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venerdì 30 settembre 2016

Elogio di Theresa May

Theresa May ha capito molte cose. Ha capito che l’occidente è a una svolta, forse definitiva, che l’Europa è la forma che assume il declino irreversibile di una società, una economia e una cultura. La nuova Premier inglese ha capito che il mondo anglosassone può fare qualcosa, non per arrestare la corsa verso la fine, perché ormai è forse troppo tardi e non vi sono le condizioni perché un solo paese possa invertire la tendenza, ma almeno per salvare l’isola inglese per qualche decennio, un isola che vede sempre più legata al Nord America e lontana dall’Europa.
Per ben tredici volte, infatti, l'allora ministra degli Interni e attuale premier britannica si astenne dall'esprimere pubblicamente il suo sostegno a Remain, cioè al fronte schierato per la permanenza della Gran Bretagna nella Ue, capeggiato da Cameron e a cui teoricamente May aveva aderito. Spazientito per il silenzio della sua ministra, alla fine il primo ministro le fece una furiosa telefonata, ordinandole di dichiararsi: ma neanche questo servì a molto, spingendo May a fare soltanto, con riluttanza, una tiepida dichiarazione a favore di Remain, per poi tornare a evitare risolutamente la questione. Tanto che a Downing street si era guadagnata un soprannome: "Submarine May", sottomarino May, per come cercava di rimanere invisibile, sommersa appunto, sull'argomento del referendum; qualcuno la chiamava anche "agente nemico", perché di fatto il suo silenzio contribuiva ad aiutare il fronte avverso, quello per Brexit, ovvero per l'uscita del Regno Unito dall'Europa dei 28.
Troviamo queste rivelazioni in "Unleashing demons: the inside story of the referendum" , un libro in via di pubblicazione in Inghilterra, scritto da Craig Oliver, per cinque anni direttore delle comunicazioni, "spin doctor" e portavoce di Cameron, di cui è stato sino alla fine uno dei più stretti collaboratori. Nel libro, anticipato dal Mail on Sunday, Oliver racconta che Cameron considerò brevemente l'ipotesi di restare al suo posto nonostante la sconfitta di Remain, il fronte per cui si era battuto, ma nel corso di una lunga e concitata notte concluse che sarebbe stato difficile mantenere la sua leadership dopo una sconfitta politica così cocente. Theresa ha poi vinto facilmente le primarie per la successione nel partito conservatore, privo di personalità rilevanti, a parte Boris Johnson, l'ex sindaco di Londra e ora ministro degli Esteri nel governo di Theresa May. Jhonson, dopo un inizio titubante, s’era schierato risolutamente per la Brexit, diventando il leader de facto per la campagna per l'uscita dalla Ue e in pratica l'artefice della vittoria di Brexit. Ma poi il suo partito non l’ha giudicato all’altezza del compito di premier, ed ha prevalso “Submarine May”.
La Signora Theresa May, nuovo primo ministro britannico dopo la Brexit, ha un aspetto dimesso, quasi sotto tono. Ma la sua azione di governo si sta rivelando tra le più incisive ed in grado di cambiare molti aspetti della politica e dell’economia del suo paese. La Signora May ha deciso di ridare alla Gran Bretagna un ruolo che non sia più di contorno ai burocrati della UE, i quali stanno portando l’Europa ad un declino talmente rapido che si può parlare ormai di collasso. Theresa May , dopo il referendum, sta traghettando il paese fuori dalle stagnanti paludi di Bruxelles, a cominciare dall’economia. Prima di tutto è intervenuta a difesa della sterlina e delle finanze della GB la quale non si è mai adattata ai fitti e insignificanti (oltre che inutili) regolamenti della Commissione Europea, che ritiene all’origine della rigidità del sistema economico in Europa basato sulla burocrazia e su regolamenti che obbligano a politiche produttive complicate e costose e a spese assistenziali difficili da coprire. Theresa è decisa ad intervenire per semplificare e ridurre le spese, perché l’economia inglese risente sempre di più del costo spropositato per i contribuenti del sistema di Welfare e ha promesso di rivedere i criteri troppo generosi con cui vengono assegnati i sussidi , causa prima del richiamo di milioni di migranti verso la Gran Bretagna. La presenza di milioni di immigrati non ha solo conseguenze negative sul piano economico. La Premier è sensibile al richiamo ambientalista per quanto riguarda la tutela del territorio e del paesaggio inglese, e la preoccupazione sulle emissioni di CO2 quale causa primaria del riscaldamento della biosfera. Oltre all’economia Theresa ha posto tra le sue priorità la difesa dell’ambiente. Ma piuttosto che inseguire l’ambientalismo mainstream nelle sue contraddizioni e impotenze, ha deciso di passare all’azione secondo la classica cultura pragmatista dei Tories inglesi. La premier è preoccupata in quanto sull’onda dell’aumento demografico degli ultimi anni , l’espansione delle città inglesi e della megalopoli di Londra sta devastando il territorio con la necessità di nuove costruzioni e la conseguente cementificazione massiccia, le infrastrutture stradali di trasporto e logistiche, le industrie e i servizi di supporto necessari per la popolazione in forte aumento. L’Inghilterra non è un grande paese come estensione territoriale, ed il consumo di suolo ha raggiunto velocità che la pongono ai primi posti nel mondo, come denunciano gli stessi ambientalisti inglesi, in contraddizione con se stessi in quanto allo stesso tempo predicano accoglienza e la necessita di assicurare lavoro, case e infrastrutture per la nuova popolazione. Inaspettatamente per la vecchia classe politica, la May ha deciso di contrastare risolutamente l’immigrazione con nuovi limiti legali, con più facili espulsioni, e con la costruzione di un muro a Calais per impedire l’arrivo di clandestini. Theresa non vuole respingere i profughi veri, ma se la prende soprattutto contro i migranti economici, a cui ha dichiarato guerra e promette risoluta inderogabili respingimenti. Ma la premier inglese non si è fermata alla politica finanziaria e a quella sugli immigrati. Con una decisione che ha colto di sorpresa tutti i politici ed in particolare quelli della sicumera democratica e progressista e i seguaci del’ambientalismo mainstream, ha sbloccato la costruzione della grande centrale nucleare di Hinkley Point con i suoi reattori costruiti con la collaborazione della CGN Cinese e della EDF francese. CGN è anche entrato nella proprietà della Centrale partecipando all’investimento. Non solo, la May sta lavorando per dare l’autorizzazione definitiva alla nuova centrale a Bradwell nell'Essex anche essa un progetto sviluppato in collaborazione con la società statale cinese CGN.
La centrale di Hinkley Point era ferma da mesi per l’incertezza del governo di Cameron, più attento agli umori di Bruxelles, degli ambientalisti inglesi e della Merkel. Con i suoi 18 miliardi di sterline di investimento la centrale è il più grande progetto sull’energia in Europa degli ultimi anni. L’impianto è di nuova generazione e risponde a tutti i più rigorosi criteri di sicurezza. Il governo inglese prenderà una quota speciale di possesso della centrale e ha concluso un accordo per cui corrisponderà 92,50 sterline per Megawattora prodotto alla francese DEF che ha contribuito alla costruzione. Accennando a severi controlli del Regno Unito in futuro sugli investimenti esteri, Downing Street ha fatto la seguente dichiarazione: "Ci saranno riforme sull'approccio del governo alla proprietà e al controllo delle infrastrutture critiche per garantire che tutte le implicazioni di proprietà straniera siano esaminate ai fini della sicurezza nazionale ". Per questo il governo inglese entrerà nella proprietà della Centrale e ne seguirà direttamente il funzionamento e la produzione. Jean-Bernard Lévy, CEO EDF, ha detto che la decisione "segna il rilancio del nucleare in Europa" e ha dimostrato "il desiderio del Regno Unito di guidare la lotta ai cambiamenti climatici attraverso lo sviluppo di energia elettrica a bassa emissione di carbonio". EDF assicura che l’impresa, specializzata nella costruzione delle nuove centrali, ha imparato le lezioni dai suoi problemi di costruzione altrove e che il costo di energia elettrica da Hinkley Point è competitivo con le altre forme di energia a basso tenore di carbonio come l'energia eolica, ma con una resa enormemente maggiore e sicura e con livelli costanti e programmabili in base alla richiesta. Tutto questo contribuirà ad ammortizzare l’investimento iniziale e a produrre energia a costi inferiori e con rese più certe e costanti rispetto alle rinnovabili.
Hinkley Point sarebbe il primo nuovo reattore nucleare nel Regno Unito realizzato dal 1995. Altri sono previsti a seguire, con gli investitori giapponesi e sudcoreani in fila per aiutare il governo a soddisfare l’ obiettivo per 14GW di nuova capacità di generazione di energia nucleare entro il 2035, programma che la premier si è affrettata a confermare.
la signora May ha dichiarato che Hinkley Point è fondamentale per mantenere le luci e le produzioni industriali della Gran Bretagna e, allo stesso tempo, ridurre le emissioni di carbonio. Inoltre la nuova produzione energetica nucleare consentirà la chiusura delle vecchie centrali elettriche a carbone e a idrocarburi che rappresentano attualmente più della metà della capacità di generazione esistente del paese, causa di forti immissioni di anidride in atmosfera e di inquinamento di particolato, e di cui è prevista la dismissione graduale nel corso dei prossimi 15 anni. Le reazioni nel Regno Unito per la decisione sono state variabili. I sindacati ed le organizzazioni legate al lavoro sono stati generalmente favorevoli al progetto che, nonostante la forte partecipazione di CGA e EDF, ha promesso il governo che coinvolgerà per il 60 per cento della sua spesa le aziende britanniche. Il gruppo di lobby CBI ha affermato che la decisione avrebbe dato agli investitori una "vera spinta per la loro fiducia nel Regno Unito". Justin Bowden, segretario nazionale per l'energia presso il sindacato GMB, ha detto: "Sarà un grande sollievo per i posti di lavoro di qualità, circa 25.000, che sono stati messi a rischio dalle indecisioni del precedente governo con un ritardo, che ha conportato danni all’economia e alla reputazione della industria UK. Tony Ward, capo dei servizi a EY, la società di consulenza, ha confermato che Hinkley Point "porterà occupazione a lungo termine per una forza lavoro altamente qualificata, stimoli per la catena industriale del Regno Unito, e benefici sociali ed economici positivi per la regione sud-occidentale L'industria siderurgica in crisi nella vicina regione sud del Galles è probabile che sia un altro dei vincitori, con le 230.000 tonnellate di acciaio necessari alla costruzione e al funzionamento della centrale. Il rilancio della lotta alle emissioni di CO2 e la nuova spinta ad un nucleare pulito –anche in termini di ricerca e di ricadute sul progetto della fusione in corso a Cadarache, in Francia- sono altre conseguenze delle scelte della May.
Silenziosamente, secondo il suo stile, ma con scelte nette e dalle conseguenze enormi rispetto alla politica stantia e depressa della UE, Submarine May sta dando una svolta alla politica occidentale le cui conseguenze saranno da valutare nei prossimi anni.

venerdì 23 settembre 2016

La scimmia cieca: il convegno di Milano sui rifugiati ambientali

Il 24 settembre 2016 si tiene a Milano la conferenza sulla nuova figura del "Rifugiato Ambientale". Gli organizzatori della conferenza denunciano che nella legislazione dei paesi europei non esista ancora questa figura, ma solo quella del rifugiato di guerra: una minoranza rispetto ai duecentocinquanta milioni e più di migranti attualmente definiti come "economici" e quindi, in teoria (ma non in pratica) soggetti a respingimento. Nel documento di presentazione della conferenza è interessante osservare il completo silenzio sulla causa vera di queste migrazioni epocali che stanno interessando ormai il mondo intero: la sovrappopolazione della specie umana. Gli organizzatori della conferenza, tra cui spiccano alcune personalità importanti, deputati europei -tra cui l'italiana Spinelli-, funzionari dell'Onu e politicanti italiani, chiedono di ampliare l'accoglienza praticamente a tutti i migranti in quanto se migrano c'è un motivo. "Ma no!" verrebbe di dire. Avendo esaurito i motivi tradizionali (guerra, fame, persecuzioni ecc.) ecco pronto quello che dovrebbe mettere la parola fine a tutti coloro che si oppongono alla accoglienza totale di tutti da tutto il mondo: le modificazioni ambientali. E in particolare specificano le seguenti:"land grabbing, water grabbing, processi di “villaggizzazione” forzata (che negli anni Ottanta causarono la morte di un milione di persone per carestia, in Etiopia), inquinamento ambientale, smaltimento intensivo di rifiuti tossici o radioattivi, scorie radioattive risultanti da bombardamenti." Ovviamente tra gli obiettivi del convegno vi è la denuncia delle politiche di accaparramento di suolo e di risorse attuate da aziende occidentali e multinazionali in accordo con i governi locali. E' universalmente noto che i governanti locali, che ricevono molti soldi per l'attività di queste aziende, invece di destinarli alle popolazioni se li intascano e li depositano nei conti off-shore. Ma questo nel convegno non viene detto.
E' interessante venire a sapere che le decine di migliaia di migranti che ci arrivano sulle coste tutti i giorni scappino dai bombardamenti radioattivi e dai rifiuti tossici. Quanto all'accaparramento di risorse da parte di aziende occidentali può darsi che sia vero, ma limitatamente ad alcune regioni e con numeri limitati, e non credo che il discorso si possa generalizzare ai 250 milioni di migranti in atto o potenziali. Questa è pura demagogia. Ma possibile, e la domanda me la sono ripetuta più volte perché non riesco a crederci, possibile che nessuna delle eccelse menti degli organizzatori non dico affermi -il che sarebbe pretendere troppo- ma solo ipotizzi che queste centinaia di migliaia di migranti che arrivano in Europa ogni anno siano persone che non trovano il sostentamento di cibo e di possibilità di vivere una vita normale nei luoghi in cui sono nati per il semplice motivo che i tassi di natalità degli ultimi anni sono stati troppo alti in un territorio che non aveva le risorse adeguate? E' un ragionamento troppo complesso e difficile, tanto da richiedere una intelligenza superiore, alla Einstein per intenderci, per essere formulato? Perché questa scimmia che noi chiamiamo Homo ha creato questo enorme tabù sulla propria riproduzione eccessiva, tale che non è possibile neanche accennarvi, neanche formularlo come piccola ipotesi subordinata, pena la esclusione perpetua dai congressi e la definitiva damnatio memoriae? Taccio per commiserazione sulle politiche pro-fertilità di alcuni paesi europei tra cui l'Italia (con l' iniziativa dell'ineffabile ministra Lorenzin). Perché questa strana scimmia che sta ricoprendo la terra dei suoi manufatti,di grigio cemento, estendendo gigantesche megalopoli, alterando definitivamente clima e atmosfera, distruggendo foreste, inquinando acque e mari, non comprende che una esplosione demografica da uno a otto miliardi in un secolo è qualcosa di inusitato e tragicamente sbalorditivo e che sta minacciando il pianeta?
Questa esplosione è alla base di quelle migrazioni che vengono attribuite invece all'occidente sfruttatore e alla rapina delle risorse (ma il colonialismo non è finito da settant'anni?). Sono molti gli intellettuali africani che chiedono di finirla con la politica del piangersi addosso e di dare sempre la colpa all'occidente, e di cominciare invece a rimboccarsi le maniche e modificare i propri stili di vita, primo tra tutti smetterla con l'abitudine di fare 12 o 15 figli per donna. I più ciechi di tutti rimangono gli intellettuali ed i politici europei, a partire proprio dagli ambientalisti che, appena sentono parlare di sovrappopolazione, perdono la testa e danno in escandescenze. Il tabù sulla natalità umana non può essere violato. Umano, troppo umano. La scimmia che si sta autodistruggendo è sempre più cieca.
Riporto qui di seguito l'articolo che accompagna il programma del convegno, quale documento di questa ottusità ideologica volta a negare ogni influenza dei tassi di natalità e della sovrappopolazione sui fenomeni migratori. Neanche un accenno al problema che l'Africa è in un boom demografico senza precedenti e sta passando da 900 milioni attuali a due miliardi di abitanti in pochi anni (previsione per il 2050: due miliardi e trecento milioni di abitanti, dati Onu). Nessun accenno agli eccessivi tassi di natalità in India e medio oriente, dove alcune regioni stanno raddoppiando in pochi anni la popolazione. Leggere per credere.
CLIMA, POLITICHE IL SECOLO DEI RIFUGIATI AMBIENTALI? – CONVEGNO A MILANO 16/09/2016
Il secolo dei rifugiati ambientali?
Analisi, proposte, politiche Milano, 24 settembre 2016 Il 24 settembre si terrà a Milano, nella Sala delle conferenze di Palazzo Reale, un convegno internazionale organizzato e promosso da Barbara Spinelli e dal gruppo GUE/NGL del Parlamento europeo, che si propone di riflettere su una figura generalmente trascurata sul piano giuridico: quella del rifugiato per motivi ambientali. Secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), entro il 2050 i profughi ambientali saranno tra 200 e 250 milioni, con una media di 6 milioni di persone costrette ogni anno a lasciare la propria abitazione e spesso il proprio Paese. Lo straordinario aumento di sfollati interni e di profughi è in gran parte dovuto a conflitti scatenati da politiche diffuse e sistematiche di appropriazione di risorse. Dal dopoguerra a oggi, ben 111 conflitti nel mondo avrebbero tra le proprie radici cause ambientali: 79 sono tuttora in corso e, tra questi, 19 sono considerati di massima intensità. Nonostante le misure fin qui prese per contenere i cambiamenti climatici e l’aggressione alle risorse naturali, l’espulsione dal proprio habitat di ampie quote della popolazione mondiale a causa del deterioramento ambientale è considerata inevitabile dalla maggior parte della comunità scientifica, in assenza di provvedimenti più radicali di quelli presenti. Eppure il fenomeno resta di fatto invisibile alle legislazioni e alla politica. Nemmeno la Convenzione di Ginevra e il Protocollo aggiuntivo del 1967 riconoscono lo status giuridico di chi fugge da catastrofi ambientali, specie se originate da azioni e interventi umani sulla natura. Sono rifugiati ambientali quelli che scappano da conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche, come lo sono coloro che fuggono dalla desertificazione e dal collasso delle economie di sussistenza in seguito a crisi dell’ecosistema, dovute a cause naturali o attività umane: land grabbing, water grabbing, processi di “villaggizzazione” forzata (che negli anni Ottanta causarono la morte di un milione di persone per carestia, in Etiopia), inquinamento ambientale, smaltimento intensivo di rifiuti tossici o radioattivi, scorie radioattive risultanti da bombardamenti. Questi flussi si aggiungono a quelli causati da guerre e persecuzioni politiche, religiose o etniche, e talvolta vi si sovrappongono in modo inestricabile. É pretestuoso e miope considerare popolazioni in fuga da condizioni invivibili alla stregua di migranti economici, tuttavia è esattamente ciò che fa la Commissione europea con il cosiddetto “approccio hotspot”, che istituisce due categorie di migranti: i profughi di guerra, ai quali viene riconosciuto il diritto di chiedere protezione internazionale, e i migranti economici, da rimpatriare – con ciò violando il diritto d’asilo. Obiettivi del convegno: Analizzare il concetto di rifugiato ambientale e le sue implicazioni giuridiche. Dare un quadro della situazione ambientale nei Paesi dai quali provengono i profughi. Denunciare le politiche di accaparramento di suolo e di risorse attuate da aziende occidentali e multinazionali in accordo con i governi locali. Individuare strumenti di monitoraggio dell’uso dei fondi europei o nazionali per la cooperazione e lo sviluppo destinati a regimi che non rispettano i diritti umani. Mostrare che la separazione tra profughi di guerra e migranti economici applicata nel cosiddetto “approccio hotspot” rischia di essere è lesiva dell’impianto stesso del diritto d’asilo e che l’attuale politica europea dei rimpatri va rigettata nella sua forma attuale. Promuovere un’azione a livello parlamentare europeo per l’introduzione legislativa della figura del rifugiato (interno ed esterno) costretto alla fuga da una massiccia perdita di habitat. Mostrare che è conveniente, oltre che rispettoso del diritto internazionale, sviluppare al massimo, e modificare, le politiche europee di accoglienza e integrazione di profughi e migranti. Il convegno ha il patrocinio e la partecipazione di:
Università degli studi di Milano, Centro Europeo di eccellenza Jean Monnet, Associazione Costituzione Beni Comuni, Associazione Diritti e frontiere, Associazione Laudato Si’, Gruppo consiliare Milano in Comune, Comune di Milano. Tra i relatori spiccano figure di rilievo scientifico come Roger Zetter e François Gemenne, l’ex ministro del Mali Aminata Traoré, il responsabile Unhcr per l’Europa meridionale Stéphane Jaquemet, le eurodeputate Ana Gomes, Marie-Christine Vergiat, Elly Schlein. (Dal sito web del convegno)

martedì 13 settembre 2016

Fallimento ambientalista

Jacopo Simonetta scrive un interessante articolo sul fallimento del movimento ambientalista (www.crisiswhatcrisis.it) in cui si chiede perché man mano che la situazione ambientale degenera, la quantità di gente preoccupata aumenta, ma il movimento ambientalista è sempre più debole e solo.Perché l'ambientalismo è ovunque in crisi e perde peso politico proprio quando la crisi ambientale precipita? Jacopo si pone la domanda centrale: c'è stato qualcosa di sbagliato alla radice del movimento? "Nel suo insieme l'ambientalismo non ha saputo elaborare e divulgare un paradigma politico alternativo ai due che, all'epoca, si contendevano la scena: il liberalismo e il socialismo." Nessuno tra gli ambientalisti ha saputo elaborare un modello politico nuovo basato su una nuova visione del mondo. Sia il capitalismo che il socialismo perseguono il progresso indefinito della società e il nucleo centrale che li accomuna è l'idea di progresso. Secondo l'autore è proprio l'archetipo del progresso che andrebbe messo in discussione. Ma ciò, aggiunge, avrebbe comportato un attacco alla radice stessa del pensiero moderno alla cui origine troviamo padri del calibro di Bacone, Galileo, Cartesio, Hobbes, Boyle, ecc. Il famoso testo di Donella e Denis Meadows "I Limiti dello sviluppo" individuava nella tecnologia e nello sfruttamento delle risorse il problema principale, ed indicava nel progresso un mito fondante ma distruttivo, e proponeva di fermare la crescita demografica e la crescita economica prima di raggiungere la soglia critica. Fu introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, per conciliare l'idea di buone pratiche di risparmio delle risorse e salvaguardia ambientale con l'idea di manternere comunque un certo grado di sviluppo.Ma l'idea del controllo demografico fu subito invisa anche da una parte dei collaboratori al testo, considerata non corretta politicamente, quasi razzista, e presto messa sotto silenzio. L'ambientalismo si andò sempre più schierando politicamente mentre perdeva l'originalità delle impostazioni di partenza e di incisività sulla realtà economica. Si chiede poi Jacopo se avrebbe potuto andare diversamente. Nel periodo in cui si sviluppò l'ambientalismo Usa e URSS erano impegnati in una corsa per il controllo del pianeta e rallentare la crescita economica era impensabile: avrebbe frenato il progresso tecnologico a svantaggio dei due contendenti. Negli anni 70 si generò un certo dibattito sulla sovrappopolazione, e alcuni paesi come India e Cina cominciarono ad applicare il controllo delle nascite (politiche che poi furono abbandonate o depotenziate). Gli effetti dei progressi in campo medico e le nuove tecnologie per la produzione di cibo avevano creato le condizioni di un boom demografico senza precedenti. Si cominciò a rendersi conto delle conseguenze devastanti di questa esplosione ma si elaborò un nuovo mito: quello della "transizione demografica" che avrebbe risolto da solo il problema. La crescita economica avrebbe comportato, secondo questa visione, una stabilizzazione demografica automatica. Nella corsa tra socialismo e capitalismo, dice Jacopo, quest'ultimo si è rivelato più flessibile, si è appropriato della retorica ambientalista, l'ha anzi sfruttata modificando anche la produzione e indirizzando i consumi, ed alla fine ha vinto sul campo, senza che il degrado ambientale avanzante venisse minimamente rallentato. "L'ambientalismo politico si trovò stretto in un' inpasse che avrebbe potuto essere superata solo con un radicale cambio di paradigma; un salto culturale talmente grande da non essere neppure tentato." Si chiede infine Simonetta se ha ancora un senso fare dell'attivismo ambientalista. Nessuno ormai fa più caso ai ripetuti allarmi su imminenti catastrofi ambientali. Ci si è abituati a tutto. Si parla di riscaldamento ambientale come una moda, senza scandalizzarcene. Tutti parlano di rilancio della crescita in un mondo che sta morendo per le emissioni dovute alla crescita. "Se ci si danno finalità possibili, c'è sempre un senso a fare qualcosa" conclude l'autore cercando una via d'uscita in un vicolo cieco e specificando che comunque date le premesse, le cose dovevano andare per forza così. Possiamo fare poco: prepararci agli eventi futuri ed aumentare le probabilità di sopravvivenza nostre e quelle di parenti e amici (resilienza). Evitare di peggiorare ulteriormente la situazione: questo si può fare. Non basterà a salvare il pianeta ma almeno servirà a qualcosa. Prepararci, infine, al medio evo prossimo venturo, al disastro imminente in cui la natura riprenderà il sopravvento, e confidare nelle doti di resistenza e resilienza della specie umana. Dobbiamo archiviare tutte le nostre conoscenze scientifiche e prepararci ad affrontare la tempesta: i nostri discendenti potranno usufruire di quello che avevamo scoperto. Dobbiamo creare i presupposti perché dei paradigmi realmente alternativi possano nascere, o rinascere, magari tra qualche secolo.
Come commento all'articolo di Jacopo posso dire che sono in gran parte d'accordo sulla sua analisi, ma trovo che sia troppo clemente con il movimento. Gli esiti di esso sono visti da Simonetta come inevitabili e già destinati al fallimento fin dall'inizio. C'era da dare una diversa impostazione, dice Jacopo, in particolare insistere per un controllo della esplosione demografica su cui il movimento non ha mai veramente voluto impegnarsi. I motivi di questa sottovalutazione, dice l'autore, si possono capire: l'argomento era scabroso, la politica era impreparata, il discorso era troppo estraneo al periodo in cui i progressi scientifici erano esaltati e l'uomo era ed è considerato il padrone del mondo. Il movimento si è affidato invece alla politica, in particolare all'illusione che una prassi anti capitalista bastasse ad assicurare la salvezza ambientale.Il discorso ambientalista è divenuto così un accessorio del movimentismo di sinistra, proprio quando i movimenti marxisti e socialisti perdevano l'aspetto di rivolta contro la civiltà industriale di mercato e acquisivano sempre di più una colorazione terzomondista sul filo di una antropocentrismo basato sui diritti assoluti della specie Homo. Se c'era da salvare qualche specie animale o un ambiente naturale senza intaccare lo strapotere dell'uomo sulla natura ciò era condiviso dagli ambientalisti. Ma se quella salvezza di specie o di paesaggio comportava un costo per il padrone del Cosmo, ad esempio un limite alla natalità umana o al benessere (inteso come consumi), o al diritto di scegliere i luoghi dove vivere e spostarsi, allora il discorso veniva chiuso con una condanna morale. L'ambientalismo politically correct non ha voluto mai mettere in discussione i diritti assoluti dell'uomo, anzi ha considerato la tutela ambientale e delle altre specie non un valore in sé, ma un valore relativo agli interessi di Homo. Questa è la colpa principale. In presenza di una esplosione della popolazione umana e quindi di una moltiplicazione esponenziale delle necessità di consumi e di strumenti e strutture per la sopravvivenza di nuovi miliardi di umani generatisi in pochi decenni, il ruolo di una salvaguardia ambientale così riduttivamente intesa non poteva che naufragare e ridursi al giardinaggio o poco più. La politica ambientalista è così divenuta una politica dei no. No a nuove costruzioni, no a infrastrutture, no a nuovi consumi, no alle energie da idrocarburi, no a quelle nucleari, no a nuove tecnologie, no no no. E questi no erano e sono in contraddizione e conflitto con i nuovi bisogni determinati dal contemporaneo aumento della densità demografica e delle richieste da parte di una popolazione in continua crescita. Si espandono le megalopoli anche a causa delle politiche umanitarie degli ambientalisti e al tempo stesso si proclama da parte dei movimenti la necessità di fermare il cemento e salvare i terreni agricoli. Queste contraddizioni sono talmente evidenti, che anche ai più ben disposti verso l'ambientalismo, cadono le braccia. Un pretendere di fermare lo sviluppo e una contemporanea richiesta di più servizi per le masse umane in espansione incontrollata,una miscela contraddittoria ed esplosiva di cui le prime vittime politiche sono state i movimenti ambientalisti. I quali non ebbero e non hanno, anche oggi che la situazione è in rapido deterioramento, il coraggio di una scelta radicale. La prima necessità per salvare il pianeta è quella che indicarono i fondatori dell'ambientalismo: la riduzione della natalità umana per un riequilibrio tra natura e specie, tra varietà biologica e civiltà umana.

venerdì 2 settembre 2016

Fertility Day

Con un intervento di straordinaria intelligenza la ministra della sanità Lorenzin ha spiegato che in Italia non si fanno più figli e che questo è il primo problema del paese. Per invertire la tendenza ha trovato una soluzione: dei cartelloni pubblicitari in cui una donna sollecita le mamme potenziali a sbrigarsi e, con una mano sulla pancia orfana di embrioni e feti e con una clessidra nell'altra, invita le donne italiane a "daje giù". In effetti sembra più la pubblicità di un lassativo che un invito alla natalità. Perfino Renzi si è dissociato, spiegando che non ne sapeva nulla. Ora, che il paese con una delle più alte densità demografiche al mondo, in cui la cementificazione e la antropizzazione sfrenata del territorio hanno fatto più danni devastando coste e pianure, laghi e fiumi, montagne e ambienti naturali, paesaggi e patrimonio storico, abbia il suo problema principale nella desertificazione e la prima necessità consista nell'aumentare ancora di più la densità demografica e l'antropizzazione, è affermazione inqualificabile. Tra l'altro, mentre la Ministra è preoccupatissima dello spopolamento del paese, proprio nelle stesse ore, stanno arrivando decine di barconi stracarichi di cosidetti migranti, 15.000 in tre giorni, che grazie all'avvedutezza dei paesi confinanti i quali non fanno più passare nessuno, rimarranno in gran parte in Italia. Quest'anno tra arrivi via mare, aria e terra si prevedono dai 400.000 ai 500.000 nuovi migranti sul nostro territorio. Come spopolamento niente male. Non si preoccupi poi la ministra che con l'esplosione demografica in atto in Africa (sono previsti due miliardi di abitanti nel 2050)non mancheranno gli abitanti per la nostra deserta Italia. Se la popolazione censita in Italia è di 61 milioni, nella realtà ci sono alcuni milioni in più non censiti. Ma la Ministra è ansiosa. In un paese cementificato e avvelenato dai rifiuti e dalle esalazioni dei troppi umani che lo affollano, la ministra è fortemente preoccupata dal calo delle nascite. Pensa con qualche cartellone di invertire la tendenza delle donne italiane e di spingerle a fare altri figli. Ma forse è meglio così. Meglio che questi ministri si occupino dei cartelloni e non di cose pratiche. I danni sono più limitati.