ronchey, denunciò il problema fin dai tempi del Club di Roma. Giovanni Sartori è spesso tornato sull’argomento, e dai suoi tanti articoli sul Corriere ha tratto recentemente  il libro La Terra scoppia. Sovrappopolazione e sviluppo”. Le prese di coscienza sui giornali si moltiplicano negli ultimi mesi, e nei settimanali come Panorama e l’Espresso il termine sovrappopolazione ricorre sempre più frequentemente con le denuncie sui rischi planetari in termini di inquinamento e cambiamento climatico.
Finalmente sulla Stampa il 22 luglio scorso compare un articolo a firma Luca Mercalli, noto ambientalista, che denuncia i pericoli crescenti dell’Antropocene così definito:

 “...a significare  come gli oltre sette miliardi di umani freneticamente intenti a divorare le risorse globali, stiano rivaleggiando con i processi naturali: muoviamo più suolo dell’erosione dei fiumi e ghiacciai, ci appropriamo del 25 % della produttività netta primaria della fotosintesi, che è il vero prodotto interno lordo terrestre, deforestiamo, estinguiamo  specie, sovrasfruttiamo la fauna ittica, inquiniamo aria acqua e suoli con oltre 140.000 sostanze chimiche di sintesi, alteriamo il ciclo dell’azoto, del fosforo e del carbonio, cambiamo il clima e acidifichiamo gli oceani.”

Per coloro che, come il sottoscritto, si sono occupati da anni del problema demografico spesso nella più completa indifferenza, se non ostilità, delle opinioni altrui, la lettura di questi articoli è un fatto nuovo e sorprendente. Ma è soprattutto il quotidiano la Repubblica che, inaspettatamente e per la prima volta in maniera così esplicita, affronta il problema sovrappopolazione in un articolo del 20 luglio scorso, rompendo così un tabù della sinistra che impediva di parlare dell’eccesso demografico in quanto espressione di interessi “egoistici” e dei “paesi ricchi”. La catastrofe incombente ha evidentemente fatto cambiare parere anche ai progressisti antropocentrici  della Repubblica (e della sinistra italiana) che fino a poco tempo fa parlavano di un futuro mondo democratico ed egualitario fatto di megalopoli sovrappopolate ma senza diseguaglianze sociali, con gli abitanti multietnici stipati in megaedifici riscaldati da pannelli solari, che viaggiano su auto elettriche e mangiano cereali, che passano le vacanze andando a cercare il verde residuo rimasto in isolate riserve “indiane” come futuribili musei. Peccato che questo idilliaco scenario si vada guastando già oggi con la comparsa della cappa di anidride che surriscalda e soffoca il pianeta e lo scoppio della violenza nelle periferie sovrappopolate e inquinate delle megalopoli. Non parliamo della sempre più accentuata corsa ad appropriarsi delle risorse (non solo petrolio e gas, ma soprattutto acqua e suolo fertile) via via più scarse per una popolazione sempre maggiore.  L’articolo che riconduce alla realtà i lettori di Repubblica è talmente importante che lo riporto qui di seguito quasi integralmente:

L'Onu rivede i dati demografici:
nel 2100 l'Africa supererà Cina e India
Secondo le stime gli africani saranno 4 volte di più. Gli europei quasi scomparsi, 1 su 10. Lagos, Kinshasa, Addis Abeba, Dar es Salaam e Niamey le metropoli boom dei prossimi anni. Dati che, incrociati con il riscaldamento globale, fanno ipotizzare una crescita esponenziale dei flussi migratori
di MAURIZIO RICCI

 
C'è l'Africa nel nostro passato. Centomila anni fa, l'umanità è partita dagli altopiani del continente nero per colonizzare il mondo. E c'è l'Africa nel nostro futuro. Entro questo secolo, il grosso degli uomini e delle donne che popolano il pianeta sarà originario dell'Africa. Un extraterrestre che, nel 2100, facesse una visita mordi-e-fuggi sul nostro pianeta e ci dovesse descrivere brevemente riferirebbe che, per lo più, i nostri nipoti e pronipoti hanno la pelle nera e i capelli crespi. Almeno quattro persone su dieci, di quelle che avrebbe incontrato sarebbero africane. Molto più che cinesi e indiane. E gli europei? Be', l'extraterrestre dovrebbe aver fortuna per trovarli. Praticamente invisibili, una sparuta minoranza: uno su dieci.

  I dati sul boom demografico africano correggono, in parte, la previsione che la stessa Onu aveva fornito un anno fa, quando si pensava che la crescita della popolazione fosse destinata ad arrestarsi nei prossimi decenni. Invece no: andrà avanti anche dopo il 2050. Succede, con le proiezioni. Quelle demografiche si basano, sostanzialmente, su due fattori.

Il primo è l'aspettativa di vita. Salvo catastrofi imprevedibili (una pandemia? Il cambiamento climatico?) è molto probabile che uomini e donne, grazie ai miglioramenti igienici e sanitari, vivranno più a lungo: 89 anni, in media, nei paesi ricchi, 81 in quelli che lo sono un po' meno. L'altro fattore è molto più volatile. È la fertilità delle donne: quanti bambini ognuna di loro mette al mondo. Il problema, più che fisiologico, è culturale: dipende soprattutto dall'età del primo parto. Scolarizzazione, urbanizzazione, aumento del reddito, di solito, la ritardano. Ma gli esperti dell'Onu avevano, a quanto pare, sopravvalutato questi fattori. La fertilità è più alta del previsto. Il risultato è che, oggi, siamo un po' più di sette miliardi e, con nuovi conti, saremo un po' più di otto nel 2025, appena meno di dieci nel 2050, circa undici nel 2100. Miliardo più, miliardo meno (10,9-11,3 miliardi è il range medio ipotizzato).

Lagos, Kinshasa, Addis Abeba, Dar es Salaam, anche Niamey. Sono queste le metropoli-boom dei prossimi decenni. I paesi destinati a una più rapida crescita di popolazione sono, in effetti, paesi di cui parliamo poco, se non mai: Nigeria, Congo, Etiopia, Tanzania, Niger. L'Africa che ha oggi, sparsi fra savane, foreste e deserti, poco più di un miliardo di abitanti, ne avrà, prevede l'Onu, più del doppio (2,4 miliardi) nel 2050 e quattro volte tanto (4,2 miliardi) a fine secolo. Più di Cina e India messe insieme. La politica del "figlio unico" di Pechino si prepara, infatti, a dispiegare i suoi effetti: dal 2030, la popolazione cinese comincerà a diminuire e potrebbe assestarsi poco sopra il miliardo di persone a fine secolo.

Quando, invece, gli indiani saranno, più o meno, un miliardo e mezzo. Oltre il doppio degli europei, destinati a restare, grossomodo, come oggi (640 milioni contro gli attuali 740 milioni). 


Grazie all'allungamento delle aspettative di vita, l'età media di uomini e donne, nei prossimi decenni, è destinata a salire. Anche i paesi in via di sviluppo, più che paesi di bambini e adolescenti, saranno paesi di giovani adulti. Solo l'Europa sarà terra di vecchi, con età medie degli abitanti vicine ai cinquant'anni. Nel 2050, in Italia, ci saranno cinque milioni e mezzo di bambini sotto i dieci anni e oltre quattro milioni e mezzo di over 85. Nel 2100, il sorpasso sarà compiuto: 5,2 milioni di bambini, contro oltre sei milioni di "nonni" (compreso mezzo milione di gagliardi centenari).

Basterebbe questo squilibrio per indicare che il grande fenomeno dei prossimi decenni saranno le possenti correnti di migrazione attraverso il globo. L'Onu prevede che, da qui al 2050, ogni anno trecentomila persone lascino il Bangladesh, e altrettante la Cina e l'India. Dal Messico partiranno in oltre duecentomila e dal Pakistan centosettantamila l'anno. Dove andranno? Gli Stati Uniti devono prepararsi ad assorbire un milione di nuovi immigrati l'anno, circa duecentomila ognuno per Canada e Gran Bretagna. In Italia se ne aspettano oltre centotrentamila l'anno, fino al 2050. In questa fiumana, l'Africa ha un posto di primo piano. Fino a oltre metà secolo, mezzo milione di persone abbandonerà, ogni anno, il continente, per più di metà dai paesi al di sotto del Sahara. La pressione a emigrare dovrebbe attenuarsi negli ultimi anni del XXI secolo, fino ad azzerarsi all'inizio del XXII. L'Onu non ne spiega il motivo, ed è un peccato, perché non si capisce. Altri dati, dello stesso rapporto, infatti, indicano una pressione demografica sempre meno sostenibile: in Nigeria, in viaggio verso il miliardo di abitanti, la densità di popolazione, oggi di duecento persone circa per chilometro quadrato, a livello del-l'Italia, dovrebbe passare a un incredibile 989 persone per chilometro quadrato. Pare inverosimile che questa pressione non si riversi all'esterno.

Non è la sola ragione per cui le previsioni Onu in materia di migrazioni appaiono ottimistiche. Il rapporto si limita a considerare i numeri della demografia. Incrociateli con quelli del riscaldamento globale e il risultato è una miscela esplosiva. A fine secolo  -  secondo gli ultimi dati  -  la temperatura potrebbe essere salita di quattro o cinque gradi. Ma questa è una media mondiale. Ai Tropici sarà di più. Sei o sette miliardi di persone vivrebbero in paesi largamente desertificati, con un'agricoltura distrutta: migrazione, a questo punto, è un eufemismo. La parola giusta, probabilmente, è esodo. Milioni di persone in marcia, senza più niente alle spalle: su scala globale. L'umanità non ha probabilmente mai dovuto affrontare una prova più difficile.

Il brutto è che, anche a voler essere ottimisti per forza, non si arriva molto lontano. Immaginiamo, infatti, che l'effetto serra venga, invece, sconfitto e la diffusione di un generale benessere spenga l'ansia di migrare. Un mondo abitato da serene classi medie. Cosa pensate che mangeranno? È bastato che i cinesi benestanti cominciassero a manifestare interesse per bistecche e latte per far saltare gli equilibri alimentari mondiali. Non ci sono abbastanza vacche e abbastanza spazio per mettercele. Peraltro, non ci sono neanche abbastanza cereali per dare una birra a ogni cinese. Prima o poi, bisognerà pure far di conto sulle risorse disponibili. Non sarà un secolo facile.

lunedì 22 luglio 2013

DEFKALION: LA PRESENTAZIONE DEL REATTORE





Per vedere il video della presentazione  odierna (22 luglio 2013) del reattore a fusione fredda della Defkalion clicca qui

sabato 20 luglio 2013

UN'ESTATE CALDA PER LA FUSIONE FREDDA



Mentre Jean Paul Biberian pubblica il suo libro sulla Fusione nucleare (La Fusion dans tous ses etats, Tredaniel ed. 2013) in cui, come importante fisico francese, riconosce un ruolo centrale alla fusione fredda e alla nuova fisica su cui le LENR possono aprire nuove prospettive, prosegue e si estende in tutto il mondo l’interesse per la nuova potenziale fonte di energia.

 E’ ormai già qualche mese che sono stati diffusi i risultati delle misurazioni “indipendenti” sull’E-cat di Rossi che hanno confermato la produzione di energia in eccesso secondo quantità che non possono essere ricondotte a reazioni chimiche tradizionali. Tuttavia in questo caso molte sono state le critiche da parte di scienziati ortodossi, in primo luogo per il fatto che non sono stati rivelati l’esatta composizione, le caratteristiche chimico-fisiche e la disposizione interna dei reagenti, in particolare non è stato rivelato il catalizzatore segreto (anche se ormai si parla apertamente di un “idruro”). L’effetto sorprendente della “fusione” del metallo della cella contenente il reattore durante il primo esperimento, ha colpito gli osservatori mostrando senza mediazioni l’enorme eccesso di calore prodotto che non poteva in alcun modo essere ricondotto all’energia elettrica immessa nel sistema all’inizio dell’esperimento. Se si tratta di un trucco, è un trucco certamente ben congegnato.

Durante la primavera-estate di quest’anno cruciale per la fusione fredda vi sono stati inoltre molti convegni in varie parti del mondo riguardanti il fenomeno delle LENR. Per la prima volta l’Università “la Sapienza” di Roma ha aperto le proprie aule, tra cui quella del prestigioso Istituto di Fisica che vide l’attività e l’insegnamento di Fermi, a due convegni sulla Fusione Fredda dove sono intervenutiti sia ricercatori che da anni si dedicano al tema, come Srivastava, Celani e Widom, sia ricercatori nuovi che si sono dedicati al tema solo di recente. Tra di loro molti stranieri. Anche il fisico Bartalucci, da sempre critico sui metodi e sui risultati delle ricerche, ha riconosciuto che ciò che emerge non può più essere ignorato e “qualcosa c’è”.

 Il 21 luglio inizia inoltre a Columbia nel Missouri, presso la locale Università, l’importante congresso internazionale ICCF 18 ( la diciottesima edizione del Congresso internazionale sulla FF) che vedrà la partecipazione dei più importanti ricercatori internazionali tra cui David Kidwell, Robert Duncan, Edmund Storms, Zhong-Li, e Yasuhiro Iwamura ( quest’ultimo riferirà le ultime ricerche presso l’Univ. Di Osaka da parte della Mitsubishi). Kidwell, del Naval Research Laboratory di Washington, in una breve nota introduttiva riferisce i principali aspetti e le criticità del fenomeno FF che saranno trattati. In particolare fa notare come gli esperimenti in cui un metallo (palladio o nikel) viene messo a contatto con un gas ( idrogeno o deuterio) prevedano due modalità di fondo: una in cui l’innesco è assicurato da corrente elettrica, l’altra in cui si utilizza la pressione del gas. Nel primo caso l’energia prodotta è molta ed enormemente maggiore di quanto ci si possa aspettare da reazioni convenzionali; ma il punto debole del metodo è la scarsa riproducibilità (inferiore al 6%), ed inoltre non si conosce il meccanismo che innesca le reazioni anomale. Quando il palladio in nanoparticelle viene cimentato con un gas di deuterio pressurizzato la reazione è invece molto riproducibile, ma il calore risultante è di gran lunga inferiore a quello da esperimenti elettrochimici e quindi molto più difficile da caratterizzare come chimica non convenzionale. Il professor Kidwell riferisce che l’energia prodotta è solo sotto forma di calore e che né prodotti tipici delle reazioni nucleari (come protoni ad alta energia o trizio), né trasmutazioni nucleari sono stati osservati dai ricercatori del loro Istituto. Questi risultati divergono sotto aspetti importanti da quelli, ad esempio, ottenuti da Hagelstein al MIT o dai Giapponesi come Arata, e fanno capire che il campo della ricerca è ancora vasto e molto deve essere ancora fatto, e che ciò che noi definiamo LENR o Fusione Fredda sono un insieme di fenomeni diversi tra loro e riconducibili a fenomeni fisici eterogenei ( la cui scoperta apre comunque il tema centrale di una “nuova fisica” finora sconosciuta alla scienza ufficiale).

lunedì 15 luglio 2013

LA DERIVA AUTORITARIA DELLE MASSE



Huntington nel suo testo "Lo scontro delle civiltà" denunciava la situazione difficile della democrazia, relegata agli stati occidentali e circondata da stati molto popolosi (in continua crescita demografica) con governi ed istituzioni autoritarie. Le prospettive rosee con cui guardiamo la democrazia noi europei valgono solo per l'Europa e il Nord America, e appena si esce fuori da quell'area la democrazia non appare più tanto salda per il futuro. Basta vedere quel che succede, per inciso, al giorno d'oggi sull'altra sponda del Mediterraneo. Il cambiamento degli equilibri demografici con la forte crescita di aree a scarsa o nessuna democrazia, insieme al declino economico delle aree tradizionalmente ricche come Europa e Stati Uniti a vantaggio di nuove potenze emergenti in Asia e Africa, aprono prospettive oscure per il futuro della democrazia e dei governi liberali. Assumono sempre più rilevanza potenze teocratiche come quelle islamiche o stati-massa autoritari   come l'India e la Cina, o dittature coperte da sistemi pseudo-democratici come in sud America e in Russia. Anche dove resiste la democrazia, come in Giappone, la cultura si va radicalmente modificando in senso autoritario.
Il filosofo Eric Hoffer, nel suo libro "Il vero credente. Sulla natura del fanatismo di massa" (Castelvecchi 2013), analizza i motivi che spingono masse crescenti di cittadini ad arruolarsi nei ranghi del fanatismo. E' poprio nel periodo della crisi delle ideologie che la cultura, sulla spinta della popolazione composta da grandi numeri e da fenomeni nuovi di massa come l'immigrazione e la diffusione di visioni religiose e laiche autoritarie, è sottoposta a pressioni verso l'uniformizzazione delle  idee e dei comportamenti. Hoffer individua un tratto caratteristico della deriva autoritaria: " I movimenti di massa non si limitano a dipingere il presente come qualcosa di miserabile e di meschino, ma s'adoperano per renderlo tale: foggiano  un modello di vita individuale austero, duro, noioso e repressivo; condannano piaceri e comodità e decantano il rigore dell'esistenza; considerano futile o perfino disonorevole il comune diletto e ritraggono la felicità personale come un atto immorale". Da Lenin a Hitler, da Castro e Guevara a Khomeini, dalla rivoluzione culturale maoista alla "decrescita felice" di Serge Latouche, il fanatismo di massa si fonda sul sacrificio e sull'idea che "il presente sia il preludio abietto d'un futuro glorioso, ovvero uno zerbino sulla soglia di un'età dell'oro".
Che questi problemi non ci riguardino è un errore di sottovalutazione della fragilità della democrazia e della leggerezza della libertà (che può essere spazzata via d'improvviso, ma anche pian piano con una lenta infiltrazione di idee totalitarie passate spesso come "comune sentire" o "politicamente corretto"). Sulla Stampa di sabato 13 luglio c'è un articolo del costituzionalista Zagrebelsky che pone in dubbio, anche da parte laica come lui si professa, il diritto all'aborto nel nostro paese, prendendo spunto dal fatto della recente introduzione dell'aborto legalizzato in Irlanda, ma solo quando è in grave pericolo la salute della donna. Il Professore nega che per l'aborto si possa parlare   di un diritto "incondizionato" legato solo alla volontà della donna, come è attualmente (e indebitamente, lascia intendere Zagrebelsky) da noi. "Bisogna inoltre considerare i cambiamenti della morale dovuti alla presenza di tante culture diverse" cioè il  multiculturalismo legato alla presenza di nuove popolazioni di immigrati spesso di religione integralista come l'islam o l'induismo. E' anche così che la libertà viene posta in pericolo, quando le tradizioni di laicità e democrazia di un paese vengono sacrificate al pensiero unico autoritario delle masse vecchie e nuove.

mercoledì 10 luglio 2013

IL PIANO B: IL MONDO DI LESTER BROWN




Riporto alcuni brani conclusivi dell’ultimo libro di Lester R. Brown “Piano B 4.0”  (Edizioni Ambiente, 2010) sulla strategia da seguire per cercare di invertire la rotta prima che il pianeta vada incontro al disastro ecologico. Brown propone un piano B rispetto all’attuale sviluppo caratterizzato da crescita demografica, crescita del Pil,  energia basata sul petrolio,  alti consumi e inquinamento della biosfera.

“Mobilitarsi per salvare la civiltà significa fondamentalmente ristrutturare l’economia globale per riequilibrare il clima, sradicare la povertà, stabilizzare la popolazione, recuperare i sistemi naturali di supporto dell’economia e, soprattutto, ridare la speranza. Abbiamo le tecnologie e gli strumenti economici e finanziari per farlo. Gli Stati Uniti, la più ricca società mai esistita, possiedono le risorse per guidare questo sforzo.
Riguardo allo sradicamento della povertà, Jeffrey Sachs, dell’Earth Institute della Columbia University, riassume bene la situazione: “La tragica ironia di questo momento è che i paesi ricchi sono così ricchi e i poveri così poveri che basterebbe una frazione dell’ 1 % del prodotto interno lordo dei più facoltosi nel corso dei prossimi decenni a rendere possibile ciò che non è mai stato fatto in tutta la storia dell’umanità: assicurare che i bisogni fondamentali di salute e istruzione siano soddisfatti per tutti i bambini poveri del pianeta”.
Possiamo dare alcune stime grossolane degli sforzi necessari per muovere la nostra civiltà del XXI secolo fuori dal tracciato del declino e del collasso, incamminandoci su un percorso capace di sostenere la civiltà. Quello che non possiamo calcolare è il costo della mancata adozione del Piano B. E’ possibile mettere una targhetta con il prezzo sul collasso della civiltà e sulle innumerevoli sofferenze e morti che l’accompagnerebbero?
Come illustrato in altro capitolo, i fondi aggiuntivi necessari a garantire un’istruzione primaria ai paesi in via di sviluppo sono stimati prudenzialmente intorno ai 10 miliardi di dollari l’anno.
Il finanziamento di analoghi programmi di istruzione di base per adulti, largamente basati sul volontariato, richiederebbe altri 4 miliardi di dollari annui. Secondo l’organizzazione mondiale della Sanità, servirebbero 33 miliardi di dollari per fornire l’assistenza sanitaria di base ai paesi in via di sviluppo. I fondi addizionali necessari a garantire assistenza sanitaria, assistenza alla salute riproduttiva e alla pianificazione familiare a tutte le donne dei paesi in via di sviluppo sono stimati in 17 miliardi di dollari l’anno.
Colmare il cosiddetto condom gap, con la fornitura di 14,7 miliardi di profilattici necessari al controllo della diffusione dell’HIV nei paesi del terzo mondo e nell’Europa dell’Est richiede 3 miliardi di dollari, dei quali 440 milioni per i preservativi e 2,5 miliardi per la loro distribuzione e l’educazione alla prevenzione. Il costo per l’avvio di programmi di refezione scolastica nei 44 paesi più poveri del mondo è di circa 6 miliardi. Negli stessi paesi, circa 4 miliardi di dollari all’anno coprirebbero il costo dell’assistenza ai bambini in età prescolare e alle donne in gravidanza. Nell’insieme, il costo per il raggiungimento degli obiettivi relativi ai servizi sociali di base sarebbe dunque di 77 miliardi di dollari all’anno. Ma, come notato nel capitolo 8, qualsiasi intervento per debellare la povertà è destinato al fallimento se non sarà accompagnato da uno sforzo per il ripristino degli ecosistemi terrestri. Proteggere il suolo, riforestare il pianeta, ricostituire le riserve ittiche richiederanno circa 110 miliardi di dollari di spese aggiuntive l’anno.  Le attività più costose, la protezione della biodiversità richiederebbe 31 miliardi di dollari, la conservazione del suolo altri 24, assorbirebbero circa la metà delle risorse necessarie annualmente al recupero del pianeta. La somma dei costi previsti nel budget del piano B è di circa 187 miliardi di dollari all’anno, all’incirca un terzo dell’attuale bilancio della difesa degli Stati uniti e il 13 % di quello mondiale. In un certo senso è questo il nuovo budget della difesa, quello che affronta le minacce più serie alla nostra sicurezza.
Sfortunatamente, gli Stati uniti continuano a concentrarsi sul rinforzo delle forze armate, e ignorano quasi completamente i rischi posti dal deterioramento dell’ambiente, dalla crescita demografica e dalla povertà. Il bilancio per la difesa degli Stati Uniti del 2008 è di 607 miliardi di dollari, il 41 % del totale mondiale di 1.464 miliardi di dollari. Gli altri paesi che spendono maggiormente nel settore militare sono la Cina, 85 miliardi, la Francia 66 miliardi, il regno Unito, 65 miliardi, e la Russia, 59 miliardi. Alla metà del 2009 i costi dell’occupazione dell’Iraq, che è già durata più della Seconda guerra mondiale, sono arrivati a 642 miliardi di dollari. L’impegno bellico in Iraq potrebbe rivelarsi uno dei più costosi errori della storia non solo per l’emorragia di risorse economiche, ma anche perché ha distratto l’attenzione del mondo dal cambiamento climatico e dalle altre minacce alla civiltà.
E’ tempo di decisioni. Possiamo scegliere di perseverare nel business  as usual, e assistere al declino del sistema economico seguito dal possibile collasso della nostra civiltà,oppure possiamo decidere di muoverci lungo un nuovo percorso, che sia in grado di sostenere il progresso economico. Nessuno può oggi sostenere che non ci sono risorse sufficienti. Possiamo stabilizzare la popolazione mondiale, sbarazzarci della fame, dell’analfabetismo, delle malattie e della povertà e possiamo ripristinare i suoli, le foreste e le aree di pesca. Spostare un ottavo dei bilanci militari mondiali al budget del Piano B sarebbe più che sufficiente a porci su un cammino in grado di sostenere il progresso. Possiamo costruire una comunità globale capace di soddisfare le necessità elementari di chiunque. Questa ristrutturazione economica dipende, come abbiamo già detto, da una revisione del sistema fiscale capace di rendere il mercato corrispondente alla realtà ecologica. I politici dovranno essere valutati in base alla loro capacità di riformulare il sistema fiscale, spostando le tasse dal lavoro alle attività distruttive per l’ambiente: questa riforma fiscale, condotta senza imporre imposte ulteriori, è la chiave per ristrutturare l’economia energetica e per stabilizzare il clima. E’ facile spendere centinaia di miliardi di dollari in risposta alle minacce del terrorismo, ma la realtà è che le risorse necessarie a distruggere un’economia moderna sono assai piccole e che il Department of Homeland Security, per quanto ben fornito, non potrà che offrire una minima protezione dai terroristi suicidi.
La sfida non è tanto quella di dare al terrorismo una risposta militare ad alto contenuto tecnologico, ma quella di costruire una società globale equa e sostenibile, che possa restituire a ognuno la speranza. Gli aumenti di efficienza che riducono la dipendenza dal petrolio, tagliano anche le emissioni di anidride carbonica e l’inquinamento atmosferico. Le misure che sradicano la povertà aiutano a stabilizzare la popolazione. La riforestazione sequestra la CO2, contribuisce al ripristino degli acquiferi e riduce l’erosione del suolo. Una volta che avremo operato in modo che un numero sufficiente di fenomeni vadano nella giusta direzione, questi si rinforzeranno gli uni con gli altri. Per rinforzare la speranza nel futuro, il mondo ha bisogno di un deciso passo in avanti nella riduzione delle emissioni e della dipendenza dal petrolio. Se gli Stati Uniti, per esempio, dovessero lanciare un forte programma di conversione della produzione automobilistica verso vetture ibride plug-in e completamente elettriche, e contemporaneamente investissero nella costruzione di migliaia di centrali eoliche, gli americani potrebbero effettuare la maggior parte dei loro spostamenti servendosi dell’energia catturata dal vento. Ciò ridurrebbe radicalmente la necessità di petrolio. Dato che negli Stati Uniti numerosi stabilimenti per la costruzione delle auto sono attualmente inattivi, sarebbe relativamente semplice riorganizzarne qualcuno per la produzione di turbine eoliche, permettendo al paese di utilizzare le sue grandi potenzialità di sfruttamento dell’energia dal vento.”
(Tratto da “Lester R. Brown: “Piano B 4.0”, Edizioni Ambiente 2010 pag. 312 e segg.)

A volte il trascorrere degli anni non fa bene agli uomini, persino nel campo in cui i capelli bianchi dovrebbero assicurare una maggiore saggezza, come quello sugli studi ecologici. E’ facile per gli uomini cadere nell’utopia. Purtroppo è capitato anche a L. Brown. Le denunce dei mali del pianeta sono tutte giuste. Brown è stato meritoriamente uno dei primi a denunciare il pericolo mortale della sovrappopolazione e degli alti tassi di natalità in vaste zone della Terra. Ma accade poi a molti di cadere nella banalità del ripetitivo, dell’uniformizzazione culturale  prevalente: un misto di buonismo, di equosolidale, di fratellanza universale basata su parole-totem che nascondono il nulla.  Quello che lui propone con il Piano B è condivisibile e sarebbe efficace, ma in un mondo perfetto, in un mondo dove la distanza tra  ricchi e poveri si fosse generata per una semplice  disfunzione del software, un mondo fatto di popolazioni di esseri umani non affetti da passioni o idolatrie o odi atavici,   e avessimo a disposizione un pianeta stabile, regolato e pacifico. Un mondo dei sogni, quello di Brown,  dove le differenze culturali non esistono, se non come parvenze facilmente rimuovibili, dove le tradizioni, i costumi, le visioni religiose e politiche sono semplici sovrastrutture di una economia pronta a riparare tutte le storture al prezzo, veramente conveniente, di 187 miliardi di dollari l’anno.    Un mondo così, mi dispiace per Lester  Brown, non esiste. Basterebbe, nella visione utopica di Brown, che  gli Usa  pagassero il conto ai paesi arretrati: il mondo si pacificherebbe d’incanto, la sovrappopolazione finirebbe, Al Quaeda diventerebbe un circolo di bocciofili, l’economia assicurerebbe progresso equo e solidale per tutti.    Il tema finale poi delle centrali  eoliche che svettando su di un mondo pacificato assicurano a tutti energia e benessere mi riporta alla retorica da “carosello” del “mulino bianco” con le famiglie felici di mangiare biscotti in uno sfondo agreste.Nella realtà i miliardi di dollari andrebbero ad ingrassare speculatori, classi dirigenti corrotte, furfanti che fanno del buonismo il paravento del malaffare, cricche di potere di integralisti e nazionalisti . Contro ogni utopia provo a immaginare uno scenario B, quello che seguirebbe all’attuazione del piano B.   Ridurre le spese per la difesa può essere una buona idea, così come    tassare le fonti tradizionali   e abbattere i consumi di petrolio. Ma bisogna fare attenzione agli equilibri strategici e geo-politici, alla lotta al terrorismo, e  alle  conseguenze   sull’economia e sul prezzo dell’energia. L'eolico su cui confida Brown può andar bene come fonte alternativa in ambiti locali, per rendere energeticamente autonome alcune aree; ma fondarci tutta la politica energetica degli Stati Uniti vuol dire andare dritti verso una crisi energetica e finanziaria.  Una crisi finanziaria americana abbiamo imparato in questi anni  cosa significa: la povertà aumenterebbe in tutto il mondo, le tensioni internazionali si acuirebbero, la sovrappopolazione non si arresterebbe e con essa i fenomeni migratori, e l’effetto finale sarebbe un’ulteriore crescita delle emissioni inquinanti aggravato dal ritardo tecnologico per le minori risorse disponibili  sulla ricerca.
Preferivo il Lester Brown del 1973 con le sue precise, scientifiche denunce degli effetti devastanti della sovrappopolazione, senza i pannicelli caldi del buonismo verde  “equo e solidale”.

NB: non sono contrario a destinare miliardi di dollari, reperiti da tagli alle spese statali nei paesi avanzati,  all’aiuto ai paesi arretrati. Ma le donazioni ai paesi in via di sviluppo debbono essere legate a fatti concreti, a obiettivi precisi localizzati nello spazio e nel tempo, con effetti immediati e misurabili. Si deve lavorare sugli obiettivi, e non su regole astratte e programmi troppo vasti. Ad esempio creare scuole per le ragazze e centri di assistenza  alla pianificazione familiare, alla contraccezione e all’igiene riproduttiva, con finanziamenti di campagne educative e con premi alla riduzione della natalità nelle aree in cui questa è eccessiva.

TRASHED trailer (2012) - Environmental documentary with Jeremy Irons

martedì 9 luglio 2013

James D. Watson: DNA E OSCURANTISMO





Parliamo continuamente di cambiare l’ambiente per permetterci di vivere meglio. Ma ci sono altre possibilità, come ci ricorda James Watson, uno dei due premi Nobel che hanno scoperto la doppia elica del codice genetico (1953). Secondo Watson per ritrovare una armonia tra uomo e pianeta possiamo anche modificare il DNA umano, e non solo per eliminare alcune malattie. Oggi la biologia da diritti fondamentali ad una madre. Lei può sapere con molto anticipo  se avrà  un bambino malato di cui porterà le conseguenze. In teoria in futuro sarà possibile avere persone più idonee ad imparare e utilizzare una intelligenza più brillante (già oggi è possibile farlo intervenendo sul codice genetico di popolazioni di topi per migliorarne la memoria e la capacità a risolvere problemi). Una maggiore consapevolezza nel mettere al mondo figli che siano sani, più istruiti, più idonei alla cultura  e in grado di vivere nella modernità senza ricadere negli errori del passato, può contribuire a ridurre la discrepanza tra tassi di natalità e rispetto del pianeta.  Watson denuncia le resistenze fortissime che la religione e gli ideologi dell’antropocentrismo oppongono alle nuove frontiere della genetica. Costoro vedono solo l’uomo e fanno l’errore di vederlo staccato da tutto il resto della natura, posto su di un piedistallo di intangibilità etica (mentre tutto il resto della natura sarebbe tangibilissimo e a disposizione…).
In fondo solo pochissime modificazioni del DNA ci separano dallo scimpanzè, eppure sono bastate quelle poche per generare il bene e il male della storia dell’Homo sapiens. Tenere presente questa vicinanza e la possibilità di correggere gli errori di una nostra eccessiva arroganza riportandoci a quella realtà biologica cui tutti gli esseri viventi appartengono ci potrà aiutare a ritrovare il nostro posto nel mondo.
Riporto alcuni brani tratti dal libro di James D. Watson: "DNA – Il segreto della vita." - Adelphi (2006).

“Gli studi sul DNA hanno dimostrato che noi siamo geneticamente distinti dall’uomo di Neandertal. D’altra parte, l’insegnamento generale che possiamo trarre da un approccio molecolare allo studio dell’evoluzione umana ha fornito una indicazione opposta, e cioè che siamo sorprendentemente vicini, dal punto di vista genetico,al resto del mondo naturale…Nel loro confronto dei genomi dello scimpanzè e dell’uomo, Mary-Claire King e Wilson combinarono numerosi metodi, compresa una tecnica molto ingegnosa, denominata “ibridazione del DNA”. Il grado di prossimità si rivelò sorprendente: Mary-Claire King riuscì infatti a stabilire che le sequenze di DNA delle due specie differiscono solo dell’un per cento. Abbiamo in comune   con lo scimpanzè più di quanto lo scimpanzè abbia in comune con il gorilla, giacché il genoma delle due antropomorfe differisce di circa il 3 per cento. Il risultato era talmente straordinario che King e Wilson si sentirono in obbligo di avanzare una spiegazione per l’evidente discordanza tra il ritmo (lento) dell’evoluzione genetica e quello (rapido) dell’evoluzione anatomica e comportamentale.  Come poteva un cambiamento genetico così esiguo render conto della differenza sostanziale che si osserva, al giardino zoologico, tra gli scimpanzè e la specie che li guarda dall’altra parte della vetrata? Essi ipotizzarono che la maggior parte dei cambiamenti evolutivi importanti si fosse verificata nei tratti di DNA che controllano l’attivazione e la disattivazione dei geni (ad esempio l’organizzazione tridimensionale della molecola che espone alcuni gruppi di geni e ne nasconde altri secondo la nuova  nascente scienza epigenetica. Ndr). In tal modo, un piccolo mutamento genetico poteva avere un impatto significativo, modificando, ad esempio, la scansione temporale dell’espressione di un certo gene. In altre parole, la natura può creare due esseri di aspetto molto diverso semplicemente orchestrando gli stessi geni in modo che funzionino in modo differente…
Pur ammettendo che il pressante desiderio di migliorare le condizioni altrui faccia parte della natura umana, molti non sono d’accordo sul modo migliore di perseguire quel fine, così che questo rimane un eterno argomento di dibattito politico e sociale. Secondo l’ortodossia prevalente, il modo migliore per aiutare i nostri simili consiste nell’affrontare i problemi legati all’ambiente e alla cultura. Esseri umani privati di cibo, amore e istruzione hanno minori possibilità di condurre una vita  produttiva. Ma come abbiamo visto, pur essendo fattori estremamente influenti, ambiente e cultura hanno i loro limiti, che si rivelano in modo decisamente drammatico nel caso di gravi difetti genetici. Ad esempio bambini con grave sindrome dell’ X fragile non diventeranno mai adulti capaci di badare a se stessi. Né tutta l’assistenza scolastica del mondo potrà mai garantire a chi ha seri problemi di apprendimento di diventare il primo della classe. Il punto è questo: siamo preparati ad accogliere il potenziale della genetica al fine di migliorare la condizione umana a livello individuale e collettivo? Che dire della prospettiva di una terapia genica sulla linea germinale: saremmo disposti in futuro a esercitare il potere di trasformare, ancora prima che nascano, gli individui che apprendono lentamente in soggetti più brillanti? C’è da chiedersi quale sarebbe stata la nostra risposta viscerale di fronte a tali prospettive se l’umanità non avesse assistito all’oscura esperienza dell’eugenetica. La realtà è che l’idea di migliorare il nostro patrimonio genetico naturale allarma la gente, dando per scontato che la soluzione escogitata dalla natura sia necessariamente la migliore. Nel campo della salute questo viene più accettato, ad esempio nel modificare i nostri geni per renderci più resistenti all’AIDS. Ma qualcuno sosterrà che invece di modificare i geni delle persone, dovremmo concentrare i nostri sforzi nel curare chi può essere curato e inculcare in tutti gli altri la cognizione dei pericoli della promiscuità sessuale. Secondo me, una reazione moralistica di questo tipo è profondamente immorale. Attualmente, in tutto il mondo le leggi proibiscono di aggiungere DNA alle cellule germinali umane. Il sostegno a tali proibizioni viene da numerosissimi gruppi di opinione. I gruppi religiosi – convinti che maneggiare la linea germinale umana sia come sostituirsi a Dio – sono i principali responsabili della violenta opposizione nell’opinione pubblica. Da parte loro, i critici laici temono trasformazioni sociali: scenari in cui le naturali differenze umane sono amplificate, cancellando ogni traccia di società egalitaria. Io vedo un solo argomento razionale per ritardare il progresso del miglioramento genetico umano, ed è la preoccupazione se la terapia genetica della linea germinale potrà mai essere eseguita in condizioni sufficientemente sicure. Vale la pena sottolineare che, contrariamente alla apparenze, dovrebbe essere meno rischioso intervenire con la terapia sulla linea germinale che non sulle cellule somatiche. Infatti nella cellula germinale il DNA viene inserito in una singola cellula ed è possibile monitorare il processo in modo rigoroso, mentre sulle cellule somatiche bisogna intervenire su una moltitudine di cellule. Secondo me dovremmo prendere in seria considerazione la terapia genetica  della linea germinale e trascurare le critiche inevitabili. Alcuni di noi già conoscono il dolore che si prova ad essere fatti oggetto delle censure un tempo riservate agli eugenetisti. In ultima analisi, però, si tratta di un piccolo prezzo da pagare per raddrizzare l’ingiustizia genetica. Se questo tipo di ricerca sarà definito eugenetica, allora io sono un eugenetista…Il fatto che nella nostra società tanto progredita dal punto di vista medico quasi nessuna donna sia sottoposta allo screening per rilevare la presenza della mutazione dell’X fragile, a dieci anni buoni dalla scoperta (1993), può testimoniare solo ignoranza o intransigenza ideologica (e religiosa). Qualsiasi donna legga queste mie parole dovrebbe rendersi conto che una delle cose importanti che può fare come madre (reale e potenziale) è di raccogliere informazioni sui rischi genetici che i suoi figli, non ancora nati, dovranno poi affrontare; lo potrà fare cercando geni deleteri nella propria famiglia o in quella del suo partner; o anche, più direttamente, nell’embrione di un figlio già concepito. E che nessuno dica che una donna non ha il diritto di accedere a questa conoscenza. Ne ha invece tutto il diritto, come è suo diritto agire tenendone conto.  E’ lei, infatti, che ne subirà le immediate conseguenze…Io non discuto il diritto dei singoli individui di rivolgersi alla religione come bussola morale privata; contesto però l’assunto di troppe persone religiose, secondo le quali gli atei vivrebbero in un vuoto morale. Secondo me, quelli di noi che non sentono alcun bisogno di un codice morale scritto in un libro antico fanno ricorso a un intuito morale innato, plasmato moltissimo tempo fa dalla selezione naturale, per promuovere la coesione sociale nei gruppi  dei nostri progenitori. La frattura fra tradizione e laicismo aperta per la prima volta dall’Illuminismo ha poi imposto il ruolo che la biologia deve avere nella società…Se solo riuscissimo ad accettare senza paura la verità rivelata dal DNA, non dovremmo più disperare per il futuro di chi verrà dopo di noi.”