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venerdì 26 settembre 2014

Un'Africa possibile: Uganda, fare figli per scelta e non per caso

Ringrazio Sergio e la sua associazione (www.ecopop.ch) per la segnalazione di questo documentario molto interessante sui tentativi di pianificazione delle nascite in Uganda. Se queste pratiche si diffondessero in Africa (e non solo) , se le nazioni occidentali comprendessero che in questo settore debbono concentrare gli aiuti ai paesi africani, si potrebbe sperare in un più armonioso sviluppo delle economie africane, con un maggior rispetto per la natura, una più attenta preservazione della varietà delle specie in quel continente. La lotta contro la fame, le epidemie, le carestie e la povertà se ne avvantaggierebbe. Potremmo sperare, anche noi in occidente, al progressivo ridursi nei prossimi decenni  delle massiccie immigrazioni, fonte di eccessiva antropizzazione e devastazione delle nostre terre. Come si dice nel video purtroppo le tradizioni locali, l'arretratezza culturale, la condizione di inferiorità della donna,  e la nefasta opera della chiesa  cattolica lavorano contro







domenica 21 settembre 2014

Verso gli 11 miliardi a fine secolo

Come previsto e denunciato più volte su questo blog le fandonie su una prossima stabilizzazione della popolazione mondiale sono appunto fandonie. Sul Corriere di oggi un articolo riporta le nuove stime dei demografi dell'Università di Washington: si parla di undici miliardi di esemplari di Homo per il 2100.Gli effetti su cui scommettevano molti demografi, e cioè la riduzione della natalità in molte aree del pianeta e le politiche di controllo demografico auspicate in Africa e Asia, non si sono verificate e non mostrano il minimo segno di verificarsi in futuro. Tutt'altro, la natalità si mantiene alta in queste aree e addirittura aumenta anche in aree di crisi (come in medio oriente) in cui guerre e carestie facevano in teoria prevedere una riduzione. 11 miliardi (ma alcuni prevedono anche di più) nel 2100, cioè in meno di un secolo, è una previsione impressionante e carica di conseguenze. Ricordo che oggi siamo 7,2 miliardi. Si tratta di una catastrofe inimmaginabile, in quanto l'esplosione demografica di ulteriori 4 miliardi in meno di un secolo significa l'incremento esponenziale di guerre, carestie, esaurimento di risorse fondamentali, povertà, migrazioni di massa, inurbamento massiccio e caotico con megalopoli sovrappopolate e violente, il definitivo collasso climatico con il surriscaldamento dell'atmosfera per effetto delle emissioni di Co2 connesse alla attività e alla sussistenza stessa di tanti miliardi di persone. Purtroppo né i governi nazionali, né le istituzioni internazionali, mostrano di allarmarsi per questi dati, e il pianeta corre verso la distruzione nella completa indifferenza di coloro che dovrebbero provvedere. Da noi in Italia anzi alcune anime belle (si tratta in realtà di emeriti imbecilli) si preoccupano per i dati che indicherebbero una bassa natalità della popolazione autoctona e predicano maggiore accoglienza verso le massicce immigrazioni in atto, fonte di ulteriori distruzioni di verde e di paesaggio, di cementificazione e inquinamento per questo disgraziato paese. Riporto l'articolo sul Corriere di oggi:
Anno 2100: sulla Terra saremo 11 miliardi (ben oltre le previsioni) Lo sostengono le stime di un team internazionale guidato dai ricercatori dall’Università di Washington: torna in auge il problema della sussistenza di Emanuela Di Pasqua Fra circa 85 anni le persone che popoleranno il pianeta molto probabilmente raggiungeranno gli undici miliardi, smentendo le previsioni recenti che parlavano di una crescita molto più contenuta. È certo che la quasi totalità di chi legge questo articolo non vedrà, purtroppo o per fortuna, questo scenario, ma alla luce di questi ultimi dati tornano in auge le teorie malthusiane che vedevano nel divario tra crescita demografica e risorse per la sussistenza della popolazione uno dei grandi problemi che l’umanità si sarebbe trovata ad affrontare. Precedenti stime Era da circa un ventennio che gli esperti in demografia erano Si credeva che la curva demografica si sarebbe stabilizzata concordi nel sostenere che entro il 2050 da circa sette miliardi gli abitanti del mondo sarebbero lievitati fino a nove miliardi per poi stabilizzarsi e addirittura inaugurare una curva in leggera discesa. Non per niente l’attenzione sulle politiche demografiche era calata notevolmente. E invece l’ultimo report a questo riguardo, che si avvale di metodi statistici molto sofisticati, parla del 70 per cento di possibilità che nel 2100 la popolazione globale sfiori gli undici miliardi. Con svariate implicazioni, la maggior parte delle quali drammatiche. Le preoccupazioni La cifra è spaventosa e lo studio, guidato dal professore di statistica e sociologia Adrian Raftery, pone inquietanti interrogativi su temi come la fame nel mondo, l’inquinamento, le guerre e le tensioni sociali, le risorse, l’assistenza sanitaria. La La crescita più elevata riguarderà l’Africa Sub sahariana crescita più rapida riguarderà l’Africa sub-sahariana, che secondo gli esperti passerà dal miliardo di abitanti attuale a una popolazione oscillante tra i 3,5 e i 5 miliardi di persone. In Nigeria si stima che gli abitanti passeranno dai 200 milioni ai 900 milioni nel 2100, con una media di sei figli per ogni donna, e altrettanto preoccupanti sono le stime per quanto riguarda tutta l’Africa, a causa dell’altissimo tasso di natalità. Attenzione calante Dagli inizi degli anni Ottanta in realtà il tasso di natalità aveva registrato un’inversione di tendenza anche in alcuni Paesi africani, ma poi la curva di discesa si è stabilizzata. Oggi il trend globale denuncia un problema sempre attuale mentre gli esperti sottolineano la necessità di un energico controllo delle nascite, ribadendo che all’origine di molti problemi dell’umanità c’è proprio la sovrappopolazione del mondo: «La crescita demografica esponenziale e i problemi correlati - secondo Simon Ross (dirigente di un think tank che si occupa di crescita demografica) - devono tornare al centro del dibattito internazionale dopo anni in cui erano diventatati marginali». Le politiche di controllo della popolazione devono rinvigorirsi e l’attenzione non può né deve spegnersi, secondo Raftery e i suoi colleghi. Anche se lo studio parla in verità di una crescita molto variabile, a un tasso oscillante tra il 45 e il 70 per cento. Un problema anche culturale Il problema è sia di tipo informativo, non essendo condivisa né sufficientemente conosciuta la contraccezione, che di tipo culturale: in una nazione come la Nigeria dove il 28 per cento delle ragazze non porta a compimento l’istruzione primaria, il mito della famiglia numerosa è naturale, anche perché il ruolo femminile spesso si esaurisce in quello materno. Esiste un legame inversamente proporzionale tra tasso di istruzione femminile e numero di figli, come dimostrano i numeri del Ghana che parlano di una media di 5,7 figli per le donne senza istruzione che scende a 3,2 per la popolazione femminile con istruzione secondaria e a 1,5 per le donne laureate. Gli esperti però pongono l’accento su un controllo delle nascite consapevole, poiché le politiche demografiche non possono guardare solo al numero della prole, ma devono sensibilizzare sull’esistenza o meno di condizioni necessarie a provvedere ai figli in termini di istruzione e salute. Non è un pianeta per vecchi In questa nuovo scenario delineato ha un ruolo cruciale Saremo sempre più longevi: un altro problema da risolvere anche l’Aids, che inizialmente si pensava avrebbe avuto un impatto ancora più drammatico sulla popolazione. Oggi un paziente che può avere accesso alle cure ha un’aspettativa di vita mediamente di dieci anni inferiore a una persona sana, traguardo che comunque non si pensava di poter toccare solo qualche anno fa. Infine tra i tanti timori di questo mondo sovraffollato che ci aspetta (e più che altro aspetta i nostri figli o nipoti) c’è l’invecchiamento della popolazione, che toccherà anche nazioni attualmente molto giovani come il Brasile. Quell’esercito di anziani che abiterà la Terra avrà bisogno di cure, di pensione e di assistenza, imponendo un ripensamento delle politiche governative e della società. E nonostante l’ottimismo della cosiddetta bio-demografia, la longevità porrà ulteriori problemi di non facile soluzione.

sabato 6 settembre 2014

Il Nuovo Paradigma: ennesima illusione?




Al tempo dello scontro tra comunismo e mondo occidentale, si dibatté molto su quale sarebbe stata l’arma vincente tra i due contendenti. Si pensava all’economia, all’industria, ma soprattutto alla politica e alla potenza militare che permettesse all’influenza geopolitica di una delle due maggiori potenze di surclassare l’altra. Si studiarono, in occidente, vari paradigmi teorici, come una maggiore giustizia sociale, un ruolo rilevante per le socialdemocrazie, e le varie dottrine –come quella di Kissinger- sul contenimento militare e politico dell’espansione comunista. La realtà fu assai diversa e i  motivi del crollo del comunismo furono del tutto insospettabili: l’invenzione dei supermercati, la televisione e le trasmissioni tv  via satellite, la pubblicità e i modelli sugli stili di vita in occidente,  la liberalizzazione dei mercati, internet.

Il termine nuovo paradigma entrò nell’uso dei teorici della politica per studiare modelli da applicare alla realtà per determinare cambiamenti nella struttura sociale e politica secondo schemi logici predeterminati. L'impostazione filosofica viene direttamente dal neo-kantismo di inizio novecento. 
Il nuovo paradigma ecologico è una teoria della scienza sociologica introdotta da Dunlop e Catton nel 1978/1979 per definire il problema dello studio di una via di uscita politica e sociologica al problema ambientale.  La vecchia sociologia e le teorie economiche  e politiche fino ad allora vigenti consideravano infatti il problema sociale come una ottimale organizzazione della società umana in funzione di una equa distribuzione delle risorse e un adeguato sviluppo economico e tecnologico condiviso da tutte le comunità. Queste teorie tuttavia non avevano considerato che la società umana viveva e vive all’interno di un ambiente naturale le cui risorse sono limitate, e quindi sia i consumi sia gli altri parametri riguardanti l’economia, la produzione, l’energia, le risorse idriche ecc. andavano rapportati alla situazione ambientale secondo quello che veniva definito un “nuovo paradigma ecologico” in cui inquadrare lo sviluppo, le politiche, l’organizzazione sociale. Tale nuovo paradigma era tutto da definire e richiedeva una nuova visione dell’uomo e della società non più basata, dicevano gli autori, sull’antropocentrismo, ma su un biocentrismo che poneva in evidenza come l’uomo –pur essendo un essere fornito di intelletto e capace di costruire un suo modello peculiare di esistenza- condivideva con gli altri animali e organismi viventi lo stesso ambiente a cui era interconnesso e da cui dipendeva per la propria sopravvivenza. Gli autori pertanto proponevano lo studio di un nuovo paradigma che in sociologia non esisteva ancora e che fosse basato sia sui dati empirici provenienti da uno studio accurato della situazione ambientale e desse luogo ad un costruttivismo teorico definito costruttivismo ecologico che legasse l’attività del soggetto all’ambiente sociale e culturale da un lato e a quello naturale dall’altro in maniera da formulare una costruzione di una nuova società più idonea  all’ambiente, con comportamenti e modelli di consumo e produzione tarati sulle necessità ambientali e sulla sostenibilità.

Come è evidente dalle premesse degli autori, la nuova teoria da un lato mostrava l’inadeguatezza di tutte le visioni teoriche precedenti per affrontare la crisi ambientale esplosa nel XX secolo, dall’altro apriva la strada a nuovi ideologismi che utilizzassero il costruzionismo per imporre nuovi tipi di società alla politica e alla sociologia, con il rischio di creare nuove rigidità ideologiche  e nuove utopie dopo il crollo di quelle precedenti. Non è un caso che tutte le formulazioni successive riguardanti ipotetici nuovi paradigmi, trascurassero evidenze empiriche come l’esplosione demografica e la sovrappopolazione del pianeta per dedicarsi esclusivamente all'aspetto economico   di tipo egualitario e redistributivo, e a nuovi modelli di produzione e consumo dedotti teoricamente e poi da applicare al campo della realtà fattuale.
Il concetto stesso di “nuovo paradigma" suscitava diffidenza tra gli esperti di ambientalismo fattisi sul campo   e  fu infatti rifiutato dagli ecologisti storici che avevano fondato il movimento ambientalista come P.Ehrlich o Meadows, ritenendolo inadeguato ad affrontare la realtà del degrado ambientale e concentrato troppo su modelli teorici non in grado di influire sui dati oggettivi.

Come per tutti i paradigmi costruttivisti il problema è sempre lo stesso che vide la critica di Hayek alle varie teorie costruttiviste: la realtà è più complessa di qualsiasi schema e tutti i modelli teorici sono destinati a scontrarsi con la realtà che impietosamente li avvia a fallimento certo. Gli esiti economici, politici, sociali e organizzativi di qualsiasi società contemporanea sono polideterminati da una serie di reazioni o di retro-azioni (feed-back) e non hanno mai comportamenti coerenti in quanto strutturalmente esposti a sistemi dinamici complessi (ad esempio gli attrattori -sistemi dinamici caotici di Lorenz- che non consentono schemi logici predittivi in base ai dati disponibili in  una situazione statica ). Le variabili inoltre nelle moderne società complesse si sono moltiplicate e ulteriormente complicate. Le teorie costruttiviste non possono funzionare e sono regolarmente fatte cadere dalla realtà.
Un altro aspetto  di tutti i paradigmi è il consueto problema di chi dovrebbe applicarlo, problema magistralmente descritto da Popper nel suo libro "La società aperta e i suoi nemici". La società moderne sono in genere complesse politicamente: ci sono da conciliare interessi diversi, spesso contrastanti, forze politiche diverse, soggetti istituzionali o para istituzionali (ad esempio sindacati, grandi imprese, grandi banche ecc.). I decisori politici spesso non hanno la forza di imporre soluzioni e il governo non ha strumenti adeguati per realizzare decisioni forti. Senza contare i condizionamenti loco-regionali e internazionali. 
Guardiamo il caso del paradigma della decrescita. Chi dovrebbe stabilire le regole per imporre a imprese e lavoratori una riduzione della produzione e dei consumi (e dei guadagni), chi e con quali criteri dovrebbe stabilire gli ambiti di lavoro cui destinare investimenti e nuovi posti di lavoro (ad esempio l’agricoltura), quali produzioni privilegiare  e i ritmi di produzione? Le variabili in gioco spesso mutano durante le rilevazioni empiriche e non consentono previsioni di quali saranno quelle determinanti, neanche a breve termine. E tutto questo mentre il processo decisionale politico diviene più complesso  in una società altamente tecnologica in cui mezzi di informazione e relazioni tra individui e istituzioni dovrebbero essere improntati a diritti e libertà. I mezzi finanziari inoltre si sono flessibilizzati, sono facilmente trasportabili, trasmutabili, mimetizzabili e possono essere informatizzati e trattati come informazioni complesse. Nessuno ha un’esclusiva sul controllo di tali strumenti finanziari, neanche le banche centrali.
E’ chiaro come l’applicazione di un nuovo paradigma ecologico sia in queste condizioni è impossibile e destinato all’insuccesso. Anche perché non esistono solo le difficoltà insite all’interno dei singoli stati, ma anche relazioni internazionali complesse con aree di influenza economica e politica difficili da controllare senza autorità sopranazionali fornite di poteri sufficienti. Il mondo inoltre continua ad andare secondo logiche inerziali derivanti da contingenze storiche e politiche provenienti dal passato  ed è poco sensibile alle problematiche ambientali (come dimostrano i  continui fallimenti delle conferenze internazionali dedicate all’ambiente). Gli stati, in piena crisi ecologica, sono tuttora immersi nelle dinamiche di potenza loco-regionale e di sfere di influenza, di controllo delle fonti energetiche, di interessi economici e commerciali, di sviluppo economico e demografico secondo paradigmi spontanei determinati dalla storia e dalla cultura che è difficile se non impossibile scalzare. La storia è spesso crudele verso i programmatori teorici di nuovi paradigmi: li lascia cullare nelle loro teorie costruttiviste, mentre modifica intorno a loro il quadro storico-politico in senso del tutto opposto.
Vediamo quello che sta accadendo nel mondo contemporaneo.

Il nuovo paradigma prevalente attualmente in campo ecologico è quello della decrescita. Ma come con tutti i nuovi paradigmi elaborati a tavolino, la realtà viaggia per conto suo ignorandolo completamente. Nel frattempo, mentre gli studiosi eco-sostenibili elaborano modelli di decrescita,  tutti i problemi ambientali si vanno pericolosamente aggravando. Cosa  sarà in grado di invertire la situazione e salvare il pianeta? La mia personale opinione è che se mai avverrà questo cambiamento epocale, non sarà un nuovo paradigma a provocarlo. Non saranno nuove forme di organizzazione sociale e produttiva elaborate secondo forme teoriche logiche (riduzione controllata del Pil, uso imposto delle rinnovabili, agricoltura sociale ecc.) a modificare in maniera sostanziale la situazione. All’origine del cambiamento saranno fenomeni spontanei che provocheranno stati critici, collassi, riorganizzazioni su basi diverse. Potrebbe trattarsi di eventi catastrofici che ad esempio determinassero la riduzione improvvisa e massiccia della popolazione, oppure cadute drammatiche della produzione e dei consumi. Un esempio in questo senso potrebbero essere  il superamento del picco del petrolio (o dell’uranio) per esaurimento delle risorse, oppure l’improvviso aumento del rialzo termico della biosfera da cappa di carbonio libero per la combustione di idrocarburi fossili, con la conseguente inondazione di alcune grandi città costiere e la messa in crisi di numerosi sistemi umani.
Ma alla base di un cambiamento epocale in favore dell’ambiente naturale potrebbero non esserci solo eventi catastrofici, ma ad esempio innovazioni tecnologiche clamorose. Come è avvenuto in passato: lo sviluppo della civiltà industriale fu sostenuto dall’invenzione del motore a vapore  e del motore a scoppio; eventi altrettanto rivoluzionari nell’organizzazione sociale furono l’effetto dell’introduzione dell’elettricità come forma di energia facilmente utilizzabile e diffusibile in tutti gli ambienti e valida per tutte le nuove apparecchiature in grado di trasmettere movimento e informazione attraverso l’energia elettrica. Gli eventi della prima e della seconda guerra mondiale non furono tanto determinati dalle strategie studiate a tavolino dai generali, quanto dalle innovazioni tecnologiche che rinnovarono completamente sul campo il modo di fare la guerra. La fine della seconda guerra mondiale coincise con l’introduzione e l’uso diretto della nuova invenzione della bomba atomica, sulla cui realtà si è fondata tutta la strategia politica internazionale successiva, fino ad oggi.  Nessuno dei teorici dei nuovi paradigmi che avrevvero dovuto guidare il mondo nel XX secolo, aveva previsto la realtà dei fatti che si sarebbero verificati nel secolo successivo.
Oggi, mentre nelle stanze della intellighentia  ambientalista si progetta il nuovo paradigma della decrescita, in giro il mondo se ne va per conto suo senza preoccuparsene tanto. Mentre si discute di decrescita nelle torri d’avorio, le nazioni della terra (tra cui Usa, India e Cina)  moltiplicano i consumi in carbone, petrolio e gas, aumentano il Pil, estraggono con il fracking, costruiscono centrali nucleari, incrementano i trasporti e la cementificazione, moltiplicano le megalopoli, assistono impassibili all’esplosione demografica nelle aree più depresse del pianeta innescando fenomeni di migrazione epocali i quali porteranno ulteriore cementificazione, ulteriori consumi, ulteriori immissioni di carbonio in atmosfera, ulteriore sfruttamento dei terreni gricoli con uso di fertilizzanti chimici e antiparassitari, ulteriore deforestazione, ulteriore plastificazione dei mari e depauperamento delle risorse. In giro non si sta discutendo su come ridurre le immissioni di carbonio, al contrario si stanno preparando nuovi conflitti (il papa ha per la prima volta parlato di terzo conflitto mondiale) e in Europa cresce la popolazione di cultura islamica in maniera  da far prevedere il sorpasso sugli autoctoni in numerose città del nord Europa nei prossimi decenni. Sono popolazioni che rifiutano per cultura ogni impostazione ecologica e ogni controllo demografico (anzi usano la natalità per affermarsi come potenza egemone). Tutto questo mentre i cervelloni del nuovo paradigma ecologico elaborano piani di riduzioni dei consumi che nessuno avrà mai la forza politica e sociale di applicare e che rimarranno lettera morta e carta straccia a perenne ricordo dell’ennesima illusione post-illuminista. Questa volta non ci sarà bisogno di abbattere   muri di berlino e o di fare  guerre per le risorse. Le torri d’avorio dell’intellighentia ecologista crolleranno da sole per far spazio a nuovi palazzi e grattacieli per la popolazione mondiale in forte crescita demografica. Saranno gli eventi a chiamarci ad una nuova consapevolezza ed ad affrontare sul campo la necessità di una nuova cultura che abbia al primo posto la riduzione controllata della popolazione umana basata sul controllo delle nascite e un nuovo ruolo della donna.