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mercoledì 28 marzo 2012

LO SMOG UCCIDE



Come volevasi dimostrare: lo smog uccide. Come più volte segnalato su questo blog il particolato derivante dalle combustioni di idrocarburi (motori diesel , ma anche benzina, cherosene, carbone ecc.) è una delle cause determinanti sia di patologie croniche come broncopatia ostruttiva, cardiopatia, infarto, che del tumore al polmone. Riporto l'articolo del Corriere della Sera  del 28 marzo 2012 che conferma il dato in base a studi recenti dell'ARC.


Con i gas di scarico diesel più rischi
di cancro ai polmoni

Già classificati nel 1989 come possibili cancerogeni dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro, ora arrivano nuove prove da uno studio ventennale

MILANO – I gas di scarico dei motori diesel, classificati già nel 1989 come possibili cancerogeni dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), aumentano le probabilità di morire di tumore ai polmoni. A dare la conferma sui possibili e a lungo sospettati danni per la salute provenienti dall’inquinamento sono due studi iniziati negli anni Ottanta i cui esiti sono stati pubblicati nei giorni scorsi sul Journal of the National Cancer Institute. «Gli ultimi esiti delle ricerche americane – commenta Sergio Harari, direttore dell’Unità di pneumologia all’ospedale San Giuseppe di Milano - rafforzano i dati di altre analisi precedenti che documentavano come l’inquinamento atmosferico fosse causa oltre che di malattie respiratorie e cardiovascolari anche di tumori, e in particolare di tumori polmonari. Bisogna però ricordare che la prima causa di questo killer è di gran lunga il fumo di sigaretta, nel nostro Paese sempre più diffuso tra i giovani e fra le donne. E se si aggiunge che l’azione nociva del tabacco è potenziata dallo smog è chiaro che smettere di fumare è ancora più fondamentale per chi vive in città industriali».
LE CITTA’ INQUINATE UGUALI A MINIERE - I ricercatori statunitensi (nei due studi noti come Diesel Exhaust in Miners Study condotti da Michael D. Attfield e Debra T. Silvermanhanno analizzato i dati di oltre 12mila minatori che in otto miniere diverse utilizzavano macchinari con motori diesel, trovandosi a respirarne in varia misura i gas di scarico in livelli comunque generalmente più alti rispetto al resto della popolazione e ad altre categorie di lavoratori. Le loro conclusioni indicano che i minatori più esposti ai gas (quelli attivi a lungo sottoterra più di quelli addetti alle aree minerarie in superficie) hanno maggiori rischi sia di ammalarsi di tumore ai polmoni che di morirne. «I risultati delle nostre ricerche sono importanti non sono per chi lavora in miniera ma anche per l’1,4 milioni di americani e i tre milioni di europei che quotidianamente devono usare macchinari diesel. E per chi vive in città molto inquinate, dove l’esposizione ai gas di scarico diesel è simile» ha spiegato Debra Silverman, facendo riferimento ai centri urbani di Cina, Messico e Portogallo che nell’ultimo decennio hanno raggiunto livelli di smog simili a quelli registrati sottoterra in miniera.
L’ARIA INQUINATA SARA’ IL PRIMO BIG KILLER -Secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse da qui al 2050 l’inquinamento dell’aria diventerà il «big killer» principale causa di 3,6 milioni di morti all’anno in tutto il mondo (attualmente è già il responsabile di oltre un milione di decessi). Oggi, sottolinea il documento, solo il due per cento della popolazione urbana mondiale vive con concentrazioni di pm10 accettabili, sotto i 20 microgrammi per metro cubo, mentre il 70 per cento ne deve subire più di 70, una cifra che è destinata a crescere nei prossimi anni. Un altro aspetto preoccupante è quello dell’ozono nelle città, che raddoppierà le proprie vittime dalle 385 mila l’anno a più di 800 mila. Secondo il rapporto, molte di queste morti saranno concentrate in Asia, ma anche i paesi occidentali saranno colpiti soprattutto a causa del fatto che gli anziani, sempre più numerosi, sono più sensibili a questo gas. Anche i livelli di ossidi di zolfo e azoto sono destinati, in assenza di interventi, ad aumentare rispettivamente del 90 e del 50 per cento e, nello stesso lasso di tempo, le emissioni di gas serra potrebbero aumentare del 50 per cento.

domenica 25 marzo 2012

VON HAYEK: COME GESTIRE LA COMPLESSITA’



"Il tentativo di dirigere l’intera attività economica secondo un piano unico solleverebbe innumerevoli problemi ai quali potrebbe fornire risposta solo una regola morale. Ma per i problemi in questione,  i principi morali esistenti non hanno risposta alcuna e non esiste una veduta comune su ciò che dovrebbe essere fatto…Non solo noi non possediamo una simile onnicomprensiva scala di valori, ma sarebbe impossibile per qualsiasi mente umana comprendere l’infinita varietà dei differenti bisogni dei diversi individui che competono per le risorse disponibili, e attribuire a ciascuno un peso determinato.Per il nostro problema è di poca importanza che i fini che stanno a cuore a ciascuna persona comprendano soltanto i propri bisogni individuali o essi includano anche i bisogni dei suoi familiari o persino quelli dei suoi simili più lontani. Ha cioè poca importanza, per il nostro problema, che una persona sia egoista o altruista, nel senso ordinario di questi termini. Quel che è davvero importante è il fatto basilare  che è impossibile per qualsiasi  uomo occuparsi di un campo che non sia limitato, avvertire l’urgenza di un numero di bisogni che non sia limitato. Che i suoi interessi si concentrino sulle proprie necessità materiali o che egli nutra un forte interesse per il benessere di ogni essere umano che conosce, i fini dei quali può occuparsi saranno sempre e soltanto un’infinitesima frazione dei bisogni di tutti gli uomini."
(Friedrich A. Von Hayek: La via della schiavitù. Rubettino editore 2011 pag. 105-106)

Nessuno ci ha spiegato meglio di Hayek perché le visioni totalitarie sono destinate al fallimento, perché il fascismo e il comunismo sono falliti. E sono falliti prima di tutto sul piano morale più che su quello materiale. Ogni visione semplificata del mondo è una visione sbagliata, che conduce all’errore e alla catastrofe. La realtà, sia per quel che riguarda l’economia che la vita degli uomini, è infinitamente più complessa di quanto il pensiero razionale  possa immaginare. Oggi, con l’enorme sviluppo tecnologico, questo assunto del grande economista  è ancora più vero.
Secondo alcuni politici  la complessità della nostra moderna civiltà tecnologica crea nuovi problemi che non è possibile sperare di affrontare con efficacia se non per mezzo della “pianificazione” centralizzata dell’economia da parte di una sorta di illuminati che avrebbero il monopolio della visione morale e materiale del mondo. Costoro vogliono costringere la libertà dei rapporti economici entro un rigido schema che porti tutta la società verso i fini che loro ritengono giusti. Ma il mondo là fuori funziona diversamente dalla loro mente particolare. Solo nella competizione e nella concorrenza delle idee e delle azioni può scaturire una strategia capace di cambiare la realtà. Il pensiero irrigidito degli schemi studiati a tavolino non funziona. 
 “Questa argomentazione si basa su di una valutazione completamente sbagliata del funzionamento della concorrenza. Difatti, essa è lungi dall’essere appropriata solo per condizioni relativamente semplici; ed è proprio la grande complessità della divisione del lavoro nelle condizioni moderne che fa sì che la concorrenza sia l’unico metodo per mezzo del quale può venir adeguatamente ottenuta tale coordinazione. Non ci sarebbe nessuna difficoltà per un controllo o una pianificazione efficace, qualora le condizioni fossero così semplici che una sola persona o una sola commissione potesse avere sott’occhio tutti i fatti rilevanti.  E’ soltanto quando i fattori che debbono venir presi in considerazione diventano tanto numerosi che è allora impossibile giungere ad una visione sinottica di essi”. 
E’ dunque solo la libertà di ciascun individuo e il libero gioco che si instaura tra gli interessi e le competenze di ciascuno, nell’ambito di regole formalmente stabilite, che si possono trovare le soluzioni ai problemi che via via si prospettano. La libertà dunque rimane il bene fondamentale, ma bisogna stare attenti all’uso che si fa delle parole. Dobbiamo diffidare dei “pianificatori di libertà” che ci promettono una “libertà collettiva di gruppo” in cui l’uso della parola libertà è altrettanto mistificante quanto lo è nella bocca dei politici totalitari. Al pari della loro libertà, la libertà collettiva che ci offrono non è la libertà dei membri della società, ma la illimitata libertà dei pianificatori di fare della società ciò che più gli aggrada".
Hayek ha posto l’individuo al centro del concetto di libertà. Non è il popolo, la massa o il gruppo sociale che può essere libero: la libertà è sempre individuale, del singolo. E’ il singolo individuo che deve confrontarsi con mondo e con gli altri individui in concorrenza tra loro, è dal gioco tra le intelligenze dei singoli che nasce il progresso, la cultura, la ricchezza. Ogni ritorno al collettivo è un appiattimento e un impoverimento, il collettivo non può capire il mondo, non può cambiarlo. E’ l’individuo, (il genio è sempre individuale), che ha la forza di sognare e creare il cambiamento, il progresso. Gli individui in libera competizione tra loro sono il motore del mondo.

martedì 20 marzo 2012

LA RIVOLUZIONE ECOPRAGMATISTA: MEGALOPOLI, NUCLEARE E GENETICA




LA RIVOLUZIONE ECOPRAGMATISTA: MEGALOPOLI ,  NUCLEARE E OGM.
(I VERDI STANNO SBAGLIANDO TUTTO!).

La strana scimmia  che negli ultimi centomila anni ha invaso la Terra  e la sta portando attualmente alla distruzione ha alcune peculiarità. Il Sapiens (così si autodefinisce lo scimmione spelacchiato) è fornito, rispetto agli altri animali, di una vivace intelligenza con una straordinaria capacità di astrazione (creazione di concetti). Purtroppo l’intelligenza del Sapiens ha un altro lato della medaglia: creati i concetti, se ne lascia facilmente dominare. Alla vivacità subentra rapidamente la rigidità della mente dello scimmione, intorno a pochi concetti-guida.  Le ideologie sono un esempio di questo: il novecento è stato il secolo in cui milioni di umani si sono sparati addosso in ragione di poche idee rigidamente strutturate che monopolizzavano la mente.
L’antidoto a questo difetto del Sapiens è il pragmatismo: adattare continuamente il pensiero al mutare degli eventi, lasciando la mente aperta per capire il reale e  poter gestire i cambiamenti. A vincere l’ultimo conflitto mondiale fu la potenza angloamericana, basata sul pensiero pragmatico. Ma la rigidità mentale dello scimmione è sempre in agguato e risorge continuamente dalle ceneri. Oggi l’ideologia  si veste di verde, e porta avanti concetti divenuti veri “Idola “ che non possono essere neanche messi in discussione senza generare rumorosi  gridi di disapprovazione nei consessi di scimmioni che si ritengono investiti del dovere di salvare il pianeta.

Poiché il vasto e articolato mondo del pensiero ecologista non sta dando risultati concreti e il mondo è sempre più in pericolo, in America alcuni rappresentanti del movimento hanno scelto il pragmatismo per dare risposte ecologiche più incisive. L’ecopragmatista più importante è certamente  Stewart Brand, allievo di Lovelace, professore e consulente per lo stato della California, che ha scritto nel 2009 il  libro “Una cura per la Terra. Manifesto di un ecopragmatista”.
Nel libro Brand invita il movimento verde a prendere atto di ciò che è inevitabile. Ad esempio nessun movimento politico e culturale riuscirà a fermare la concentrazione della popolazione del pianeta nelle grandi città. Già oggi più del 50% della popolazione vive nelle città e in pochi anni diventerà l’80%. Sperare in un ritorno alla campagna è una invenzione della mente, una pia illusione di chi si lascia dominare dalla rigidità di  idee  piuttosto che dalla realtà.  Cerchiamo invece di sfruttare i lati positivi del processo di inurbamento massiccio. L’inurbamento, dice Brand, minimizza l’impatto ambientale della sovrappopolazione, permette un miglior controllo delle emissioni, dello smaltimento dei rifiuti e inoltre  “chi vive in città ha meno figli” contribuendo così a gestire la crescita demografica.  La centralizzazione dei servizi e le opportunità offerte dalla coabitazione di tante persone in spazi ristretti offre vantaggi economici , migliora le opportunità di lavoro, aumenta la creatività e gli scambi culturali. Brand elogia addirittura le bidonville delle moderne periferie delle grandi metropoli come quelle di India e Cina come punti di forza di innovazione e sviluppo insieme a una migliore compatibilità ambientale. Nelle bidonville dei paesi arretrati crescono vere e proprie economie di scala, incentrate sul localismo e sui piccoli scambi, capaci di assicurare sviluppo in popolazioni che altrimenti sarebbero tagliate fuori da ogni progresso economico.

L’ecopragmatista Brand non si fa illusioni: individua chiaramente nel riscaldamento del clima il rischio più  grave  e incombente dell’umanità. Non ci resta molto tempo, ci sono tutti i segni di una grave catastrofe ambientale in preparazione, il cui aspetto più preoccupante è il rapido e ingravescente scioglimento dei ghiacci polari.  Brand, che vive in California, non sottovaluta il problema e crede fermamente al rischio, tanto che vive in un vecchio rimorchiatore nella baia di San Francisco per poter fronteggiare il prossimo  innalzamento del livello del mare. Egli è incredulo sul modo in cui i verdi reagiscono al dramma in atto sul clima. Pur essendone coscienti e informati –come dimostrano i vari  recenti consessi internazionali-  continuano a  lavorare di fatto per il proseguimento dell’attività delle centrali a carbone (sia sporco che pulito) e per la combustione di gas di carbonio e petrolio. Purtroppo le rinnovabili non hanno l’impatto atteso su produzione di energia e riduzione dei consumi di idrocarburi. Le economie di Cina e India continuano a immettere ogni anno  gigatonnellate di carbonio in atmosfera. L’unica tecnologia pulita senza emissioni di carbonio disponible è quella nucleare, ma i verdi continuano ad opporvisi. Eppure la salvezza del pianeta richiederebbe una immediata conversione al nucleare di tutte le economie in via di sviluppo e sviluppate, prima che i cambiamenti climatici siano irreversibili.
“L’industria nucleare, in realtà, è oggi molto meno pericolosa di quanto credano gli ambientalisti, e i progetti per la costruzione di nuovi reattori sono di gran lunga più vantaggiosi di quanto possa apparire.  Il climatologo Hansen ha ragione: il nucleare è verde, e il nuovo nucleare lo è ancora di più”. Le città in espansione avranno sempre più bisogno di energia e di una rete elettrica che fornisca continuamente energia; entro la fine del secolo le città mondiali in via di sviluppo e i miliardi di persone che stanno uscendo dalla povertà e salendo la “scala energetica”, richiederanno un carico minimo di energia di gran lunga superiore. Non possiamo  aspettare e bruciare più carbone con quello che sta succedendo. Se il clima è la principale minaccia verde e le città sono una benedizione verde, il nucleare sembra essere doppiamente verde.  Il solare e l’eolico non garantiscono continuità, restano una risorsa supplementare, in genere per le centrali a gas.  Gwyneth Cravens  (ex attivista antinucleare ora convertita ed ex direttrice del   “New Yorker” )  fa notare  che una centrale nucleare da 1 gigawatt occupa meno di un chilometro quadrato, mentre per ottenere lo stesso risultato una centrale eolica dovrebbe ricoprire 500 chilometri quadrati e una centrale solare ne dovrebbe occupare un centinaio.  La resa delle rinnovabili è discontinua, difficile da immagazzinare; gli impianti sono mal tollerati dagli agricoltori, sottraggono territorio, hanno un alto impatto. La realtà è che si continuerà a bruciare carbone e idrocarburi con danni sempre più irreversibili. I sistemi per fissare e sotterrare il carbonio sono costosi, dispersivi, richiedono grosse movimentazioni, altro consumo di energia, insicuri. Le scorie nucleari occupano poco spazio: l’elettricità consumata da una persona nell’arco di una vita generata con il nucleare produrrebbe rifiuti di dimensioni pari a quelle di una lattina di Coca Cola, mentre con i combustibili fossili si parla di 62 tonnellate di materiali solidi e 70 di biossido di carbonio a testa.  Lo smaltimento delle scorie nucleari, se visto con pragmatismo, non è un problema. Oggi non è necessario progettare faraonici depositi di scorie a centinaia di metri di profondità.  La Francia, La Svezia e la Finlandia incapsulano le scorie in contenitori di vetro e rame e li mettono a pochi metri nel sottosuolo.  La radioattività di fondo nel prato sopra di esse è inferiore a quella delle nostre case.  Inoltre sono in studio sistemi per riutilizzare le scorie come combustibile nelle nuove centrali o nel renderle non radioattive.   I concetti assoluti sono molto potenti per le menti ideologiche: se una soluzione è vista come male assoluto ogni cosa che la riguarda, vantaggi compresii, non può interferire con il fatto che dobbiamo opporci ad essa.  E non ammettono la visione positiva, quella che vede nel nucleare un potenziale strumento utile a prevenire il cambiamento climatico e a porre fine alla povertà nel mondo. Uno dei fattori che in soli vent’anni ha permesso ai francesi di costruire 56 reattori che forniscono al paese quasi tutta l’elettricità di cui ha bisogno è stato un efficiente processo di concessione delle licenze.  Il risultato è che la Francia vanta l’aria più pulita d’Europa, le bollette elettriche più economiche e un guadagno annuale di 4 miliardi di dollari dall’esportazione di energia verso i paesi vicini.  La Francia ha chiuso l’ultima centrale a carbone nel 2004, e rispetto agli Stati Uniti emette il 70% in meno di biossido di carbonio pro capite.
Per gli ambientalisti i nuovi reattori di maggiore interesse potrebbero essere i microreattori, che rispondono direttamente all’appello di Amory Lovins per una microgenerazione distribuita (ricordate? “ In genere, l’energia più economica e più affidabile è quella prodotta in loco o vicino agli utenti”).  I costi del capitale e i tempi di costruzione di questi reattori corrispondono ad una frazione di quelli necessari per le grandi centrali nucleari.  In questo momento la Russia sta cotruendo reattori galleggianti da 35 megawatt e Toshiba ha inventato una batteria nucleare da 50 megawatt.  I laboratori Lawrence Livermore in California hanno progettato un reattore da 20 megawatt autonomo, trasportabile piccolo e sigillato. Le minicentrali non necessitano di immissione di combustibile o fuoriuscita di rifiuti, e dopo decenni possono essere semplicemente sostituite.

Dice Brand: “a mio giudizio, per intraprendere un percorso ambientalista è necessario che i Verdi si rendano conto che il settore dell’energia nucleare si svilupperà a prescindere da ciò che facciamo.Se la incoraggiassimo  nel modo giusto disporremmo di un’energia in grado di minimizzare le concentrazioni di carbonio nell’atmosfera, interagire con le altre forme di energia pulita, generare altri servizi verdi come la desalinizzazione dell’acqua o la produzione di idrogeno, contribuire all’eliminazione delle armi nucleari, fornire energia alle città riducendo la povertà del mondo, infine uscire di scena in caso si presentasse un’alternativa migliore.  Cinque persone su sei vivono in paesi in via di sviluppo (5,7 miliardi di persone). In un modo o nell’altro i poveri del mondo riusciranno ad avere accesso a una rete elettrica, e la fonte di quell’elettricità determinerà il futuro del mondo. 
Anche dopo Fukushima il Giappone non ha affatto abbandonato il nucleare. Nuove centrali sono allo studio, più sicure e con sistemi di prevenzione di incidenti  più sofisticati. L’errore di costruire una centrale in riva al mare senza una barriera adeguata è servito. L’incidente, seppur drammatico, non ha fatto morti, la radioattività è stata gestita ed è in atto un miglioramento ambientale che renderà presto la zona intorno al reattore di nuovo fruibile e senza rischi.

Brand non si limita a sponsorizzare megalopoli e centrali nucleari per salvare il pianeta. E’ favorevole alle colture geneticamente modificate, in grado di sfamare le popolazioni, assicurare nuove risorse, diminuire il consumo di suolo, lasciare ampi spazi alla biodiversità e al ripopolamento di specie in via di estinzione. Anche l’agricoltura geneticamente modificata è stata oggetto di avversione basata su idee assolute, sulla mente chiusa e sul rifiuto dei dati oggettivi.
L’ecopragmatismo è un invito a tenere aperta la mente, ad ascoltare il linguaggio della realtà e a non crearci pensieri assoluti che ci tolgano la libertà di trovare soluzioni utili al pianeta e alla salvezza del genere umano. L’unico vero pericolo per la scimmia denominata Sapiens è se stessa, la rigidità della propria mente, le scelte fatte a priori in base a idee preconcette, o a ideologie già sconfitte e fallimentari. Una rivoluzione forse è in atto anche tra i verdi.

domenica 18 marzo 2012

STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO



FINCHE' ESISTERANNO FRAMMENTI DI BELLEZZA
QUALCOSA SI POTRA' ANCORA CAPIRE DEL MONDO
( GUIDO  CERONETTI )

sabato 17 marzo 2012

ALCUNE CURVE PER RAGIONARE

Sopra: le curve parallele di crescita della popolazione e di produzione di Co2

Sopra: le curve parallele della crescita della popolazione e dell'estinzione di specie viventi (biodiversità)


Sopra: le curve coincidenti tra crescita della popolazione nell'ultimo secolo e produzione e consumo di idrocarburi.


Le tre curve riprodotte sopra esprimono in maniera elementare (e dovrebbero quindi essere CHIARE anche per le menti elementari) come i principali parametri che esprimono la devastazione del pianeta quali le emissioni di Co2, la combustione di idrocarburi e l'estinzione delle specie e della biodiversità siano rapportate in maniera DIRETTA e PROPORZIONALE alla spaventosa e disastrosa crescita esponenziale della popolazione umana avvenuta nell'ultimo secolo a danno del pianeta e di tutte le altre specie viventi. Particolarmente preoccupante è la curva che riguarda l'immissione di Co2 nell'atmosfera, le cui conseguenze -se non corriamo SUBITO ai ripari- saranno estremamente catastrofiche   per il clima e per la sopravvivenza stessa della specie umana. Ricordo soltanto che Venere, un pianeta morto, ha una atmosfera di gas di carbonio -come si avvia ad essere la nostra- che determina un effetto serra tale da alzare la temperatura al suolo di Venere a quella di fusione del piombo. Eppure esistono, sul nostro pianeta, delle anime belle che negano l'evidenza. Negano che la sovrappopolazione sia la causa della catastrofe ambientale. La COINCIDENZA delle curve sopra riportate, affermano le anime belle, è pura CASUALITA', non vi è -secondo costoro- NESSUNA CORRELAZIONE. Ecco che allora, di fronte all'evidenza della catastrofe, ricorrono a complicate contorsioni: l'inquinamento non sarebbe dovuto all'antropizzazione eccessiva, MA si tratterebbe di sistemi politici sbagliati ( ma ci dovrebbero dimostrare l'esistenza sulla Terra di qualche sistema politico in grado di fermare la catastrofe), di sistema economico basato sui mercati e sullo sfruttamento, di sistemi di produzione di energia non rinnovabili, di eccessiva crescita economica, di poco verde nelle città, di cambiare l'agricoltura nel senso di renderla  equa e solidale, e altre incredibili castronerie volte ad allontanare la soluzione del problema reale. QUELLE CURVE LI SOPRA STANNO INVECE A DIMOSTRARE L'EVIDENZA PIU' SEMPLICE E CHIARA: il disastro ambientale è direttamente collegato alla CRESCITA ECCESSIVA DELLA POPOLAZIONE UMANA (ANTROPIZZAZIONE DEL PIANETA).
Ma c'è un' ULTIMO GRAFICO che riporto qui sotto, il quale smentisce nettamente le tesi di Latouche sulla non rilevanza della crescita demografica sulle sorti del pianeta. La continua rincorsa alla crescita del Pil è ritenuta una delle cause di fondo del disastro ambientale. Il grafico evidenzia la curva di crescita dal 1900 ad oggi del Prodotto interno lordo (Pil in trilioni di dollari) e della Popolazione del pianeta (in miliardi di individui). Si può vedere come ci sia una perfetta corrispondenza tra le due curve. Anche le minime deviazioni del Pil  dalla curva di crescita -come quella della crisi del '29 e quella della guerra- non hanno cambiato minimamente la tendenza di fondo essendo la crescita della popolazione il fattore trainante più forte di tutti. Si può vedere che anche il lieve scostamento in basso del Pil per la crisi economica attuale sia, come gli altri, destinato a reincanalarsi sulla curva di crescita della popolazione, che purtroppo è previsto arriverà ai DIECI MILIARDI di individui all'incirca nel 2083.  Latouche ritiene che un diverso modello economico basato sulla frugalità  porterà alla decrescita del Pil, senza necessità di contenere la crescita demografica. Anzi Latouche osteggia la politica di contenimento demografico ritenendola razzista (Sic!) e afferma polemicamente che il mondo può contenere senza problemi anche 50 miliardi di umani. Il gran filosofo della decrescita ritiene che convincendo i popoli occidentali a vivere come agricoltori coltivando gli orti, a impiantare pannelli solari e ad andare in bicicletta, quelle curve rappresentate nel grafico qui sotto si possano separare. Così la caduta del Pil  che non si è ottenuta con due guerre mondiali che hanno ridotto mezzo mondo ad un ammasso di rovine e con crisi economiche di portata planetaria, si potrà ottenere grazie all'effetto miracoloso dei consigli di Latouche e del suo modello di decrescita felice. C'è anche il problema di convincere la gente a seguire il modello: chi glielo dice ai Cinesi di rinunciare all'automobile e tornare alle biciclette?

CURVE DI CRESCITA DELLA POPOLAZIONE UMANA E DEL PRODOTTO INTERNO LORDO ( A PARTIRE DAL 1900):
cliccare sul grafico per ingrandire

mercoledì 14 marzo 2012

BELPAESE ADDIO: ANALISI E PROPOSTE PER FERMARE IL CONSUMO DEL SUOLO


 




31/1/2012 - Nella Road Map ‘Anti-cemento’ di WWF e FAI: limiti alla edificazione nei piani paesaggistici e moratoria delle nuove costruzioni, lotta all’abusivismo, l’uso della leva fiscale, fasce di rispetto per tutelare le coste e i fiumi

Un’Italia erosa dalle lobby del cemento e del mattone che fagocitano per sempre, al ritmo di 75 ettari al giorno, tesori naturalistici e paesaggistici, terreni agricoli  e spazi di aggregazione sociale che non saranno più restituiti all’ambiente e alla collettività: è la fotografia di un processo irreversibile e in crescita, quello della perdita di territorio, che FAI e WWF tracciano nel Dossier sul consumo del suolo “Terra Rubata – Viaggio nell’Italia che scompare” .

Secondo il Dossier, nei prossimi 20 anni la superficie occupata dalle aree urbane crescerà di circa 600mila ettari, pari ad una conversione urbana di 75 ettari al giorno,  raffigurabile come un quadrato di 6400 kmq.


La stima, emerge da un’indagine condotta su 11 regioni italiane, corrispondenti al 44% della superficie totale, secondo cui l’area urbana in Italia negli ultimi 50 anni si è moltiplicata, secondo i dati ufficiali, di 3,5 volte ed è aumentata, dagli anni ’50 ai primi anni del 2000, di quasi 600mila ettari -  oltre 33 ettari al giorno e 366,65 mq a persona con valori medi oltre  il 300% e picchi di incremento fino al 1100% in alcune regioni - equivalenti all’intera regione del Friuli Venezia Giulia, come risulta da un progetto di ricerca promosso dall’Università degli Studi dell’Aquila in collaborazione con il WWF Italia, l’Università Bocconi, l’Osservatorio per la Biodiversità, il Paesaggio Rurale e il Progetto sostenibile della Regione Umbria.
E in 50 anni (1951 – 2011) persino quei comuni che si sono svuotati a causa dell’emigrazione sono cresciuti di oltre 800 mq per ogni abitante perso. Resta la piaga dell’abusivismo edilizio, che dal 1948 ad oggi ha ferito il territorio con 4,5 milioni di abusi edilizi, 75mila l’anno e 207 al giorno, e in favore negli ultimi 16 anni ci sono stati 3 condoni (1985, 1994 e 2003). Poi ci sono le cave che nel solo 2006 hanno mutilato il territorio escavando  375 milioni di tonnellate di inerti e 320 milioni di tonnellate di argilla, calcare, gessi e pietre ornamentali. I progetti delle grandi infrastrutture, invece, mettono a rischio 84 aree protette, 192 Siti di Interesse Comunitario  e 64 International Bird Area. Si registra poi in agricoltura dal 2000 al 2010 una diminuzione della Superficie Aziendale Totale (SAT) dell’8% e della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) del 2,3%, mentre il numero delle aziende agricole e zootecniche diminuisce nello stesso periodo del 32,2% in meno di aziende agricole e zootecniche. Il risultato è un territorio meno presidiato e più fragile: in Italia circa il 70% dei Comuni è interessato da frane che, tra il 1950 e il 2009, hanno provocato 6439 vittime tra morti, feriti e dispersi. Allarmante anche il rischio desertificazione: il 4,3% del territorio italiano è considerato “sensibile a fenomeni di desertificazione” e il 12,7% come “vulnerabile”.

Tra le proposte di FAI e WWF contenute nella road map per fermare il consumo del suolo ci sono: severi limiti all’urbanizzazione nella nuova generazione di piani paesistici e, in attesa della loro definitiva redazione, chiedere una moratoria delle nuove edificazioni su scala comunale; il censimento degli effetti dell’abusivismo edilizio su sala comunale per contrastare più efficacemente il fenomeno; dare priorità al riuso dei suoli anche utilizzando la leva fiscale per penalizzare l’uso di nuove risorse territoriali; procedere ai Cambi di Destinazione d’Uso solo se coerenti con le scelte in materia di ambiente, paesaggio, trasporti e viabilità. E ancora: rafforzare la tutela delle nostre coste estendendo da 300 a 1000 metri dalla linea di battigia il margine di salvaguardia; difendere i fiumi non solo attraverso il rispetto delle fasce fluviali ma con interventi di abbattimento e delocalizzazione degli immobili situati nelle aree a rischio idrogeologico; farsi carico degli interventi di bonifica dei siti inquinati, escludendo che i costi di bonifica vengano compensati attraverso il riuso delle aree a fini edificatori.
UNA COLATA DI CEMENTO LUNGA MEZZO SECOLO: MAPPA DELLA ‘TERRA RUBATA’. 
Tra le 11 regioni finora monitorate (Umbria, Molise, Puglia, Abruzzo, Sardegna, Marche, Valle d’Aosta, Lazio, Liguria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia), l’erosione del suolo dell’ultimo mezzo secolo è avanzata ad un ritmo spaventoso, passando da un incremento minimo di circa il 100%, in Umbria, Liguria, Valle d’Aosta e Friuli, fino a oltre il 400%, in Molise, Puglia e Abruzzo, e più del 500% per l’Emilia Romagna. Per la Puglia in particolare la copertura urbanizzata attuale è quasi sei volte quella misurata negli anni del dopoguerra. Caso esasperato è quello della Sardegna che ha fatto registrare un incremento di suolo urbanizzato in poco meno di 60 anni pari a più di 11 volte (1154%) quello degli anni ‘50.
Il territorio perso giorno per giorno. Se il Molise ha trasformato i propri suoli al ritmo costante di oltre mezzo ettaro al giorno, il Friuli e l’Abruzzo sfiorano i due ettari, mentre supera i tre ettari giornalieri la Sardegna. I valori più elevati si raggiungono però in Puglia, con una conversione quotidiano superiore ai 5 ettari tra il 1949 e il 2002 con un massimo in Emilia Romagna di quasi 9 ettari giornalieri tra il 1954 e il 2008.
CRESCONO LE CITTA’, ANCHE SE GLI ABITANTI DIMINUISCONO: IL BOOM DAL SECONDO DOPOGUERRA. 
Nonostante in Italia dal 1991 al 2001 secondo i dati dell’Agenzia Ambientale Europea è stata registrata una stabilità demografica ( ma i dati non tengono conto dei fenomeni immigratori che rendono il saldo complessivo in forte attivo di popolazione passata in pochi anni da 50 milioni a 61 milioni - n.d.r.-), nello stesso periodo le città sono cresciute di 8.500 ettari all’anno. Anzi, paradossalmente, le città hanno continuato ad espandersi persino in quei comuni che tra il 1951 e il 2011 si sono svuotati a causa dell’emigrazione fino a crescere di oltre 800 m2 per ogni abitante perso.
Intorno al secondo dopoguerra, infatti, le regioni studiate avevano tassi molto contenuti della densità di urbanizzazione: Sardegna, Molise, Abruzzo, Marche e Valle d’Aosta erano al di sotto del 7‰, le altre regioni erano posizionate su tassi compresi tra l’1 e il 2% e solamente il Friuli presentava un massimo del 4%. Dal dopoguerra in poi parte l’escalation del mattone: il Friuli e l’Emilia Romagna sfiorano il 10%, Umbria, Abruzzo, Molise e Sardegna si collocano intorno al 3%, mentre Puglia, Liguria e Lazio si attestano intorno al 6 -7%. La maglia nera del consumo di suolo pro-capite va alla Sardegna: da meno di 49 m2 per ogni abitante, negli anni ’50, passa dopo il 2000 a 10 volte di più, contro le due volte circa del Friuli, le circa cinque volte di Molise, Puglia, Emilia Romagna e Abruzzo, mentre i livelli più bassi si riscontrano in Umbria e Valle d’Aosta con fattori di incremento inferiori a 2.

URBANIZZAZIONE “A MACCHIA DI LEOPARDO”: QUANDO IL CONSUMO DIVENTA SPRECO DEL SUOLO. 
Le lobby del cemento non solo hanno costruito più case di quelle che possono essere effettivamente abitate ma hanno dato vita ad un’espansione urbana sclerotica, senza alcuna pianificazione, caratterizzata da nuclei di abitazioni sparpagliati rispetto al centro cittadino, per collegare i quali sono state necessarie apposite infrastrutture (strade, servizi ecc.) che hanno portato ad un consumo del suolo sempre maggiore. Se, ad esempio, si prende in esame il rapporto tra superfici coperte da edifici e quelle destinate ad usi accessori si rileva che questo negli insediamenti storici si attestava tra il 70% e il 90%, mentre negli insediamenti urbani moderni è sceso a valori inferiori anche al 20%, con enormi quote di territorio destinate, ad esempio, a parcheggi.
GLI EFFETTI DEL CONSUMO DEL SUOLO: 
il consumo del suolo ha conseguenze che vanno bel al di là dell’impatto visivo: non solo infatti deturpa il paesaggio - cancellandone la memoria collettiva - ma ha ricadute significative su biodiversità, clima, assetto idrogeologico, energia, economia.

L’IMPERO DEL MATTONE: UN BUSINESS CHE TOCCA IL 17% DELLA POPOLAZIONE. 
Nel Dossier viene calcolato che siano tra gli 8 e i 10 milioni gli italiani collegati direttamente o indirettamente all’attività edilizia. Nel solo 2004 sono stati dati permessi per costruire 54.000 fabbricati, per un volume di oltre 115 milioni di m3: il 20% in più rispetto al 2003. A questo si aggiunge il business delle cave - spesso intercettate dalle ecomafie come discariche o per estrazioni abusive di materiali - agevolato dall’assenza di un attento monitoraggio sia tecnico che giuridico. Nel solo 2006 sono stati cavati 375 milioni di tonnellate di inerti e 320 milioni di tonnellate di argilla, calcare, gessi e pietre ornamentali: una quantità pari a 250 mila m3, un solido di 250 metri di altezza per 1 km di lunghezza.

LA DERIVA ILLEGALE DELLA CEMENTIFICAZIONE: DALL’ABUSIVISMO EDILIZIO ALLA STAGIONE DEI CONDONI.
 Oltre agli interessi economici delle lobby - protetti e favoriti da un’assenza di pianificazione urbanistica, varianti e deroghe concesse ad hoc da amministrazioni complici - il suolo italiano deve fare i conti, soprattutto a partire dagli anni ’70, con la piaga dell’abusivismo edilizio, che negli ultimi 16 anni è stato sanato e ‘incentivato’ da ben 3 condoni: nel 1985, 1994 e 2003. Secondo i dati ufficiali riportati nel Dossier, dal 1948 ad oggi si registrano 4,6 milioni di abusi edilizi: 75.000 l’anno e 207 al giorno. Nello stesso periodo sono stati costruiti 450mila edifici abusivi (7.433 l’anno e 20 al giorno) per un totale di 1 milione e 700mila alloggi abusivi abitati da circa 6 milioni di abitanti. In termini di volumetrie, tra grandi e piccoli abusi, sono state edificati illegalmente 800 milioni di m3. C’è poi da ricordare che due terzi degli abusi edilizi si concentrano in 5 regioni (Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia), 4 delle quali con forte presenza della criminalità organizzata dove si concentra il 49% degli abusi edilizi che con il Lazio arriva al 63%.
LE GRANDI INFRASTRUTTURE, UN RISCHIO PER LE AREE TUTELATE: I NEI DELLA LEGGE OBIETTIVO.
Un altro fattore fortemente impattante sugli ecosistemi e sul paesaggio è rappresentanto dalle grandi opere. L’esempio più eclatante, anche in termini di spreco di soldi pubblici, è il programma delle cosiddette Infrastrutture Strategiche previsto dalla Legge Obiettivo del 2001, che negli ultimi 10 anni (dal 2001 al 2011) ha fatto lievitare il numero di opere previste dalle 115 del 2001, per un costo di 125,8 miliardi di euro, alle 390 del 2011 per un costo di 367 miliardi di euro, di cui il 45% delle opere (pari ad oltre 166 miliardi di euro) è rappresentato da strade e il 38% (circa 142 miliardi di euro) da opere ferroviarie.  In 10 anni è stato ultimato solo l’1% delle infrastrutture previste: ovvero 30 opere, per un investimento di 4,4 miliardi di euro. Ammontano al 12% quelle i cui lavori sono in corso, all’11% quelle in gare i affidate e all’11% quelle in progettazione.
Stime prudenziali di WWF e Università dell’Aquila, infatti, rilevano come le opere previste dalle Legge Obiettivo interferiscAno con 84 aree protette, pari al 7% di tutte le aree tutelate; 192 Siti di Interesse Comunitario (SIC), pari al pari all’8% di tutti i SIC italiani; con 64 International Bird Area – IBA, pari al 30% del totale.
L’AGRICOLTURA ‘DIVORATA’ DALLA CITTA’: COSI’ MUORE L’ECONOMIA RURALE.
 L’espansione incontrollata delle città verso le campagne ha fatto sì che la ben più reddittizia economia del mattone prevalesse su quella agricola.  La fame di cemento ha infatti letteralmente divorato i terreni agricoli – e i prodotti tipici provenienti da essi -  grazie soprattutto ad Amministrazioni compiacenti nei confronti delle lobby del cemento che non esitano a trasformare i terreni agricoli in zone edificabili, cambiandone la destinazione d’uso attraverso improbabili varianti urbanistiche che ne fanno così lievitare il valore. Oltre a questo intreccio di affari e politica, tra le cause che hanno incentivato i Comuni a ‘svendere’ la propria terra c’è anche quel meccanismo perverso di agganciare le entrate municipali alle imposte sugli immobili: per cui un tempo con l’ICI – e a partire dal 2014 con l’IMU – la tassa sulla casa sarà ancora considerata dai Comuni come una vera e propria fonte di autofinanziamento. Così progressivamente le terre coltivate hanno ceduto il passo all’affare immobiliare: nel 2010 in Italia si contano 1 milione e 600mila aziende agricole e zootecniche: il 32,2% in meno rispetto al 2000.  E, nello stesso periodo, la Superficie Aziendale Totale (SAT) è disunita dell’8% e la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) del 2,3%.
FRANE E DESERTIFICAZIONE: COSI’ IL SUOLO DIVENTA MENO SICURO E PIU’ POVERO DI RISORSE. 
Il consumo sfrenato del suolo ha reso il nostro territorio fragile e più povero di risorse: il che per l’uomo vuol dire meno sicurezza e minore possibilità di sostentamento. In Italia circa il 70% dei Comuni è oggi interessato da movimenti franosi. Il numero di frane, al 2006, è di 470mila, per una superficie di oltre 19 mila Kmq. Tra il 1950 e il 2009 le frane hanno provocato 6.439 vittime, tra morti, feriti e dispersi. Inoltre, c’e’ da ricordare che secondo l’Atlante nazionale delle aree a rischio di desertificazione’del 2007  il 4,3% del territorio italiano ha caratteristiche di “insterilimento del terreno”, il 4,7% è “sensibile a fenomeni di desertificazione” e  il 12,7% può essere considerato “vulnerabile alla desertificazione”.

INVIA LA TUA VIDEODENUNCIA: 

Il WWF invita i propri sostenitori e tutti i cittadini a denunciare on line con dei propri video i casi del consumo del suolo collegandosi a http://italiambiente.avoicomunicare.it  e contribuendo così ad arricchire il progetto Italia@mbiente, da cui è stato tratto il primo “crowd-film” sullo stato di salute nel nostro Paese promosso da avoicomunicare di Telecom Italia e realizzato in collaborazione con il WWF e CinemAmbiente grazie alle segnalazioni della Rete.

LA ROAD MAP  DI FAI E WWF PER ARRESTARE I ‘LADRI DI TERRITORIO’

Per contrastare i ladri di territorio ed arrestare il consumo di suolo FAI e WWF presentano nel Dossier una road map con 11 linee di intervento:
1. Introdurre contenuti innovativi nella nuova generazione dei piani paesistici ponendo limiti al nuovo edificato con estensione delle tutele alle  aree di pregio naturalistico non tutelate e alle aree agricole.
2. Applicare la Valutazione Ambientale Strategica anche ai piani paesaggistici.
3. Procedere su scala locale ad una moratoria del nuovo edificato in attesa della redazione della nuova pianificazione paesistica.
4. Migliorare la qualità degli interventi urbanistici, rivedendo gli standards dei servizi urbani, e integrando nella pianificazione urbanistica i piani per il verde pubblico e dei trasporti.
5. Dare priorità al riuso di suoli già compromessi e già utilizzati da trasformare nell’interesse, anche residenziale, della collettività in alternativa al consumo di nuovo suolo.
6. Debellare l’abusivismo attraverso la completa definizione di pratiche di abusivismo pregresse, la conseguente demolizione di immobili non suscettibili di condono, la definitiva rinuncia ad ogni nuovo condono.
7. Autorizzare i Cambi di Destinazione d’Uso valutando gli effetti che questi comportano per la collettività in termini di trasporto, viabilità, incidenza sulla qualità ambientale e paesistica.
8. Introdurre adeguati meccanismi fiscali che da un lato introducano un più severo regime di tassazione sull’utilizzo di nuove risorse territoriali e, dall’altro, individuino agevolazioni sul riuso di territorio o suo riutilizzo mediante un minor consumo di suolo.
9. Aumentare il grado di tutela delle nostre coste valutando un’estensione generalizzata dei 300 m di salvaguardia dalla linea di battigia sino ad almeno 1000 metri (come aveva meritevolmente fatto in Sardegna il piano paesistico della Giunta Soru).
10. Difendere i fiumi, prevedendo non solo il rispetto delle fasce fluviali indicate nei Piani di Assetto Idrogeologico restituendo naturalità ai corsi d’acqua e procedendo finalmente agli interventi di abbattimento e delocalizzazione degli impianti situati nelle aree a rischio idrogeologico.
11. Stabilire definitivamente che gli interventi di bonifica  del siti inquinati devono avvenire nel rispetto del principio comunitario “Chi inquina paga” escludendo che i costi di bonifica vengano compensati attraverso il riuso delle aree a fini edificatori. 

lunedì 12 marzo 2012

STOP AGLI IDROCARBURI CON FUSIONE FREDDA E IDROGENO

(Nella foto la FOGLIA ARTIFICIALE sviluppata al MIT di Boston)

Gli effetti della conbustione degli idrocarburi non lasciano molto tempo: l'effetto serra con l'aumento della temperatura sta portando allo scioglimento dei ghiacci nei poli e profonde modificazioni climatiche. Il particolato prodotto dalla combustione è fortemente diffuso negli ambienti antropizzati con aumento delle malattie cardiovascolari e respiratorie e incremento dei tumori. Le riserve di idrocarburi si stanno inoltre esaurendo con probabili ripercussioni tra alcuni anni negli assetti geopolitici e rischio di squilibri economici e guerre. Una alternativa praticabile sarebbe il nucleare, ma la tendenza mondiale è verso una riduzione dello sviluppo di questa tecnologia sia per i pericoli di radioattività sia per gli alti costi. Sarebbero necessari ulteriori studi per mettere a punto centrali ancora più sicure e un affidabile sistema di smaltimento delle scorie. Politicamente il nucleare trova sempre più resistenze, al di là della reale pericolosità del sistema.
Lo sviluppo delle rinnovabili non sembra procedere come si era sperato in un primo momento. Le capacità del fotovoltaico e dell'eolico di sostituire gli idrocarburi sono state sopravvalutate. La produzione di energia, pur migliorata nei rendimenti negli ultimi anni, non è ancora in grado di produrre percentuali a due cifre della produzione energetica annuale nei paesi sviluppati e in quelli in rapido sviluppo. Inoltre i problemi di stoccaggio e le variazioni di produzione legate alla situazione ambientale (soleggiamento, ventosità, ecc.) oltre ai problemi di impatto ambientale, superiori a quelli preventivati in via teorica,  rendono l'ulteriore sviluppo delle rinnovabili complesso e per ora senza sbocco. La situazione sta tuttavia cambiando soprattutto grazie  a due nuove tecnologie: le reazioni nucleari a bassa energia (LENR) e l'idrogeno. L'ecat di Rossi basato sulla reazione tra nichel e atomi di idrogeno è solo uno dei nuovi interessanti sviluppi delle LENR o fusione fredda. Migliaia di ricercatori in tutto il mondo si stanno dedicando al tema con sempre maggiori conferme. Le evidenze della fusione fredda spaziano ormai dal Giappone, al Mit di Boston, ed è iniziata una vera corsa all'oro (ma le resistenze dei poteri costituiti sono tuttavia ancora tante).
Un altro campo è quello dell'energia collegata all'idrogeno, finora bloccato dal fatto che la produzione del gas di idrogeno  a partire dall'acqua è complessa e richiede grande immissione di energia.
Ma anche qui la ricerca sta facendo grandi passi: una nuova tecnologia, caratterizzata anche in questo caso  dall'uso di nichel, messa a punto al MIT di Boston, consente ora di ricavare idrogeno dall'acqua utilizzando semplicemente la luce solare. Secondo la nuova rivoluzionaria tecnologia, come avviene con  la fotosintesi clorofilliana nelle foglie, la luce solare verrebbe convertita direttamente in energia attraverso la produzione di idrogeno utilizzabile e immagazzinabile a piacimento per essere utilizzato quando richiesto.
Lo studio messo a punto dai ricercatori del MIT prevede la fabbricazione di una sorta di “foglia artificiale” (questa la definizione scelta dagli stessi studiosi) capace di usare l’energia solare per scindere una molecola di acqua nei suoi due elementi fondamentali: idrogeno e ossigeno.

La foglia artificiale si presenta apparentemente come un pannello solare in miniatura ed è realizzata con materiali piuttosto diffusi nell’industria come silicio, cobalto e nichel. Le due facce del piccolo pannello sono rivestite di catalizzatori separati per idrogeno e ossigeno, in modo tale che basterà immergere la foglia artificiale in acqua ed esporla alla luce solare per assistere alla reazione chimica che scinde le molecole di H2O facendo risalire l’idrogeno sotto forma gassosa, come testimoniato dalle numerose bollicine visibili nel video dimostrativo diffuso dai ricercatori e visionabile al link riportato  in fondo a questo articolo.

L'idrogeno è un combustibile di cui è possibile un impiego diffuso   in ambiti come l’autotrazione o per la produzione di energia elettrica. La sua utilizzazione può avvenire per combustione diretta con produzione di vapor acqueo, o per reazione mediata in celle a idrogeno (fuell cells) con produzione di energia elettrica.

Ci sono ovviamente ancora alcuni aspetti che andranno perfezionati prima di poter pensare all’idrogeno come una delle fonti energetiche pulite del futuro (ad esempio lo stoccaggio e conservazione in sicurezza ), ma la foglia artificiale del MIT resta ugualmente un esperimento interessante le cui applicazioni pratiche nel medio e lungo periodo potrebbero dare un contributo decisivo al processo di abbandono dei combustibili fossili.

http://www.youtube.com/watch?v=LEEhxk-CiOQ

sabato 10 marzo 2012

TOH! Il CORRIERE SI ACCORGE CHE L'ITALIA STA SPARENDO!




Un paio di giorni fa ho letto con un certo piacere l'articolo del Corriere della Sera qui di seguito allegato, in cui si parla di cementificazione degli ultimi residui e pochi paesaggi verdi italiani, della devastazione delle coste, della completa copertura della Lombardia da parte di una grigia cortina di cemento e asfalto. La colpa ovviamente non è dovuta alla sovrappopolazione del territorio italiano (al Corrierone impera ancora il "politically correct"), ma a quelli che si fanno le seconde case, a coloro che le tengono sfitte, o agli imprenditori che non riutilizzano i vecchi capannoni. Se però si smette di costruire le seconde case e i nuovi capannoni, ecco pronto il pianto per la crisi dell'edilizia, la perdita di posti di lavoro, il calo del PIL, i minori introiti fiscali ecc. Del fatto che la popolazione italiana sia passata in pochi anni da 50 milioni a 61 milioni ovviamente si tace. Sullo stesso Corriere Gian Antonio Stella predica la necessità di ulteriore accoglienza per milioni di migranti, senza un minimo criterio selettivo. Purtuttavia l'articolo è interessante perché illustra in maniera paradigmatica l'arte di arrampicarsi sugli specchi.


Dal Corriere della Sera dell' 8 marzo 2012:

LOMBARDIA (9,7 MILIONI DI ABITANTI): I PGT PREVEDONO COSTRUZIONI PER ALTRI 10 MILIONI
Case e capannoni sfitti: sono 2 milioni
Ma si continua a costruire
Secondo altre stime addirittura 7-8 milioni. Al via un censimento delle costruzioni mai utilizzate



MILANO - Una città grande come Montreal, tutta vuota. È l'immagine (stimata per difetto) che apparirebbe se si mettessero insieme le case e i capannoni sfitti che oggi esistono in Italia. Secondo alcune stime sarebbero almeno 2 milioni. Altre arrivano a 7-8, ma un dato ufficiale ancora non esiste. Potrebbe invece arrivare, nei prossimi mesi, grazie all'iniziativa lanciata in questi giorni dal Forum Salviamo il paesaggio.
Il consumo di suolo in Italia

SALVIAMO IL PAESAGGIO - L'organizzazione, nata nell'ottobre scorso, e a cui hanno aderito 10 mila persone e quasi 600 associazioni in tutta Italia, sta promuovendo un censimento del patrimonio edilizio costruito, ma mai utilizzato. Per farlo, i settanta comitati del Forum già istituiti stanno inviando ai sindaci degli 8.101 Comuni italiani una lettera che contiene una tabella da compilare e restituire entro sei mesi. Sette pagine scritte da un team di architetti, urbanisti e amministratori comunali appartenenti al forum, che chiedono al Comune una fotografia molto precisa del loro territorio e dei suoi abitanti. Dal suolo già urbanizzato a quello potenzialmente urbanizzabile e già previsto dal piano di governo del territorio (Pgt) vigente. Dal numero di case abitate a quelle vuote. E molti altri dati ancora.


CONSUMO DI SUOLO - L'obiettivo del Forum è quello di fermare il consumo di suolo in Italia e questo non si può fare senza un censimento della situazione esistente. Inoltre, i comitati chiedono ai sindaci di non dare il via libera a nuove edificazioni su aree libere prima di aver completato il censimento. In Italia il consumo di suolo viaggia a un trend che potrebbe arrivare a 75 ettari al giorno entro i prossimi vent'anni se non si prendono provvedimenti. Questo sostiene il dossier Terra rubata pubblicato recentemente da Fai e Wwf.
ALLARME LOMBARDIA - L'ultimo allarme, su questo fronte, viene dalla Lombardia. Francesco Prina, consigliere regionale del Pd, parla di «cementificazione selvaggia»: «I nuovi Pgt approvati dai Comuni lombardi, più o meno la metà, prevedono altri 10 milioni di abitanti. Inoltre, la superficie agricola utile perde 60 mila ettari ogni dieci anni. Un dato allarmante, impossibile da sostenere», ha sottolineato Prina in un recente convegno. Il Pd propone «che gli oneri di urbanizzazione non siano più utilizzati per le spese correnti dei bilanci comunali. I candidati sindaci nel loro programma devono dire prima quanti metri quadrati di suolo intendono occupare. Va introdotto l’obbligo al riuso delle aree dimesse». La Regione sta lavorando a una legge sul consumo di suolo che dovrebbe essere operativa già nel 2013. Tuttavia, il consumo annuo di cemento in Italia è calato del 6 per cento rispetto al 2009, attestandosi a quasi 34 milioni di tonnellate, il dato più basso dell'ultimo decennio. Fra il 2004 e il 2008 era arrivato a un picco di oltre 46 milioni di tonnellate.

LA SITUAZIONE IN EUROPA – L'espansione a dismisura delle città a scapito dei terreni agricoli, dei boschi e delle foreste riguarda ormai oltre un quarto del territorio dell'Unione europea. Entro il 2020 circa l'80% dei cittadini dell'Ue vivrà in aree urbane. «Un'espansione che non è guidata dall'aumento della popolazione, ma dal cambiamento degli stili di vita e di consumo. Il numero degli abitanti è cresciuto del 33 per cento, mentre l'aumento medio dell'estensione delle città europee è stato del 78%», spiega Roman Uhel, a capo dello Spatial Anaysis group dell'Agenzia europea dell'Ambiente. Il picco si verifica nelle nelle zone costiere del Mediterraneo: qui l'urbanizzazione, composta quasi sempre di seconde case, è cresciuta del 30 per cento in più rispetto alle aree centrali delle nazioni. Per questo, secondo l'Agenzia dell'Ambiente, «occorre una riforma che porti verso una tassazione sull'inquinamento e sull'uso inefficiente del suolo, dei materiali e dell'energia» e poi «un approccio definito per dare una forma allo sviluppo urbano in Europa». Gli impatti negativi dell'assenza di un disegno globale si fanno sentire anche sulla salute, sulla qualità della vita e sulla produttività: «L'Europa già perde 200 milioni di giorni lavorativi all'anno per colpa di malattie legate all'inquinamento dell'aria», scrive l'agenzia. «Senza contare la perdita economica dovuta al traffico o agli eventi atmosferici estremi».

(Giovanna Maria Fagnani)

venerdì 9 marzo 2012

250 milioni di donne non hanno accesso alla pianificazione familiare




Stime dell'Onu indicano in più di 250 milioni le donne che per vari problemi non hanno accesso alle politiche di pianificazione familiare, rimanendo esposte così ad alti tassi di natalità (5-6 e più figli per coppia) con tutte le conseguenze negative che tali tassi comportano per la salute delle donne e della popolazione generale, per gli alti tassi di mortalità infantile, per il mancato sviluppo, per la sottrazione di risorse, per la pressione demografica, l'inquinamento, le migrazioni ecc.
Le cause di questo mancato accesso alla programmazione familiare sono varie, tra cui la mancata accettazione culturale, lo scarso potere della donna, problemi di corruzione e di distribuzione delle risorse, fanatismi religiosi, ecc. Inoltre a livello internazionale per anni gli investimenti dei paesi sviluppati nel terzo mondo non hanno riguardato le politiche di salute riproduttiva. Finalmente gli Stati Uniti, dopo anni, hanno ripreso le politiche di finanziamento della pianificazione familiare, con l'accesso ai mezzi contraccettivi, maggior istruzione e maggior occupazione per le donne, lotta alla corruzione e alla arretratezza culturale. Purtroppo molte chiese si oppongono ancora alle politiche di controllo demografico, e ai primi posti nella politica per ritardare e contrastare l'uso di contraccettivi c'è la chiesa cattolica. Ma anche interessi nazionalistici e culturali locali sono alla base del contrasto alla contraccezione.
Il caso della contraccezione è solo un elemento di una generale mancanza di servizi di salute riproduttiva, il che comporta che mezzo milione di donne muoiono ogni anno durante la gravidanza e il parto, pari a quattro jumbo jet pieni che si infrangono tutti i giorni. Finalmente nel 2010 l'Onu ha stanziato 40 miliardi di dollari per politiche di salute riproduttiva nei paesi arretrati, ma il finanziamento complessivo rimane molto al di sotto di quello richiesto. Purtroppo arrivano pessime notizie anche dai paesi sviluppati dell'occidente, come Stati Uniti e Gran Bretagna. Qui i tassi di natalità stanno ricominciando a salire, tanto che sono allo studio contraccettivi a più lunga durata di azione che abbassi soprattutto la percentuale di gravidanze non desiderate.
(Da un articolo di Optimum Population Trust)

mercoledì 7 marzo 2012

FUSIONE FREDDA: ROSSI PREPARA LA CENTRALE DA 15 MW




Al momento, la commercializzazione di Andrea Rossi riguarda l'Ecat da 1 MW per usi commerciali e quello da 10 Kw per uso domestico. Leonardo Corp. sta già vendendo il primo mentre si sta attrezzando per la produzione di massa del secondo.
Ma l'ingegner Rossi sta lavorando per apportare sostanziali miglioramenti al suo sistema basato sul Nichel-idrogeno. In particolare l'obiettivo attuale di Rossi è quello di produrre macchine che non abbiano bisogno di fonti esterne di energia e funzionino in autosostentamento.

Dal momento che la prima generazione di Ecat realizzati da Andrea Rossi hanno ancora bisogno
di energia elettrica immessa dall'esterno,il loro utilizzo può essere ancora costoso, specialmente in paesi dove l'elettricità è scarsa e con alti costi di approvvigionamento. I primi prototipi di catalizzatori di energia funzionanti con il principio rivoluzionario della fusione fredda (o LENR) sia per uso industriale che per uso domestico possono consentire ai consumatori di avere grandi risparmi, ma non abbastanza per rivoluzionare il consumo di energia su vasta scala.
Ma la seconda generazione, a cui sta lavorando Rossi, dovrebbe permettere il funzionamento in completa autonomia delle macchine senza bisogno di immissioni di elettricità dall'esterno, in maniera da essere realmente in grado di far risparmiare enormi somme di denaro. Rossi ha parlato di un sistema a circuito chiuso con un COP infinito. Se questo si avvera, l'idea di fondo del sistema LENR con produzione di energia abbondante e a buon mercato diventa una realtà. Da quanto riportato in alcune affermazioni di Rossi sul suo sito, la Leonardo Corp. starebbe lavorando ad una centrale da 15 MW di potenza, in grado di trasformare parte dell'energia termica prodotta in energia elettrica mediante un sistema a turbina della Siemens, energia che verrebbe utilizzata per alimentare il sistema Nichel-idrogeno, il quale funzionerebbe così in autosostentamento, senza bisogno di input elettrici dall'esterno. La restante quota di energia sarebbe completamente disponibile per l'utilizzo sia per semplice riscaldamento, sia per l'eventuale ulteriore trasformazione in energia elettrica. Si tratterebbe quindi di un circuito chiuso autosufficiente con produzione indefinita di energia a prezzi infinitesimali (richiederebbe solo la sostituzione della quantità di nichel consumato e dell'idrogeno, ogni sei mesi). La megacentrale da 15 MW potrebbe alimentare in completa autosufficienza interi quartieri, piccole città, grandi fabbriche. Rossi starebbe progettando anche la miniaturizzazione del sistema in modo da renderlo idoneo anche per le piccole applicazioni di uso domestico.

LE TASSE COME STRUMENTO ECOLOGICO: A MODEST PROPOSAL





PER UNA NUOVA FISCALITA’ PIU’ LIBERALE E PIU’ AMBIENTALE

Nel nostro paese il prelievo fiscale è intorno al 50% (senza considerare la fiscalità indiretta). Per cultura liberale sono sempre stato contrario ad una alta tassazione. Con questo peso fiscale il nostro paese non potrà mai tornare a crescere. Alte tasse significano alta spesa pubblica (da noi la spesa pubblica è oltre il 50% del PIL), ed alta spesa pubblica significa troppo stato, troppa burocrazia, troppa corruzione, troppa inefficienza. Abbattere energicamente le imposte serve a quattro cose. A riprendere il sentiero della crescita. A sanare il gap con le economie trainanti del mondo e a quelle emergenti in Europa. A dare maggiore libertà agli individui. A realizzare un maggior dinamismo sociale, cioè a far salire più rapidamente in alto nella piramide sociale chi oggi sta in basso.
Ma oltre che abbassare le tasse, bisogna dare ad esse nuovi obiettivi. Quello della cosidetta “giustizia sociale” è una mistificazione. Con le tasse non si fa giustizia sociale, si toglie semplicemente a chi produce per dare allo stato e ai burocrati di stato, si toglie a chi merita per dare ai nullafacenti. Le tasse servono a pagare i servizi, e da noi i servizi non funzionano.
Ma oggi il mondo è cambiato, si sta avviando ad una condizione ambientale catastrofica, e le tasse possono servire a dare un indirizzo che riporti il pianeta ad una condizione ambientale sostenibile e a dare nuovi valori e nuovi obiettivi, come quelli della difesa dell’ ambiente.
A questo scopo sarebbe utile spostare la fiscalità dal lavoro al consumo, dai guadagni ai patrimoni. Un esempio di nuova tassazione potrebbe essere questa: una aliquota massima del trenta per cento sui redditi da lavoro (dall’attuale 45 %), con un corrispettivo aumento dell’Iva su beni che hanno un alto impatto ambientale, come ad esempio auto di lusso, barche, prodotti inquinanti, beni voluttuari, sigarette, alcool ecc. Forte tassazione su impianti industriali inquinanti, quelli con emissioni di fumi o che utilizzano sostanze chimiche tossiche, o che richiedono forti quantitativi di acqua. Tassazione separata ed elevata per case ed edifici costruiti in zone ad alto valore paesaggistico come coste, zone verdi, montagna ecc. (con rispetto assoluto dei piani regolatori e divieto di varianti). Disincentivi fiscali per l’uso del cemento e facilitazioni per l’uso di materiali ecologici come pietra, legno, biomateriali ecc. Tassazione elevata per le seconde case e proibitiva per le terze ecc. Incentivi alla riconversione ad altra attività delle troppe imprese edili del nostro paese. Tassazione elevata dei grandi patrimoni, soprattutto quelli ereditati della seconda generazione . La diversa tassazione avrebbe anche lo scopo di riconvertire l’industria inquinante verso attività più ecosostenibili, con l’aiuto di forti incentivi alla ricerca su fonti alternative di energia e quelle meno inquinanti.
Il programmino sembra facile, in realtà è di difficilissima attuazione: ci sono troppi interessi e troppi potentati da abbattere. Non solo interessi economici, ma anche ideologie antropocentriche. Ci sarebbe infatti una tassa che mi piacerebbe applicare: quella sull'eccessivo numero di figli. Chi figlia molto in un mondo con sette miliardi di umani è uno che sta contribuendo in maniera SOSTANZIALE alla distruzione del pianeta. E' un eco-criminale. Dal secondo figlio in poi si dovrebbe pagare una tassa molto elevata. Ma ve lo immaginate lo strepito di chi ogni giorno predica che nascono troppo pochi bambini, che l'Italia si sta spopolando, che siamo un paese di vecchi, eccetera eccetera?

martedì 6 marzo 2012

L'UOMO E LA SESTA ESTINZIONE DI MASSA




IL NOSTRO IMPATTO SULLA BIODIVERSITA': La sesta estinzione di massa
Dal momento che la vita apparve sulla terra, ci sono state diverse estinzioni di massa in cui sono stati spazzati via molte delle specie della terra a causa dei cambiamenti climatici, attività vulcanica, l'impatto di un asteroide o per motivi che non abbiamo ancora scoperto. Le piante e gli animali che attualmente vivono sulla terra hanno continuato ad evolversi nel corso dei 65 milioni di anni dopo l'ultima estinzione di massa. Ma molti scienziati considerano l'enorme riduzione della biodiversità dovuta all'esplosione demografica degli esseri umani (specie nell'ultimo secolo) come origine di un'altra estinzione di massa. Essa è nota come estinzione dell'Antropocene (era dell'uomo sulla terra).

Perdita di habitat
Sempre più persone hanno bisogno di sempre più spazio. L'attività umana continua a invadere gli ambienti naturali, distruggendo gli habitat di innumerevoli specie. Mentre alcuni progressi sono stati compiuti nel rallentare il tasso di perdita delle foreste tropicali e le mangrovie, i cali sono gravi in tutto il mondo per le zone d'acqua dolce, per i ghiacci marini, le barriere coralline, le distese di alghe e le scogliere formate dai crostacei.

Oltre lo sfruttamento
Sempre più persone hanno bisogno di sempre più cose. Il consumo inesorabile da parte dell'umanità delle risorse, ad esempio, di legname, petrolio e minerali sta continuando a distruggere gli habitat naturali in tutto il mondo. Stiamo anche mettendo un'enorme pressione sulle popolazioni di specie selvatiche, sia per lo sviluppo della caccia che dalla grande pesca industriale nei nostri mari. Molte specie sono a rischio in Africa, Sud America, e nelle aree orientali del pianeta.

L'urbanizzazione
Sempre più persone hanno bisogno di sempre più case. Nei paesi più industrializzati e in un numero crescente di quelli in via di sviluppo oltre la metà della popolazione vive in città sovraffollate (megalopoli). A volte città adeguatamente progettate e in rapporto con sistemi agricoli adeguati possono permettere la vita e le attività di un enorme numero di persone con un minore impatto sulla biodiversità rispetto a una popolazione più uniformemente distribuita. Ma, con gli attuali numeri di popolazione e di consumi in aumento, le città e le zone industriali sono in crescita e si fondono le une une con le altre consumando continuamente terreni agricoli e zone verdi, frammentando l'habitat restante e lasciando solo poche e isolate "isole" di popolazioni naturali di piante ed animali troppo piccole per sopravvivere.

L'agricoltura intensiva
Sempre più persone hanno bisogno di sempre più cibo. Al fine di alimentare l'enorme numero di persone che vivono sulla terra oggi, l'umanità ha sviluppato sistemi agricoli che si basano su monocolture, fertilizzanti artificiali e pesticidi. Le monocolture sono sempre più sensibili alle malattie, l'uso di pesticidi distrugge popolazioni di insetti indiscriminatamente, mentre il deflusso dei fertilizzanti inquina i corsi d'acqua. Inoltre, la crescente pressione sulle forniture alimentari, insieme al consumo sempre maggiore di terreni per l'uso abitativo, industriale e dei trasporti, significano che una quota crescente di terreni agricoli è coltivato intensamente, con un minor numero di stagioni per il riposo della terra o anni di maggese, in cui poter recuperare.

Inquinamento
Sempre più persone producono sempre più rifiuti e inquinamento. Oltre a influenzare la vita degli esseri umani, l'inquinamento acustico, luminoso e chimico possono interferire con il comportamento della fauna selvatica. Luce da attività umane rende più difficile per le specie di predatori catturare le prede. L'inquinamento acustico interrompe sia il corteggiamento che i segnali di accoppiamento in molte specie, alterando i comportamenti naturali.

L'accumulo di fosfati e nitrati provenienti da fertilizzanti agricoli e di depurazione degli effluenti determina la creazione di fioriture algali a lungo termine nei laghi d'acqua dolce e sistemi idrici interni, causando la diminuzione degli stock ittici, con gravi conseguenze per la sicurezza alimentare in molti paesi in via di sviluppo.

Come l'aumentare delle popolazioni, lo smaltimento dei rifiuti diventa un problema crescente. L'inquinamento sarà sempre una conseguenza inevitabile, se usiamo usiamo smaltire i rifiuti con il riempimento dei terreni di enormi discariche, o gli inceneritori con la produzione di fumi e particolato, o lo smaltimento a mare e nei corsi d'acqua. Lo smaltimento dei materiali tossici di lavorazioni industriali, di materiali di consumo e di prodotti ad uso sanitario, pone ulteriori rischi e problemi.

Le specie invasive, l'uomo e la biodiversità.
Come conseguenza dell'introduzione di specie alloctone in alcune aree, come i conigli in Australia o razze caprine su St. Helena, abbiamo messo molti ecosistemi vulnerabili a rischio, minacciando ecologie autoctone e determinando la diminuzione della biodiversità. La presenza umana, le costruzioni connesse ad essa, la deforestazione, gli allevamenti intensivi, l'alterazione di acque e ambienti naturali dovuti all'attività di un sempre maggior numero di persone, sta alterando profondamente e in maniera irreversibile la biodiversità in tutto il pianeta.
(Dal sito Optimum Population Trust)