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martedì 28 aprile 2015

Sovrappopolazione e massificazione




(Il testo di Marcuse è una delle denunce sulla massificazione moderna della persona umana)

Che cosa accomuna fenomeni storici  tragici dell’ultimo secolo come i campi di battaglia della prima guerra mondiale con le sue armi tecnologiche (tra cui la mitraglia che massifica l’uccisione del nemico), i campi di sterminio organizzati scientificamente durante il nazismo, le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, le grandi pandemie come la spagnola e l’asiatica e quella più lenta ma tutt’ora attiva  dell’Aids, fino alle migrazioni epocali che stanno interessando il nostro continente al giorno d’oggi con le connesse stragi in mare?
Se vediamo i fenomeni assai meno tragici ma ugualmente significativi dell’enorme movimento di popolazione dalle campagne alle città che ha interessato nell’ultimo secolo l’intero pianeta, comprendiamo un altro aspetto della massificazione in atto. Questo fenomeno, collegato alla fine della civiltà contadina, ha determinato la crescita delle megalopoli, più o meno regolata, in grandi periferie disorganizzate (bidonville) o nello scenografico cambiamento dello sky-line dominato in tutte le grandi città da alti grattacieli di vetro e cemento contenitori massificati di milioni di persone-consumatori. I grattacieli e le strutture in cemento  stanno uniformando il paesaggio urbano di tutto il pianeta, mentre i territori naturali si riducono sempre di più sotto la pressione della massiccia antropizzazione del territorio. Ci si chiede: qual è il fattore che muove questa gigantesca trasformazione dell’abitare umano?
Ugualmente da interpretare sono i cambiamenti nello stile di vita di sette miliardi di persone. La scomparsa delle tradizioni e delle culture locali, ha accompagnato la trasformazione del mondo agricolo, prima con la meccanizzazione, poi con la riduzione della percentuale di popolazione che vi si dedica, fino a quote residuali molto minoritarie. La vita nelle città con l’impiego nel terziario e nell’industria ha comportato la uniformizzazione dell’organizzazione della esistenza di milioni di persone. I consumi si sono strutturati in merci standard la cui vendita è stata assicurata dai modelli pubblicitari. La scuola ha ottemperato alla sua funzione massificante con l'appiattimento della formazione e la stereotipia delle informazioni regolata dalla cibernetica. Oggi la virtualità dei mezzi di conoscenza e comunicazione ha generato altre uniformità e modi standard di utilizzare il tempo del lavoro e il tempo libero. Anche in questo caso si può parlare di un fenomeno sottostante che ha determinato la necessità dei nuovi modelli di vita (quello che generalmente definiamo con il termine onnicomprensivo di modernità, e che negli aspetti di crisi e ripensamento hanno dato luogo al cosiddetto fenomeno del post-moderno).
La mia tesi è che dietro questi fenomeni e trasformazioni non ci siano modelli sociali ed economici precostituiti, ad esempio il capitalismo e il socialismo, come si era creduto per tutto il novecento. O gli interessi di grandi nazioni o quelli di forti poteri costituiti, i quali hanno solo fatto il lavoro “sporco” la cui necessità aveva al contrario ben altre cause. Ritengo che queste profonde trasformazioni siano state guidate dall’enorme sviluppo tecnologico che le nuove scienze naturali avevano assicurato a partire dalla fine del settecento e interessato tutto il XIX e XX secolo. Ma soprattutto siano state originate dall’impatto sul pianeta della crescita esponenziale della popolazione umana  generata dalla tecnologia, crescita che   ha imposto    una massificazione dell'organizzazione sociale e della cultura. Tale massificazione   ha interessato tutti gli aspetti delle società umane, dalla guerra, alla morte pianificata, allo sviluppo urbano, al consumo delle risorse naturali, agli stili di vita, al tempo libero, alla visione del mondo. La trasformazione della terra da parte della tecnologia e la sua furiosa crescita di potenza nell’ultimo secolo è stato l’elemento massificante per eccellenza agendo direttamente sul numero di umani, fino a porre a rischio la vita di tutte le specie non umane dapprima, poi dell’uomo stesso. Questa massificazione ha comportato uno sradicamento dell’uomo dalla sua appartenenza ai luoghi e alla terra, alle abitudini e alle tradizioni storiche. Che cosa si deve intendere con il termine massificazione? Essa consiste innanzi tutto in una perdita dell'uomo che viene privato della sua essenza per divenire numero, cosa, oggetto. La perdita di essenza è una perdita di senso. In questo modo l'uomo moderno, sottoposto all'agire tecnico, perde il suo mondo storico: l'uomo moderno è un uomo senza mondo, senza appartenenza. l'assenza diviene assenza di suolo, di fondo e fondamento; perdita di radici, l'impossibilità di fare corpo con la terra, l'espropriazione costitutiva, la spaesatezza, l'eteronomia, il non essere a casa, presso di sé, l'estraneità irriducibile, quella che Marcuse chiamava alienazione. La scomparsa del suolo, del paesaggio tradizionale è qualcosa cui la modernità ci ha assuefatto. La scienza con la sua razionalità senza fine, ripetitiva, numerica, ci ha dato una distanza dal mondo che ci appartiene sempre di meno, serrato in una rete di strutture che lo rendono artificiale e non più naturale.Qui l'aumento numerico degli individui della specie non è che un aspetto di questa realtà artificiale che rende l'esistenza un puro ripetersi, un reiterare all'infinito l'individuo, privato della sua storia e della sua appartenenza per divenire soggetto virtuale e oggetto reale, sottoposto alle leggi di produzione e mercato come tutti gli altri oggetti. Spezzare questo circolo chiuso, questa coazione a ripetere, non può che passare per una interruzione di questa moltiplicazione senza senso cui la tecnica ha portato la nostra specie, a scapito di tutte le altre forme di vita e fuori da ogni rapporto equilibrato con la natura. In particolare questo fenomeno di massificazione ha cominciato ad agire e prodotto le sue conseguenze  sull’europa, la cui identità si è avviata verso l’annichilimento già nella prima metà del novecento (vedi il “Tramonto dell’Occidente” di Spengler, 1923). Ancora bisogna chiedersi: quale è la causa che ha visto l’illuminismo portare allo sradicamento dell’uomo occidentale, alla globalizzazione dei diritti dell’uomo divinizzato a padrone assoluto della natura, proprio nel momento in cui il significato del divino veniva perso e svalorizzato? Le grandi migrazioni attuali non sono che un aspetto di questo sradicamento. Milioni di uomini abbandonano i propri luoghi di origine, le proprie tradizioni, la famiglia  e la propria storia per raggiungere la terra promessa dei prodotti stereotipi replicabili e abbondanti della modernità tecnologica. Vogliono uniformare la propria vita a quella dei modelli dominanti. Spinti in parte dalla fame e dalle guerre, ma anche questi sono aspetti derivati da un eccesso, dalle troppe nascite in luoghi che non hanno risorse. La tecnologia che ha consentito l’eccedenza innaturale ne indica anche la soluzione ugualmente artificiale: la migrazione verso i luoghi in cui la tecnologia e l’economia da essa derivata ne assicura le risorse.  In questo processo di espansione numerica eccessiva  umana quello che perde è la natura, l’ambiente naturale, le altre specie viventi, la salubrità e la bellezza del pianeta. Quello che colpisce in questo sradicamento è questa ossessione moderna della reiterazione, della replicazione, della moltiplicazione, ben rappresentata dal Taylorismo della produzione meccanizzata, dalla catena di montaggio della fabbrica moderna, portata sullo schermo da film come Metropolis o da quelli umoristici di Chaplin. “E perciò si ripete, in un vortice che gira su se stesso, in una eterna ripetizione di un uguale che, tuttavia, viene ogni volta spacciato per nuovo. La ripetizione richiede così una accelerazione per ammantarsi di progresso, per far apparire differente quel che è uguale, nuovo quel che è vecchio, sul modello della cronaca giornalistica, paradigma di questo eterno ritorno, che promuove la fase finale a stato permanente, e prolunga la fine in una durata senza fine.  Il progresso, in tutti i suoi possibili travestimenti, è l’idolo. Nell’assenza della decisione il progresso protrae il crepuscolo. Non c’è nulla di peggio di questo protrarsi senza fine del crepuscolo. Perché come può venire il giorno, se è preclusa la notte? “ (M. Heidegger - Schwarze Hefte).
Ora quello che Adorno chiamava la ragione astratta , Marcuse l’uomo ad una dimensione, Jonas l’asservimento tecnologico della natura, è in realtà lo stesso concetto di massificazione dell’uomo, della sua riduzione a numero, del suo completo annichilimento in quanto essenza umana (nel senso naturale del termine) alla grande macchina della società moderna della produzione e della ri-produzione stereotipa e massificata secondo procedure che, dietro l’apparenza di una libertà fittizia, sradicano l’uomo dalla sua appartenenza alla natura.
Questo processo di annichilimento dell’uomo ha la sua orrenda simbologia nella shoah del popolo ebraico degli anni 1940-1945. Come, ugualmente terribile nel suo significato simbolico, fu l’annientamento degli innocenti abitanti di Hiroshima e Nagasaki in un millesimo di secondo in seguito all’esplosione delle due prime bombe nucleari, altro simbolo dello strapotere tecnologico e della riduzione dell’uomo a uomo-massa, a simbolo e mezzo. Ciò che importava nella distruzione delle città giapponesi non erano ragioni strategiche o tattiche militari. Si trattava invece di dare la notizia della distruzione e della morte istantanea di centinaia di migliaia di persone, a scopo psicologico. Effetto che le due bombe atomiche ottennero con facilità. Anche la morte è tecnologizzata e può essere ottimizzata per grandi numeri, come qualsiasi altro prodotto. Ma l’aspetto più drammatico  di questo destino del pianeta terra è quel che è avvenuto dopo, dal ’45 ai giorni nostri. L’annichilimento dell’essenza dell’uomo è passato dalla simbolizzazione alla realizzazione sostanziale. Dal genocidio di milioni di ebrei, dalla carbonizzazione nucleare istantanea di centinaia di migliaia di persone,  e dallo strapotere della tecnica, la massificazione ha trovato la sua piena realizzazione nella spaventosa moltiplicazione del numero di umani, nella sovrappopolazione che ha portato alla devastazione ambientale e alla perdita di ogni senso della vita umana. Tutto è conchiuso nel ciclo produzione-consumo, la vita del singolo è divenuta stereotipo ripetibile all’infinito secondo uno schema che tende ad abolire ogni differenza e a pianificare tutta l’esistenza all’interno del ciclo suddetto. Quello che in passato era il fascino della differenza e della scoperta oggi non ha più senso. Dietro una assurda metafisica dei diritti assoluti di Homo si assiste ad un pareggiamento livellante di ogni esistenza che deve essere simile ai prodotti industriali: replicabile, priva di difetti (differenze), delocalizzata (sradicata da ogni appartenenza), intercambiabile, inserita nel mercato cioè nel nuovo assoluto orizzonte di significato per ogni oggetto naturale, sia esso un paesaggio, una casa, un animale, un automobile, un viaggio, e infine l’uomo stesso. Questa massificazione svuota l’essenza stessa dell’uomo. Paradossalmente, uno dei paradossi cui la modernità ci ha abituato, questo annientamento di umanità ha il nome di “umanismo” o –con termine attuale- “antropocentrismo”.
Jonas si richiama al principio di Responsabilità verso la natura per porre un freno alla visione antropocentrica di possesso umano del cosmo. L’umanismo, dietro l’apparenza della difesa dei diritti assoluti di Homo nasconde il pericolo mortale della perdita dell’uomo stesso   nella massa umana priva di senso. Nel nostro mondo di sette miliardi di umani ci avviamo ad un trionfo della uniformizzazione degli stili e dei prodotti, pur nella loro apparente varietà, in quanto il ciclo produzione e vendita deve essere ottimizzato per un mercato di massa composto da sette miliardi di consumatori-fruitori. In questa massificazione le megalopoli assumono il ruolo di macchina di realizzazione pratica e di retroterra culturale e idelogico di questo umanismo tecnologizzato. I luoghi si trasformano in “mondo artificiale” dove gli umani sono irrigimentati in vite stereotipe simili dalla nascita alla bara. La nascita e la morte divengono prodotti commerciali, la pietas umana ancora viva nei piccoli paesi, diviene fredda assistenza tecnologica nelle sale parto e nelle sale di rianimazione dove i numeri sostituiscono i nomi delle persone. Si abita in spaventosi agglomerati di cemento, ci si muove su nastri di asfalto, si consuma tutti le stesse cose prodotte da sistemi automatizzati e inculcati nelle coscienze come necessità con stereotipie pubblicitarie simili in tutto il pianeta. L’offerta uniforme è mascherata dalla varietà delle apparenze esteriori. A questo scopo si veda il prodotto auto: sempre più la struttura base e la motorizzazione è uniformata da produttori centralizzati che lavorano per vari marchi; alla struttura base, uguale per tutti a seconda dei modelli, viene sovrapposta la carrozzeria provvista di varianti esteriori che assicurano la multiformità apparente contrapposta ad una sostanziale uniformità di struttura. Questo vale per molti prodotti e addirittura per la vita umana stessa, sempre più uniforme nella sua organizzazione di base, su cui poi si inseriscono le varianti come hobby, tempo libero, appartenenza sportiva, politica ecc.  Più aumenta il numero di umani più la vita individuale perde senso e diviene pura replica. La virtualità delle comunicazioni lasciano le apparenze di una libertà e di una ricchezza di esperienze che in realtà è una ripetitiva procedura tecnologica. I viaggi, una volta sinonimo di scoperta di nuove culture  e possibilità, quando la terra aveva ancora aspetti inesplorati o poco conosciuti,  divengono oggi prodotto di consumo di massa, turismo commerciale. Ogni angolo del pianeta è esplorato e trasformato in prodotto di consumo. Le differenze tra i vari luoghi e le varie culture tendono ad appiattirsi e a scomparire man mano che avanzano le megalopoli e i processi di urbanizzazione massiccia delle popolazioni. Le foreste, le montagne, i laghi, i parchi naturali sono prodotti preconfezionati e venduti a pacchetti commerciali. Gli animali in via di estinzione vengono mantenuti in vita al solo scopo di sfruttamento commerciale (quando mancherà la convenienza economica, si lasceranno estinguere). Ogni aspetto della realtà diviene fruizione, e siccome la realtà non basta si crea una iper-realtà virtuale che consenta di moltiplicare la fruizione e il consumo per la massa di sette miliardi di consumatori. Tutto questo sta corrodendo dall’interno la cultura occidentale e ne sta decretando il tramonto. Insieme alla fine dell’occidente si assiste alla massificazione della cultura mondiale, all’emergere di nuove potenze che cavalcano la modernità meglio della vecchia Europa. Lo sfrenato processo di massificazione non è più, come nel dopoguerra, prerogativa delle potenze emerse dal conflitto, Usa e Russia sovietica. Oggi lo stesso schema lo stanno applicando, in maniera ancora più “violenta” la Cina e l’India o il Brasile in sud america,  in via di forte sviluppo, come è già accaduto con l’asia e il Giappone. L’espansione cinese in Africa con l’edificazione di città fatte di grattacieli pronti ad essere riempiti di nuove famiglie in crescita numerica, di strade e infrastrutture e la conseguente  distruzione delle foreste e delle savane, degli ambienti naturali e l’estinzione di animali selvaggi, per essere sostituiti da megalopoli e umani che reiterano se stessi, è un esempio di questo processo massificante ormai planetario.

domenica 19 aprile 2015

La causa delle stragi di migranti

400 morti, poi 150, poi oggi 700 morti nel canale di Sicilia. Si susseguono le stragi di migranti, di chi cerca clandestinamente di sbarcare in Italia e in Europa. Tutti innalzano al cielo giaculatorie: è colpa dell'Europa, è colpa dei trafficanti, è colpa del sistema capitalistico, è colpa delle diseguaglianze. A ruota si innalzano i corifei dell'accoglienza: bisogna accogliere, più accoglienza, più risorse da destinare ai migranti, più solidarietà. Anche noi siamo stati migranti...si ma dove? Verso l'America del nord e l'America del sud cioè verso terre spopolate che avevano grandi opportunità di sviluppo ed ampi spazi da antropizzare. Oggi l'emigrazione di proporzioni mai viste in precedenza nella storia avviene verso un'Europa e una Italia già sovrappopolata, cementificata, devastata dalla espansione di città, strade, infrastrutture, capannoni, zone industriali, discariche, porti, areoporti, ferrovie e via antropizzando. Tra l'altro imperversa una crisi economica strutturale che sta rapidamente impoverendo il nostro paese e tutta l'Europa. Il territorio italiano ed europeo è ormai saturo e la pressione antropica ha raggiunto livelli che non ha eguali nel mondo se non in certe aree della Cina e dell'India. Questo è il fenomeno. E tuttavia l'analisi delle cause del problema rimane nei commenti della stampa, dei governi, dei politici e persino degli esperti, ad un livello estremamente superficiale. La colpa di tutto questo sarebbe delle guerre, dei conflitti di religione, della povertà e dei trafficanti di esseri umani. Tutto vero, se non che queste sono cause che possono spiegare solo in minima parte il fenomeno migrazione. Esso è talmente epocale e generalizzato che le cause locali non spiegano la vastità del fenomeno. Anche perché guerre e povertà ci sono sempre stati negli ultimi secoli, e ciononostante non era mai avvenuto nulla di simile. Neanche i cambiamenti politici o gli interessi geo-strategici possono spiegare la vastità del fenomeno. Eppure capire la causa di fondo di esso non richiede ragionamenti complessi né la mente particolarmente attrezzata di un Einstein o di un premio Nobel. Vi è invece una resistenza ad ammettere la vera causa perché ciò configge con i diritti assoluti di cui l'uomo si ritiene depositario. Quei diritti assoluti con cui giustifica il superamento di ogni limite alla sua presenza sulla terra, nell'ottica di quell'antropocentrismo che considera l'uomo il padrone assoluto del cosmo con il diritto di farne quello che vuole a suo esclusivo interesse e piacimento. La causa di queste migrazioni è semplice, e attingibile mediante un ragionamento elementare, comprensibile da chiunque. All'origine delle massicce migrazioni in atto vi è l'esplosione demografica che da molti decenni sta interessando le aree di origine di queste migrazioni, una esplosione che non ha avuto nessun tipo di controllo e ancor meno di contrasto efficace con politiche di riduzione della natalità con la procreazione consapevole e le tecniche di controllo delle nascite. Se in quelle zone la media del numero dei figli per ciascuna donna è di 7-12, quando già per un solo figlio ci sarebbero difficoltà di alimentazione, di trovare un lavoro e di autosufficienza economica, è ovvio che con quei tassi di natalità si creano milioni di potenziali migranti. L'esplosione demografica senza precedenti in aree geografiche arretrate e prive di risorse ambientali ed economiche per poter supportare una esistenza dignitosa, lavoro, assistenza, sviluppo, istruzione e formazione, in maniera da dare una prospettiva di vita accettabile e di benessere, ha condotto così milioni di persone alla scelta di rischiare vita , beni, appartenenza, e mettersi in gioco e salire su un barcone malconcio cercando una nuova terra in cui poter trovare quello che la propria terra non può dargli. Le migrazioni e le tragedie cui stiamo assistendo quotidianamente derivano dal nostro disinteresse verso una politica di controllo demografico che andava associata come condizione preliminare agli aiuti per lo sviluppo di quei territori in preda alla arretratezza economica e culturale.Qui le colpe dell'occidente sono enormi. Non c'è solo il ritardo culturale delle popolazioni e dei governi locali in Africa e in Asia o in medio oriente. Molto di questo cecità verso il contenimento demografico deriva dalle nostre ideologie e religioni pro-nataliste, dalla nostra visione antropocentrica dei diritti umani assolutizzati rispetto alla natura, e anche, non per ultimo, dagli oscuri interessi di gruppi finanziari e produttori multinazionali con l'obiettivo di espandere il mercati e la platea di produttori- consumatori. Eppure di questa causa di fondo del processo migratorio e dei danni umani e ambientali senza precedenti cui stiamo assistendo, nessuno parla. Nessuno vuole vedere. Meglio prendersela con i trafficanti, o con la scarsa propensione all'accoglienza. In questa maniera si tenterà di curare il cancro con l'aspirina, e il processo di migrazione di massa aumenterà esponenzialmente nei prossimi anni, portando al collasso ecologico e ambientale il residuo territorio europeo già sovrappopolato e inquinato, con tassi di cementificazione ormai ai vertici del pianeta.

sabato 11 aprile 2015

Weinberg Foundation: manifesto per il si al nucleare


(In alto una centrale Areva di ultima generazione)

La Cina ha recentemente affidato alla multinazionale francese Areva la costruzione di due reattori a fissione di ultima generazione a Taishan in Cina. Ma anche la Gran Bretagna e gli Stati Uniti con Obama stanno costruendo nuove centrali. Senza parlare di India e Brasile che portano avanti il programma nucleare senza interruzione. In Europa solo la Germania ha decretato una moratoria di 20 anni, ma il dibattito è aperto. Ovviamente l'Italia, patria di tutte le demagogie, si è più volte pronunciata contro la costruzione di nuove centrali, nonostante che i suoi tecnici proseguano le ricerche sperimentali sulle ultime generazioni di reattori. Ma il discorso è prossimo a riaprirsi anche nell'Europa del politicamente corretto. Le potenzialità delle rinnovabili hanno mostrato tutti i limiti economici  e le insufficienze di produzione. Il petrolio e il gas estratto con il fracking, insieme alla crisi economica, stanno tenendo bassi i prezzi degli idrocarburi e le immissioni di carbonio in atmosfera continueranno a ritmi molto alti nei prossimi anni. La popolazione mondiale inoltre cresce oltre le aspettative e le richieste di energia aumenteranno esponenzialmente. Per salvare il pianeta dal surriscaldamento non c'è che il nucleare ad emissioni zero. E ci dovremo ricredere sul nucleare anche noi italiani tanto propensi a cullarci nelle illusioni dei verdi sulle rinnovabili. 
Su questi temi riporto qui di seguito il recente manifesto pro-nucleare della Weinberg Foundation, organizzazione privata interessata allo sviluppo delle aree economicamente arretrate del pianeta:




Il Manifesto della Weinberg Foundation in favore del nucleare

 Perché meglio il nucleare?

Immaginate una fonte di energia che è 1.000.000 volte a più alta densità energetica rispetto al carbone, che è sicuro, che ha una fornitura pressoché inesauribile di combustibile, e che non emetta gas serra in grado di destabilizzare il nostro clima, non inquinanti per la nostra aria, e senza emissioni di  CO2 che vadano ad acidificare i nostri oceani. Questa è la promessa di un uso esteso della energia nucleare.

Purtroppo questa promessa è stata solo in parte soddisfatta. Alla Alvin Weinberg Foundation  crediamo che un programma completo, urgente ed esteso di costruzioni di centrali ad energia nucleare darà all'umanità un percorso praticabile per una produzione abbondante, pulita e conveniente di energia, in grado di sostenere le necessità mondiali di energia senza mettere a rischio la sopravvivenza  del pianeta.

Mentre il mondo entra nella "terza ondata" di industrializzazione, in presenza di una crisi economica che ha rallentato lo sviluppo tecnologico , avremo bisogno di energia nucleare avanzata per garantire il nostro approvvigionamento energetico, salvaguardare il nostro clima, e mantenere la nostra aria pulita.

Il nucleare offre molti vantaggi rispetto ai combustibili fossili e le attuali tecnologie di energia rinnovabile:

L'energia nucleare è l'energia a emissioni zero

Il nucleare non emette anidride carbonica o altri inquinanti atmosferici, a differenza impianti a combustibile fossile che emettono forti quantità di  inquinanti nell'atmosfera (CO2, particolato, prodotti solforosi, ecc.). Il Laboratorio sull’ Energia della US National Renewable ha calcolato che il nucleare assicura una emissione di inquinanti vicina allo zero come nelle attuali tecnologie di energia rinnovabile, per tutta la durata dell'impianto.

Affidabile potere di produrre energia con un costante "carico di base"

Gli impianti nucleari forniscono  energia pulita in maniera costante senza interruzioni perché possono operare in modo continuativo, a differenza delle energie rinnovabili che spesso dipendono nella loro produttività  dalle condizioni atmosferiche particolari, e quindi richiedono una protezione di “back-up” da combustibili fossili. Durante il Vortice Polare senza precedenti negli ultimi mesi del 2013, le maggiori necessità energetiche sono state assicurate dalle centrali nucleari americane che hanno prodotto più energia aumentando la fornitura cheil carbone e il gas naturale non è riuscito a produrre. L'affidabilità del nucleare significa anche questo: che il nucleare può facilmente sostituire la produzione energetica delle inquinanti centrali elettriche a carbone che in genere assicurano la produzione base.

La più sicura di tutte le fonti energetiche

Per unità di energia elettrica, l'energia nucleare è la più sicura di tutte le fonti energetiche. I Reattori di nuova generazione, progettati utilizzando le più recenti risorse della tecnologia, sono intrinsecamente sicuri. Le Centrali nucleari moderne emettono meno radiazioni rispetto 'background' della radiazione cosmica, ed espongono le persone nell’arco della vita di un uomo a molto meno radiazioni rispetto a un solo  tipico volo transatlantico. Un recente articolo di scienziati della NASA ha scoperto che l'energia nucleare ha salvato 1.840.000 vite dall'inquinamento atmosferico dovuto ad altre fonti evitato, e che la costruzione di più reattori potrebbero salvare 7 milioni di vite entro il 2050

Potenza per l'umanità

I fatti sono chiari: fino a un certo punto, più energia per persona porta ad un miglioramento della qualità delle vite umane. Man mano che i  i paesi fanno uscire sempre più persone dallo stato di povertà   estrema, la domanda di energia continuerà ad aumentare. Ci si aspettano grandi richieste in futuro dai paesi in via di sviluppo.  La US Energy Information Administration prevede che il consumo mondiale di energia aumenterà del 56% 2010-2040. La domanda globale di energia nelle economie emergenti e in via di sviluppo saranno quasi il doppio rispetto al periodo attuale. Senza l'energia nucleare, quasi tutto di quella nuova domanda sarà soddisfatta da combustibili fossili, avviando ancora di più il pianeta  alla catastrofe ambientale. In pratica, l'energia nucleare è l'unica fonte di energia a zero emissioni di carbonio in grado di sostituire il carbone inquinante per la produzione di elettricità. La Decisione della Francia nel 1970 di aumentare massicciamente la sua produzione di energia nucleare ha abbassato drasticamente le proprie emissioni di carbonio pro capite, e il paese ha ora l'aria più pulita in Europa. Senza contare l’indotto economico dovuto allo sviluppo della tecnologia. L’impresa francese Areva costruisce centrali in tutto il mondo (due di ultima generazione sono attualmente in costruzione a Taishan in Cina).

Densità di energia

L'energia nucleare è la fonte di energia a più alta densità nota: quando utilizzato in un reattore veloce, 1 grammo di uranio contiene più energia di 1 tonnellata di carbone!

Combustibile praticamente inesauribile

Sorprendentemente, i reattori nucleari di nuova generazione ci permettono di produrre  lo stesso  combustibile con cui funzionano. I nuovi reattori a prestazioni Avanzate veloci , che funzionano con acceleratori guida,   sono in grado di  convertire  i minerali di torio e uranio poco radiativi  in carburante, dando all'umanità una fornitura pressoché illimitata di energia pulita.

"Scorie" non devono essere rifiuti

L'energia nucleare produce alcuni rifiuti, come tutte le fonti di energia, ma rispetto ad altre fonti di energia, i volumi sono minimi - e tutti i rifiuti che si producono possono essere  strettamente controllati e smaltiti. C'è un modo sicuro di riciclaggio  con cui un  "rifiuto" nucleare puo contribuire a produrre  altra energia pulita. I nuovi Reattori veloci sono in grado di abbattere i rifiuti nucleari più fastidiosi (a lunga durata)  e convertirli in combustibile per nuova energia elettrica pulita.

Flessibilità

Quasi tutti gli impianti nucleari sono progettati per generare energia elettrica; ma i reattori possono essere progettati per la produzione di calore ad alte temperature. Questo calore può essere utilizzato per i processi industriali  di produzione o di trasformazione  o anche per impianti di desalinizzazione economici   per produrre abbondante acqua fresca e pulita.

(Alvin Weinberg Foundation - 2015)

martedì 7 aprile 2015

Un primo stop al cemento in Toscana

La Toscana è sotto attacco. La cementificazione avanza a passi rapidissimi e molti comuni che hanno i centri storici abbandonati con edifici in rovina concedono  nuove licenze edilizie su suolo verde piuttosto che far ristrutturare gli edifici già esistenti, risparmiando terreno vergine. Questo comportamento è in parte dovuto agli interessi dei costruttori e delle banche (anche quelle locali). Ma in gran parte è dovuto al fatto che sulle nuove edificazioni edilizie e sulle infrastrutture lucrano i comuni che possono imporre nuove tasse e pagare interventi con denaro privato.   L'assessore all'Urbanistica e alla pianificazione del territorio della giunta uscente della Toscana, Anna  Marson ha cercato di contrastare la cementificazione di un territorio con i paesaggi tra i più belli del mondo. Sua è la lotta per l'approvazione di un piano paesaggistico per cercare di contrastare la devastazione del paesaggio toscano. Se pur tra molte modifiche peggiorative imposte dalla politica dei soliti interessi privati e tra alcune marcie indietro, il Piano paesaggistico è stato finalmente approvato e può certamente essere considerato un primo passo per un cambio di rotta che dovrebbe interessare un po' tutte le regioni italiane. Riporto qui di seguito l'articolo dell'Assessore pubblicato sul sito eddyburg.it.




Toscana. Lo scontro tra interesse pubblico e interessi privati non è finito

di AUTORE:ANNA MARSON   28 Marzo 2015
250  20
Intervento  al Consiglio Regionale dopo il voto di approvazione del Piano Paesaggistico della Regione Toscana, 27 marzo 2015. Senza peli sulla lingua.


1. Il voto di approvazione di un piano paesaggistico ancora definibile tale, intervenuto oggi nel penultimo giorno utile della legislatura dopo un lunghissimo dibattito dentro e fuori le sedi istituzionali, è l’esito di un assai ampio coinvolgimento pubblico nel merito delle scelte che la Regione Toscana si apprestava a compiere, e di una straordinaria mobilitazione culturale e socialein difesa del Piano paesaggistico.

Le prove che questo piano ha dovuto affrontare, nella sua natura di strumento portatore di innovazione culturale e normativa, non sono state facili.

Anche se la portata storica dell’evento è chiaramente incommensurabile, mi permetto di richiamare le parole di Calamandrei sull’esito della scelta repubblicana dell’Italia (Il Ponte, luglio-agosto 1946), sul cui cammino “non sono mancati i diversivi che miravano a mandare in lungo la partita, i tranelli preordinati a far perdere la serenità al giocatore meno esperto, e qualche svista pericolosa e, purtroppo, qualche tentativo di barare…Proprio di queste vicende bisogna tener conto per comprendere quanta fermezza e quanta resistenza morale sono state necessarie …per conseguire questa vittoria e per apprezzarne il valore... [in questo caso si è]dovuto superare imboscate e tradimenti che l’osservatore superficiale nemmeno sospetta”.

Nel caso del piano paesaggistico le “imboscate” non sono derivate da un conflitto fra ambiente e sviluppo, come molti hanno sostenuto, ma tra interessi collettivi e interessi privati.

Ciò è testimoniato dal fatto che chi si è mosso a difesa del piano, come le associazioni ambientali e culturali, e molti autorevoli studiosi, non rappresenta in questa vicenda interessi particolari o privati. Mentre tutti coloro che a vario titolo hanno sollevato richieste di modifiche del piano l’hanno fatto mossi da interessi privati finalizzati al profitto, mascherato da occupazione e sviluppo.

E devo dare atto alle rappresentanze dei lavoratori - alla CGIL in particolare ma anche da alcuni rappresentanti della CISL - di avere individuato con grande chiarezza come ambiente e paesaggio costituiscano oggi, a fronte dei cambiamenti in corso e di quelli che si annunciano, due poste in gioco rilevanti per l’interesse collettivo, a partire dall’interesse dei lavoratori e di chi è in cerca di occupazione.

Ritengo quindi utile ripercorrere, sia pur in grande sintesi, alcuni dei passaggi salienti del percorso di piano che portano ulteriori evidenze a questo riguardo.

2. La procedura del piano e le imboscate subite

Il presidente della commissione consiliare nel citare gli emendamenti apportati in commissione ha più volte parlato di “grande lavoro rispetto cui non si può tornare indietro”.

Che dovremmo allora dire relativamente al lavoro di costruzione del piano, alla lunga e continua contrattazione istituzionale e sociale (anche in un clima di linciaggio personale di cui sono stata ripetutamente oggetto)[1], al lavoro di controdeduzione alle osservazioni presentate per arrivare a un testo equilibrato nel tenere in conto i diversi interessi legittimi?

La formazione del piano e' stato un atto quanto mai collettivo.

Il piano cosiddetto “Marson” è infatti frutto:
a) di un atto di indirizzo approvato dal consiglio regionale nel 2011;
b) di una approfondita fase di elaborazione scientifica affidata al Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio delle 5 principali università toscane anziché a una ditta privata o a una elaborazione interna dei soli uffici (che non avevano le forze per condurre un compito di questa portata, anche in seguito alla soppressione del settore paesaggio all’inizio della legislatura e alla sua lenta e faticosa ricostituzione nel corso dei successivi tre anni);
c) di uno straordinario impegno dei funzionari del settore paesaggio, anche con molte ore di lavoro non retribuite, nel costruire la proposta di piano;
d) di numerose assemblee pubbliche di approfondimento e discussione che hanno accompagnato le fasi di formazione del piano nei diversi ambiti del territorio toscano;
e) di una lunga e ripetuta concertazione con attori pubblici (ANCI, Consiglio autonomie, comuni, sovrintendenze, Ministero) e del confronto con attori privati (ordini professionali, associazioni sindacali e imprenditoriali, ecc) ;
f) di una validazione tecnica preliminare da parte del Mibact sul lavoro complessivo (dicembre 2013);
g) di due successive proposte di piano approvate dalla giunta (gennaio e maggio 2014);
h) di un esame in sede di più commissioni consiliari (ne ricordo almeno cinque) che ha portato all’adozione, con emendamenti, il 2 luglio 2014;
i) del lavoro di controdeduzioni che ha portato al voto unanime della Giunta il 4 dicembre 2014.

Sfido tutti coloro che hanno dichiarato in aula, rivolti alla giunta, che “s’è perso tempo”, a trovare un esempio di piano paesaggistico regionale copianificato con il Mibact che abbia concluso questo percorso in un tempo più rapido.

E ciò nonostante – per non citare che i due esempi più significativi - una ricerca di regole condivise con i sindaci delle Apuane interessati dalle attività di escavazione durata più mesi, e un tavolo con i rappresentanti di categoria delle associazioni agricole protrattosi con incontri quasi quotidiani per settimane.

Se nel caso delle associazioni agricole ciò a portato, pur con perdite significative dei contenuti del piano (quali la sparizione di gran parte dei riferimenti alla “maglia agraria”, di ogni citazione della parola “vigneti”, e di tutti i riferimenti al “mantenimento delle attività agrosilvopastorali montane per arginare i processi di abbandono”), a una sostanziale condivisione del testo, nel caso delle Apuane sia la modifica della prima proposta di giunta che gli emendamenti introdotti dal consiglio in fase di adozione non hanno sancito la fine delle ostilità né delle interferenze anche pesanti rispetto ai contenuti del piano e alla procedura istituzionalmente definita per la sua approvazione.

Abbiamo così assistito, in commissione consiliare, al voto di emendamenti non coerenti con i contenuti propri di un piano paesaggistico, a diverse e articolate trattative politiche non con le rappresentanze istituzionali delle imprese ma con alcune imprese, alla partecipazione di consulenti delle imprese del marmo alla scrittura degli emendamenti nelle stanze del Consiglio regionale, alla sparizione dal Piano di tutti i riferimenti alle criticità di luoghi specifici che disturbavano qualcuno che aveva modo di far sentire la propria voce, e così via. Tutte le tipologie degli emendamenti proposti in commissione sono state ispirate a un unico principio: depotenziare l’efficacia del piano.

A titolo esemplificativo:
- nelle Apuane sono state cancellate tutte le criticità relative a specifiche aree interessate dalle escavazioni;
- molte criticità paesaggistiche evidenti sono state trasformate in forma dubitativa;
- un emendamento si proponeva addirittura di specificare che le criticità costituivano valutazioni scientifiche delle quali i piani urbanistici “non dovevano tenere conto”;
- nelle spiagge si intendevano ammettere adeguamenti, ampliamenti, addizioni e cambi di destinazione d’uso;
- la dispersione insediativa, anziché da evitare, era al massimo da limitare o armonizzare;
- la salvaguardia dei varchi inedificati nelle conurbazioni andava cancellata, o anch’essa “armonizzata”;
- le relazioni degli insediamenti con i loro intorni agricoli sono state soppresse;
- l’alpinismo in Garfagnana andava soppresso;
- gli ulteriori processi di urbanizzazione diffusa lungo i crinali non erano da evitare bensì da armonizzare;

e così via.

Ciò ha prodotto, come esito del lavoro della commissione consiliare, la riscrittura di molti contenuti sostanziali del piano, rovesciandone in più parti gli obiettivi, depotenziando la valenza anche normativa del piano adottato, e contraddicendo sia il Codice dei beni culturali e del paesaggio che la nuova legge regionale in materia di governo del territorio in vigore dal novembre 2014.

Soltanto la verifica in extremis con il Mibact, con il quale il piano va necessariamente copianificato anche per dare attuazione alle semplificazioni che da esso discendono, dovuta anche alla luce del verdetto ricevuto a suo tempo sull’integrazione paesaggistica del PIT adottata dalla Regione Toscana nel 2009, ha portato con un grande sforzo da parte di tutti i soggetti coinvolti, e del Presidente Rossi in prima persona, a recuperare almeno in parte alcuni dei contenuti essenziali che permettono di qualificare questo piano come “piano paesaggistico”.
Non posso che concordare con chi ha definito questa retromarcia imbarazzante. Lo è senza dubbio per l’immagine arretrata, riflessa da alcuni rappresentanti eletti, della società toscana (smentita invece dalla moltitudine di cittadine e cittadini che si sono espressi in difesa del piano). Lo è per chi, come me, ha creduto nel federalismo, non quello della riforma del Titolo V della Costituzione operata all’inizio del nuovo millennio oggi peraltro ripudiata dagli stessi autori, ma quello auspicato da Carlo Cattaneo e da Silvio Trentin.

In questo caso devo tuttavia riconoscere che l’intervento del Ministero ha contribuito a salvare parti significative del piano. Grazie in particolare all’impegno della sottosegretario Borletti Buitoni, oltre a quello del ministro Franceschini intervenuto anch’esso in prima persona. Al di là di tutto ciò, e alla fine di questo tormentato percorso, credo di dover evidenziare come il conflitto attivatosi intorno al piano - non fra ambiente e sviluppo, ma tra interessi collettivi e interessi privati - sottenda in realtà due diverse accezioni di sviluppo.

3. Due concezioni dello sviluppo contrapposte. Chi è passatista?

Gran parte delle modifiche proposte e in parte apportate al piano attraverso gli emendamenti, sono ispirate da una lettura del Piano inteso come insieme di vincoli/freno allo sviluppo e alla libertà d’impresa: meno vincoli più sviluppo, più vincoli meno sviluppo.

Lo sviluppo è dunque inteso come tutela delle libertà d’uso e sfruttamento del territorio da parte delle imprese economiche, soprattutto da parte delle grandi imprese (multinazionali del vino e del marmo, del turismo, ecc), oltre alla tutela del continuare a fare ognuno “come ci pare”.

I soggetti presi a riferimento non sono certo i viticoltori artigiani di qualità, piuttosto che le botteghe di trasformazione artistica del marmo, per non citare che due esempi fra i molti possibili, in una “compressione della rappresentanza” rispetto alla complessità crescente del mondo produttivo. La rappresentanza dei grandi interessi finanziari, travestiti da interessi per lo sviluppo, è l’unica ad essere di fatto garantita.

Ma questo modello di sviluppo non è forse alla base della crisi economica che stiamo vivendo?

Il tentativo di affossamento del valore normativo del Piano paesaggistico è peraltro coerente con l’ideologia che esalta i processi di privatizzazione e centralizzazione dei processi economici e politici, in molti casi peraltro sostenuti da finanziamenti pubblici, come unica via d’uscita dalla crisi.

In questa monodirezionalità degli emendamenti votati in commissione è stato peraltro negato lo spirito stesso del Codice.

Laddove il Codice richiede che il Piano si interessi di tutto il territorio regionale, si chiede infatti, di conseguenza, un cambio dalla centralità dai vincoli (prescrizioni che riguardano i soli beni paesaggistici formalmente riconosciuti) alle regole di buon governo per tutto il territorio, compresi quindi i paesaggi degradati, le periferie, le infrastrutture, le aree industriali, gli interventi idrogeologici, gli impianti agroindustriali, ecc); dunque regole per indirizzare verso esiti di maggiore qualità le trasformazioni quotidiane del territorio, e non solo preservare i suoi nodi di eccellenza.

La stessa cura a migliorare la qualità paesaggistica di tutto il territorio regionale è richiesta come noto dalla Convenzione europea del paesaggio, che parla di attenzione ai mondi di vita delle popolazioni);

I piani paesaggistici di nuova generazione fanno dunque riferimento a un diverso e innovativo modello di sviluppo che vede la centralità della valorizzazione del patrimonio territoriale e paesaggistico nella costruzione di ricchezza durevole per le comunità. Non certo per rinunciare al manifatturiero, e nemmeno all’escavazione del marmo, ma per far convivere queste attività con altre possibilità imprenditoriali, a partire da un patrimonio territoriale che ne renda possibile e realisticamente fattibile lo sviluppo.

Come ha scritto recentemente un ex sindaco, Rossano Pazzagli, a proposito delle prospettive dell’attività turistica, “fare turismo…è perseguire un turismo non massificato, di tipo esperienziale…Chi vuole riaprire le coste alla cementificazione…finirà per danneggiare lo stesso turismo balneare, che va in cerca di paesaggio, di spiagge, di pinete e di sole, non di qualche pezzo di periferia urbana in riva al mare.”

Non solo le Apuane, uniche al mondo, ma lo stesso marmo apuano, meriterebbe di essere a tutti gli effetti considerato come una risorsa preziosa, e valorizzato di conseguenza restituendo alle comunità locali gran parte del valore aggiunto che va invece ad arricchire singoli individui, distruggendo per sempre le montagne.

Sono soltanto alcuni esempi, che tuttavia testimoniano come il piano ponga le basi per rendere possibile un diverso sviluppo, basato non sulla distruzione del patrimonio regionale ma sulla sua messa in valore sostenibile per la collettività e il suo futuro. Il Presidente Rossi ha dichiarato che sarei “un grande tecnico… che quando esprime giudizi politici compie scivoloni pericolosi”.

Da questo punto di vista io rivendico invece il mio agire “diversamente politico”, in quanto non guidato dal desiderio di mantenere un incarico di assessore, né dall’obbligo di restituire favori e accontentare interessi specifici. In questi anni ho cercato di garantire nel modo più degno possibile, nel ruolo che ho avuto l’onore e l’onere di ricoprire, la straordinaria civiltà tuttora profondamente impressa nel paesaggio toscano, pur nella complessità delle sfide sociali, economiche e politiche che hanno interessato nel passato e interessano ancor più oggi questa regione.

4. In conclusione è con un sentimento contradditorio che accolgo questo voto del Consiglio:

-da una parte la soddisfazione per il fatto che il proposito di rendere inefficace un progetto assai avanzato per la a Toscana futura abbia dovuto in parte rientrare grazie alla forte mobilitazione culturale e sociale in difesa del piano, e per il ravvedimento finale del principale partito di maggioranza;

-dall’altra il rammarico per il fatto che il percorso di questo piano sia stato costellato da cedimenti, contraddizioni, indebolimenti che hanno ovviamente lasciato il segno nel corpo del piano stesso.

Non mi sento pertanto di fare alcuna celebrazione clamorosa, né retorica, di questo esito. Raggiungere questo risultato è stato difficile e aspro, né sono state risolte tutte le contraddizioni.

Spero tuttavia che l’alto livello di mobilitazione attivatosi a livello regionale e nazionale intorno a questo piano e all’allarme sul rischio del suo annullamento, serva a mantenere alta l’attenzione intorno all’interpretazione che quotidianamente, nei giorni e negli anni a venire, sarà data del piano stesso e dei suoi contenuti.

E a favorire la realizzazione di un Osservatorio regionale del paesaggio, già previsto dalla LR65/2014 e da attivare nei prossimi mesi, che sappia garantire una forte partecipazione sociale, facendo entrare il paesaggio a pieno titolo fra gli obiettivi dello sviluppo regionale volti ad aumentare il benessere delle popolazioni presenti sul territorio.




1Pol Pot in Toscana, l’accusa di voler espiantare i vigneti per rimettere le pecore (messa anche in bocca a sindaci con i quali ho collaborato fattivamente per gran parte della legislatura), i soldi al marito (che ha lavorato gratuitamente con gli altri professori universitari che hanno collaborato al piano), gli insulti per essere straniera in Toscana, essendo nata a Treviso, gli ambientalisti in cachemire citati ancora ieri in Consiglio regionale, i professori che vivono nell’agio mentre i consiglieri regionali soffrono nelle montagne (dimenticando che in Italia i professori universitari sono retribuiti quanto un bidello svizzero ma in questo piano hanno per scelta lavorato gratuitamente, mentre gli assegnisti sono stati retribuiti mille euro al mese) e così via.