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martedì 16 giugno 2015

Konrad Lorenz: un antesignano



Chi non ha letto gli Otto peccati capitali? Se c'è ancora qualcuno che non ha letto quel libretto così piccolo (come numero di pagine) eppure così grande per il messaggio che contiene, deve farlo al più presto. La sua capacità di analisi e previsione di ciò che sarebbe accaduto e che sta accadendo sotto i nostri occhi è strabiliante. Consideriamo che fu scritto nel 1973, quando la popolazione umana del pianeta era la metà di oggi. Capitoli come "La sovrappopolazione (il secondo), come la devastazione dello spazio vitale (il terzo), l'estinguersi dei sentimenti (il quinto), ebbero un impatto sconvolgente su lettori che non avevano ancora la minima idea di ciò che era la crisi ambientale determinata dalla pressione antropica che si andava delineando. Lorenz aveva dedotto queste verità dallo studio, fatto con amore e precisione scientifica, del comportamento degli animali in base alle situazioni ambientali diverse e alla influenza della densità di popolazione in un dato territorio. Il grande etologo  rimane un Maestro per tutti i veri ambientalisti, ingiustamente e colpevolmente dimenticato dai falsi ecologisti che vogliono propagandare, dietro lo schermo di un ecologismo basato su pregiudizi ideologici,  i diritti assoluti di Homo su tutta la natura.  Riporto, da un intervento su questo blog pubblicato nel 2011, una sintesi di alcune pagine del secondo capitolo degli "Otto peccati capitali".



LA SOVRAPPOPOLAZIONE

Tutti i vantaggi che l'uomo ha ricavato da una conoscenza sempre più approfondita della natura che lo circonda, i progressi della tecnologia, delle scienze chimiche e mediche, tutto ciò che sembrerebbe destinato a lenire le sofferenze umane, tende invece, per terribile paradosso, a favorire la rovina dell'umanità. Questa, infatti, minaccia di soccombere a un destino altrimenti quasi sconosciuto ai sistemi viventi: l'autosoffocazione. Ma la cosa più terribile di questo processo apocalittico è che, con tutta probabilità, le prime a essere travolte saranno proprio le più elevate e le più nobili qualità e attitudini dell'individuo, proprio quelle che giustamente consideriamo e apprezziamo come specificamente umane.
Nessuno di noi, che viviamo in paesi civilizzati densamente popolati, o addirittura nelle grandi città, è ormai più consapevole della nostra carenza generale di affetto e di calore umano. Bisogna avere fatto una volta l'esperienza di arrivare all'improvviso, ospite inatteso, in una casa situata in una regione poco popolata, dove i vicini siano separati da molti chilometri di strade disagiate, per riuscire a valutare quanto ospitale e generoso possa essere l'uomo quando la sua disponibilità ai contatti sociali non viene sottoposta di continuo a eccessive sollecitazioni. Me ne sono reso conto tempo fa, grazie ad un episodio che non ho più potuto dimenticare: avevo ospiti presso di me due coniugi americani del Wisconsin, che si occupavano di protezione della natura e abitavano in una casa completamente isolata nel bosco. Mentre stavamo andando a tavola per cena, suonò il campanello della porta di casa e io esclamai infastidito: "Chi è che viene a disturbarci a quest'ora?". Se avessi pronunciato la peggiore sequela di insulti i miei ospiti non ne sarebbero rimasti meno sbalorditi. Che il suono del campanello potesse suscitare una reazione che non fosse di gioia, era per loro scandaloso.
E' in larga misura colpa dell'affollarsi di grandi masse nelle metropoli moderne se, nel caleidoscopio di immagini umane che mutano e si sovrappongono e si cancellano a vicenda, non riusciamo più a riconoscere il volto del nostro prossimo. L'amore per il prossimo, per un prossimo troppo numeroso e troppo vicino, si diluisce sino a svanire senza lasciare più traccia. Chi desideri ancora coltivare sentimenti di calore e cordialità per gli altri deve concentrarli su di un esiguo numero di amici; noi non siamo, infatti, capaci di amare tutti gli uomini, per quanto ciò possa corrispondere a una norma giusta e morale. Siamo quindi costretti ad operare delle scelte, dobbiamo cioè 'tenere a distanza' in senso affettivo, molte altre persone che sarebbero altrettanto degne della nostra amicizia. L'atteggiamento del not to get emotionally involved (non lasciarsi coinvolgere emotivamente) costituisce una delle preoccupazioni primarie per molti abitanti dei grandi centri urbani. Questa posizione, entro certi limiti inevitabile per ciascuno di noi, è però viziata da una componente di disumanità; essa ci richiama infatti alla mente il comportamento degli antichi proprietari di piantagione americani che trattavano molto umanamente i loro negri 'di casa' mentre gli schiavi delle loro piantagioni venivano considerati, nella migliore delle ipotesi poco più che animali domestici di un certo valore. Questo schermo deliberatamente interposto per impedire i contatti umani, sommandosi con il generale appiattimento dei sentimenti di cui tratteremo in seguito, finisce per condurre a quelle spaventose manifestazioni di indifferenza di cui parlano ogni giorno i nostri giornali*. Man mano che aumenta la massificazione delle persone, l'esigenza del not to get involved diviene per il singolo sempre più pressante, al punto che proprio nei grandi centri urbani possono oggi verificarsi episodi di rapine, assassini, violenze in pieno giorno e nelle strade più frequentate senza che alcun 'passante' intervenga.
L'accalcarsi di molti individui in uno spazio ristretto non solo provoca indirettamente, attraverso il progressivo dissolversi e insabbiarsi dei rapporti fra gli uomini, vere e proprie manifestazioni di disumanità, ma scatena anche direttamente il comportamento aggressivo. Molti esperimenti hanno dimostrato che l'aggressività intraspecifica viene incrementata se gli animali sono alloggiati in gran numero nella stessa gabbia. Chi non abbia conosciuto di persona la prigionia in tempo di guerra o analoghe aggregazioni forzate di molti individui, non può valutare a quale livello di meschina irritabilità si possa giungere in tali circostanze. E proprio se uno cerca di controllarsi impegnandosi a dimostrare quotidianamente e in ogni momento un comportamento cortese, cioè amichevole, verso altri uomini che tuttavia non sono amici, la situazione diventa un vero supplizio. La generale scortesia che si osserva in tutti i grandi centri urbani è chiaramente proporzionale alla densità delle masse umane ammucchiate in un dato luogo. Punte massime spaventose vengono raggiunte, ad esempio, nelle grandi stazioni ferroviarie o nel Bus-Terminal di New York.
La sovrappopolazione provoca indirettamente tutti quegli inconvenienti e quei fenomeni di decadenza che saranno l'argomento dei prossimi sette capitoli: la credenza che attraverso un adeguato 'condizionamento' si possa formare un nuovo tipo di individuo immunizzato contro le conseguenze nefaste del sovraffollamento mi sembra rappresentare un'illusione pericolosa.

(Tratto da: KONRAD LORENZ: GLI OTTO PECCATI CAPITALI DELLA NOSTRA CIVILTA', Adelphi, 1974, capitolo II).

domenica 7 giugno 2015

Hans Jonas: I limiti dell'uomo




Il rapporto di uomo e natura è entrato in una nuova fase. Qual è la novità e come si è arrivati ad essa? Un fattore è quello biologico della nostra vertiginosa moltiplicazione, il cui solo fabbisogno organico minaccia di esaurire le fonti alimentari planetarie.Ma alla base di esso vi è già un fattore del tutto inorganico; il salto qualitativo nella nostra potenza tecnologica, che fu causato non più di duecento anni fa dal patto fra tecnica e scienze esatte. Attraverso questa epocale e unicamente occidentale messa in pratica della pura teoria, la superiorità dell’uomo è divenuta così unilaterale, i suoi interventi, per ordine di grandezza, tipo e profondità, così minacciosi per il tutto dell’attuale e della futura natura terrestre, che la libertà anche in ciò è dovuta diventare finalmente veggente. Essa vede: la vittoria troppo grande minaccia il vincitore stesso…Mai in precedenza l’artificio si è tanto avvicinato nei suoi elementi alla natura.Ora dal punto più basso domina su quello più alto, da quello più piccolo su quello più grande.Questa creatività intorno al “nucleo” comporta insieme a un nuovo potere anche nuovi pericoli. Uno è l’inquinamento dell’ambiente con sostanze a cui il suo metabolismo non è in grado di far fronte.Alla devastazione meccanica si aggiunge l’avvelenamento chimico e radioattivo. E nella biologia molecolare compare la tentazione prometeica di manipolare partendo dal seme, a scopo di miglioramento, la nostra propria immagine. L’aumentato potere deriva quindi dall’aumentata conoscenza. La medesima conoscenza ora, che domina nella tecnica,ci mette anche in grado di calcolare i suoi effetti globali e futuri. Resa per questo veggente, la libertà deve conoscere: attraverso se medesima è in gioco il tutto ed essa soltanto ne è responsabile. Con ciò giungo dalla radice e dal potere al dovere della nostra libertà.
Primo compito di ogni libertà, anzi condizione del suo sussistere, è di porsi dei limiti. Infatti solo così la società è possibile, senza la quale l’uomo non può esistere e neppure il suo dominio sulla natura. Quanto più libera è la società stessa, quanto meno dunque la naturale libertà della specie è lesa dal dominio dell’uomo su altri uomini, tanto più evidente e inevitabile diviene nel rapporto interumano il dovere della limitazione volontaria.Una cosa paragonabile accade ora nel rapporto dell’umanità con la natura. Andando di pari passo con le azioni del nostro potere, il nostro dovere si estende ora a tutta la terra e al lontano futuro. Qui e ora il dovere ci impone di frenare il nostro potere, quindi di diminuire i nostri consumi per un’umanità futura che i nostri occhi non vedranno. Giustizia, rispetto, compassione, amore –impulsi di questo tipo che sono sopiti in noi e vengono risvegliati nel concreto convivere- ci aiutano ad uscire dall’angustia dell’egoismo. Niente di simile suscita in noi l’idea astratta di ipotetici esseri umani futuri; e la paura di una ritorsione viene qui del tutto a mancare. Ma noi abbiamo l’idea della responsabilità, siamo fieri di esserne capaci; e il sentimento di ciò, profondamente radicato in noi, che si manifesta in modo così originario nel rapporto tra genitori e figli, questo sentimento steso a idea può gettare il ponte fra l’etica del prossimo e quella di colui che è lontano…
Dalla nostra opulenza si può quindi ben pretendere una limitazione. Sarebbe osceno predicare agli affamati dei paesi poveri della terra il rispetto dell’ambiente per il bene futuro e addirittura di quello globale. Il crudo bisogno quotidiano li costringe proprio a quel distruggere che condurrà ad un bisogno ancora maggiore negli anni successivi. Il fine di ogni aiuto allo sviluppo deve essere quello di liberarli anzitutto da questa costrizione, a cui dovrebbero però contribuire da parte loro almeno limitando le nascite.
Il potere tecnologico è collettivo, non individuale. Quindi solo il potere collettivo, e ciò significa alla fine quello politico, può frenarlo. Per questo attraverso la libertà politica anche ogni singolo è soggetto del nuovo dovere. Ma sono le maggioranze a decidere e queste non sono in genere dalla parte dell’altruistica lungimiranza, con la rinuncia all’interesse del momento che questa richiede. Quel che ho detto una volta a proposito dello “spettro della tirannia” è stato inteso non come monito ma come raccomandazione,; come se avessi parlato in favore della dittatura per la soluzione dei nostri problemi.Ciò che intendevo era che in situazioni estreme non resta spazio per i complicati processi decisionali della democrazia e che non dobbiamo nemmeno far sì che vi si giunga. La libertà di specie dell’uomo, la sua dote biologica, può perire solo con lui; ma la libertà politica, una forma particolare e storicamente rara di questa, può anche perdersi di nuovo.Prevenire la sciagura richiede cambiamenti nelle nostre abitudini di consumatori, quindi nello stile di vita di noi tutti, e con ciò nella intera struttura economica. Come questo possa accadere senza causare da parte sua sciagure come la disoccupazione di massa, che spaventerebbe ancor più del male da prevenire nel tempo, io non sono in grado di dirlo. Trovare qui un cammino percorribile sulla cresta di due abissi è un compito per gli economisti politici. Sicuramente ciò imporrebbe dei sacrifici rispetto alla libertà di mercato, ma la libertà politica può sopravvivere…
Una cosa deve esserci chiara in conclusione: una soluzione sicura per il nostro problema, una panacea per la nostra malattia non esiste. La sindrome tecnologica è troppo complessa ed è fuori discussione che si possa uscirne. Persino con una grande conversione e riforma dei nostri costumi il problema fondamentale non sparirebbe. Infatti, l’avventura tecnologica stessa deve continuare; già le correzioni rivolte alla salvezza esigono un impiego sempre nuovo d’ingegno tecnico e scientifico, che provoca i suoi propri nuovi rischi. Ciò significa che dobbiamo vivere in futuro all’ombra della minaccia di una calamità. Essere tuttavia coscienti dell’ombra, come appunto stiamo ora divenendo, diventa il paradossale spiraglio di speranza: esso non lascia ammutolire la voce della responsabilità. Questa luce non brilla come quella dell’utopia, ma il suo monito rischiara il nostro cammino, insieme alla fede nella libertà e nella ragione. Così alla fine, il principio-responsabilità e il principio-speranza si incontrano: non più l’esagerata speranza in un paradiso terrestre, bensì quella più modesta della vivibilità anche futura del mondo e in una sopravvivenza umanamente degna della nostra specie.

(Hans Jonas: Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità. Einaudi 1997).

sabato 6 giugno 2015

Come la demografia cambia il mondo


(In alto: il candidato alla presidenza Usa Marco Rubio di origine cubana).

Il presidente degli Stati Uniti è un uomo di colore, una cosa impensabile solo qualche decennio fa. Il prossimo presidente americano potrebbe essere di madre lingua spagnola e di origini cubane, un certo Rubio. Obama è stato eletto per il voto determinante delle forti comunità di immigrati latinos e per il bacino elettorale di colore in forte espansione negli Usa, in seguito ai tassi di natalità assai più alti rispetto a quelli delle popolazioni bianche di origine europea. E' così che tutto l'assetto geo-politico dell'america del nord si sta modificando, con forti ripercussioni sulla politica internazionale. Gli stessi tradizionali poteri finanziari nordamericani si stanno adeguando, modificando le loro strategie in funzione delle nuove popolazioni emergenti. In politica interna si fanno strada politiche redistributive e di forte intervento dello Stato che non avevano mai avuto in precedenza molta rilevanza negli Stati Uniti e in Canada. Negli ultimi decenni la politica estera americana ha visto diminuire di molto l'interesse verso l'Europa, sia per una minore transazione finanziaria che di scambi industriali, sia per un minor interesse militare. Le truppe americane in Germania e Italia si sono ridotte a poche migliaia, e gli interessi militari si sono spostati verso il medio oriente sia per l'importanza delle risorse energetiche che per la forte instabilità di quell'area in seguito anche alla grande espansione demografica successiva agli anni 70 del secolo scorso e al gran numero di giovani che hanno creato insoddisfazioni e tensioni in quelle popolazioni. Molti interessi americani si stanno indirizzando verso l'america latina, conseguenza diretta del cambiamento nello stesso senso della popolazione nord-americana. Al cambiamento di scenario geo-politico contribuisce l'imponente fenomeno migratorio conseguenza diretta dell'eplosione demografica nord africana e medio orientale. L'Europa sta rapidamente cambiando la sua popolazione in senso multietnico e multiculturale, le grandi città europee si avviano a divenire megalopoli con forti minoranze o, in alcuni casi e nei prossimi anni, a maggioranza di etnie ad origine  extra-europea.
L'economia mondiale, sulla spinta delle forti crescite demografiche di Cina e India, si sta modificando a vista d'occhio con lo spostamento di grandi interessi finanziari in oriente. La Cina ha acquistato in anni recenti grandi quantità di titoli di stato del debito pubblico americano ed ha oggi una influenza diretta sulla finanza nord americana. In seguito alla necessità di acquisizione di aree con riserve energetiche e possibilità di espansione il colosso orientale ha iniziato da qualche decennio una serie di acquisizioni di vaste aree africane e di attività edilizie e industriali nel continente nero. Estese aree di savana  e di foreste stanno andando distrutte, gli animali sono cacciati via, gli viene tolto ogni abitat e si vanno estinguendo.  Intere regioni vengono adibite a discariche di materiali spesso tossici provenienti dalla Cina e altri paesi  portando a danni irreversibili di tutto un ecosistema. Anche l'india sta ampliando i suoi interessi africani dietro un certo movimento immigratorio di lavoratori indiani in africa e in altri paesi (soprattutto medio-oriente). L'espansione demografica del Pakistan e del Bangla Desh sta riacuendo i conflitti religiosi tra islamici e induisti e i contrasti tra le varie nazioni del continente indiano. Un fenomeno analogo si configura in estremo oriente tra Thailandia e Vietnam e Cina. In Malesia i conflitti religiosi si sommano agli interessi industriali e finanziari che, sull'onda dell'esplosione demografica di quella regione, sta portando alla perdita di tanti scenari naturali e alla deforestazione di intere aree fluviali. Le migrazioni da Malesia Borneo e Indonesia stanno creando tensioni con l'Australia e Nuova Zelanda. Questi ultimi contrastano con una certa efficacia il fenomeno, anche per salvaguardare dalla antropizzazione gli ultimi paesaggi vergini del pianeta. Se analizziamo i vari cambiamenti demografici dinamicamente nei prossimi decenni assistiamo ad una perdita di rilevanza economica e politica oltre che culturale di molte popolazioni che in precedenza rivestivano un ruolo di potenza egemone come quelle della vecchia europa o di derivazione europea in Nord america, e all'espansione di nuove popolazioni non solo demografica, ma anche economica e politica. L'espansione di queste nuove popolazioni  appartenenti ad altre aree etniche e culturali  avrà conseguenze sul mondo di domani che  si attueranno nella seconda metà di questo secolo, disegnando scenari che -anche per l'impostazione politically correct di molti studiosi- non sono stati ancora analizzati a sufficienza. Gli Stati Uniti a maggioranza di neri e latinos rivestiranno ancora il ruolo di potenza egemone dell'occidente? Una Europa multietnica e multiculturale avrà ancora il suo ruolo di area di libertà e democrazia o non sarà invece preda di conflitti interetnici e tra culture diverse? Quali saranno le influenze cinesi nella politica mondiale dopo il 2050? La democrazia potrà essere a rischio in un pianeta dominato da culture spesso autoritarie o a sfondo religioso? Come cambieranno gli scenari energetici? Quale sarà la geografia dei consumi e le conseguenze sull'ambiente di un mondo profondamente mutato rispetto ad oggi e sovrappopolato? Come si porrà il problema del cibo e delle risorse idriche? Quale ruolo mondiale avrà un continente africano abitato da due miliardi di persone senza risorse sufficienti? Quale il destino di tante specie animali?