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domenica 27 ottobre 2019

Alle origini del pensiero ambientalista: Hans Jonas

Il nuovo pensiero ecologista ebbe le sue premesse in Europa nella prima metà del 900. Fu poi ripreso in America dai primi ambientalisti i quali avevano denunciato l'enorme crescita della popolazione umana e il pericolo che l'esplosione demografica dell'uomo costituiva per l'ambiente e le altre specie viventi. Poi era avvenuto un profondo rivolgimento dell'ambientalismo, caduto in mano ad ideologhi interessati più al discorso politico anti-occidentale che ad individuare le vere cause del collasso ambientale. Da anti-antropocentrico l'ambientalismo divenne cosi, prima in Europa e poi in America, centrato sull'uomo tornato ad essere ancora padrone assoluto del mondo attraverso soprattutto la metafisica dei diritti (di cui i cosiddetti ecologisti attuali ritengono depositari solo gli appartenenti alla specie Homo sapiens sapiens). Contro la degenerazione del pensiero verde attuale, ridotto a terzomondismo e anti-occidentalismo, ritengo necessario tornare alle origini, alle basi del pensiero ecologista messe in Europa dai grandi pensatori che avevano individuato per primi la deriva nichilista cui era destinato l'uomo abbandonato allo strapotere della tecnica. Questi intellettuali, non solo filosofi ma anche scienziati tra cui fisici e biologi (come il grande etologo Lorenz), crearono le premesse teoriche per un pensiero anti-antropocentrico e in favore di una nuova responsabilità dell'uomo verso la natura e le altre specie. A queste premesse seguirono nel Nord America le denunce sull'eccessiva crescita umana di P. Ehrlich, Lester Brown, R. Carson e tanti altri. Fondamentale per la comprensione del problema furono testi come "The population bomb" dello stesso Ehrlich o "I limiti dello sviluppo" di D.H. Meadows, D.L. Meadows ed altri, che mostravano l'insostenibilità del modello corrente di crescita della popolazione mondiale e della conseguente crescita economica. Solo tornando alle origini è possibile togliere tutte le falsificazioni e le deviazioni verso bassi scopi politici o ideologici che hanno corroso il pensiero ambientalista come un cancro, fino a rendere il movimento dei verdi uno dei più antropocentrici e menefreghisti verso le altre specie viventi e la natura del panorama ideologico contemporaneo.
I diritti umani, elevati a valore assoluto contro la natura e le altre specie, sono divenuti il nuovo idolo dei verdi, e l'uomo e i suoi interessi è tornato così ad essere al centro dell'azione politica dei cosiddetti ambientalisti mainstream. Quello che stanno facendo i verdi sul suolo europeo è quanto di più esplicitamente anti-natura che si possa vedere. In nome di una priorità assoluta verso i diritti dell'uomo, vengono ogni giorno appoggiate dai verdi politiche pro-nataliste o a favore di una immigrazione incontrollata, contribuendo quindi a quanto è connesso a tali impostazioni politiche che incrementano l'antropizzazione del territorio: cementificazione, espansione delle megalopoli, espansione della produzione e scambio di merci, consumo di suolo per infrastrutture, edifici, centri commerciali, produzioni, trasporti, espansione dei consumi compresi quelli energetici (mobilità, riscaldamento, refrigerazioni ecc.). Le ultime aree verdi del territorio europeo vengono così rapidamente consumate, giorno dopo giorno, oppure intossicate con residui chimici, derivati tossici, pesticidi, inquinanti dell'aria, del suolo e delle acque. Per assicurare la produzione di cibo necessaria a tanta popolazione vengono usate ogni giorno migliaia di tonnellate di fertilizzanti, pesticidi, prodotti chimici di sintesi altamente inquinanti. A maggior beffa, le tanto sbandierate rinnovabili stanno contribuendo ad osceni stravolgimenti dei territori naturali, con sconfinate distese di pannelli solari che ricoprono superfici altrimenti utili per l'agricoltura o il verde naturale, con imponenti e fitte torri eoliche fonti di inquinamento acustico e alterazione ambientale con distruzione di specie avicole e disturbo per piante e d animali.Senza contare l'irreparabile perdita di paesaggio naturale che simili strutture comportano, con produzioni di energia che per quantità ed alti costi sono in proporzioni non paragonabili al danno che comportano. Così dietro nomi altisonanti come economia sostenibile ed energie rinnovabili si nascondono deturpazioni spesso irreversibili del paesaggio e del territorio naturale in vaste aree del continente europeo. Per non parlare delle discariche, dell'inquinamento da rifiuti plastici, e tutti i vari prodotti delle attività umane di una popolazione europea in continua inarrestabile crescita. Le modifiche dei consumi, delle produzioni, e una diversa utilizzazione dell'energia è certamente necessaria, ma se non è combinata ad una riduzione sostanziale della crescita demografica di Homo si riduce tutto a slogan poco incisivi sulla salvezza del pianeta.
Per questi motivi bisogna tornare all' origine.
Tra i primi filosofi a denunciare il problema ambientale e l'azione devastante dell'uomo, spicca la figura ed il pensiero di Hans Jonas. Il pensatore tedesco (essendo ebreo fu costretto dal nazismo ad emigrare negli Stati Uniti) fu tra i primi a denunciare l'uso distorto della tecnologia, la quale ampliava in maniera quasi illimitata il potere dell'uomo, senza che a questo aumento di potere seguisse una altrettanto radicale modifica della visione antropocentrica e dell'egoismo di specie. Egli pose per primo il problema che l'enorme crescita della nostra specie avvenuta negli ultimi decenni, sull'onda delle scoperte scientifiche e sull'industrializzazione di fine ottocento e primi del novecento, imponeva a tutti gli uomini un nuovo paradigma etico, da lui chiamato: principio responsabilità. Per definirlo poneva a modello l'archetipo di ogni responsabilità nella specie umana: quella dei genitori verso il figlio appena nato. L'esortazione morale ai genitori proviene dal respiro steso del neonato, dice Jonas, che richiama alla vita e all'ambiente adatto a sostenerla. L'atto di porre al mondo un figlio, nell'epoca della tecnica, non è un fatto da prendere con leggerezza o pensando solo al bene individuale e di famiglia. E' un atto che riguarda anche il mondo intorno a noi, le altre specie viventi, tutta la natura che ci circonda e ci sostiene nella vita, rendendola degna di essere vissuta. La responsabilità quindi si configura non come diritto del soggetto (siano esso i genitori o il neonato), ma come un dovere verso l'oggetto. La volontà potenzialmente infinita del soggetto è quanto di disastroso ha generato la nostra civiltà contemporanea dei diritti assoluti di Homo. Per oggetto si intende qui, in senso ontologico, tutto ciò che è esterno all'io cosciente e volente: la natura e la realtà che si manifesta davanti alla nostra coscienza individuale. Oggetto da difendere è la vita naturale del neonato, la possibilità per lui di svilupparsi in un ambiente che lo accoglie e lo sostenta secondo le sue proprie potenzialità, assicurandogli una esistenza in simbiosi con tutte le altre specie e l'ambiente che lo accoglie. Ambiente che chiede rispetto e non deve essere stravolto o considerato un magazzino o peggio uno spazio a disposizione delle volontà illimitate del nuovo soggetto consumatore. E' nostro compito avere cura dell'ambiente per conservarlo inalterato ai nostri discendenti, e conservare la natura è un bene non solo per essa ma anche per la nostra stessa esistenza. Una vera rivoluzione che pone al centro ambiente e natura e che vede al primo posto il contenimento demografico di Homo. Rispetta la natura, se vuoi vivere! E' il nuovo imperativo categorico che deve riguardare tutti noi, unico modo per restare umani.
Riporto il seguente brano del libro di Jonas, che espone brevemente il tema del successo biologico della nostra specie, ossia l'esplosione demografica di Homo.
"Il successo economico, a lungo considerato isolatamente, significava incremento per quantità e genere della produzione pro capite, diminuzione dell'impiego di lavoro umano e crescente aumento del benessere di molti, anzi persino aumento involontario del consumo globale del sistema e quindi enorme aumento del ricambio del corpo sociale complessivo con l'ambiente naturale. Già questo da solo implicava i rischi di esaurimento (supersfruttamento) delle risorse naturali limitate (si prescinde qui dai pericoli di corruzione interna). Ma tali rischi vengono potenziati ed accelerati dal successo biologico, in un primo tempo scarsamente visibile: l'aumento numerico di questo corpo collettivo soggetto del ricambio, ossia l'incremento demografico esponenziale, nella sfera d'influenza della civiltà tecnica ormai estesa all'intero pianeta; e non soltanto nel senso che questa crescita accelera, per così dire dall'esterno, il tasso dello sviluppo primario moltiplicandone gli effetti, , ma nel senso che essa gli sottrae anche la possibilità di arginare se stesso.
Una popolazione statica potrebbe dire ad un certo punto: "Basta!"; ma una popolazione in aumento è costretta a dire: "Ancora di più!".
Oggi comincia a diventare terribilmente chiaro che il successo biologico non soltanto mette in discussione quello economico, facendo ripiombare dalla breve festa della ricchezza nella quotidianità cronica della povertà, ma minaccia anche di provocare una catastrofe umana e naturale di proporzioni gigantesche. L'esplosione demografica, intesa come problema planetario del ricambio, ridimensiona l'aspirazione al benessere, costringendo l'umanità in via di impauperimento a fare, per sopravvivere, ciò che un tempo era libero oggetto di scelta in vista della felicità: saccheggiare cioè in modo sempre più indiscriminato il pianeta, finché quest'ultimo avrà l'ultima parola e si negherà alla insostenibile domanda . Quale mortalità di massa o quali omicidi di massa accompagneranno una simile situazione da "si salvi chi può!" sfida ogni immaginazione. Le leggi ecologiche dell'equilibrio, che nelle condizioni naturali impediscono la reciproca prevaricazione delle singole specie, rivendicheranno ora, venuti meno i meccanismi artificiali di controllo, i loro diritti tanto più temibili in quanto troppo a lungo sarà stata sfidata la loro tolleranza. Come in seguito un residuo di umanità potrà ricominciare da capo su una terra devastata , non riesce possibile neppure ipotizzare"
(Hans Jonas: "Il Principio Responsabilità, un'etica per la civiltà tecnologica". 1979- trad. italiana 1990, Einaudi Paperbacks Filosofia pag.180)

sabato 12 ottobre 2019

Lo scambio

Non trovo le parole per esprimere il senso di schifo, di repulsa e disgusto che la sola espressione "unione europea" mi suscitano in queste ore. Un forte senso di nausea mi genera la visione dei cosiddetti "incontri" al vertice europei, con la faccette di Macron, della Merkel e tutti gli altri squallidi personaggi, alcuni palesemente alcolizzati o altro , che popolano questi vertici.Accenno soltanto, per evitare ulteriore ribrezzo, agli ammennicoli che circondano la corte UE come il cosiddetto Tribunale di giustizia europeo composto da membri che, ben assisi sui loro scranni vellutati e odorosi di alte prebende, pontificano per evitare l'ergastolo ai mafiosi pluriassassini. Senza nessuna vergogna asseriscono con sicumera una nuova teoria democratica: la mafia si combatte con gli sconti di pena. Ma torniamo all'unione europea, alla sua ridicola commissione e all'altisonante inutile Parlamento Europeo. Specializzati nel controllo delle distanze del culo delle galline e del diametro medio delle vongole, si sono recentemente cimentati con la questione Curda. Il popolo curdo, con eroico coraggio e con pochi mezzi, ha combattuto al posto nostro l'Isis in territorio Siriano, dopo che il Presidente Obama aveva intrigato per abbattere il tiranno Assad senza avere alcuna idea su quello che bisognasse fare dopo. Tra i gruppi di guerriglieri armati e sostenuti dal presidente premio Nobel della pace c'erano numerosi combattenti facenti parte dell'Isis (come quelli di Al Nusra). Quando le truppe assassine di Al Bagdadi distavano appena quindici chilometri da Damasco e' dovuto intervenire Putin a riportare la situazione ad un minimo di vivibilità' per le popolazioni, dopo che la guerra del Nobel della pace (ben appoggiato dall'UE) aveva fatto settecentomila morti e distrutto quasi tutto il paese. Fu grazie ai curdi che si poterono riconquistare le città in mano ai tagliagole. Fecero il duro lavoro di combattere casa per casa per stanare i terroristi. Dopo la sconfitta dell'Isis e' arrivato il ringraziamento di Bruxelles: il popolo curdo e' stato consegnato al predone turco. Questo tiranno, che per molte forze politiche europee avrebbe dovuto entrare a far parte dell'UE, ha invaso il nord della Siria con l'intento di riaffermare il dominio turco e di assassinare i capi curdi e i componenti del loro esercito e migliaia di civili che hanno la colpa di aspirare ad una loro indipendenza. L'Unione Europea ha lasciato fare. Perché?
Perché sotto ricatto del Pirata turco: se tu, unione europea dei miei stivali, ti opponi alla mia guerra contro i tuoi ex alleati, io ti spedisco in Europa 3 milioni e seicentomila profughi siriani, nonostante tu mi abbia pagato sei miliardi di euro per tenermeli (segregati in campi di concentramento).Qui l'Unione ha finalmente mostrato una reazione. Ma non e' stata un ruggito da leone, ma quello che e' più' confacente alla non proprio eroica Unione: un belato da pecora. Ha detto che loro sono contrari e ha raccomandato moderazione al Pirata. Senza minacciare alcuna seria sanzione. Il capo della Nato ha mostrato un poco più' di attributi, essendo a capo di una organizzazione militare, ed ha detto: " Fate, ma fate piano". Il belato da pecora si e' così' trasformato in squittio di topo.
Al fondo di tutta la storia c'e', inqualificabile se consideriamo la cosa dal punto di vista etico, lo scambio profughi-miliardi di euro. La politica e l'essenza della cosiddetta Unione Europea si sostanzia in questo scambio infame. Uno scambio che secondo i burocrati europei non aveva alternative, se non quella improponibile di mettere le mani (e i propri soldati) sul campo. Quella di riaffermare una presenza in grado di portare i valori dell'occidente anche al prezzo di sacrifici. Ma ormai i popoli e i governanti europei sono incapaci di ogni sacrificio: non sono disposti a sporcarsi le mani anche a costo di cedere la sovranità' sulla propria terra. Su questa base nessuna Unione Europea e' possibile. Al massimo si puo' fare una unione di banche. I burocrati di Bruxelles neanche sono stati in grado di emanare sanzioni economiche e blocchi commerciali, timorosi delle ritorsioni del tiranno turco. Meglio uno scambio infame. Sei miliardi e il via libera al massacro del popolo curdo pur di continuare a tenere il culo nell'ovatta, questa e' la più' alta espressione della "politica di potenza" dell'Unione Europea. Una vergogna che rimarrà' scritta a perenne ricordo di un fallimento irrecuperabile di quello che nel dopoguerra era stato il sogno degli Stati Uniti d'Europa.

martedì 1 ottobre 2019

Gli inutili 100 miliardi della Germania

Quando ho letto i titoli dei giornali in cui si riferisce dei 100 miliardi investiti dal governo della Merkel per salvare il pianeta ho quasi esultato: "vuoi vedere che finalmente la Germania finanzia il controllo demografico investendo nel terzo mondo con strutture dedicate all'igiene familiare, alla salute riproduttiva e alla programmazione dei figli, con iniziative che prevedono la distribuzione generale e gratuita alla popolazione di contraccettivi? Merkel da aiuti concreti ai paesi poveri (imprese, coltivazioni, scuole agrarie, istruzione, acquedotti, case, strade, ospedali ecc.)per indirizzare risorse allo sviluppo di una economia autosufficiente invece che sprecarle per nutrire e mantenere un numero eccessivo di figli ? Era ora. Lo sviluppo è pre-condizione per la riduzione dei tassi di natalità, come dimostra la storia in occidente o, più recentemente negli ex paesi poveri dell'Asia. Finalmente -ho sperato- la Germania è passata a finanziare il figlio unico, invece che incentivare le famiglie numerose come si e' fatto finora. Solo una riduzione della popolazione residente può determinare la conservazione dell'ambiente naturale che riduca il cemento e l'emissione di anidride e particolati. Anche l' Europa, oltre l'Africa e l'Asia, necessita dell'abbassamento della densità' demografica, tuttora altissima (l'europa è una delle zone del pianeta più densamente popolate). La riduzione della natalità e , nei prossimi anni, dei flussi migratori potrebbe contribuire alla salvaguardia ambientale sia in occidente che nei luoghi di partenza, più di tutte le altre misure messe insieme.
Una minore popolazione significa minori consumi, minori richieste di risorse, minore cementificazione, minore mobilita', meno deforestazione, minor uso di riscaldamento o refrigerazione, minor utilizzo di idrocarburi a scopo energetico. Con una dinamica demografica di rientro vi sarebbe una minor richiesta di alimenti che, come la carne, necessitano di grandi quantità di carbonio e di territori da deforestare. Allo stesso tempo minori risorse sarebbero dedicate alla sussistenza, la nutrizione, la cura e la formazione di bambini, dei giovani, e degli adulti in età di lavoro, cioè la fascia di popolazione che genera un aumento maggiore dei consumi e della produzione. Soprattutto i paesi poveri potrebbero giovarsi di maggiori risorse per sviluppare istruzione, ricerca, e una tipologia di produzione compatibile con l'ambiente. Un minor numero di figli lascia alle donne più tempo da dedicare alla propria istruzione e al lavoro. In prospettiva vi sarebbero più risorse dal risparmio in assistenzialismo e welfare. Nessuna riduzione delle emissioni di carbonio è possibile senza una riduzione della crescita demografica. Forse, ho pensato, la Germania investe sul controllo della natalità' come i grandi ecologisti degli anni settanta e ottanta avevano auspicato (ad esempio Paul Ehrlich, Lester Brown, James Lovelock).
Ma presto, leggendo le misure finanziate, la speranza si e' trasformata in amara disillusione.
Si rischia di gettare al vento i cento miliardi. Anche perché' sembra che il grosso delle misure vada in maggiori tasse sui consumi, in divieti e imposizioni (si sa che i burocrati credono in modo religioso nelle virtù taumaturgiche delle tasse e dei regolamenti fatti a tavolino). E' prevista, con molto ottimismo, la chiusura delle centrali a carbone entro il 2038 , ma la germania e' tuttora uno dei maggiori paesi al mondo che utilizzano carbone per le proprie necessita' energetiche. Si finanziano le auto elettriche, ed un piano di sviluppo del trasporto ferroviario. Si danno aiuti ai pendolari per spostamenti "ecologici" e altre misure borotalco. Ma se non si interviene sulle dinamiche demografiche mondiali, vietare i diesel di un paese solo e piantare qualche migliaio di costosissime -ed ecologicamente devastanti- pale eoliche serve a poco. Anzi a niente.La quantità di pannelli solari e torri eoliche necessarie a sostituire gran parte dell'energia da gas e petrolio e tutta quella da carbone, porterebbe ad una devastazione paesaggistica, naturale e territoriale senza precedenti, con gravi danni alla flora e alla fauna. Molto suolo oggi destinato all'agricoltura e all'allevamento verrebbe convertito a pannelli solari e a torri eoliche con danni ambientali irreparabili. Dei cento miliardi nessuna risorsa va alla ricerca per le innovazioni tecnologiche realmente in grado di ridurre la CO2. Ricerche come quelle sul trattamento ed inattivazione delle scorie nucleari, come proposto da Rubbia, o sull'estrazione del carbonio dal metano e altri gas, utilizzando la parte pulita (idrogeno) rimangono senza finanziamenti. Fermare le centrali a carbone in Germania e' sano e bello (e tutto da dimostrare), ma che senso ha se complessivamente nel pianeta le emissioni da carbone sono in aumento vertiginoso e la sola Cina costruisce, con un piano già in fase di attuazione, ben 115 nuove centrali a carbone? Le giustificazioni dei cinesi sono chiare: troppa popolazione da sostenere per potersi permettere solo le energie rinnovabili. l'India, un altro dei maggiori produttori e consumatori di carbone, si giustifica -ottenendo credito all'Onu e nelle altre istituzioni di controllo-con la sua struttura industriale arretrata e con il fatto che deve fronteggiare una crescita demografica tra le più' alte al mondo, nonostante tutti i tentativi falliti del passato per tenerla sotto controllo. Nei prossimi anni le prospettive non migliorano: aumenteranno le richieste di energia da carbonio (quella tuttora più conveniente per i bassi costi) dell'Africa, che raddoppia la popolazione ogni 30 anni.
Deforestazione e carbone saranno le parole d'ordine di un'Africa con ha ancora una media di 5,5 figli a donna. Come si fa a sostenere questa enorme crescita della popolazione con l'utilizzo solo delle rinnovabili? Siamo fuori da ogni logica e bastano semplici calcoli matematici per togliere tutte le illusioni sull'energia "sostenibile". E allora le parole della Cancelliera: " il nostro stile di vita non e' sostenibile" sembrano più' uno slogan politico che una reale inversione di tendenza e una lotta seria al riscaldamento globale. Le città' tedesche potranno essere, con il piano da 100 miliardi, anche più' verdi ed elettriche, ma rischiano di essere pura testimonianza in un mondo che sta distruggendo l'Amazzonia e le foreste africane, e in cui gli ultimi animali selvaggi cercano invano rifugio nelle poche riserve rimaste, ormai assediate dalla crescita umana.
Persino i Verdi tedeschi hanno respinto il piano del governo Merkel. Ma per motivi opposti: si punta ancora poco sulle rinnovabili e si allungano i tempi. Chiedono di chiudere subito carbone e nucleare. Puri slogan senza una visione strategica: un rifiuto della tecnologia e uno sguardo idilliaco ad una Germania agreste che- in un mondo che corre verso gli 11 miliardi di abitanti- è solo una favola per ingenui o per chi è in malafede. I verdi tedeschi scelgono così un cupio dissolvi basato sull'ideologia del "povero è bello". Se poi è pure sovrappopolato e multiculturale, è ancora più bello.