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venerdì 24 novembre 2017

Scenari demografici e sovrappopolazione

Riporto il seguente articolo di Jacopo Simonetta, uno dei pochi ambientalisti che si occupa di sovrappopolazione. Riguarda uno studio della National Accademy of Sciences americana sulle tendenze demografiche e il degrado ambientale e climatico. Molto interessanti sono alcune risultanze di proiezioni matematiche su quanto inciderebbe la politica del figlio unico - se immediatamente applicata- sulla dinamica demografica globale della specie Homo. Ugualmente interessante il risultato sull'influenza che avrebbero catastrofi che implicherebbero qualche miliardo di vittime, come guerre nucleari o megadisastri ambientali, sulla demografia. A quanto sembra, secondo i modelli matematici riportati, questi eventi avrebbero un basso impatto e sarebbero presto annullati dalla tendenza demografica a ristabilire le condizioni di crescita. Personalmente diffido sempre di questi studi fatti da statistici con impostazione tecnico-matematica su una materia che secondo me non risponde ai consueti modelli con cui si costruiscono le curve demografiche. In parte questi limiti sono riconosciuti dagli stessi studiosi: loro stessi dicono infatti di riferirsi alla terra come ad un unico ambiente globale senza distinzioni locali. Questo porta a sottostimare le differenze demografiche tra zona e zona e tra popolazioni di diverse culture ed economie. Inoltre queste stime non tengono conto di fattori precipuamente umani che non sono comparabili con la crescita demografica di popolazioni animali. Non e' un caso che tutti gli studi demografici nell'ultimo secolo abbiamo sbagliato nel sottostimare la esplosione demografica della specie Homo e che gli esperti dell'Onu, per fare l'esempio più lampante, siano stati costretti a continue correzioni delle loro curve di crescita. Esse infatti vedevano sempre una transizione demografica che nella realtà' non c'e' mai stata e che hanno continuamente rimandata fino all'ultima previsione che ha spostato la transizione a dopo il 2150. Nel frattempo l'esplosione demografica di Homo continua indisturbata in un mondo che si sta avviando verso un degrado ambientale irreversibile.Un altro limite dello studio riportato da Simonetta e' nel fatto che gli esperti della Accademy non considerano le epocali migrazioni che stanno cambiando il mondo contemporaneo. Le migrazioni hanno un impatto enorme sulla crescita globale della popolazione, pur essendo fenomeni legati a situazioni economiche e realta' geografiche particolari. Le migrazioni infatti non sono semplici spostamenti di individui: esse implicano fenomeni economici, psicologici e sociali complessi che portano ad aumentare la crescita demografica sia dei luoghi di partenza sia nelle realta' di arrivo. Infatti nel luogo di partenza, dove senza la migrazione dei giovani entrerebbero in gioco fattori di risorse locali a limitare la natalità', la migrazione rende irrilevante la carenza di cibo e di risorse locali ed anzi genera aspettative economiche e nuove disponibilità' di risorse per le rimesse degli emigrati e gli scambi conseguenti. Questo contribuisce all'aumento dei tassi di natalità' in zone di sottosviluppo. Allo stesso tempo nei paesi di arrivo i migranti portano con se le culture di provenienza (fortemente nataliste) e problemi identitari che favoriscono la natalità' nelle enclave sociali di appartenenza. Il risultato e' una crescita esponenziale globale della popolazione sia nei luoghi di partenza che nei luoghi di arrivo. Tutto questo in un mondo che vede depauperare ogni giorno la biodiversità' con la scomparsa di migliaia di specie e dell'ambiente che le sosteneva (come sta avvenendo in Africa). Gli esperti americani raccomandano di affidarsi, in attesa di politiche sulla natalità' di la da venire e che oggi sono completamente trascurate e i cui effetti comunque si avrebbero solo dopo decine e decine di anni, alla limitazione dei consumi. Ma anche questo e' un azzardo. In primo luogo per la difficoltà' di realizzare politiche in grado di ridurre in maniera efficace i consumi generali di una popolazione globale in crescita esponenziale. Senza contare la impossibilita' di eliminare la corsa allo sviluppo di paesi che fino ad oggi hanno vissuto nel sottosviluppo ed aspirano allo stile di vita occidentale. In secondo luogo non si conoscono quali conseguenze economiche e tecnologiche potranno derivare da una minore disponibilità' di risorse conseguenti alla riduzione dei consumi su scala planetaria. Una decrescita economica e un arretramento tecnologico potrebbero infatti portare ad un aggravamento del problema ambientale e climatico, piuttosto che ad una soluzione. Nessuno degli esperti demografi che parlano di transizione demografica hanno fino ad ora dato risposte adeguate.
PILLOLE DEMOGRAFICHE 4 – LA BOMBA DEMOGRAFICA È SCOPPIATA, E ORA? 23 NOVEMBRE 2017 JACOPO SIMONETTA
di Jacopo Simonetta
Nelle pillole scorse abbiamo dato un sommario sguardo alla teoria della transizione demografica e ad un paio di casi reali, non molto in linea con essa. Prima di proseguire questa carrellata con alcuni altri esempi, propongo una pausa di riflessione per discutere un interessante articolo recentemente apparso sull’autorevole rivista “Proceedings of the National Accademy of Sciences of the United States of America” (abbreviato PNAS) dal titolo “La riduzione della popolazione umana non è un rimedio rapido per i problemi ambientali“. Raccomandando a chiunque di leggere l’originale, tirerò per prima cosa le somme di questo lavoro, per poi fare cenno a cosa manca. Lacune peraltro dichiarate e spiegate nell’articolo stesso.
Quello che dice l’articolo si compone di tre parti. Nella prima gli autori hanno testato mediante dei modelli matematici quali effetti demografici avrebbero riduzioni nel tasso globale di natalità, ferme restando le altre condizioni (tasso di incremento della aspettativa di vita media e saldo migratorio zero – ovviamente visto che si tratta di proiezioni a livello globale). Il risultato era abbastanza scontato: riduzioni anche estreme, tipo un solo figlio per donna come media mondiale, avrebbero effetti trascurabili nell’immediato e modesti nel giro di decenni; mentre diventerebbero molto importanti dopo una settantina di anni. Nella fig. 1 si riassumono gli scenari delineati, come si vede solo lo scenario 4 (declino della natalità ad un solo figlio per donna a partire dal 2045 e aspettativa di vita media costante sui valori del 2013) comporterebbe un sensibile rallentamento della crescita in tempi brevi e una riduzione della popolazione a 4 miliardi di persone al 2100. In compenso, proiettando i risultati su tempi appena più lunghi (2130) si vedrebbero risultati abbastanza sconvolgenti.
Una seconda serie di prove ha testato l’effetto che avrebbero catastrofi bibliche, in grado di spazzare via miliardi di persone nel giro di pochi anni. Ebbene, qualcuno sarà sorpreso, ma il risultato è che avrebbero un impatto trascurabile. Perfino un ipotetica pandemia che sterminasse 2 miliardi di persone non ridurrebbe gran che la popolazione sui tempi lunghi. Una catastrofe da 6 miliardi di morti nel 2040 significherebbe comunque oltre 5 miliardi di persone nel 2100. Ovviamente nell’ipotesi che, nel frattempo, i parametri di natalità e mortalità restassero quelli attuali. Il risultato è teorico, ma attendibile. Per citare un solo caso, il XX secolo è stato quello che ha visto la maggiore crescita demografica della storia della nostra specie, ad onta di un’infinità di guerre fra cui le due più terribili di sempre, epidemie carestie assortite, nonché Hitler, Stalin, Mao e vari loro imitatori.
Infine, gli autori hanno ripartito il mondo in 14 regioni dal comportamento demografico relativamente omogeneo ed hanno confrontato questa ripartizione con la distribuzione delle zone in cui si trovano i massimi livelli di biodiversità a livello globale. Ne è risultato un quadro abbastanza fosco, con la situazione peggiore di tutte in Africa; continente in cui l’altissima crescita demografica sta comportando una distruzione particolarmente rapida di biodiversità
Nelle conclusioni, si afferma quindi che occorre assolutamente rilanciare a tutti i livelli le politiche di controllo e riduzione delle nascite, ma che questo sarà inutile se, contemporaneamente, non si ridurranno drasticamente i consumi pro-capite che, negli ultimi decenni, sono invece aumentati ben più rapidamente della popolazione. Una conclusione corretta, ma incompleta.
Quello che non dice
Per quanto riguarda la prima parte del lavoro, la principale lacuna, peraltro dichiarata, è il tasso di mortalità. Gli autori hanno cioè indagato gli effetti sia di una catastrofe biblica che di modeste variazioni nella natalità e nella mortalità infantile. Ma non le conseguenze di un incremento di uno o due punti percentuali nella mortalità degli adulti. In altre parole, si è dato per scontato che l’attuale tendenza all’incremento dell’aspettativa di vita prosegua secondo la tendenza attuale; oppure che si stabilizzi. Ma non si è presa in considerazione l’ipotesi di una sua riduzione sul lungo periodo. Come se l’aspettativa di vita fosse indipendente dall’evolvere delle condizioni economiche, ambientali e sociali. Dunque, invece di immaginare pestilenze globali e guerre nucleari, proviamo semplicemente ad ipotizzare che quella “stagnazione secolare” di cui parla l’FMI gradualmente coinvolga tutte le principali economie del mondo. Significherebbe il diffondersi e moltiplicarsi di situazioni analoghe a quelle già viste nell’ex URSS (v. pillola prossima ventura) durante gli anni ’90 o, attualmente, in parecchi paesi anche occidentali; pur senza arrivare alla gravità di situazioni come quella attuale in Venezuela. Aggiungiamoci crisi umanitarie analoghe a quelle attualmente in corso, ma in un contesto di minori disponibilità di intervento da parte della comunità internazionale; poi una riduzione dei servizi sanitari gratuiti e l’effetto cumulativo dell’inquinamento. Non appare fantascientifico ipotizzare un incremento del tasso di mortalità di 2-3 punti percentuali che, associato al proseguimento dell’attuale riduzione della natalità, comporterebbe il dimezzamento della popolazione in molto meno di un secolo. E senza neppure scomodare il 4 cavalieri dell’Apocalisse.
Una seconda osservazione riguarda l’analisi relativa alle possibili grandi calamità. Che, di solito, catastrofi repentine non abbiano impatti demografici duraturi è un fatto storicamente confermato. Anzi, a seguito di guerre ed epidemie, spesso si verificano significativi rimbalzi di natalità (v. il caso cinese pillola 2). Tuttavia, sia gli esempi storici che i modelli matematici, riguardano popolazioni in crescita, colpite da momentanee catastrofi. Dal momento che la natalità è fortemente influenzata da fattori sociali e psicologici (oltre che economici ed ambientali), non possiamo sapere che effetto avrebbe una calamità biblica su di una popolazione che è già in contrazione per altre cause. La gente potrebbe infatti reagire in modo tradizionale, con un ritorno di natalità, ma potrebbe anche reagire in altro modo. Tanto più che la morte di miliardi di persone, specie se in paesi industrializzati e specie se per causa bellica, si accompagnerebbe ad un tracollo irreversibile dell’economia globale. Cosa che contribuirebbe a mantenere elevata la mortalità e (forse) a mantenere bassa la natalità anche ad emergenza finita.
Infine, per quanto riguarda la dinamica regionale, lo studio pubblicato su PNAS dichiaratamente trascura l’effetto delle migrazioni in quanto dipendente soprattutto da fattori politici e militari del tutto imprevedibili. Il che è vero, ma le migrazioni rappresentano il fattore demografico determinante nel mondo attuale e prossimo venturo. Trascurarle significa girare largo da una mina politica, ma anche dal nocciolo della questione.
Lacuna eguale e contraria
Può essere interessante confrontare i risultati dello studio in questione con il blasonatissimo “Limiti della Crescita” (LdS). Malgrado la veneranda età, questo rimane infatti ancora lo studio più completo disponibile, proprio perché centrato sull’interazione tra fattori economici, ambientali e demografici. Inoltre, caso raro, le sue anticipazioni sono state finora sostanzialmente confermate dai fatti. Eppure contiene un errore strutturale analogo, ma contrario, a quello dell’articolo sul PNAS. Nel modello Word3 (cuore dello studio LdS) fu infatti incorporata la teoria della “Transizione demografica” che prevede, in caso di crescita economica, un calo sia della natalità che della mortalità cosicché la popolazione dapprima cresce e poi si stabilizza. Viceversa, in caso di crisi economica grave e persistente, prevede un aumento di entrambe, sia pure con un prevalere della mortalità, cosicché la popolazione diminuisce lentamente. Sulla base di ciò, LdS propone uno scenario base con l’inizio di una irreversibile contrazione economica fra il 2020 ed il 2030 circa, seguita da un picco demografico circa 10 anni più tardi, cui dovrebbe seguire una lenta decrescita. Oggi sappiamo però che, almeno in molti casi, ad un peggioramento delle condizioni economiche e sociali fa riscontro sia un aumento della mortalità, sia un calo della natalità (v. ad esempio la Russia anni ’90). Anzi, almeno in alcuni casi documentati (fra cui l’Italia) il calo della natalità si verifica già a livelli di crisi troppo lievi per provocare aumenti sensibili della mortalità. Tornando quindi allo scenario BAU di Word3 (fig.4), sarebbe quindi perfettamente plausibile ipotizzare un calo della popolazione molto più rapido di quello indicato dalle curve, almeno in vaste regioni della Terra. Personalmente, anzi, ritengo che questo sia lo scenario più probabile, anche se non azzardo profezie.
Tirando le somme
La bomba demografica ci sta scoppiando sotto il naso proprio ora ed ha appena cominciato a farci male. Il “meglio” deve arrivare ed arriverà. Su di una cosa gli autori dell’articolo sul PNAS hanno perfettamente ragione: non ne usciremo alla svelta. Qualunque scenario minimamente realistico indica oltre il secolo venturo un possibile ritorno entro densità umane forse sostenibili. Sempre che, nel frattempo, clima e biosfera non siano collassati perché, se ciò accadesse, l’estinzione della nostra specie potrebbe anche verificarsi. Probabilmente, un’ipotetica ecatombe nucleare o d’altro genere non avrebbe effetti demografici duraturi, anzi potrebbe provocare un riflusso di natalità. La popolazione non tenderà a stabilizzarsi, bensì a diminuire, ma non in modo omogeneo. Ciò, unitamente agli altri fattori (climatici, ambientali, politici ecc.), renderà la questione delle migrazioni uno dei temi su cui si giocherà la sopravvivenza delle società. Quello che stiamo vedendo oggi non è che il “lieve vento” che precede la tempesta. Che cosa ha senso fare?
Soprattutto evitare il “benaltrismo”. Cioè lo scarica barile fra chi vuole fare una cosa e chi un’altra: se vogliamo sperare di controllare almeno in parte ciò che accadrà nei prossimi decenni, sono molte le cose che dovremo fare contemporaneamente.
Secondo me, le principali emergenze sono salvare il salvabile del clima e della biosfera, in modo che il pianeta sia ancora abitabile fra un secolo o due. Dunque ogni forma di riduzione volontaria della natalità ha perfettamente senso ed i molti paesi è prioritario, ma darà dei risultati tangibili fra decenni e non possiamo permetterci di aspettare senza far altro.
Un secondo ordine di cose urgenti da fare riguarda quindi la riduzione dei finanziamenti alla vecchiaia per aumentare quelli alla gioventù. In tutto il mondo occidentale e non solo, i vecchi possiedono la quasi totalità del capitale e la maggior parte dei redditi, oltre che beneficiare della principale fetta dei finanziamenti pubblici (sanità, pensioni, sgravi e sconti vari, ecc.). Aveva senso quando i vecchi erano mediamente più poveri dei giovani, non ora che è il contrario. Non dico che bisognerebbe uccidere qualcuno, dico solo che una società che si dissangua per prolungare di qualche mese la vita di un vecchio, anziché investire per preparare e far lavorare un giovane non intende durare a lungo. Poi ci sono una serie di provvedimenti che potrebbero rallentare il peggioramento del clima ed il collasso della Biosfera a partire da subito. In estrema sintesi, ridurre i consumi, ridurre i consumi e ridurre i consumi. Quindi tutta una serie di interventi attivi per conservare la biodiversità, i suoli e l’acqua. Infine, altro punto dolente: garantire entro i limiti del possibile la sicurezza delle proprie frontiere. Il che non significa sigillarle (non sarebbe neppure possibile), ma significa avere un sostanziale controllo sui flussi in entrata ed in uscita. Ma significa anche essere in grado di dissuadere i potenziali aggressori in un mondo in cui le guerre regionali si moltiplicano e si ricomincia a temere perfino una guerra globale. Tutte cose che richiederebbero un drastico cambio di rotta non solo alla politica, ma soprattutto al nostro modo di pensare. Per ora non pare che ne abbiamo.

domenica 12 novembre 2017

Conferenza a Roma su permacultura urbana e decrescita

(Principi della Permacultura in una slide mostrata ieri alla Conferenza)
Si e' tenuta ieri 11 Novembre 2017 a Roma (ex mattatoio di Testaccio) la conferenza del Movimento della Decrescita Felice dedicata alla Permacultura urbana. Relatore uno che si occupa direttamente di permacultura e offre corsi di formazione nel campo: Andrea Pavan, consulente agro-ambientale. Ho assistito alla conferenza con l'intento di accertare se venisse trattato in qualche modo il tema della sovrappopolazione. Come era prevedibile, data l'impostazione ideologica del Movimento della decrescita felice, al tema non si e' fatto alcun accenno. Nel contempo e' stato possibile farmi un'idea del movimento della decrescita almeno qui in Italia e delle difficoltà' teoriche e pratiche che lo attraversano. Infatti il relatore ed i partecipanti hanno definito il movimento non tanto dal punto di vista politico ed ideologico (cosa che esporrebbe in primo piano tutte le difficoltà' che nel mondo attuale si oppongono ed impediscono uno sbocco positivo), ma dal punto di vista pratico, del comportamento delle singole persone che si riconoscono nelle idee e nei valori della decrescita felice. Su questo, pur con tutte le critiche e perplessita' che posso personalmente rivolgere alla teoria della decrescita, non posso che concordare positivamente: attualmente il movimento della decrescita e' una posizione etica, una visione che riguarda l'atteggiamento individuale e i propri comportamenti verso gli altri uomini e la natura al tempo del collasso generale dell'ambiente planetario. I giovani che si riconoscono nel movimento sono persone positive che rifiutano i canoni comportamentali del consumismo fine a se stesso e della visione produttivistica basata sulla ideologia dell' Homo Faber. Pavan ha sottolineato come questo rifiuto del comportamento umano prevalente basato sulla volontà' di intervenire sulla natura, di trasformare il mondo, di produrre merci, di generare concorrenza e consumo di risorse, polluzioni e rifiuti, sia nella loro weltschauung una misura individuale, un metodo di rapportarsi concreto di ciascuno di noi con le cose e le persone, più' che una ideologia con cui interpretare e modificare i grandi sistemi.
Che cosa e' la permacultura?
(prima si parlava di permacoltura; oggi valutandone le implicazioni comportamentali verso ogni aspetto della vita di tutti i giorni si preferisce parlare di permacultura). La permacultura e' un nuovo modo di produrre il cibo e di organizzare la propria vita a livello individuale. Si basa su comportamenti pratici, ricorrendo alla coltura personale o familiare direttamente nel proprio domicilio o nelle vicinanze, secondo criteri di natura, di piante e frutti evitando l'utilizzo di tecnologia e prodotti chimici, e alla costruzione materiale fatta con le proprie mani degli oggetti di cui necessitiamo ogni giorno evitando il ricorso a prodotti pre-confezionati dal sistema industriale e tecnologico dominante. Per questo scopo la raccomandazione e' di seguire i ritmi e le leggi della natura senza interventi artificiali: molto interessanti le foto mostrate in cui si vede come gli orti creati secondo la mancanza di regole della permacultura sono caotici, spontanei, senza le ordinazioni spaziali di quelli basati sulla chimica e le tecnologie. Si tratta di sistemi naturali in grado di "funzionare" autonomamente: dopo qualche anno non necessitano di semine artificiali ma si basano sulla crescita per inseminazione naturale come ad esempio per le cipolle e le patate. I sistemi di irrigazione sfruttano l'acqua piovana raccolta dai tetti e nelle vasche e recipienti limitrofi alle colture. Interessante e' stata la discussione sorta tra pubblico e relatore su come considerare le erbe infestanti o l'edera che cresce su un tronco d'albero (anche da frutto): si tratta di infestazione da eliminare o invece l'edera rappresenta l' "intenzione" della natura di riprendersi un territorio in cui quel tipo di albero non era previsto? Va lasciata liberta' alla natura o va privilegiato l'intervento umano volto a soddisfare esigenze proprie dell'uomo? Qui la discussione ha preso un risvolto filosofico: e' lecito attribuire alla natura una intenzionalità ? L'azione umana rappresenta qualcosa di artificiale (e quindi fuori dalla natura) o fa parte anche essa della natura visto che l'uomo appartiene al mondo animale? Pavan ha sottolineato come si debba privilegiare la spontaneita' della natura sugli interventi umani; a tal proposito racconta di essere stato punto da un ragno cresciuto nel suo orto naturale privo di antiparassitari chimici, e di averne provato soddisfazione come controprova di una natura spontanea che esprime se stessa. Ma torniamo alla permacultura. Gli oggetti della casa (tavoli, sedie, letto ecc.) sono costruiti manualmente con il riutilizzo di pezzi e con legno, la pulizia della casa non usa prodotti chimici ma gli EM di colture batteriche specifiche per lo scopo. E' previsto il compostaggio dei liquami dei bagni per l'uso come fertilizzanti. L'energia deriva ovviamente da fonti naturali rinnovabili senza alcun ricorso agli idrocarburi. Tutto questo rapportato su scala cittadina genera, nella visione dei decrescitari, un vivere solidale, di comunità' in cui l'unione delle forze dei singoli e delle famiglie crea una convivenza più' naturale ed ecosostenibile, autosufficiente nei propri consumi e non impattante sul sistema ambiente. I rifiuti cittadini, che Pavan definisce l'ano della comunità' cittadina, ci danno indicazioni sui comportamenti da modificare, su quelli da rafforzare, sulle scelte da fare. Tutto si basa sull'economia del riciclo che tende a riutilizzare, a recuperare (dai vuoti delle bibite e del latte, dal vetro al metallo, alla carta, ai rifiuti organici) senza impattare sull'ambiente naturale.
In conclusione cosa si può dire su questo movimento che pare avere una certa presa su una parte, ancora molto minoritaria, di pubblico?
L'impressione generale e' che si tratta di utopisti. Di gente che crede che il ritorno in agricoltura ma anche in ogni altro ambito della vita civile, a cicli naturali e privi del sistema produttivo industriale moderno, sia possibile partendo dai comportamenti dei singoli individui. Un atteggiamento anti-consumistico che viene mitizzato con un afflato quasi religioso, ritenuto in grado di trasformare nel profondo la società' contemporanea. Il rifiuto tecnologico che sottende il discorso della decrescita vorrebbe assurgere a nuovo paradigma: creatività' al posto della tecnologia tradizionale della produzione industriale. Sul piano del comportamento etico individuale e collettivo al tempo del collasso ambientale questo puo' essere un valore. Ma quali sono gli aspetti economici e politici di queste scelte se portate sui grandi numeri e sull'organizzazione dei grandi sistemi come le megalopoli? Il movimento della decrescita rischia di rimanere una testimonianza, una ispirazione di pochi adepti che testimoniano un romantico sogno di una società' agreste in un mondo sempre più' dominato dai grandi poteri sovranazionali e dalla potenza della tecnica. Come si pone il rapporto tra anarchismo metodologico della decrescita con la scienza e la sua metodologia? Quali aporie si aprono per una visione del futuro basata su una scelta ideologica che si contraddice già' nella sua definizione di "decrescita felice"? Tutto il movimento ecologico si basa su aporie, basta ricordare quella di "crescita sostenibile". Ma qui siamo all'assurdo. Come e' possibile ipotizzare una decrescita (del Pil, economica, produttiva, tecnologica, organizzativa, di risorse energetiche, di cibo per il mancato uso di fertilizzanti e pesticidi) in un mondo che l'Onu prevede avviarsi verso gli 11 miliardi di abitanti dagli attuali 7 entro la fine del secolo? Minori risorse per un numero quasi doppio di abitanti: a cosa puo' portare tutto questo? Quali conseguenze economiche e sociali? Quali conseguenze politiche? Puo' bastare l'idea della solidarietà' e una sorta di comunitarismo (a differenza di quello marxista, questo del tutto indefinito) per compensare gli squilibri e le contraddizioni che si aprono? E poi infine: e' realmente fattibile una politica verso la decrescita che non riguardi le scelte individuali di poche persone, ma - per avere un senso per il pianeta- riguardi la stragrande maggioranza della specie umana? Pur con tutto il rispetto per le persone che in buona fede credono nella decrescita felice, la mia risposta a questi interrogativi e' negativa. E l'assenza assoluta dell'argomento della sovrappopolazione nel convegno di ieri mi conferma in questa mia posizione. Il pianeta non verra' salvato, se mai lo sarà', dagli utopisti della decrescita felice.