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venerdì 29 marzo 2013

CHI SI BATTE PER NON FERMARE L'ESPLOSIONE DEMOGRAFICA

Nell'immagine qui sopra: l'edizione italiana dello storico saggio del Club di Roma sui limiti dello sviluppo.

Riporto un articolo di Edoardo Quaquini sulla necessità di fermare l'esplosione demografica che sta portando alla distruzione del pianeta e che individua in alcune credenze religiose, in tradizioni ormai superate, e in interessi economici e politici attuali,  le ragioni di chi si oppone al controllo demografico.



Uno dei punti centrali di scontro tra le ideologie laiche e quelle religiose è certamente quello relativo al sesso ed al controllo della popolazione.
Gran parte delle religioni (in primis quella cattolica che pretende di imporre la propria visione sul nostro paese) collega la sessualità direttamente alla riproduzione e vede il sesso in un’ottica positiva solo quando è volto alla procreazione. Diversamente, un approccio laico (o laicista che dir si voglia) alla realtà, imperniato sui principi di libertà individuale, considera la sessualità non necessariamente vincolata a fini riproduttivi ma anzi legata in primis al benessere psicofisico delle persone che la praticano.

Nasce da qui, fondamentalmente, il solco che divide laici e religiosi in merito ad uno dei problemi cardine dell’epoca attuale (e che ancor più importante diverrà in futuro): la crescita della popolazione.

Tale distanza non coinvolge soltanto l’aspetto riproduttivo, ma ha in sé implicazioni ambientali ed economiche di vastissima portata.
La posizione cattolica è chiara: si fa sesso per figliare, lo scopo principale della famiglia è quello di portare avanti l’espansione della specie (prestando obbedienza al biblico andate e moltiplicatevi) e dunque più figli si fanno, meglio è, specialmente in un’epoca – come questa – che vede un calo nella natalità dei paesi più avanzati. In tale ottica, che i paesi in questione abbiano una densità abitativa insostenibile da un punto di vista ambientale è secondario, come è secondario che la crescita della popolazione comporti maggiori consumi e dunque una necessità di crescita economica e di sfruttamento del pianeta.
L’imperativo, anche economico, è uno solo: crescere.

Un approccio razionale, ancor prima che laico, è invece portato a valutare le condizioni attuali del pianeta e dell’umanità: condizioni tutt’altro che rosee.
Lo sfruttamento del sistema-terra è a livelli mai toccati: in pochi decenni sono state bruciate, solo per fare un esempio, gran parte delle scorte di combustibili fossili che si sono accumulate in milioni di anni. Molti minerali iniziano a scarseggiare tanto che siamo già in riserva per quanto riguarda alcuni metalli fondamentali per molte applicazioni tecnologiche attuali, dal terbio all’indio, sino al platino, che in caso di diffusione delle auto ad idrogeno, per le quali è fondamentale, si esaurirebbe rapidamente.

Del rischio legato all’esaurimento del petrolio tutti ormai sanno molto: secondo gran parte degli studi siamo giunti al famoso picco dopo il quale la produzione è inevitabilmente destinata a decrescere con l’esaurirsi dell’olio combustibile. Si tratterebbe di un problema enorme, dato che gran parte della nostra civiltà, non di quella occidentale: di quella umana globale, è fondata sull’utilizzo di derivati del petrolio a fini energetici (e non solo: si pensi alle materie plastiche). Il gas naturale è destinato a durare un po’ di più, ma si tratta di due o tre decenni e non certo di secoli.

Cosa faremo quando tali combustibili andranno verso l’esaurimento? Siamo pronti a sostituirli con qualcosa di alternativo?
Purtroppo non ancora. Né si sta facendo granché per prepararsi a quello che avverrà, che non sarà improvviso, come in un film catastrofista in cui una mattina non c’è più benzina nei distributori o non arriva più il gas alla caldaia. Con ogni probabilità si passerà con una fase di rincari consistenti e continui dei prezzo sia dei carburanti che di ogni altro bene che necessiti trasporto (e dunque spese per carburante). È probabile il ritorno ad una economia di prossimità, ritorno che potrebbe certamente esser più agevole se venisse programmato razionalmente. Oggi il cocomero spagnolo costa pochissimo: meno di quello nostrale. Coi rincari del carburante il prezzo del cocomero (e di ogni altro bene) che provenga da distanze considerevoli è destinato a salire vertiginosamente, rendendo diseconomica l’importazione e favorendo l’utilizzo di prodotti locali. Per certi versi si può dire che la stessa globalizzazione economica rischia di crollare nel medio-lungo periodo: è inutile far produrre i beni in paesi dove la manodopera costa pochissimo se poi le spese di trasporto annullano tutti i benefici derivati dal risparmio sugli stipendi dei dipendenti.

Si può capire come una tale situazione genererebbe un caos economico e politico piuttosto rilevante: caos che diverrebbe drammatico se nel frattempo non si fosse riusciti a sfruttare le energie rinnovabili per la produzione elettrica in quantità tale da sostituire i combustibili fossili (parlare di un medioevo prossimo venturo è forse retorico, ma non è molto distante da quanto potrebbe avvenire in caso di mancata gestione della transizione tra fonti di energia e tra modelli economici).
E parlando di gestione della situazione futura, si giunge all’argomento sovrappopolazione, nevralgico in merito al tema di cui sopra.

Infatti, è lapalissiano che un pianeta con 7 miliardi di abitanti (come ad oggi, più o meno) consumi molte più risorse (ed ambiente) di un pianeta, per esempio, di soli 2 miliardi di persone. Ciononostante le previsioni parlano di un’espansione della popolazione sino a circa 10 miliardi di abitanti nei prossimi decenni. Chiedersi le condizioni di vita in cui verseranno tali abitanti è legittimo.

Se l’espansione economica, del tutto prevedibile, di paesi che sino a pochi anni fa potevano dirsi arretrati (in primis India e Cina, ma non solo) continuerà a questi ritmi, è lecito attendersi un esaurirsi dei carburanti fossili nei prossimi tre decenni. E dopo?
Il rischio di gravi carestie è fondato – del resto la stessa agricoltura che sta alla base dell’alimentazione mondiale si appoggia (almeno nei paesi avanzati e produttivi) sull’utilizzo di macchinari alimentati ad olio combustibile. Dunque la produttività agricola è destinata a crollare con la non utilizzabilità (o diseconomicità) di tali macchinari. Paradossalmente, un altro rischio elevato potrebbe porsi nel caso si decidesse di percorrere la strada dei biocarburanti. Tenuto conto che la terra coltivabile è limitata (ed espandibile solo in parte, grazie all’abbattimento di foreste che sono dei veri e propri “polmoni” per il nostro pianeta), se si decidesse di produrre in massa il biocombustibile (cioè di utilizzare la terra coltivabile per produrre piantagioni di vegetali utilizzabili come carburante) ovviamente ne risentirebbe la produzione a scopi alimentari. Chi produrrebbe volentieri grano se producendo mais a scopi “combustibili” guadagnasse 3 volte tanto? E dunque, la carenza di risorse alimentari potrebbe essere profonda e devastante, specialmente in quelle zone del pianeta più povere dove necessariamente non ci si può permettere di spendere molto per i beni di prima sussistenza.

Chiaramente se la popolazione mondiale fosse minore, la via dei biocombustibili sarebbe più agevolmente percorribile: con una popolazione di 1/3 rispetto a quella odierna, potremmo adibire i 2/3 delle terre ad oggi riservate a coltivazioni alimentari ad altri scopi.
E qui si torna, di nuovo, alla questione demografica.
Una forma di controllo delle nascite democratica e di tipo educativo/non impositivo parrebbe necessaria ed auspicabile viste le premesse ambientali ed economiche. Tuttavia ciò è tutt’altro che accettato da parte della maggioranza delle religioni organizzate, in particolare da quelle abramitiche (cattolicesimo in testa).

La visione della donna come moglie e madre (nel migliore dei casi) comporta una chiusura completa nei confronti dei sistemi di controllo delle nascite che, oltre ai benèfici effetti sulla popolazione e l’ambiente, hanno importanti effetti anche sull’emancipazione femminile, materia importante che è stata alla base del calo demografico delle società avanzate (insieme al ribaltarsi del rapporto costi/benefici della procreazione ed al calo della mortalità infantile).

Con ogni probabilità il miglioramento delle condizioni economiche e culturali delle popolazioni in via di sviluppo potrebbe portare nel lungo periodo ad un calo demografico anche in quei paesi che, ad oggi, hanno un tasso di natalità molto elevato: il problema è che mentre qualche decennio fa ci potevamo permettere di attendere il rallentamento demografico nel lungo periodo, ad oggi le situazioni ambientale ed economica non concedono grandi margini temporali.

Se veramente, come pare, i prossimi decenni porteranno l’esaurirsi degli idrocarburi e se, al contempo, il rapido sviluppo di molti degli Stati in fase di avanzamento economico porterà un avvicinarsi delle condizioni di vita di buona parte della popolazione del cosiddetto secondo mondo alle condizioni degli abitanti del primo mondo, il rischio di un tracollo ambientale ed economico globale è reale e tutt’altro che trascurabile.

E’ di certo urgente iniziare a sfruttare in modo più adeguato quelle che sono le fonti di energia rinnovabili (fonti peraltro non inquinanti: in questo contesto si è evitato di entrare nell’argomento relativo alla crisi climatica ed alle emissioni inquinanti per non complicare ulteriormente il contesto); è altresì saggio aspettarsi un calo del tenore di vita nei paesi più avanzati: quando l’energia costerà troppo molti comfort spariranno o saranno riservati solo a chi potrà permetterseli.

Tuttavia senza una seria politica di controllo delle nascite, basata in primis su fattori educativi (ma anche, perché no, economici: finanziare chi fa figli con i bonus bebè, per esempio, è quanto di più deleterio si possa fare per il futuro del pianeta), sarà difficile cavarsela senza stravolgimenti di portata immane: non c’è bisogno di essere scienziati per comprendere come, in un mondo in crisi energetica ed ambientale, sia più agevole cavarsela per un’umanità di pochi miliardi di persone rispetto ad un’umanità di dieci o più miliardi di individui.

Checché sostengano i responsabili delle varie religioni che inneggiano alla crescita demografica, richiedono le agevolazioni per chi mette al mondo più bambini e si battono contro la contraccezione.
Del resto, a costoro delle condizioni di vita dell’umanità futura evidentemente importa poco.
Dopo tutto, le religioni hanno sempre prosperato nelle valli di lacrime.

(Dal sito apocalisselaica.net) 

martedì 26 marzo 2013

Cambiare subito per evitare il disastro

(Altschuler, fisico, è direttore dell'Osservatorio di Arecibo)

"Per sopravvivere dobbiamo cambiare radicalmente il nostro modo di concepire quel che è "bene" per l'umanità e dobbiamo farlo senza egoismi. Non possiamo puntare tutto sulla nostra intelligenza, fonte di tanti inganni. Dobbiamo andare oltre. Penso a una qualità che per me è altrettanto importante e altrettanto difficile da definire: essere saggi. Curiosamente attribuiamo questa qualità alle figure mitologiche, che collochiamo nel passato, e ai personaggi della fantascienza, che collochiamo nel futuro. Il fatto è che ne abbiamo bisogno adesso...Ma allora che dobbiamo fare? Trovare il modo di risolvere questi problemi non è certo semplice, anzi si tratta probabilmente dei più difficili che l'uomo abbia mai dovuto affrontare. Non sta solo nella scienza affrontare problemi come questi, le cui vastissime implicazioni riguardano tutti noi. L'equazione del nostro futuro comprende anche termini di natura etica, sociale, economica e politica. Già sono state prese alcune misure, come la messa al bando attraverso trattati internazionali, della produzione dei composti chimici che distruggono l'ozono. Queste misure hanno alleviato il problema, ma non lo hanno certo risolto. Circa il 75 % dell'anidride carbonica che immettiamo nell'atmosfera deriva dalla combustione del carbone usato per produrre elettricità. Conosciamo fonti alternative di energia che ci permetterebbero di ridurre la nostra dipendenza dal carbone e non c'è bisogno di un genio per progettare sciacquoni che, come minimo, dimezzino i miliardi di litri d'acqua che usiamo ogni giorno quando "tiriamo la catena".  In linea di principio sappiamo anche come fare per non avere bambini. Tuttavia a mio giudizio stiamo affrontando questa situazione in modo troppo timido e disorganico: un convegno da una parte, un intervento palliativo dall'altra, ma tutto sommato continuiamo a tirare avanti come al solito in tempi molto insoliti come questi. Se sapeste, non importa come, che domattina vostro figlio rischia di essere investito da un camion, di certo fareste immediatamente qualcosa, senza perdere neppure un istante...Nel 2050, tuttavia, molti di noi non ci saranno più. Il ruolo che abbiamo avuto in sorte è quello dei semplici spettatori: osserviamo il nostro destino scorrerci dinanzi come un film dell'orrore, senza capire che cosa ci spinga a addentrarci sempre più in questa selva oscura. Possiamo chiudere gli occhi e convincerci che la questione non ci riguardi, visto che apparteniamo a quella minoranza che vive nei cosiddetti "paesi sviluppati". Fino a ieri potevamo ancora cavarcela così, seduti a tavola davanti alla tv mentre il telegiornale parlava di carestie e epidemie come di cose lontane, che riguardavano altri, meno fortunati passeggeri dell'astronave Terra. Oggi però il problema è divenuto inequivocabilmente globale e far finta di nulla non ci salverà. Siamo tutti sulla stessa barca.
Perché non cediate alla tentazione di dare la colpa a qualcun altro, mi permetto di farvi notare che gli abitanti delle nazioni sviluppate (ad esempio le nazioni del G7), pur contando appena il 10 % della popolazione mondiale, consumano circa la metà dei combustibili fossili e gran parte dei beni prodotti. E sono gli stessi che vendono automobili alle altre nazioni (le quali, per parte loro, farebbero meglio a cercare mezzi alternativi di trasporto). Fino a quando  accetteremo che sul nostro pianeta facciano il loro ingresso 10.000 nuovi inquilini ogni ora, nient'altro potrà funzionare. Piaccia o non piaccia, quali che siano le nostre più intime convinzioni, dobbiamo diminuire di numero e cambiare linea di condotta se vogliamo avere qualche possibilità di sopravvivere a lungo termine. Manca, a quanto pare la volontà sociale e politica di cambiare il corso delle nostre società in modo da evitare la catastrofe che incombe; non è nemmeno detto che qualcuno sappia come riuscirvi. Quel che è certo è che la strada lungo la quale ci siamo incamminati conduce alla catastrofe e che il tempo è agli sgoccioli. ..Le risorse del pianeta sono vaste ma limitate, ed è limitata anche la sua capacità di sopportare i colossali abusi ai quali lo abbiamo sottoposto.  Stiamo esaurendo preziose risorse e danneggiando in modo irreparabile l'ambiente, tanto che la nostra stessa sopravvivenza è a rischio. Stiamo tirando troppo la corda  e il pianeta è giunto sull'orlo del disastro (una parola il cui significato etimologico, quanto mai appropriato, è "perdere le stelle": una catastrofe per i navigatori). Basta riflettere un po' per giungere alla conclusione che la maggior parte dei 9 miliardi di persone che nel 2050 popoleranno la Terra non potranno godere di un tenore di vita paragonabile a quello di cui godiamo oggi nei paesi sviluppati. Anzi, non è affatto ovvio che avranno uno stile di vita purchessia. La scelta è chiara: non fare nulla e soffrirne le dolorose conseguenze o cercare di prepararci al futuro che ci aspetta tra meno di 40 anni. E dobbiamo provarci sul serio, se non vogliamo farci ridere dietro da tutta la galassia (se mai ci fosse qualcuno, là fuori, e avesse voglia di ridere)...Siamo stati fecondi e ci siamo moltiplicati (troppo!), abbiamo riempito la Terra e l'abbiamo soggiogata. Dominiamo sugli uccelli dell'aria e su ogni essere vivente che striscia sulla Terra. Resta da vedere se sia un bene. Vi prego di prendervi cura del pianeta; è l'unico che abbiamo e, per quel che ne sappiamo, potrebbero benissimo non esservene altri in grado di ospitare la vita, una vita simile alla nostra, in una regione molto vasta dell'universo. Vi soggiornerete per nemmeno cent'anni, ma altri verranno dopo di voi. E quindi uscite a riveder le stelle, stasera: vi appariranno sotto una luce molto differente."

(Dal libro di Daniel R. Altschuler: "L'Universo e l'origine della vita" Mondadori, 2005, pag. 2241-250).



La cosa che più colpisce nel dibattito ambientalista contemporaneo è la multiformità e l'irrilevanza delle voci che propongono le soluzioni più diverse e, a volte, incompatibili tra loro. Non c'è una visione unitaria e certa su ciò che bisogna fare per salvare la Terra. Tanto più che il tempo scorre ed è già molto tardi. Una cosa mi preoccupa in maniera da darmi i brividi: tutti parlano di rinunce ai consumi e decrescita economica, e questo va bene. Ma nessuna tra le voci più importanti e rappresentative degli ecologisti parla della decrescita che può salvare veramente il pianeta: la decrescita demografica. L'uomo non è ancora eticamente pronto a mettere in discussione il proprio egoismo di specie? Può essere, ed allora purtroppo il dis-astro, la "perdita delle stelle" intesa anche come perdita di orientamento in una notte sempre più buia, ci riguarderà intimamente.

sabato 23 marzo 2013

DAL NOMOS DELLA TERRA AL RISCHIO PLANETARIO GLOBALE




Carl Schmitt nel suo testo “Il Nomos della Terra” identificava nel suolo le radici non solo della   identità di un popolo , ma il fondamento di ogni diritto.
Tutta la storia del mondo moderno, successiva alla fine dell’impero romano-cristiano, è basata sullo jus publicum europaeum ossia sul diritto nato dal suolo europeo in seguito alle linee di confine terrigne tra poteri locali contrapposti, nati dopo la fine e la disgregazione  dell’impero.

"Dal punto di vista filosofico il significato di una linea di confine è una linea che rappresenta originariamente la dicotomia amico-nemico che ha effettivamente aperto un abisso tra la libertà, ovvero l’assenza del diritto tipica dello stato di natura, e l’ambito di uno stato civile ordinato…Per Hobbes lo stato di natura è un regno di lupi mannari. L’uomo è qui un lupo per l’altro uomo, non diversamente da come “al di là della linea” l’uomo diventa per l’altro uomo un animale selvatico…Lo stato di natura di Hobbes è sì una terra di nessuno, ma non per questo un non-luogo. Esso è localizzabile, e Hobbes lo localizza, tra l’altro, anche nel nuovo mondo… Anche in Locke le rappresentazioni dello stato di natura sono legate, nella prospettiva storica del tempo, a quelle del nuovo mondo. Solo che questo stato di natura è già divenuto uno stato sociale assolutamente sopportabile, ben diverso dall’antico beyond the line. Il significato delle linee d’amicizia del XVI e XVII secolo per il diritto internazionale stava nel fatto che grandi spazi di libertà furono allora delimitati quali zone belliche in cui poteva aver luogo la lotta per la spartizione del nuovo mondo. La giustificazione pratica che si poteva addurre era che attraverso la delimitazione di una libera zona di lotta veniva sgravato il campo al di qua della linea, ovvero il campo del diritto pubblico europeo. Esso diventava una sfera della pace e dell’ordine e non era più posto in pericolo in modo troppo diretto dagli avvenimenti che si svolgevano al di là della linea, come sarebbe invece successo in mancanza di una tale delimitazione. La delimitazione di una zona di lotta extraeuropea servì insomma a limitare la guerra europea…"
(Da Carl Schmitt: Il Nomos della Terra. Adelphi, 1991)

"Mentre dal lato terrestre degli eventi storici si realizzava un’immane conquista di terra, in mare si compì l’altra, non meno importante metà della nuova spartizione del nostro pianeta. Questa avvenne con la conquista britannica del mare, che è, dal lato marittimo, il risultato del generale risveglio europeo di quei secoli. Con essa è stabilita la linea fondamentale del primo ordinamento spaziale planetario, la cui essenza risiede nella separazione fra terra e mare. La terraferma appartiene ora a una dozzina di Stati sovrani, mentre il mare appartiene a tutti o a nessuno o in definitiva soltanto ad uno: l’Inghilterra. L’ordinamento della terraferma consiste nella suddivisione in Stati; il mare aperto è invece libero, cioè esente da confini nazionali e non soggetto ad alcuna sovranità territoriale. Sono questi, per quanto riguarda lo spazio, i dati di fatto fondamentali da cui si è sviluppato il diritto internazionale cristiano-europeo degli ultimi trecento anni. E’ questa la legge fondamentale, il nomos della terra in quell’epoca. Solo alla luce del fatto originario della conquista britannica del mare e della separazione fra terra e mare si chiarisce il vero senso di molte frasi e formule celebri. Così la massima di Sir Walter Raleigh: “Chi domina il mare domina il commercio del mondo, e a chi domina il commercio del mondo appartengono tutti i tesori del mondo e il mondo stesso”. A partire dalla conquista britannica del mare, gli inglesi e i popoli che ne hanno subito l’influenza si sono abituati al nuovo ordinamento e al nuovo modo di vedere il mondo. Secondo la loro visione, il pensiero che una potenza terrestre potesse esercitare una supremazia mondiale in grado di abbracciare l’intero globo era inaudito e insopportabile. Diversamente si guardava invece alla possibilità di un dominio mondiale che fosse costruito su un’esistenza marittima separatasi dalla terra, e che comprendesse gli oceani del pianeta. Una piccola isola situata al margine nord-occidentale dell’Europa diventò così, vogendo le spalle alla terraferma e decidendosi per il mare, il centro di un impero mondiale."
(Da Carl Schmitt: Terra e Mare. Adelphi, 2002).

venerdì 22 marzo 2013

Fusione Fredda: ufficialmente aperte le iscrizioni per la ICCF-18 Conference








Mentre siamo in attesa dei risultati dei test indipendenti sull'E-cat di Rossi, prosegue  la ricerca e la discussione a livello internazionale sulla generazione di calore dalla interazione tra alcuni metalli e idrogeno o suoi isotopi (cosiddetta Fusione Fredda). Le notizie di nuovi esperimenti e nuovi risultati si susseguono giorno per giorno. In luglio si farà il punto in Usa presso l'Università del Missouri sulle più recenti evidenze soprattutto per quanto riguarda lo stato delle Lenr in america.


Dal 15 marzo sono ufficialmenteaperte le iscrizioni alla prossima International Conference on Cold Fusion.

La 18ma edizione di questo evento si svolgera’ dal 21 al 27 luglio presso la University of Missouri, Columbia, Missouri, ed e’ organizzatain collaborazione con la Purdue University.

Tra i suoi organizzatoriRob Duncan e Graham Hubler, mentre l’elenco dei relatori include Jed Rothwell, Peter Hagelstein, Jean Paul Biberian, Matt Trevithick e Vittorio Violante.
Gia’ dal titolo questa edizione si prospetta particolarmente interessante: “Applying the Scientific Method to Understanding Anomalous Heat Effects: Opportunities and Challenges.” ossia: applicazione del metodo scientifico per comprendere anomali effetti di calore: opportunita’ e sfide.

Rob Duncan, in qualita’ di General Chair della Conferenza nonche’ Professore di Fisica presso l’Universita’ del Missouri, nel suo messaggio di benvenuto ci fornisce anche un’anticipazione sui contenuti dell’incontro del prossimo luglio. Nel suo messaggio Duncan fa riferimento ai grandi progressi avvenuti nel campo negli ultimi cinque anni ad opera di laboratori scientifici ed enti privati, dicendo che cio’ verra’ approfondito nel corso della ICCF-18.  Nella sua introduzione Duncan cita inoltre il Naval Research Lab (NRL) che ha confermato, insieme a molti altri autorevoli laboratori, quanto affermato da Fleischmann e Pons su fenomeni di produzione di calore in eccesso.


Come gia’ avvenuto nelle passate edizioni, non e’ prevista la partecipazione di Andrea Rossi.

(Notizia tratta dal sito: fusionefredda3.com  del marzo 18, 2013  )

mercoledì 20 marzo 2013

L'ASSASSINIO DELLA BELLEZZA




L’Italia è malata. Mentre leggete queste righe in decine di migliaia di cantieri continua la distruzione del paesaggio italiano. Mentre leggete queste righe si aprono centinaia di nuovi cantieri, e durante le prossime 24 ore, più di cento ettari di territorio verde italiano verranno inghiottiti dal mostro grigio, il cemento. Il cemento è il nome, lievemente cimiteriale, del terribile veleno che sta uccidendo la bellezza della nostra terra. La malattia ha un nome solo un poco più lungo: cementificazione. L’agente patogeno autore del crimine peggiore si chiama Lobby del cemento. Crimine peggiore, perché non c’è peggior atto criminale che togliere bellezza, togliere paesaggio esteriore-interiore, togliere storia, togliere vita, togliere libertà, togliere futuro a noi uomini di questo tempo e, cosa ancora più grave, ai nostri figli e ai figli dei figli che verranno per generazioni. Si tolgono i colori della vita e si sostituiscono con un’unica struttura, un unico ossessivo devastante mostruoso grigiore esteriore-interiore. Col grigiore viene il puzzo, vengono i gas miasmatici e tossici delle città superinquinate, viene la promiscuità immonda e inumana della folla anonima, la crudeltà indifferente, il traffico, il caos della bruttura come ideologia diffusa, esteriore evidenza di una interiore perdizione. Tutto il nostro povero paese è profondamente malato, non ci sono ormai più lembi di territorio sani. Le lobby del potere cementizio sono irreversibilmente e ferreamente installate nei governi delle città, delle province, dei comuni grandi e piccoli, delle regioni, del governo nazionale. I grandi giornali, l’informazione televisiva, la rete, tutto è in mano –in questo disgraziato paese- in mano a potenti cementificatori. Solo restando ai grandi quotidiani nazionali, da Repubblica al Corriere, tutti hanno nei loro board di proprietà i nomi di grandi cementificatori. La Stampa di Torino è della Fiat, il Messaggero di Roma è dei Caltagirone, di Gaetano Caltagirone è anche la proprietà del Mattino di Napoli, il Quotidiano-Resto del Carlino del gruppo Monti-Riffeser. Per non parlare dei quotidiani a diffusione locale, quasi tutti saldamente in mano ai cementificatori. Gran parte dell’economia di questo paese è sotto il controllo dei grandi costruttori.  Gli Arabi hanno il petrolio, i grandi industriali e la grande finanza italiana ha il proprio petrolio: il verde, la bellezza, la natura e il paesaggio italiano che, giorno per giorno, viene estratto, trasformato, consumato e bruciato nel più assordante silenzio di un popolo incapace di reagire. Si perché non c’è solo la perdita di bellezza,di salute, di vita. C’è anche la devastazione morale. L’impresa della cementificazione italiana è in gran parte in mano alla malavita; le camorre controllano intere regioni, la mafia sta dietro a tante imprese edilizie, a tante rapine di territorio. I cementifici nel meridione d’Italia (e non solo) sono di proprietà di società in odore  (odore talmente forte da essere putrefattivo…) di mafiosità.  Le licenze vengono concesse dietro manovre corruttive. Sarebbe quasi ridicolo, ridicolo, se non fosse tragico, che lembi di incomparabile bellezza del paesaggio senza pari di quello che tanto tempo fa era il Bel Paese, ...sono in mano a funzionari di secondo livello di enti locali che vengono prezzolati per mettere firme su licenze mortifere perché annunciano la morte della bellezza e della natura, o per chiudere ambedue gli occhi assassini di fronte all'abuso di cemento. E infatti quando non c’è la corruzione, c’è l’abusivismo. Oppure ci sono tutti e due: corruzione e abusivismo insieme. In un paese dove se si ruba una mela si prendono tre anni di galera, nessun giudice ferma la costruzione illegale, lo scempio di territorio. Una mela rinasce la prossima stagione. Un tratto di bella costa italiana distrutta dal cemento non rinasce mai più.

Allego al seguente link la bella intervista sullo scempio del paesaggio e del territorio italiano concessa da Paolo Berdini a “Salviamo il Paesaggio” nella speranza che Tutti, Tutti, da subito e con energia riusciamo a trovare la forza e l’indignazione di opporci in ogni realtà locale e a livello nazionale per combattere il terribile male che ci affligge. Per scaricare l’intervista a Berdini in formato Pdf clicca  qui.

martedì 19 marzo 2013

LA VISIONE DI HAWKING: La salvezza nella supertecnologia





Stephen Hawking, lo scienziato teorico dei buchi neri, esprime una opinione estrema sulla scienza e sulla storia umana. Nella sua spiegazione dell’universo, Hawking, dopo aver condiviso in via teorica la “teoria del tutto” che vede interconnesse le leggi fisiche secondo costanti proprie del nostro universo, tende a vedere nell’intelligenza un “fenomeno locale” e giudica gli uomini   poco più che scimmie evolute su un unico pianeta. Hawking non crede che l’universo sia il frutto di un disegno intelligente, ma lo riporta ad un fatto statistico: esistono infiniti universi paralleli e il nostro si caratterizza per alcune variabili fisiche (ad esempio la quantità di massa dei quark) tali da aver generato le molecole della vita in particolari situazioni locali. La nostra intelligenza è parziale e capace di comprendere solo realtà fisiche locali e incomplete ( come affermato da Godel nei suoi teoremi dell’incompletezza). Tutto ciò che è interno al sistema, compresa la nostra intelligenza, non può infatti comprendere il tutto. L’intelletto umano, pur nei suoi limiti, è in grado però di sviluppare la tecnologia che è una risorsa a doppio aspetto: da una parte consente all’uomo di progredire nella conoscenza e nella potenza sulla materia, dall’altra è capace di portare all’estinzione della vita. Ma è nella tecnologia e nel suo sapiente uso che Hawking vede la salvezza dell’uomo e le possibilità dell’intelligenza di espandersi. Qui la posizione di Hawking diviene radicale. L’uomo non potrà a lungo salvare la Terra da un destino di distruzione. Troppi sono i pericoli che circondano il nostro pianeta, anche se il peggiore si sta rivelando quello interno ad esso: lo sviluppo tecnologico senza limiti della società umana. Sarà tuttavia la tecnologia, portata alle estreme conseguenze, che permetterà una via di fuga verso altri pianeti e poi altri sistemi solari. Lo scienziato dei buchi neri propone di intensificare le ricerche e gli studi  per consentire i viaggi interplanetari, ad esempio Marte . Il pianeta rosso potrebbe essere un luogo dove la nostra civiltà potrà costruire città con una tecnologia che permetta di sopravvivere a certe condizioni avverse. La Terra sarebbe, in questa ottica, un pianeta da sfruttare fino in fondo fino all'esaurimento delle risorse per consentire agli uomini la futura espansione. Ma le osservazioni degli astronomi consentono di spingere oltre la fantasia. Sono stati individuati pianeti (in genere poco più grandi della Terra) in sistemi solari abbastanza vicini a noi nella nostra galassia. Alcuni sono ad una distanza di circa venti anni luce, e recentemente è stato scoperto un pianeta che potrebbe essere abitabile intorno a Tau Ceti che dista da noi  12 anni luce. Nella visione di H. la storia umana è finita, come affermava il  filosofo Fukuyama, ed oggi si può parlare solo di storia della tecnologia con cui la nostra civiltà ormai si identifica. La tecnologia sarà all’origine dell’esaurimento delle risorse naturali della Terra e della devastazione irreversibile del suo ambiente, ma la salvezza dell’uomo sarà comunque legata alle scoperte tecnologiche, come ad esempio i nuovi motori in grado di raggiungere velocità nello spazio che ci consentano di viaggiare fino alle stelle vicine. Lo scienziato immagina la costruzione di grandi astronavi in grado di viaggiare a 10-20 volte la massima velocità raggiunta al giorno d’oggi (la sonda Vicking attualmente in viaggio al limite del sistema solare) in maniera da consentire la vita di una o più generazioni a bordo, fino al raggiungimento della terra promessa. La visione di H. è però un azzardo, un misto tra super-tecnologia e visionarismo millenaristico,  che rischia di non farci vedere che la salvezza è molto più vicina a noi, tanto vicina che non riusciamo a vederla nella sua chiarezza. La salvezza, al contrario di quel che crede Hawking, potrebbe stare proprio nella comprensione da parte della scimmia evoluta, che il suo posto sta sulla Terra insieme alle altre specie viventi, e che la tecnologia torni ad essere non una sfida al pianeta, ma un modo per viverci in armonia con la natura.

(Le affermazioni di S. Hawking sono tratte dal dvd da lui curato sull'Universo e la teoria del tutto, edizioni Discovery).


mercoledì 13 marzo 2013

OBAMA SPINGE LA RIPRESA AMERICANA



Passata la sbornia della turbo-finanza degli scorsi anni, gli Stati Uniti di Obama tracciano la strada per un ritorno di un ruolo cruciale dell’industria  neglie equilibri complessivi dell’economia. Tanto che le ultime statistiche hanno evidenziato un sorprendente aumento dell’occupazione nelle fabbriche Usa. Nel recente Workshop Ambrosetti a Villa d’Este di Cernobbio si è parlato dell’importanza per i paesi avanzati della ripresa dei settori produttivi: se i governi – dagli Usa al Giappone – puntano sul rilancio delle attività orientate all’export, l’Europa –che, come sottolineato dall’ultima ricerca del Team Ambrosetti, “resta il principale hub manifatturiero mondiale”- non può prescindere dal sostegno dell’economia reale per mantenere il suo ruolo globale. L’ a.d. di General Electic Italia, Sandro De Poli, afferma che “In Italia è strategico difendere la piattaforma industriale che fa ancora del paese l’ottava potenza mondiale”. Ma l’Economia italiana perde colpi quasi ogni giorno e il 90 % delle imprese in Italia esprimono preoccupazioni per il futuro: il paese perde competitività, le scuole sono scollegate dalla produzione, la tassazione è elevata, l’energia costa in media il 30 % in più del resto dell’Europa. In Usa invece bassi costi dell’energia e incentivi territoriali stanno spronando un ritorno di manifatture a valore aggiunto che erano state decentrate altrove. Le imprese manifatturiere, incoraggiate da una ritrovata competitività della Corporate America e da incentivi federali e locali, sono il cuore strategico di questa riscossa. Su scala nazionale accelera il reshoring, il rimpatrio di produzioni dall’Asia da aziende che comprendono colossi del calibro di General Electric. GE ha ripreso a sfornare caldaie, frigoriferi e lavatrici in Kentucky di ritorno dalla Cina, convinta di poter meglio innovare e tenere il passo con i consumatori. Nell’insieme il manifatturiero è riuscito a generare il mezzo milione di posti di lavoro in 37 mesi, 14 mila a febbraio, vantato dall’amministrazione Obama. Il forte boom energetico, soprattutto nel gas ricavato dalle formazioni rocciose, ha contribuito a una straordinaria spinta indiretta, abbassando i costi per altre società, e diretta al rlancio dell’occupazione. Nell’energia l’anno scorso sono stati creati 31.400 posti, metà del picco dell’anno precedente, ma lo sviluppo è destinato a proseguire rapidamente.Il mix giusto trovato da Obama unisce le dinamiche del libero mercato e la bassa tassazione sul lavoro, tipiche dell’economia liberista, agli incentivi e allo stimolo pubblico secondo una rivisitazione dell’economia keynesiana. Si tratta in fondo del solito pragmatismo americano che utilizza le varie “filosofie” economiche quando servono e secondo le esigenze del tempo, senza farsi bloccare da rigidità ideologiche come avviene ancora in Europa e specialmente in Italia. Per mantenere basso il costo dell’energia Obama non ha avuto scrupoli: non solo ha mantenuto i programmi di costruzione di nuove centrali nucleari anche dopo Fukushima (due sono in costruzione in Georgia, altre sei sono in programma) ma ha ampiamente finanziato e facilitato la nuova tecnologia del Fracking per l’estrazione di petrolio e del gas che, per quanto più costosa delle tecnologie tradizionali, ha ridotto la curva di  costo complessivo degli idrocarburi espandendone il consumo e passando addirittura all’esportazione di una quota di petrolio e di gas prodotto in casa. Per mantenere le direttive sull’energia ha recentemente nominato il fisico nucleare del MIT Ernest  Moniz a ministro dell’Energia. Moniz si e' pronunciato in passato a favore di una liberalizzazione del mercato dell'energia, e addirittura anche di un potenziamento della produzione di energia nucleare, e cio' potrebbe garantirgli l'appoggio dei repubblicani in Senato. Muniz, direttore dell'Energy Initiative presso il Massachusetts Institute of Technology, ha contribuito alla ricerca sulle tecnologie necessarie per aumentare la produzione di fonti di energia tradizionali tra cui petrolio, gas e nucleare. Ma ha anche puntato sulla ricerca sulle rinnovabili minimizzando il danno all'ambiente (è da ricordare inoltre che gli Usa sono tra i principali finanziatori della ricerca sulla Fusione Calda e partecipano alla costruzione del Reattore Iter di Caradache in Francia).  
 Obama non silimita però al settore eneregetico: ha rifinanziato, dopo aver rivisto la legislazione finanziaria permissiva del passato, le banche con soldi pubblici, e ha dato ingenti aiuti all’impresa privata (basti pensare all’esempio della Chrysler). L’eclettismo e il pragmatismo premiano, e non solo in economia.  Alla base delle politiche di ripresa rimane comunque, anche nell’ottica di Obama e dei democratici americani (ma anche dei repubblicani) il settore strategico dell’energia.  Le aree del pianeta che "tirano" l'economia (Cina, Usa, Brasile, India, ecc.) si stanno attrezzando sul fronte energetico con strategie differenziate: 1)favorire nuove tecniche di estrazione di idrocarburi superando la crisi del "picco" del petrolio, 2) implementare il nucleare solo quanto basta alle necessità finanziando allo stesso tempo la ricerca su nuova generazione e fusione,3) dare spazio alle rinnovabili ma per ora come semplice supporto ai settori tradizionali. Il momento è delicato e Obama ha fatto le scelte cui, forse, era obbligato per uscire dalla crisi. Ma la situazione per il pianeta è sempre più critica.



lunedì 11 marzo 2013

Brutte notizie: La Cina verso un nuovo boom demografico






La rigida politica intrapresa dal Partito Comunista cinese in materia di famiglia è in fase di revisione durante il più importante incontro annuale del regime, in corso a Pechino.
Rappresentanti dell’Assemblea Nazionale del Popolo, un organo fantoccio, suggeriscono di aumentare a due il numero massimo di figli per ogni famiglia cinese, mentre la rappresentanza della provincia del Guangdong ha chiesto per la terza volta il completo accantonamento della politica del figlio unico.
Il 3 marzo scorso Ma Xu, alto ufficiale del Partito Comunista Cinese e membro della commissione popolazione e famiglia, ha affermato che alcune Province potrebbero iniziare ad “esplorare” una politica che permetta di avere due figli; secondo le fonti ufficiali, le Province interessate sono quelle del Liaoning, del Jilin e del Heilongjiang, tutte nel nord-est della Cina.
Ma afferma che il tasso di natalità in Cina è molto basso, motivo per cui le autorità hanno iniziato a considerare dei graduali adattamenti. La politica sul secondo figlio dovrebbe partire prima dalle città più grandi, in quanto più sviluppate e popolate.
Lo Yangcheng Evening News riporta che He Youlin, altro esponente del Partito Comunista e preside della scuola superiore Zhongshan Memorial nella Provincia del Guangdong, si è ancora una volta schierato contro la politica del figlio unico, suggerendo di permettere anche un secondo figlio; secondo lui questo allenterebbe la presa sulla forza lavoro e sull’età pensionabile, e permetterebbe una vita familiare più serena e una crescita più salutare dei bambini.
Lo stesso He afferma al Southern Metropolis Daily che dalla fine del 2008 la popolazione anziana della Cina ha raggiunto quota 169 milioni di persone, il 12 per cento della popolazione totale, e che, stando alle statistiche statali, il numero aumenta con una media di circa 10 milioni di persone all’anno.
Nel 2020, il numero di ultrasessantenni in Cina arriverà ad essere il 16,7 per cento della popolazione, toccando quota 31,1 per cento nel 2050, quota che supererebbe di gran lunga la media mondiale. Se ogni coppia può avere un solo figlio, la pressione sarà enorme nel momento in cui arriveranno alla pensione, e molte famiglie potrebbero finire per non avere neanche un figlio, afferma.
Questi figli unici, una volta sposati, dovranno sostenere quattro anziani genitori, e la generazione successiva di figli unici dopo il matrimonio dovrà farsi carico di otto anziani, situazione definita «del tutto irragionevole» da He.
Gli esperti credono che un eventuale cambiamento della politica familiare della Cina non porterà ad alcuna “esplosione” nella sua popolazione.
Il Southern Metropolis Daily riporta le parole di Liang Jianzhang, docente alla scuola di management dell’Università di Pechino: «se non modifichiamo adesso questa politica, potremmo perdere l’ultima possibilità di risolvere la questione della nostra popolazione che va via via invecchiando, situazione che potrebbe portarci a una serie di problemi economici e sociali».
Liang ha messo a confronto la Cina con altre nazioni con pari livello di sviluppo economico ed urbanizzazione, come la Corea del Sud e Taiwan negli anni ’90. In quegli anni, i due paesi avevano un tasso di natalità medio di 1.5 bambini per donna, proporzione attualmente presentata dalla Thailandia. Il Vietnam, meno sviluppato della Cina, ha un tasso di natalità di 1.8 bambini per donna.

(Dal sito: www.epochtimes.it, articolo originale inglese:China’s One-Child Policy May Be Relaxed Province by Province).


La notizia è drammatica, ma potrebbe essere disastrosa sotto vari aspetti. Se la politica del figlio unico, secondo calcoli statistici Onu ha portato, dal 1979 anno in cui fu introdotta, a 500 milioni di persone in meno nella popolazione cinese odierna, ciò significa che, fermando la legge del figlio unico, nei prossimi anni la popolazione cinese potrebbe crescere al ritmo di 20 milioni di individui all'anno. Considerando il dato dell'aumento del Pil cinese dell'ordine del 9 % l'anno, il combinato disposto dei due fattori porterà ad un incremento spaventoso dell'immissione di gas serra in atmosfera nei prossimi anni. Sono recenti i dati dell'inquinamento da tossici e particolati della terra, dell'aria e delle acque di fiumi e mari nel continente cinese (vedi: www.asianews.it/index.php?l=it&dos=103 ).  I dati, già drammatici, nei prossimi anni subiranno un'accelerazione preoccupante. Per il pianeta, che se la passa molto male, la notizia della fine del contenimento demografico in Cina potrebbe essere l'annuncio della fine. La cosa stupefacente è che alcuni commentatori plaudono alla decisione perché - secondo loro- i giovani in Cina si stanno intristendo, essendo pochi e circondati da vecchi. Oppure ci sono coloro che si dicono soddisfatti della fine della politica del figlio unico, così ci saranno più lavoratori attivi e meno rischi per le pensioni future dei cinesi. Sul Titanic che affonda si continua a suonare la musica....


domenica 10 marzo 2013

La vita come fenomeno planetario




La vita potrebbe essere un fenomeno unitario che riguarda tutto l'universo. Oppure un fenomeno estremamente raro confinato perifericamente nello spazio-tempo. In ambedue i casi, la vita presuppone un delicato equilibrio tra la materia barionica organizzata in microambienti su scale diverse. Dai mega  buchi neri al centro delle galassie, alle particelle del microcosmo quantistico, i livelli di organizzazione dell'informazione sono ben differenziati e distinti con leggi fisiche non omogenee. Le dimensioni, le energie e i tempi delle varie scale sono su valori molto distanti tra loro. Eppure il fenomeno della vita, che avviene a dimensioni intermedie tra il macrocosmo e il microcosmo, è perfettamente collegato a ciascuna scala dimensionale, e intimamente legato al microambiente da cui la vita ha origine.      Dimenticare questa interconnessione può essere estremamente pericoloso. Considerare l'Homo sapiens un fenomeno a parte, distaccato da tutto il resto della natura, può essere alla base della nostra fine e del disastro planetario. Di questo tema cruciale per il futuro del pianeta tratta il libro di Dimitar Sasselov "Un'altra Terra. La scoperta della vita come fenomeno planetario" di cui riporto una sintesi.


 La vita avviene a un livello intermedio dell’organizzazione della materia nell’Universo. Ciò è fondamentale in quanto in questo modo le molecole della vita e le cellule sono abbastanza grandi da evitare le imprevedibili e distruttive stravaganze della scala degli atomi, cioè del mondo della fisica quantistica, dove l’elevata velocità e l’instabilità dei fenomeni impediscono l’auto-organizzazione di sistemi complessi. Allo stesso tempo le macromolecole della vita sono abbastanza piccole da beneficiare della ricchezza dei legami chimici, che è un segno distintivo della scala atomica. Stando in una scala intermedia le molecole complesse e le reti chimiche della vita evitano la distruttività violenta dell’universo su grande scala, abitando una scala abbastanza piccola da consentire molti ambienti stabili. Inoltre anche la scala dei tempi della vita ha una sua logica. Le galassie si muovono lentamente, come tartarughe giganti, le loro stelle appena un poco di più, e i pianeti che orbitano intorno alle stelle si muovono ancora più velocemente, e così via fino a raggiungere le dimensioni del microcosmo, il mondo quantistico di atomi ed elettroni. Quanto più piccola è la scala, tanto più pazzo sembra il mondo. In effetti è pazzo, e la fisica moderna ha una buona spiegazione al riguardo. Per semplificare: le cose grandi si muovono lentamente, le cose piccole si muovono più velocemente. Se la massa aumenta, la velocità diminuisce. La vita con la sua scala di  macromolecole ha la velocità giusta per lo scambio di informazioni e per la creazione di complessità. Le informazioni  comportano la gestione di segni strutturati in sistemi complessi. In fondo il cervello umano è una macchina computazionale in cui diversi sistemi complessi di segni interagiscono tra loro e con l’ambiente esterno. Tutto questo avviene a livelli di energia incredibilmente bassi. Energie appena di poco più alte in azione nei sistemi biologici renderebbero impossibile la complessità nella gestione delle informazioni. Il futuro della complessità richiederà forse all’uomo di  elaborare tecnologie assai simili a quelle della biologia. Questa è in grado infatti di gestire assai meglio strutture e informazioni complesse con basse energie. In uno studio di un ricercatore di ST Microelectronics , Ubaldo Mastromatteo, viene    confrontato il processo di fabbricazione di un microchip elettronico  e il processo biologico necessario per costituire una struttura biologica di dimensione simile: un chicco di grano. Solo stimando l’energia necessaria per creare i due sistemi, vediamo che il bilancio energetico differisce di tre ordini di grandezza. Per ottenere il microchip di silicio di quella dimensione e di media complessità, l’energia utilizzata è dell’ordine  di 1 KWh, mentre l’energia necessaria per un chicco di grano è dell’ordine di 1 Wh. Questa forte differenza nel bilancio energetico è una sorpresa alquanto singolare e ha pesanti implicazioni non scientifiche. Inoltre è opportuno considerare che la complessità di una cellula eucariotica biologica è molto superiore a quella di un microchip. La vita presuppone un utilizzo estremamente sofisticato di informazioni, la loro conservazione e lo scambio con l’effetto di aumentare la complessità dell’organizzazione della materia barionica. In fondo il Dna e l’Rna sono codici di informazione e le proteine (enzimi, ormoni, strutture della materia vivente) sono il codificato. La cosa stupefacente è che mentre a livello di macrocosmo l’informazione (ad esempio l’interazione tra un buco nero e la materia circostante) viene gestita ad altissime energie, l’informazione delle macromolecole biologiche viene elaborata e gestita a livelli energetici estremamente bassi. Con l’uomo si assiste inoltre ad un ulteriore salto qualitativo della gestione dell’informazione: questa, elaborata dal cervello umano, subisce un processo ulteriore di smaterializzazione  con la creazione di strutture culturali complesse sempre più virtuali (immateriali).

L’Homo sapiens è il frutto di una catena di eventi successiva allo sviluppo della materia ordinaria nell’universo e dimostra che non solo la biologia può accadere ma che è in grado di svilupparsi in sistemi di elaborazione delle informazioni molto strutturati e complessi. L’organizzazione della materia in sistemi biologici sul pianeta Terra ha raggiunto un punto di svolta e la biologia fino all’uomo può prefigurare un primo stadio, seguito da un ulteriore stadio che alcuni ricercatori definiscono “biologia sintetica”. La biologia sintetica, una volta che la sua strategia di ricerca abbia successo, potrebbe dimostrare che la materia ordinaria ha una capacità intrinseca di auto-organizzarsi per creare la diversità da una singola biochimica e, alla fine, amplificare tale diversità generando molteplici biochimiche. Ciò suggerisce l’esistenza di una ricetta per l’amplificazione delle diversità su scala galattica e su tempi lunghissimi (miliardi di anni), e    l’esistenza (adesso o in futuro) di una nuova generazione di vita. Chiamiamola Generazione II: la sua caratteristica principale è che il suo albero non affonda le radici nella chimica pre-biotica, ma ha origine nella vita di Generazione I. La vita sulla Terra è di generazione I. La biologia sintetica potrebbe implicare un ruolo crescente della biochimica nella ridistribuzione della materia barionica (ordinaria) in un lontano futuro dell’universo. Alla luce di quello che sappiamo su come gli altri pianeti possono essere o saranno – per esempio, quando i pianeti di carburi supereranno in quantità quelli di silicati, come il nostro-, vi è abbastanza spazio nel paesaggio chimico da consentire un ancora più vasto paesaggio biochimico. La vita di Generazione II potrebbe essere già presente nella nostra galassia. In questo contesto l’umiltà può farci bene: guardare alla vita come a un fenomeno planetario, nel quale la biochimica di base è profondamente legata al pianeta stesso, contribuirà a rafforzare la nostra consapevolezza di essere un tutt’uno con la nostra Terra, un prodotto di un’unica biochimica emersa quattro miliardi di anni fa e decisamente terrestre. Siamo parte di qualcosa di buono, e saperlo potrebbe aiutarci a non rovinare tutto. L’alba della biologia sintetica si apre quando si compie (o si dovrebbe compiere) quella rivoluzione copernicana che porta dalla fine del capitolo della consapevolezza del mondo da parte dell’umanità, all’inizio di un capitolo sul nostro posto nel mondo come parte della natura e non come estranei ad essa. 
(Argomenti   tratti dal libro di Dimitar Sasselov : “Un’altra Terra –La scoperta della vita come fenomeno planetario”. Edizioni Le Scienze 2013. Il lavoro di ST Microelectronics è reperibile a questo indirizzo web:  http://www.j-asa.org/paperInfo.aspx?ID=49).





venerdì 8 marzo 2013

PRO E CONTRO I GRATTACIELI: PERCHE’ L’ITALIA SALE IN CIELO


(Alcuni dei nuovi grattacieli di Milano che saranno pronti nel 2015)
Tra le tristezze di questo disgraziato paese, vittima di confraternite politiche e ideologiche che definire medioevali è un complimento (questo è purtroppo il paese dei mille Savonarola…), c’è la constatazione che nel terzo millennio cresce ancora come nel primo: in estensione consumando suolo a centinaia di ettari al giorno. Il suolo di quello che molti decenni fa era definito il Bel Paese (oggi la definizione non può che risultare comica) è però sempre più ristretto e striminzito: la cementificazione esplosiva degli ultimi decenni lo sta riducendo al minimo. Tra l’altro, essendone rimasto poco, il prezzo del suolo vergine sale, specialmente quello intorno alle grandi città. E’ anche per questo che da alcuni anni assistiamo a quella che il Censis ha definito “la tardiva e inaspettata stagione dei grattacieli italiani”. Sono almeno 13 i progetti di torri superiori ai 100 metri varati negli ultimi anni in Italia e la cui fine dei lavori è prevista entro il 2015. Si va dal Palazzo Lombardia (161 metri) alla Torre Unicredit di Milano (146 metri più 85 di guglia), alla sede della Regione Piemonte a Torino (209 metri). Dalla Torre Unipol di Bologna (126 metri) alla Torre Europarco di Roma (120 metri). Con il previsto e discusso Palais Lumiere di Pierre  Cardin, da costruire nell’area della Laguna di Venezia,    sono ben cinque le  città italiane interessate, non poche visto il precedente sonno. I promotori e finanziatori di queste imprese sono grandi banche, assicurazioni, amministrazioni pubbliche che avevano preso la decisione di “salire in cielo” prima della Grande Crisi, in un contesto quindi più ricco di risorse, e si trovano ora a condurla in porto in una congiuntura assai meno motivata. Ovviamente la committenza è in linea con la tipologia economica italiana, fatta di grandi banche e istituzioni pubbliche; mancano le grandi imprese private come ad esempio in altri stati europei o in Usa, ma si sa che di grandi imprese private in Italia ce ne sono poche, essendo la nostra una economia stato-centrica basata su alta tassazione e forte burocrazia.  Tutti i progetti sono firmati da archistar come Renzo Piano, Cesar Pelli, Massimiliano Fuksas e Daniel Libeskind e le opere sono state giudicate tutte di qualità.L’iniezione di modernità legata al binomio skyline-grandi architetti ha generato però –come sempre in Italia- subito schiere di contestatori delle nuove torri che le giudicano elemento estraneo alla tradizione urbanistica delle nostre città. E’ il caso di ricordare a costoro che l’attenersi in questi anni (dal dopoguerra ad oggi) alla famigerata tradizione urbanistica ha generato, per esempio a Roma, esempi di urbanistica come Torpignattara e Tiburtino III con il risultato di portare la capitale d’Italia a livello di Brazzaville in Congo, e di distruggere, espandendosi senza limiti, tutto l’Agro Romano. Non parliamo delle periferie delle altre grandi città dell’ex Belpaese. “Il grattacielo in Italia” spiega il Censis  “deve vincere innanzitutto una resistenza a livello dell’opinione pubblica e a livello progettuale deve essere in grado di sostenere la sfida di un confronto con i grandi monumenti del passato”. Diventa decisiva la qualità del dibattito pubblico di “accompagnamento”. Il quesito è sicuramente quello che formula il Censis: riusciranno questi nuovi grattacieli, oltre che a valorizzare dal punto di vista economico e finanziario le aree in cui si collocano, a costituire una risorsa per le comunità limitrofe? Forse ci vuole da parte di noi italiani un sovrappiù di immaginazione. Le curve di crescita demografica e i processi sociali innescati dalla modernità prevedono un aumento in futuro dell’inurbamento di grandi masse di persone. Le città cresceranno e, soprattutto nel terzo mondo, cresceranno in maniera caotica. Se non ci attrezziamo culturalmente e tecnologicamente a gestire questi processi, rischiamo di creare megalopoli dove la vità umana diverrà l’Inferno sulla terra. Se a prevalere saranno le istanze che vedono nella decrescita pura di tutta l’economia la soluzione per il futuro, rischiamo di riconsegnare alcune parti del pianeta ad un  pauperismo devastante, prima di tutto sotto il profilo ambientale.  I decrescitari alla Latouche non solo non vogliono grattacieli, energia da fusione, e sviluppo tecnologico, ma negano ogni controllo demografico, preparandoci uno scenario già ben descritto dal film anticipatore “Bladerunner”: masse di disperati si aggirano in un mondo cupo dove la tecnologia è gestita da pochi  potenti che la usano a proprio vantaggio. La strada non è la decrescita, ma una crescita diversa, basata sulla ricerca e lo sviluppo tecnologico che eviti il rischio “Latouche”: un arretramento della tecnologia e dell’economia in un mondo sovrappopolato. In questo senso i primi grattacieli italiani disegnati da archistar e forniti di tutte le risorse tecnologiche per essere energeticamente sostenibili sono una buona notizia, anche perché crescere in altezza significa meno consumo di suolo verde.