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mercoledì 21 dicembre 2016

La produzione di massa

Quando sento gli ecoingenui della decrescita felice non riesco a non ridere, anche se sommessamente. La loro ingenuità estrema arriva ad ipotizzare una decrescita della produzione in un mondo dove invece tutto corre verso una veloce trasformazione delle strutture industriali nel senso della produzione di massa.La produzione non decrescerà ma continuerà a crescere, almeno finché crescerà la popolazione del pianeta. La Cina rappresenta in maniera paradigmatica la globalizzazione che sta interessando tutto il mondo e fornisce un modello per quello che accadrà nei prossimi anni in tutto il pianeta. Se analizziamo le modalità con cui nascono i nuovi quartieri delle città cinesi vediamo come paradossalmente si realizzi uno dei capisaldi teorici del marxismo, ossia come le sovrastrutture rappresentate dalla cultura, dai valori, dalla fruizione del tempo, dall'intrattenimento e gli aspetti "ludici" (una volta si sarebbe detto spirituali) della vita, vengano generati dalla struttura produttiva e ne siano un derivato diretto, senza mediazioni. In Cina interi quartieri vengono edificati come strutture di servizio di fabbriche industriali e progettati per massimizzare l'economicità nella realizzazione dei prodotti. In questo modo la vita umana viene ridotta a elemento secondario di servizio della struttura produttiva materiale. Spesso decine di edifici servono a contenere gli operai, gli addetti con relative famiglie e gli impianti di servizio connessi ad una determinata linea produttiva di una sola fabbrica o, a volte, di un unico particolare prodotto industriale. Le strutture abitative sono modulari, ridotte all'essenziale e con tipologie ripetitive e realizzate su scala di migliaia di unità. Esistono quartieri cinesi, in genere alla periferia delle grandi città, con migliaia di abitanti che lavorano ad impianti dedicati alla realizzazione industriale di un condizionatore, di un motore o addirittura di un cuscinetto meccanico. La scala di produzione, con la globalizzazione dei mercati, diviene idonea ad un mercato mondiale e i numeri di produzione di un prodotto raggiungono livelli mai visti. La megalopoli si trasforma generando quartieri dedicati a soddisfare esigenze del mercato globale. La vita di migliaia di persone è regolata secondo i ritmi della produzione. Anche il tempo libero e lo svago sono programmati per assicurare ritmi e turni di lavoro adeguati alla produzione su scala di massa.
I prodotti al tempo della globalizzazione e dell'esplosione demografica stanno rapidamente cambiando. Esaminando il prodotto e i cambiamenti che lo interessano possiamo comprendere molto della società che si sta preparando. Già Ford nei primi anni del 900 introdusse in america la catena di montaggio dove la produzione veniva standardizzata e i singoli pezzi della catena uniformati per i grandi numeri. La catena di montaggio assicura economie di scala e l'implementazione della produzione di massa. Oggi il prodotto industriale deve essere pensato per milioni di consumatori, a volte miliardi. Prima di progettarlo vanno fatte indagini di marketing su grandi numeri di potenziali consumatori (esistono società apposite). Il prodotto può persino perdere la caratteristica di marchio e venire standardizzato per molti produttori diversi su linee di produzione globali. Una caratteristica importante è la perdita delle distinzioni in base al luogo di provenienza: la delocalizzazione del manufatto comporta che esso deve perdere ogni riferimento ad un territorio particolare in quanto è destinato ad un mercato globale. Il prodotto tradizionale, quello artigianale, legato ai luoghi (come ad esempio le manifatture,i prodotti tipici o i vini o certi cibi) divengono prodotti di nicchia, sempre meno adatti alle grandi catene commerciali. Se un prodotto locale ha un grande richiamo viene ridotto a fake e imitato su scala globale. La produzione uniforme di milioni di pezzi trasforma l'impresa industriale rendendola indipendente dal paese di produzione e dedicata al mercato globale (imprese multinazionali).I prodotti di massa nella loro uniformità rendono uniformi e globali i mercati. Una volta uniformati i processi su vasta scala, la catena di montaggio non può che accelerare. Queste imprese necessitano di una crescita continua della produzione. Ricorrere a mercati sempre nuovi può tirare per un po' ma poi non basta più. Debbono crescere i consumatori.La sovrappopolazione è la condizione ottimale per queste imprese di produzione di massa e gli alti tassi di natalità costituiscono un pre-requisito della strategia commerciale estesa ai temi lunghi . La sovrappopolazione consente non solo di espandere i mercati ma anche di avere a disposizione una manodopera a basso costo.
Il prodotto di massa ha un'altra caratteristica: non è progettato per rispondere alle esigenze del consumatore. Il prodotto massificato è assolutamente inutile. O meglio, la sua utilità è marginale. Se riflettiamo un attimo ci accorgiamo che fino a pochi anni fa abbiamo vissuto benissimo senza. Prendiamo ad esempio il cellulare, tipico prodotto di massa. Fino a pochi decenni fa non esisteva e nessuno ne sentiva la mancanza. Il prodotto di massa non risponde ai bisogni, ma li genera. E' un inutile superfuo di cui però si ha necessità . La necessità deriva dalla narrazione virtuale di massa: chi non ce l'ha è fuori dalla narrazione globale, non appartiene alla contemporaneità. La logica che sta dietro al prodotto di massa è quella del discorso pubblicitario. Questo indirizza i desideri del pubblico, al di là dei bisogni reali. Il prodotto assume una sua autonomia, non dipende più dalla domanda e dall'offerta spontanea di una società più o meno complessa. Viene ideato per creare un mondo di riferimenti (attraverso la pubblicità, gli stili di vita indotti ecc.), una aspettativa che costituisce una sorta di nuova mitologia. A differenza delle vecchie mitologie che appartenevano alla tradizione e venivano ereditate, le nuove mitologie si identificano con i prodotti stessi che orientano le masse attraverso una narrazione virtuale che diviene reale al prezzo del prodotto venduto.Il nuovo mito non richiede una morale, come nel caso dei miti religiosi, ma un prezzo. In un mondo così l'unico valore rimane il denaro. Finisce l'arte e la poesia, subentra il mercato e il prodotto. La libertà, nella produzione di massa, è pura apparenza. Il consumatore non sceglie il prodotto ma viene scelto dal produttore che lo individua come target di mercato, indirizzandone i gusti e le aspettative. La pressione sociale di miliardi di persone annulla le individualità, le preferenze personali, le scelte indipendenti per la massificazione dei grandi numeri. Il prodotto non si adatta alla vita degli uomini, ma è l'esatto contrario. Le scelte della vita non si fanno più in base ad appartenenze o a ideologie che si condividono. Le grandi scelte si fanno per reperire e usufruire dei prodotti. Il fenomeno delle aspettative create dal prodotto è alla base, ad esempio, dei fenomeni che concorrono alla migrazione. Si tratta di una scelta radicale, che non dipende da motivazioni religiose o etniche o culturali. Alcune indagini sociologiche condotte sugli immigrati mettono in risalto il ruolo giocato dai media, in particolare tv e internet, nel creare aspettative di fruizione di prodotti e di vita più comoda che spingono i residenti in aree depresse economicamente ad intraprendere il viaggio della vita verso un mondo virtuale più che reale. E' il prodotto che muove le masse.
E' molto importante nella nuova economia basata sulle grandi masse di consumatori che il prodotto abbia una breve durata. La produzione sui grandi numeri ha bisogno di essere sempre pienamente funzionante quindi non tollera periodi di bassa resa. Per mantenere alto il livello di produzione il prodotto si deve rinnovare continuamente e quello già venduto deve essere costruito in modo da autoestinguersi dopo un periodo limitato di tempo (prodotti a durata programmata). La produzione moderna sforna oggetti di alta complessità tecnologica. La complessità tecnologica comporta il rapido superamento tecnologico e la vetustà del prodotto il quale va sostituito rapidamente anche se ancora funzionante.La tecnologia cambia continuamente e con essa i prodotti industriali. L'informatizzazione assicura un controllo totalizzante sui prodotti e la loro quota di virtualità che contribuisce a renderli effimeri. L'elaborazione e la diffusione sul web è oggi parte determinante della massificazione: il prodotto esiste solo su grandi numeri e per raggiungere questi numeri di produzione e consumo deve essere visibile nel mondo virtuale e su scala planetaria. Il web decreta se un prodotto può stare ancora sul mercato; oppure cedere il passo. L'interconnessione in rete di miliardi di consumatori assicura la pubblicizzazione e la operazione di marketing necessaria a commercializzare ogni oggetto facendolo entrare nella dimensione pubblica (con aspetti che ricordano la produzione di miti nelle società pre-moderne).
La globalità del mondo virtuale pubblicitario rende sovranazionale e delocalizzata la produzione e questa genera un sistema finanziario che è ugualmente sovranazionale e virtuale. Il sistema delle bolle finanziarie, prodotte dalla virtualità delle merci e dei mercati, ha contribuito a portare l'occidente alla attuale crisi economica. Il sistema sovra-produce e i mercati inseguono senza bastare mai. Soltanto la crescita continua dei consumatori evita il collasso finanziario. Per i poteri della grande finanza i tassi di natalità sono come le miniere d'oro per i cercatori al tempo della grande corsa all'oro in nord america. Per questo finanza e grandi imprese non fanno nulla per arginare l'esplosione demografica e diffondono l'ideologia dell'accoglienza multietnica e dei diritti globali. Il consumatore non ha etnia così come il lavoratore a basso costo. Ma per quanto ancora il pianeta sosterrà l'infernale meccanismo?

venerdì 2 dicembre 2016

Il Killer silenzioso delle megalopoli

Un killer silenzioso si aggira per le megalopoli sovrappopolate e inquinate. Il nome del killer è neutro, una sigla insignificante per i più: BPCO.
Eppure, dietro quella sigla si nasconde la causa che è all'origine, secondo un Report ufficiale dell'Agenzia Europea per l'Ambiente, di 476 mila morti ogni anno nella sola Europa. La sigla significa "Broncopatia cronica ostruttiva" o malattia polmonare cronica ostruttiva secondo la terminologia inglese. E' una malattia cronica degenerativa del sistema respiratorio e cardiovascolare dovuta all'inquinamento dell'aria delle grandi città europee da parte del particolato. E' una malattia tipica di tutte le grandi megalopoli del pianeta, delle aree industriali, delle zone ad alta densità umana. Del problema sono forse più coscienti i cittadini delle città cinesi e giapponesi, piuttosto che i benpensanti europei obnubilati dal pensiero unico politicamente corretto, in nome del quale si nega anche l'evidenza. Infatti basta vedere gli abitanti di Pechino, Shanghai o Tokio girare per le strade con la mascherina per il filtraggio delle polveri sottili, e confrontarli con i nostri cittadini che girano in bicicletta per le strade di Milano o Parigi senza alcuna protezione per valutare la differenza di allarme presente nelle persone. Da noi vivere ammassati è bello, è il portato di un antropocentrismo idiota e autodistruttivo, e si negano i problemi che esso genera o si degradano a meri problemi di scelte energetiche. Il risultato sta nei numeri del Report dell'Agenzia Europea dell'ambiente.
In quelle disumane concentrazioni di persone cemento asfalto e smog, dovute all'abnorme crescita demografica che ha raggiunto livelli esplosivi negli ultimi decenni, la necessità di energia, di alimentazione e di abitazione per tante persone e le attività lavorative connesse generano il particolato, distinto in due sottogruppi a seconda della grandezza delle particelle coinvolte: PM 10 (10 micron) e PM 2,5 (2,5 micron). Si tratta una miscela di minuscole particelle e goccioline liquide composte da diversi elementi tra cui acidi, metalli,residui carboniosi, silicati, ossidi di zolfo, particelle di suolo o polvere. Fonte principale è la combustione di carbone e biomassa da parte di industrie, centrali elettriche e famiglie. Altre fonti di inquinamento da particolato sono i trasporti, le attività di scavo e demolizione, l'usura delle superfici,l’agricoltura e l’incenerimento dei rifiuti. Nelle megalopoli il particolato viene prodotto principalmente dai riscaldamenti domestici, dal traffico veicolare, dai rifiuti e dai loro prodotti di traformazione, dalla movimentazione sui suoli, dalle attività edilizie e di demolizione, dai rifacimenti delle strade, dal consumo di pneumatici e di prodotti dei motori. L'enorme massa di sovrappopolazione generatasi dagli inizi del secolo scorso fino ad oggi ha quindi creato le premesse dell'inquinamento da particolato mediante l'inurbamento massiccio con lo sviluppo delle megalopoli e con l'attività umana concentrata in quegli stessi macroaggregati umani. Ogni attività umana genera particolato e solo la necessità di sussistenza (riscaldamento, produzione di merci, alimentazione ecc.) e di spostamento di merci e persone tra zone diverse delle megalopoli sono all'origine di gran parte del particolato.Non parliamo poi delle attività di areoporti, porti, grandi fabbriche, raffinerie, inceneritori ecc. L'uso intensivo di pesticidi per mantenere le produzioni alimentari ad un livello adeguato a tanta popolazione contribuiscono all'inquinamento ambientale di suoli, aria ed acque. Il fumo di sigaretta non fa che aggravare questa situazione, aggiungendo ulteriore inquinamento a quello diffuso nell'aria.
Le conseguenze sulla salute sono drammatiche. Il particolato respirato, specie quello ultrafine (PM 2,5) penetra fin negli alveoli polmonari generando bronchite cronica, enfisema (distruzione di parenchima polmonare), cuore polmonare (insufficienza cardiaca congestizia). Studi internazionali dimostrano che il particolato ultrafine è in grado di passare nel circolo sanguigno contribuendo a generare ostruzione delle coronarie (infarto cardiaco) e ipertensione arteriosa, malattia propria della modernità a cui contribuisce lo stress tipico della vita megapolitana. Nella sola Inghilterra sono stati stimati, in uno studio pubblicato su Lancet, in almeno 23.000 i morti ogni anno dovuti a malattie vascolari da particolato. I numeri sono ancora sottostimati in quanto gli studi che dimostrano il rapporto stretto tra particolato e malattie cardiovascolari sono recenti e ancora da sviluppare su più ampie casistiche. Il cancro del polmone e del tubo digerente sono ulteriori conseguenze dell'inquinamento da particolato, e non esistono ancora stime ufficiali definitive anche se gli studi proseguono. Ma il big killer rimane la BPCO, una malattia sottostimata che è causa di centinaia di migliaia di vittime nella sola Europa e di milioni di vittime nel mondo. Una malattia di cui si parla poco e quando se ne parla non si dice tutto. Se leggiamo infatti il Report dell'Agenzia Europea per l'ambiente,troviamo che l'Agenzia pur denunciando correttamente il problema dovuto all'inquinamento da particolato affermando che: "risulta che nel 2014 circa l’85% della popolazione urbana nell’Unione europea sono stati esposti a particolato fine (PM 2.5) a livelli ritenuti dannosi per la salute dalla Organizzazione Mondiale della Sanità" , quando si tratta di proporre rimedi confida nelle politiche dei governi locali volte a ridurre le emissioni. Ciò è sicuramente utile, come ad esempio convertire l'energia dal carbone e petrolio a fonti meno inquinanti, o imporre filtri e sistemi di contenimento e fissaggio del particolato a fabbriche e raffinerie, a zone industriali, a superfici megapolitane, ma tutto questo non è certamente sufficiente. L'attività normale di milioni di persone concentrate in spazi tanto ristretti come nelle megalopoli è una forzatura artificiale dei sistemi naturali dove queste condizioni non esistono e sono aliene per l'ambiente terrestre. La tecnologia umana ha creato tali forzature e posto le premesse per le malattie polmonari, cardiovascolari e psichiche da stress che questi ambienti comportano. La soluzione di fondo al problema del particolato nelle megalopoli è il ritorno ad una dimensione umana delle città, ad un rapporto equilibrato tra abitanti e città e tra aree cittadine e campagna, ad un uso non intensivo di industria ed agricoltura, oltre che al ricorso a nuove tecnologie energetiche meno inquinanti. La via che stanno seguendo i burocrati europei è invece quella di tacere sul problema sovrappopolazione, negare ogni rilevanza dell'eccesso di densità demografica, nascondere sotto il tappeto del politicamente corretto la polvere (particolato) che inevitabilmente la coesistenza di tanta popolazione concentrata genera, e insistere invece solo su regolamenti, procedure, divieti, controlli, tassazioni, investimenti in tecnologie costose che cercano di ridurre le conseguenze e che guardano ai sintomi e non alla causa prima della patologia. Il tutto va considerato alla luce dei grandi interessi di imprese e mercati che guardano alle occasioni di guadagno generate dalle tecnologie alternative agli idrocarburi e ai prodotti di contenimento, la cui efficacia però sarà nulla e del tutto marginale in presenza di una crescita continua di popolazione e di consumatori nelle aree già ampiamente inquinate. La burocrazia europea, che rappresenta gli interessi di quelle imprese e dei maggiori sistemi finanziari europei, alimenta se stessa, gravando per lo più sulle tasche dei cittadini che vengono tassati per mantenere l'apparato di controllo e per implementare sistemi tecnologici non competitivi in termini di costi e poco efficaci nel ridurre il problema . Molte delle industrie che lavorano nel campo delle rinnovabili sono inquinanti e creano particolato non meno delle altre. Intanto i cittadini continuano ad ammalarsi e a morire di malattie da sovrappopolazione, senza che nessuno accenni al motivo principale di quelle morti.

sabato 19 novembre 2016

Trump: effetto sul clima e non solo

Uno zombie tra gli zombie. Così è apparso, anzi si è manifestato come dal nulla, un Kerry rintronato che sembrava più “knok out” del solito. Barcollando tra i delegati tutti aggrappati alle poltroncine del COP22 della Conferenza di Marrakesh e che lo guardavano speranzosi che il Kerry suonato li salvasse dalla fine preannunciata di tutto il baraccone con i miliardi di dollari annessi e connessi. Si perché erano passate poche ore, qualche giorno, dall’esplosione della bomba atomica: l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Nel suo programma The Donald ha scritto:
“- Sviluppo delle fonti fossili per aiutare l'industria e l'economia del paese;
- Smantellare l'Agenzia federale che si occupa della tutela dell'ambiente.

Due punti non esattamente in linea con le aspettative dei burocrati riuniti a Marrakesh. Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha il potere, essendo gli Usa tra l’altro il primo finanziatore di quel baraccone di ipocrisie denominato COP22, di sbaraccare baracca e burattini e di riportare tutti con i piedi per terra, nel duro suolo della realtà, e di sbugiardare tutti i finti ecologisti di stato che appetiscono assai più ai dollari sonanti dei finanziamenti che alla salvaguardia del pianeta dal riscaldamento globale. Cosa di cui tutti se ne fregano ampiamente e dirò poi perché. Dunque dopo la repentina entrata in vigore dell’Accordo di Parigi (una fretta come minimo sospetta) ecco il povero rappresentante di Obama, presidente premio Nobel preventivo che ha generato più guerre e morti dei suoi predecessori, che balbetta dal palco di Marrakesh parlando da zombie all’assemblea preoccupatissima. Anche perché Trump dall’alto del suo grattacielo di Manhattan ha intimato al suo predecessore di non stringere alcun tipo di accordo internazionale. Se gli Usa voltano le spalle, e questo gli zombie lo sanno, affonda la conferenza, affonda l’accordo di Parigi, affonda la speranza di affari miliardari per imprese e nazioni di corrotti e corruttori che speculando sul clima pensano molto alle proprie tasche e assai poco alla cappa di anidride. Kerry, bianco in viso e depresso, dice che “il tempo non è dalla nostra parte” e che “i popoli sono a rischio” poi , forse per stanchezza o stress gli sfugge una mezza verità: “ Trecento sessanta grandi aziende come Hewlett Packard, Kellog, Starbucks, Levis qui a COP22 chiedono agli Usa di rispettare gli accordi sul clima”. “Tanato” si direbbe a Roma. Poi riprende la farsa: “ I negoziati procedono, la Casa Bianca, spiega Kerry alludendo ad Obama, ha presentato a COP22 un piano per la decarbonizzazione (sic) profonda (sic sic) dell’economia degli Stati Uniti entro il 2050 che prevede un taglio dell’80% (ari sic) delle emissioni rispetto ai livelli del 2005”. Un programma “realizzabile , coerente con gli obiettivi a lungo termine dell’accordo di Parigi e una accelerazione delle tendenze di mercato esistenti” e qui nella vasta sala dei delegati sudaticci (per l’ansia ed il caldo) si diffonde un vago profumo di torta alla crema. “…Che richiedono politiche di decarbonizzazione sempre più ambiziose”. “Noi andiamo avanti” afferma speranzoso il segretario Kerry probabile prossimo Nobel preventivo per la letteratura, stavolta.
Nel frattempo “gli Stati Uniti hanno lavorato a stretto contatto con la Cina lo scorso anno per costruire un sostegno per l’accordo di Parigi” conclude il segretario.
Questa è la COP dell’azione” dice con credibilità zero Francesco La Camera, direttore generale del Ministero dell’Ambiente e negoziatore italiano, “le discussioni procedono e gli americani a Marrakech tengono fede ai dettami di Obama”. Invece vero niente. Dalla Trump Tower il nuovo Capo chiarisce subito come la pensa: “Sono tutte cazzate”.
La verità si fa strada con grossi calci nel sedere alle ipocrisie di Marrakech. Tuttavia Trump smentisce di aver dichiarato che il climate change è una bufala cinese per danneggiare gli Usa. Il nuovo presidente non vuole irritare i cinesi. E i cinesi che dicono? Liu Zhenmin della delegazione cinese a Marrakesh afferma che “ il supporto degli Strati Uniti, quale maggiore economia, è fondamentale”. Nel caso che gli Usa uscissero davvero dall’accordo però, i cinesi sono sereni:” una soluzione si troverà. Del resto la credibilità degli Stati Uniti potrebbe essere messa in discussione anche su altri fronti” minacciano i cinesi. Ma la Cina è saggia e pragmatica e il Presidente Xi Jinping dopo l’elezione di Trump ha detto che “il governo cinese guarda avanti partendo da un punto di relazione nuovo per dare beneficio ai nostri due popoli.” Il messaggio di fondo è in queste parole. La Cina vuole un punto di partenza nuovo. Con il che il presidente Xi dice esplicitamente che il punto di contatto attuale, con l’amministrazione Obama, non è stato soddisfacente. Sul tavolo c’è l’influenza in Asia. La Cina si considera il guardiano e il dominus del continente, con l’esclusione al momento del Giappone. L’intesa con il presidente Trump che vuole ritirare gli ombrelli militari (e relative spese) dal mondo e guardare più agli interessi economici e di mercato americani, si preannuncia più realistica. A Pechino c’è la convinzione che Trump sia disponibile ad una nuova Yalta, anche se non formale, lasciando la supremazia in Asia proprio alla Cina, che peraltro si è conquistato sul campo quella in Africa. Verrà probabilmente cambiato l’accordo di Bush e della Federal Reserve che prevedeva l’acquisto da parte americana dei prodotti cinesi in cambio derll’acquisto cinese dei Trasury Bond, un accordo che ha garantito lo sviluppo della globalizzazione precedente alla crisi Lehman. Ora Trump vuole ridimensionare il processo di globalizzazione e deve rinegoziare con i cinesi e con la Russia nuovi accordi commerciali che garantiscano la reindustrializzazione e mercati protetti ma non asfittici. Il mondo nel giro di poco tempo potrà essere molto diverso e la farsa che si tiene a Marrakesh rischia di virare a comica finale. Agli Usa serviranno gli idrocarburi, alla Cina che già sono al massimo col carbone, più petrolio, e la Russia già spera in un rialzo dei prezzi del barile e del gas, leccandosi i baffi e menando le mani in Siria in un nuovo ritrovato ruolo di potenza mondiale. Le rinnovabili vanno bene per gli Africani che faranno girare pale eoliche e scaldare pannelli solari con i soldi europei (i soliti buonisti) e qualche elemosina americana e cinese. Ma già la Gran Bretagna, staccata dall’Europa, finanzia tre nuove centrali nucleari, e cinesi e americani si apprestano a cambiare radicalmente i piani energetici ridando spazio a idrocarburi e nucleare. Tanto gli zombie di Marrakesh firmeranno qualche nuovo inutile accordo che non varrà nemmeno la carta su cui è scritto, buono per gli eco-ingenui europei. Al COP22 continuano a parlare, ma non ci credono neanche loro, di ridurre le emissioni riducendo i consumi mentre tutte le potenze mondiali affilano i coltelli per ripartire con più produzione, più idrocarburi e più consumi. E continuano a non parlare ancora di sovrappopolazione, continuano ad ignorare l’evidenza di un mondo che vede ogni giorno, ogni ora, aumentare la popolazione di umani con sempre alti e altissimi tassi di natalità in tanti continenti , sempre più consumatori sempre più migranti economici, che si spostano non dove stanno pannelli solari e mulini a vento, ma supermercati, industrie e prodotti di consumo.

mercoledì 19 ottobre 2016

Uno strano articolo su Nature

Riporto un articolo di Marco Respinti intitolato : "Nature smonta la bufala della sovrappopolazione" apparso su “La Nuova Bussola Quotidiana” (quotidiano on line) a proposito di un articolo su Nature uscito nel dicembre 2015 riguardante il fenomeno sovrappopolazione che, secondo la giornalista scientifica Megan Scudellari, sarebbe una invenzione di alcuni buontemponi e non una verità che sta mettendo a rischio la natura e le specie della Terra.
“In un articolo ospitato su Nature di dicembre, la giornalista scientifica Megan Scudellari bolla disinvoltamente come falsa l’idea secondo cui la popolazione della Terra crescerebbe costantemente in modo esponenziale portando inevitabilmente ‒ come per primo affermò il pastore anglicano ed economista Thomas R. Malthus (1766-1834) nel 1798 ‒ alla carestia e alla miseria. La popolazione mondiale, infatti, non cresce per nulla in modo esponenziale. Non lo ha fatto ieri, non lo fa oggi ed «[…] è improbabile che lo faccia in futuro», dice il demografo della Rockefeller University di New York Joel Cohen intervistato dalla Scudellari. Oggi, per esempio, la popolazione mondiale cresce a un ritmo che è addirittura la metà di quello seguito prima del 1965. Quanto agli attuali 7,2 miliardi di abitanti della Terra da mangiare ce n’è davvero a sufficienza per tutti. A documentarlo è la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, secondo le cui stime la produzione mondiale di cibo è di gran lunga superiore alla crescita demografica. Attualmente, la sola produzione calorica mondiale in cereali è sufficiente a sfamare tra i 10 e i 12 miliardi di persone. La fame nel mondo allora non esiste? Niente affatto: esiste eccome, afferma sempre Cohen. Solo che non è causata né dalla presunta sovrappopolazione mondiale né dalla scarsità generale e generica di cibo, bensì dal fatto statistico che circa il 55% della produzione nutrizionale del pianeta viene impiegata per scopi diversi dall’alimentazione umana (mangimi per bestiame o produzione di carburanti), oppure semplicemente sprecata, o ancora malamente distribuita. Né scarseggia neppure l’acqua, come ha documentato il vice segretario generale delle Nazioni Unite, Jan Eliasson, sulle pagine dello stesso Nature nel gennaio 2015. Il vero problema dell’acqua, infatti, è che in certe regioni molti (si calcola 1,2 miliardi di persone) hanno difficoltà ad accedervi, ma questo per ragioni politiche, militari o economico-sociali di arretratezza tecnologica, motivo per cui l’unico rimedio possibile è l’antropizzazione, lo sviluppo tecnico-scientifico e il libero scambio commerciale che zittisce le armi, non certo il deserto umano, la riduzione delle nascite e il reinselvatichimento del pianeta. La Scudellari cita a questo proposito Nicholas Eberstadt, demografo dell’American Enterprise Institute di Washington: «La sovrappopolazione non è sul serio sovrappopolazione. È piuttosto una questione di povertà»; ma, invece di esaminarne attentamente le cause alla ricerca di soluzioni pratiche, ci si perde in chiacchiere attorno a un problema che non esiste, la chimerica “Bomba P”. La teoria vorrebbe che se a dire per l’ennesima volta che non è vero che sulla Terra siamo troppi, che non è vero che il pianeta non ce la fa più, che non è vero che il cibo è insufficiente a nutrire tutti e che non è vero che l’acqua manca è finalmente un beniamino blasonato del pensiero dominate come Nature il mondo dovrebbe cominciare a prestare orecchio, ma chissà perché abbiamo già la sensazione di sbagliarci” (Da La nuova bussola quotidiana del 07-01-2016).
L’articolo di Nature (e quello di Respinti che lo riprende qualificando la sovrappopolazione come una bufala) è una mistificazione e fa affermazioni di una falsità lampante. Vediamone alcune:
Oggi, per esempio, la popolazione mondiale cresce a un ritmo che è addirittura la metà di quello seguito prima del 1965.” Perfetto, ammettiamo anche –ma non esistono dati certi al riguardo, cioè basati su rilevamenti e censimenti correttamente eseguiti, specie in paesi del secondo e terzo mondo- che su base mondiale il numero medio di figli per donna sia inferiore a quello del 1965. Quello che l’articolo non dice è che la base su cui si applica il tasso medio di natalità nel 1965 non è un “recipiente” di 7,5 miliardi di abitanti, ma uno di 3,2 miliardi (la popolazione mondiale nel 1965).Oggi il tasso di natalità si deve applicare ad una base più vasta, almeno 7 miliardi e mezzo. Ciò significa che se vediamo il dato numerico complessivo oggi ogni anno si aggiungono 100 milioni di individui in più alla popolazione mondiale, mentre nel 1965 se ne aggiungevano 60 milioni, pur dando per vero che il tasso di natalità medio fosse superiore. Dal 1975 la popolazione mondiale è infatti raddoppiata: una vera e propria esplosione demografica di cui non esistono né precedenti né altri esempi comparabili in specie animali. Inoltre l’affermazione di Nature non tiene conto della maggior durata di vita media che contribuisce all’innalzamento complessivo della presenza umana sul pianeta.
Vediamo quest’altra affermazione: “Quanto agli attuali 7,2 miliardi di abitanti della Terra da mangiare ce n’è davvero a sufficienza per tutti. A documentarlo è la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, secondo le cui stime la produzione mondiale di cibo è di gran lunga superiore alla crescita demografica. Attualmente, la sola produzione calorica mondiale in cereali è sufficiente a sfamare tra i 10 e i 12 miliardi di persone”. A parte che vengono riportate come frasi bibliche affermazioni della FAO, una organizzazione screditata e dedita più all'autoconservazione che al bene alimentare delle nazioni, quello che viene sottaciuto è il prezzo che stiamo pagando per avere l’attuale produzione sufficiente a sfamare tutti i sette miliardi e mezzo di abitanti, in termini di inquinamento ambientale e intossicazione della salute di noi tutti abitanti della terra. Infatti per assicurare questa produzione sono necessari, vista la quantità di terre coltivabili rispetto al numero della popolazione, un uso enorme e spropositato di fertilizzanti chimici e di pesticidi che stanno inquinando tutte le terre coltivate, i suoli limitrofi, le acque di fiumi, laghi e mari della terra.Molti effetti sulla salute di questi prodotti chimici e veleni sono sottostimati e in numerose malattie come quelle degenerative , tra cui alzhaimer e parkinson, e molte neoplasie (polmoni, intestino, cie urinarie ecc.) sono implicati i prodotti usati per l'agricoltura intensiva, tra cui fertilizzanti chimici e pesticidi organofosforici altamente tossici e capaci di accumularsi sia nell'ambiente che negli organismi. Inoltre si ricorre sempre di più a prodotti Ogm che assicurano produzioni maggiori. Certamente con tutta probabilità si potrebbe portare la produzione a bastare a 12 miliardi di abitanti, ma lascio immaginare la quantità di chimica e di tossici necessari per aumentare la produttività di terreni agricoli già stressati per sopperire alle esigenze nutrizionali di sette miliardi e passa di umani. Terreni che, tra l’altro, per effetto dell’aumento della pressione demografica (basti pensare all’africa e al sud america), dell’espansione delle megalopoli e delle strutture antropiche connesse, e del riscaldamento atmosferico, stanno diminuendo in estensione anno dopo anno. La vera e propria bufala (in questo caso) è la storia del 55% della produzione agricola destinato alla produzione di carne e ai biocarburanti. Siamo al ridicolo in quanto la produzione dei biocarburanti viene incentivata dagli stessi che dicono che la sovrappopolazione non esiste e che per risolvere il problema energetico bisogna ricorrere alle energie rinnovabili. Quanto alla produzione di carne bisogna spiegare alle popolazioni dei paesi in via di sviluppo che finora abbiamo scherzato e che per loro la carne non si deve più produrre ma devono accontentarsi di cereali e insetti. Quanto al minor impatto delle produzioni cerealicole rispetto agli allevamenti è un mantra che viene ripetuto a memoria ma non esistono studi seri che dimostrino il minor uso di sostanze chimiche o di minori emissioni.
Ecco un’altra chicca dell’articolo: “Il vero problema dell’acqua, infatti, è che in certe regioni molti (si calcola 1,2 miliardi di persone) hanno difficoltà ad accedervi, ma questo per ragioni politiche, militari o economico-sociali di arretratezza tecnologica, motivo per cui l’unico rimedio possibile è l’antropizzazione, lo sviluppo tecnico-scientifico e il libero scambio commerciale che zittisce le armi, non certo il deserto umano, la riduzione delle nascite e il reinselvatichimento del pianeta.” Dunque l’acqua basta per tutti.Addirittura dicono gli "scienziati" il rimedio alla mancanza d'acqua è l'antropizzazione: siamo all'omeopatia ideologica per cui per curare il veleno dell'antropizzazione ci vorrebbe altra antropizzazione! Il riscaldamento atmosferico e lo scioglimento dei poli dovuto all’attività antropica di quei soli 7 miliardi e passa è finto, una invenzione dei catastrofisti, secondo i nostri geni le cui elucubrazioni vengono riportate dalla giornalista su Nature. L’avanzata della desertificazione, la salinizzazione dei terreni, la scomparsa delle foreste, la riduzione delle pioggie sono tutti fenomeni dovuti a guerre e a ragioni politiche o di sfruttamento? Credo invece che queste siano solo affermazioni dettate da ideologia e preconcetti. La mancanza di acqua, secondo studi effettuati dall’Oms, produce già ora molte vittime: otto milioni di persone l'anno muoiono a causa della siccità e delle malattie legate alla mancanza di servizi igienico-sanitari e di acqua potabile e secondo le stime dell'Onu nel 2030 fino a tre miliardi di persone potrebbero rimanere senz'acqua. Anzi non solo la scarsità di acqua non viene dalle guerre, ma è proprio essa stessa la causa di alcune guerre attuali e future. La sovrappopolazione inoltre è alla base di molte guerre e di arretratezze che causano diseguaglianze e ingiustizie.
L’articolo di Nature, che spero non riporti l’opinione ufficiale della prestigiosa rivista scientifica, ma solo la posizione della giornalista e di alcuni ricercatori che seguono più l’ideologia e il politically correct cche la verità scientifica, è dunque una completa bufala che vuole negare l’evidenza di un mondo sempre più invivibile, antropizzato in ogni suo aspetto, con un territorio devastato direttamente dalla presenza antropica in eccesso o dalle strutture necessarie al sostentamento energetico e alimentare e alla produzione per assicurare consumi a un numero spropositato di umani, un numero che al di la di tutte le chiacchiere è aumentato da uno a quasi otto miliardi in poco più di un secolo e che se continuerà così andrà incontro a conseguenze ancora più catastrofiche. Quello che poi queste teste illuminate, che giungono perfino a scrivere insulsaggini su Nature, non vogliono capire è che il pianeta non è un pollaio da allevamento in cui stipare umani in ogni spazio disponibile, ma un ambiente in cui la Natura deve essere preservata per la salvezza stessa di noi umani e in cui l’uomo deve vivere in armonia con tutte le altre specie viventi e non come un padrone assoluto che saccheggia l’ambiente in cui vive.

lunedì 17 ottobre 2016

Inferno: il film

Il film tratto dall'interessante romanzo di Dan Brown e diretto da Ron Howard è deludente ma con qualche aspetto positivo. La delusione viene dalla inconsistenza della storia che dovrebbe appartenere al genere "thriller" ma che risulta ampiamente prevedibile e allo stesso tempo poco credibile. L'aspetto positivo è che finalmente il tema della sovrappopolazione viene portato all'attenzione del vasto pubblico dei film di intrattenimento. Altri film hanno trattato del tema in passato, ma mai con la chiarezza con cui viene esposto in questo film, sebbene (ovviamente) a parlarne esplicitamente è il "cattivo" di turno; il cui discorso è però documentato e veritiero, basato su dati oggettivi, e allude anche al libro di Elisabeth Kolbert sulla "sesta Estinzione", quella provocata dall'esplosione demografica di Homo. Il film banalizza alquanto il romanzo e attribuisce ai cospiratori la volontà di diffondere un virus, una nuova peste, in grado di dimezzare il numero di umani salvando così il pianeta dalla catastrofe ecologica e dall'estinzione di tutte o quasi le altre specie viventi. Il film si avvale di riprese mozzafiato sulle bellezze artistiche di tre tra le più belle città del mondo come Firenze, Venezia e Istanbul e ciò contribuisce a renderne piacevole la visione. Inoltre la trama è inframezzata dai continui riferimenti alla Commedia di Dante e alla illustrazione dell'Inferno dantesco da parte di Botticelli. Il finale è veramente mediocre con i cattivi sconfitti, il virus neutralizzato in una sacca e l'umanità salvata. Il tema della sovrappopolazione, ben descritto all'inizio, non viene più ripreso e il fatto che i cattivi vogliano "eliminare" gran parte della popolazione è mistificante, in quanto non distingue con nettezza il comportamento criminale dei cattivi del film dal tema generale della sovrappopolazione, argomento reale e fondamentale per la salvezza del pianeta. Nel film non vengono menzionati tutti coloro che interessandosi seriamente alla sovrappopolazione, intendono preservare la presenza dell'umanità sulla terra senza ricorrere a virus o ad altri mezzi violenti ma ad una innocua e sana pianificazione delle nascite e ad una progressiva e salvifica riduzione dei tassi di natalità, che possano contribuire ad una maggiore quantità di risorse disponibili, a stili di vita migliori, al benessere, alla riduzione dei consumi, ad una buona alimentazione e ad un miglioramento della salute delle persone oltre che al salvataggio dell'ambiente naturale. Dan Brown e Howard hanno dovuto pagare pedaggio per creare un prodotto da smerciare al grande pubblico, impreparato nella sua grande maggioranza ad affrontare in maniera matura il tema, e legato ad una certa visione distorta che non accenna ancora nella misura dovuta alla responsabilità di porre un freno all'egoismo antropocentrico basato sulla crescita continua. Nonostante questi limiti, il film va visto come documento di una lenta presa di coscienza da parte dei media e in questo caso del mondo della letteratura e del cinema, del problema più grande e drammatico che affligge la Terra: la sovrappopolazione della specie umana e il conseguente rischio del collasso ambientale del pianeta e della scomparsa delle altre specie viventi.

venerdì 30 settembre 2016

Elogio di Theresa May

Theresa May ha capito molte cose. Ha capito che l’occidente è a una svolta, forse definitiva, che l’Europa è la forma che assume il declino irreversibile di una società, una economia e una cultura. La nuova Premier inglese ha capito che il mondo anglosassone può fare qualcosa, non per arrestare la corsa verso la fine, perché ormai è forse troppo tardi e non vi sono le condizioni perché un solo paese possa invertire la tendenza, ma almeno per salvare l’isola inglese per qualche decennio, un isola che vede sempre più legata al Nord America e lontana dall’Europa.
Per ben tredici volte, infatti, l'allora ministra degli Interni e attuale premier britannica si astenne dall'esprimere pubblicamente il suo sostegno a Remain, cioè al fronte schierato per la permanenza della Gran Bretagna nella Ue, capeggiato da Cameron e a cui teoricamente May aveva aderito. Spazientito per il silenzio della sua ministra, alla fine il primo ministro le fece una furiosa telefonata, ordinandole di dichiararsi: ma neanche questo servì a molto, spingendo May a fare soltanto, con riluttanza, una tiepida dichiarazione a favore di Remain, per poi tornare a evitare risolutamente la questione. Tanto che a Downing street si era guadagnata un soprannome: "Submarine May", sottomarino May, per come cercava di rimanere invisibile, sommersa appunto, sull'argomento del referendum; qualcuno la chiamava anche "agente nemico", perché di fatto il suo silenzio contribuiva ad aiutare il fronte avverso, quello per Brexit, ovvero per l'uscita del Regno Unito dall'Europa dei 28.
Troviamo queste rivelazioni in "Unleashing demons: the inside story of the referendum" , un libro in via di pubblicazione in Inghilterra, scritto da Craig Oliver, per cinque anni direttore delle comunicazioni, "spin doctor" e portavoce di Cameron, di cui è stato sino alla fine uno dei più stretti collaboratori. Nel libro, anticipato dal Mail on Sunday, Oliver racconta che Cameron considerò brevemente l'ipotesi di restare al suo posto nonostante la sconfitta di Remain, il fronte per cui si era battuto, ma nel corso di una lunga e concitata notte concluse che sarebbe stato difficile mantenere la sua leadership dopo una sconfitta politica così cocente. Theresa ha poi vinto facilmente le primarie per la successione nel partito conservatore, privo di personalità rilevanti, a parte Boris Johnson, l'ex sindaco di Londra e ora ministro degli Esteri nel governo di Theresa May. Jhonson, dopo un inizio titubante, s’era schierato risolutamente per la Brexit, diventando il leader de facto per la campagna per l'uscita dalla Ue e in pratica l'artefice della vittoria di Brexit. Ma poi il suo partito non l’ha giudicato all’altezza del compito di premier, ed ha prevalso “Submarine May”.
La Signora Theresa May, nuovo primo ministro britannico dopo la Brexit, ha un aspetto dimesso, quasi sotto tono. Ma la sua azione di governo si sta rivelando tra le più incisive ed in grado di cambiare molti aspetti della politica e dell’economia del suo paese. La Signora May ha deciso di ridare alla Gran Bretagna un ruolo che non sia più di contorno ai burocrati della UE, i quali stanno portando l’Europa ad un declino talmente rapido che si può parlare ormai di collasso. Theresa May , dopo il referendum, sta traghettando il paese fuori dalle stagnanti paludi di Bruxelles, a cominciare dall’economia. Prima di tutto è intervenuta a difesa della sterlina e delle finanze della GB la quale non si è mai adattata ai fitti e insignificanti (oltre che inutili) regolamenti della Commissione Europea, che ritiene all’origine della rigidità del sistema economico in Europa basato sulla burocrazia e su regolamenti che obbligano a politiche produttive complicate e costose e a spese assistenziali difficili da coprire. Theresa è decisa ad intervenire per semplificare e ridurre le spese, perché l’economia inglese risente sempre di più del costo spropositato per i contribuenti del sistema di Welfare e ha promesso di rivedere i criteri troppo generosi con cui vengono assegnati i sussidi , causa prima del richiamo di milioni di migranti verso la Gran Bretagna. La presenza di milioni di immigrati non ha solo conseguenze negative sul piano economico. La Premier è sensibile al richiamo ambientalista per quanto riguarda la tutela del territorio e del paesaggio inglese, e la preoccupazione sulle emissioni di CO2 quale causa primaria del riscaldamento della biosfera. Oltre all’economia Theresa ha posto tra le sue priorità la difesa dell’ambiente. Ma piuttosto che inseguire l’ambientalismo mainstream nelle sue contraddizioni e impotenze, ha deciso di passare all’azione secondo la classica cultura pragmatista dei Tories inglesi. La premier è preoccupata in quanto sull’onda dell’aumento demografico degli ultimi anni , l’espansione delle città inglesi e della megalopoli di Londra sta devastando il territorio con la necessità di nuove costruzioni e la conseguente cementificazione massiccia, le infrastrutture stradali di trasporto e logistiche, le industrie e i servizi di supporto necessari per la popolazione in forte aumento. L’Inghilterra non è un grande paese come estensione territoriale, ed il consumo di suolo ha raggiunto velocità che la pongono ai primi posti nel mondo, come denunciano gli stessi ambientalisti inglesi, in contraddizione con se stessi in quanto allo stesso tempo predicano accoglienza e la necessita di assicurare lavoro, case e infrastrutture per la nuova popolazione. Inaspettatamente per la vecchia classe politica, la May ha deciso di contrastare risolutamente l’immigrazione con nuovi limiti legali, con più facili espulsioni, e con la costruzione di un muro a Calais per impedire l’arrivo di clandestini. Theresa non vuole respingere i profughi veri, ma se la prende soprattutto contro i migranti economici, a cui ha dichiarato guerra e promette risoluta inderogabili respingimenti. Ma la premier inglese non si è fermata alla politica finanziaria e a quella sugli immigrati. Con una decisione che ha colto di sorpresa tutti i politici ed in particolare quelli della sicumera democratica e progressista e i seguaci del’ambientalismo mainstream, ha sbloccato la costruzione della grande centrale nucleare di Hinkley Point con i suoi reattori costruiti con la collaborazione della CGN Cinese e della EDF francese. CGN è anche entrato nella proprietà della Centrale partecipando all’investimento. Non solo, la May sta lavorando per dare l’autorizzazione definitiva alla nuova centrale a Bradwell nell'Essex anche essa un progetto sviluppato in collaborazione con la società statale cinese CGN.
La centrale di Hinkley Point era ferma da mesi per l’incertezza del governo di Cameron, più attento agli umori di Bruxelles, degli ambientalisti inglesi e della Merkel. Con i suoi 18 miliardi di sterline di investimento la centrale è il più grande progetto sull’energia in Europa degli ultimi anni. L’impianto è di nuova generazione e risponde a tutti i più rigorosi criteri di sicurezza. Il governo inglese prenderà una quota speciale di possesso della centrale e ha concluso un accordo per cui corrisponderà 92,50 sterline per Megawattora prodotto alla francese DEF che ha contribuito alla costruzione. Accennando a severi controlli del Regno Unito in futuro sugli investimenti esteri, Downing Street ha fatto la seguente dichiarazione: "Ci saranno riforme sull'approccio del governo alla proprietà e al controllo delle infrastrutture critiche per garantire che tutte le implicazioni di proprietà straniera siano esaminate ai fini della sicurezza nazionale ". Per questo il governo inglese entrerà nella proprietà della Centrale e ne seguirà direttamente il funzionamento e la produzione. Jean-Bernard Lévy, CEO EDF, ha detto che la decisione "segna il rilancio del nucleare in Europa" e ha dimostrato "il desiderio del Regno Unito di guidare la lotta ai cambiamenti climatici attraverso lo sviluppo di energia elettrica a bassa emissione di carbonio". EDF assicura che l’impresa, specializzata nella costruzione delle nuove centrali, ha imparato le lezioni dai suoi problemi di costruzione altrove e che il costo di energia elettrica da Hinkley Point è competitivo con le altre forme di energia a basso tenore di carbonio come l'energia eolica, ma con una resa enormemente maggiore e sicura e con livelli costanti e programmabili in base alla richiesta. Tutto questo contribuirà ad ammortizzare l’investimento iniziale e a produrre energia a costi inferiori e con rese più certe e costanti rispetto alle rinnovabili.
Hinkley Point sarebbe il primo nuovo reattore nucleare nel Regno Unito realizzato dal 1995. Altri sono previsti a seguire, con gli investitori giapponesi e sudcoreani in fila per aiutare il governo a soddisfare l’ obiettivo per 14GW di nuova capacità di generazione di energia nucleare entro il 2035, programma che la premier si è affrettata a confermare.
la signora May ha dichiarato che Hinkley Point è fondamentale per mantenere le luci e le produzioni industriali della Gran Bretagna e, allo stesso tempo, ridurre le emissioni di carbonio. Inoltre la nuova produzione energetica nucleare consentirà la chiusura delle vecchie centrali elettriche a carbone e a idrocarburi che rappresentano attualmente più della metà della capacità di generazione esistente del paese, causa di forti immissioni di anidride in atmosfera e di inquinamento di particolato, e di cui è prevista la dismissione graduale nel corso dei prossimi 15 anni. Le reazioni nel Regno Unito per la decisione sono state variabili. I sindacati ed le organizzazioni legate al lavoro sono stati generalmente favorevoli al progetto che, nonostante la forte partecipazione di CGA e EDF, ha promesso il governo che coinvolgerà per il 60 per cento della sua spesa le aziende britanniche. Il gruppo di lobby CBI ha affermato che la decisione avrebbe dato agli investitori una "vera spinta per la loro fiducia nel Regno Unito". Justin Bowden, segretario nazionale per l'energia presso il sindacato GMB, ha detto: "Sarà un grande sollievo per i posti di lavoro di qualità, circa 25.000, che sono stati messi a rischio dalle indecisioni del precedente governo con un ritardo, che ha conportato danni all’economia e alla reputazione della industria UK. Tony Ward, capo dei servizi a EY, la società di consulenza, ha confermato che Hinkley Point "porterà occupazione a lungo termine per una forza lavoro altamente qualificata, stimoli per la catena industriale del Regno Unito, e benefici sociali ed economici positivi per la regione sud-occidentale L'industria siderurgica in crisi nella vicina regione sud del Galles è probabile che sia un altro dei vincitori, con le 230.000 tonnellate di acciaio necessari alla costruzione e al funzionamento della centrale. Il rilancio della lotta alle emissioni di CO2 e la nuova spinta ad un nucleare pulito –anche in termini di ricerca e di ricadute sul progetto della fusione in corso a Cadarache, in Francia- sono altre conseguenze delle scelte della May.
Silenziosamente, secondo il suo stile, ma con scelte nette e dalle conseguenze enormi rispetto alla politica stantia e depressa della UE, Submarine May sta dando una svolta alla politica occidentale le cui conseguenze saranno da valutare nei prossimi anni.

venerdì 23 settembre 2016

La scimmia cieca: il convegno di Milano sui rifugiati ambientali

Il 24 settembre 2016 si tiene a Milano la conferenza sulla nuova figura del "Rifugiato Ambientale". Gli organizzatori della conferenza denunciano che nella legislazione dei paesi europei non esista ancora questa figura, ma solo quella del rifugiato di guerra: una minoranza rispetto ai duecentocinquanta milioni e più di migranti attualmente definiti come "economici" e quindi, in teoria (ma non in pratica) soggetti a respingimento. Nel documento di presentazione della conferenza è interessante osservare il completo silenzio sulla causa vera di queste migrazioni epocali che stanno interessando ormai il mondo intero: la sovrappopolazione della specie umana. Gli organizzatori della conferenza, tra cui spiccano alcune personalità importanti, deputati europei -tra cui l'italiana Spinelli-, funzionari dell'Onu e politicanti italiani, chiedono di ampliare l'accoglienza praticamente a tutti i migranti in quanto se migrano c'è un motivo. "Ma no!" verrebbe di dire. Avendo esaurito i motivi tradizionali (guerra, fame, persecuzioni ecc.) ecco pronto quello che dovrebbe mettere la parola fine a tutti coloro che si oppongono alla accoglienza totale di tutti da tutto il mondo: le modificazioni ambientali. E in particolare specificano le seguenti:"land grabbing, water grabbing, processi di “villaggizzazione” forzata (che negli anni Ottanta causarono la morte di un milione di persone per carestia, in Etiopia), inquinamento ambientale, smaltimento intensivo di rifiuti tossici o radioattivi, scorie radioattive risultanti da bombardamenti." Ovviamente tra gli obiettivi del convegno vi è la denuncia delle politiche di accaparramento di suolo e di risorse attuate da aziende occidentali e multinazionali in accordo con i governi locali. E' universalmente noto che i governanti locali, che ricevono molti soldi per l'attività di queste aziende, invece di destinarli alle popolazioni se li intascano e li depositano nei conti off-shore. Ma questo nel convegno non viene detto.
E' interessante venire a sapere che le decine di migliaia di migranti che ci arrivano sulle coste tutti i giorni scappino dai bombardamenti radioattivi e dai rifiuti tossici. Quanto all'accaparramento di risorse da parte di aziende occidentali può darsi che sia vero, ma limitatamente ad alcune regioni e con numeri limitati, e non credo che il discorso si possa generalizzare ai 250 milioni di migranti in atto o potenziali. Questa è pura demagogia. Ma possibile, e la domanda me la sono ripetuta più volte perché non riesco a crederci, possibile che nessuna delle eccelse menti degli organizzatori non dico affermi -il che sarebbe pretendere troppo- ma solo ipotizzi che queste centinaia di migliaia di migranti che arrivano in Europa ogni anno siano persone che non trovano il sostentamento di cibo e di possibilità di vivere una vita normale nei luoghi in cui sono nati per il semplice motivo che i tassi di natalità degli ultimi anni sono stati troppo alti in un territorio che non aveva le risorse adeguate? E' un ragionamento troppo complesso e difficile, tanto da richiedere una intelligenza superiore, alla Einstein per intenderci, per essere formulato? Perché questa scimmia che noi chiamiamo Homo ha creato questo enorme tabù sulla propria riproduzione eccessiva, tale che non è possibile neanche accennarvi, neanche formularlo come piccola ipotesi subordinata, pena la esclusione perpetua dai congressi e la definitiva damnatio memoriae? Taccio per commiserazione sulle politiche pro-fertilità di alcuni paesi europei tra cui l'Italia (con l' iniziativa dell'ineffabile ministra Lorenzin). Perché questa strana scimmia che sta ricoprendo la terra dei suoi manufatti,di grigio cemento, estendendo gigantesche megalopoli, alterando definitivamente clima e atmosfera, distruggendo foreste, inquinando acque e mari, non comprende che una esplosione demografica da uno a otto miliardi in un secolo è qualcosa di inusitato e tragicamente sbalorditivo e che sta minacciando il pianeta?
Questa esplosione è alla base di quelle migrazioni che vengono attribuite invece all'occidente sfruttatore e alla rapina delle risorse (ma il colonialismo non è finito da settant'anni?). Sono molti gli intellettuali africani che chiedono di finirla con la politica del piangersi addosso e di dare sempre la colpa all'occidente, e di cominciare invece a rimboccarsi le maniche e modificare i propri stili di vita, primo tra tutti smetterla con l'abitudine di fare 12 o 15 figli per donna. I più ciechi di tutti rimangono gli intellettuali ed i politici europei, a partire proprio dagli ambientalisti che, appena sentono parlare di sovrappopolazione, perdono la testa e danno in escandescenze. Il tabù sulla natalità umana non può essere violato. Umano, troppo umano. La scimmia che si sta autodistruggendo è sempre più cieca.
Riporto qui di seguito l'articolo che accompagna il programma del convegno, quale documento di questa ottusità ideologica volta a negare ogni influenza dei tassi di natalità e della sovrappopolazione sui fenomeni migratori. Neanche un accenno al problema che l'Africa è in un boom demografico senza precedenti e sta passando da 900 milioni attuali a due miliardi di abitanti in pochi anni (previsione per il 2050: due miliardi e trecento milioni di abitanti, dati Onu). Nessun accenno agli eccessivi tassi di natalità in India e medio oriente, dove alcune regioni stanno raddoppiando in pochi anni la popolazione. Leggere per credere.
CLIMA, POLITICHE IL SECOLO DEI RIFUGIATI AMBIENTALI? – CONVEGNO A MILANO 16/09/2016
Il secolo dei rifugiati ambientali?
Analisi, proposte, politiche Milano, 24 settembre 2016 Il 24 settembre si terrà a Milano, nella Sala delle conferenze di Palazzo Reale, un convegno internazionale organizzato e promosso da Barbara Spinelli e dal gruppo GUE/NGL del Parlamento europeo, che si propone di riflettere su una figura generalmente trascurata sul piano giuridico: quella del rifugiato per motivi ambientali. Secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), entro il 2050 i profughi ambientali saranno tra 200 e 250 milioni, con una media di 6 milioni di persone costrette ogni anno a lasciare la propria abitazione e spesso il proprio Paese. Lo straordinario aumento di sfollati interni e di profughi è in gran parte dovuto a conflitti scatenati da politiche diffuse e sistematiche di appropriazione di risorse. Dal dopoguerra a oggi, ben 111 conflitti nel mondo avrebbero tra le proprie radici cause ambientali: 79 sono tuttora in corso e, tra questi, 19 sono considerati di massima intensità. Nonostante le misure fin qui prese per contenere i cambiamenti climatici e l’aggressione alle risorse naturali, l’espulsione dal proprio habitat di ampie quote della popolazione mondiale a causa del deterioramento ambientale è considerata inevitabile dalla maggior parte della comunità scientifica, in assenza di provvedimenti più radicali di quelli presenti. Eppure il fenomeno resta di fatto invisibile alle legislazioni e alla politica. Nemmeno la Convenzione di Ginevra e il Protocollo aggiuntivo del 1967 riconoscono lo status giuridico di chi fugge da catastrofi ambientali, specie se originate da azioni e interventi umani sulla natura. Sono rifugiati ambientali quelli che scappano da conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche, come lo sono coloro che fuggono dalla desertificazione e dal collasso delle economie di sussistenza in seguito a crisi dell’ecosistema, dovute a cause naturali o attività umane: land grabbing, water grabbing, processi di “villaggizzazione” forzata (che negli anni Ottanta causarono la morte di un milione di persone per carestia, in Etiopia), inquinamento ambientale, smaltimento intensivo di rifiuti tossici o radioattivi, scorie radioattive risultanti da bombardamenti. Questi flussi si aggiungono a quelli causati da guerre e persecuzioni politiche, religiose o etniche, e talvolta vi si sovrappongono in modo inestricabile. É pretestuoso e miope considerare popolazioni in fuga da condizioni invivibili alla stregua di migranti economici, tuttavia è esattamente ciò che fa la Commissione europea con il cosiddetto “approccio hotspot”, che istituisce due categorie di migranti: i profughi di guerra, ai quali viene riconosciuto il diritto di chiedere protezione internazionale, e i migranti economici, da rimpatriare – con ciò violando il diritto d’asilo. Obiettivi del convegno: Analizzare il concetto di rifugiato ambientale e le sue implicazioni giuridiche. Dare un quadro della situazione ambientale nei Paesi dai quali provengono i profughi. Denunciare le politiche di accaparramento di suolo e di risorse attuate da aziende occidentali e multinazionali in accordo con i governi locali. Individuare strumenti di monitoraggio dell’uso dei fondi europei o nazionali per la cooperazione e lo sviluppo destinati a regimi che non rispettano i diritti umani. Mostrare che la separazione tra profughi di guerra e migranti economici applicata nel cosiddetto “approccio hotspot” rischia di essere è lesiva dell’impianto stesso del diritto d’asilo e che l’attuale politica europea dei rimpatri va rigettata nella sua forma attuale. Promuovere un’azione a livello parlamentare europeo per l’introduzione legislativa della figura del rifugiato (interno ed esterno) costretto alla fuga da una massiccia perdita di habitat. Mostrare che è conveniente, oltre che rispettoso del diritto internazionale, sviluppare al massimo, e modificare, le politiche europee di accoglienza e integrazione di profughi e migranti. Il convegno ha il patrocinio e la partecipazione di:
Università degli studi di Milano, Centro Europeo di eccellenza Jean Monnet, Associazione Costituzione Beni Comuni, Associazione Diritti e frontiere, Associazione Laudato Si’, Gruppo consiliare Milano in Comune, Comune di Milano. Tra i relatori spiccano figure di rilievo scientifico come Roger Zetter e François Gemenne, l’ex ministro del Mali Aminata Traoré, il responsabile Unhcr per l’Europa meridionale Stéphane Jaquemet, le eurodeputate Ana Gomes, Marie-Christine Vergiat, Elly Schlein. (Dal sito web del convegno)

martedì 13 settembre 2016

Fallimento ambientalista

Jacopo Simonetta scrive un interessante articolo sul fallimento del movimento ambientalista (www.crisiswhatcrisis.it) in cui si chiede perché man mano che la situazione ambientale degenera, la quantità di gente preoccupata aumenta, ma il movimento ambientalista è sempre più debole e solo.Perché l'ambientalismo è ovunque in crisi e perde peso politico proprio quando la crisi ambientale precipita? Jacopo si pone la domanda centrale: c'è stato qualcosa di sbagliato alla radice del movimento? "Nel suo insieme l'ambientalismo non ha saputo elaborare e divulgare un paradigma politico alternativo ai due che, all'epoca, si contendevano la scena: il liberalismo e il socialismo." Nessuno tra gli ambientalisti ha saputo elaborare un modello politico nuovo basato su una nuova visione del mondo. Sia il capitalismo che il socialismo perseguono il progresso indefinito della società e il nucleo centrale che li accomuna è l'idea di progresso. Secondo l'autore è proprio l'archetipo del progresso che andrebbe messo in discussione. Ma ciò, aggiunge, avrebbe comportato un attacco alla radice stessa del pensiero moderno alla cui origine troviamo padri del calibro di Bacone, Galileo, Cartesio, Hobbes, Boyle, ecc. Il famoso testo di Donella e Denis Meadows "I Limiti dello sviluppo" individuava nella tecnologia e nello sfruttamento delle risorse il problema principale, ed indicava nel progresso un mito fondante ma distruttivo, e proponeva di fermare la crescita demografica e la crescita economica prima di raggiungere la soglia critica. Fu introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, per conciliare l'idea di buone pratiche di risparmio delle risorse e salvaguardia ambientale con l'idea di manternere comunque un certo grado di sviluppo.Ma l'idea del controllo demografico fu subito invisa anche da una parte dei collaboratori al testo, considerata non corretta politicamente, quasi razzista, e presto messa sotto silenzio. L'ambientalismo si andò sempre più schierando politicamente mentre perdeva l'originalità delle impostazioni di partenza e di incisività sulla realtà economica. Si chiede poi Jacopo se avrebbe potuto andare diversamente. Nel periodo in cui si sviluppò l'ambientalismo Usa e URSS erano impegnati in una corsa per il controllo del pianeta e rallentare la crescita economica era impensabile: avrebbe frenato il progresso tecnologico a svantaggio dei due contendenti. Negli anni 70 si generò un certo dibattito sulla sovrappopolazione, e alcuni paesi come India e Cina cominciarono ad applicare il controllo delle nascite (politiche che poi furono abbandonate o depotenziate). Gli effetti dei progressi in campo medico e le nuove tecnologie per la produzione di cibo avevano creato le condizioni di un boom demografico senza precedenti. Si cominciò a rendersi conto delle conseguenze devastanti di questa esplosione ma si elaborò un nuovo mito: quello della "transizione demografica" che avrebbe risolto da solo il problema. La crescita economica avrebbe comportato, secondo questa visione, una stabilizzazione demografica automatica. Nella corsa tra socialismo e capitalismo, dice Jacopo, quest'ultimo si è rivelato più flessibile, si è appropriato della retorica ambientalista, l'ha anzi sfruttata modificando anche la produzione e indirizzando i consumi, ed alla fine ha vinto sul campo, senza che il degrado ambientale avanzante venisse minimamente rallentato. "L'ambientalismo politico si trovò stretto in un' inpasse che avrebbe potuto essere superata solo con un radicale cambio di paradigma; un salto culturale talmente grande da non essere neppure tentato." Si chiede infine Simonetta se ha ancora un senso fare dell'attivismo ambientalista. Nessuno ormai fa più caso ai ripetuti allarmi su imminenti catastrofi ambientali. Ci si è abituati a tutto. Si parla di riscaldamento ambientale come una moda, senza scandalizzarcene. Tutti parlano di rilancio della crescita in un mondo che sta morendo per le emissioni dovute alla crescita. "Se ci si danno finalità possibili, c'è sempre un senso a fare qualcosa" conclude l'autore cercando una via d'uscita in un vicolo cieco e specificando che comunque date le premesse, le cose dovevano andare per forza così. Possiamo fare poco: prepararci agli eventi futuri ed aumentare le probabilità di sopravvivenza nostre e quelle di parenti e amici (resilienza). Evitare di peggiorare ulteriormente la situazione: questo si può fare. Non basterà a salvare il pianeta ma almeno servirà a qualcosa. Prepararci, infine, al medio evo prossimo venturo, al disastro imminente in cui la natura riprenderà il sopravvento, e confidare nelle doti di resistenza e resilienza della specie umana. Dobbiamo archiviare tutte le nostre conoscenze scientifiche e prepararci ad affrontare la tempesta: i nostri discendenti potranno usufruire di quello che avevamo scoperto. Dobbiamo creare i presupposti perché dei paradigmi realmente alternativi possano nascere, o rinascere, magari tra qualche secolo.
Come commento all'articolo di Jacopo posso dire che sono in gran parte d'accordo sulla sua analisi, ma trovo che sia troppo clemente con il movimento. Gli esiti di esso sono visti da Simonetta come inevitabili e già destinati al fallimento fin dall'inizio. C'era da dare una diversa impostazione, dice Jacopo, in particolare insistere per un controllo della esplosione demografica su cui il movimento non ha mai veramente voluto impegnarsi. I motivi di questa sottovalutazione, dice l'autore, si possono capire: l'argomento era scabroso, la politica era impreparata, il discorso era troppo estraneo al periodo in cui i progressi scientifici erano esaltati e l'uomo era ed è considerato il padrone del mondo. Il movimento si è affidato invece alla politica, in particolare all'illusione che una prassi anti capitalista bastasse ad assicurare la salvezza ambientale.Il discorso ambientalista è divenuto così un accessorio del movimentismo di sinistra, proprio quando i movimenti marxisti e socialisti perdevano l'aspetto di rivolta contro la civiltà industriale di mercato e acquisivano sempre di più una colorazione terzomondista sul filo di una antropocentrismo basato sui diritti assoluti della specie Homo. Se c'era da salvare qualche specie animale o un ambiente naturale senza intaccare lo strapotere dell'uomo sulla natura ciò era condiviso dagli ambientalisti. Ma se quella salvezza di specie o di paesaggio comportava un costo per il padrone del Cosmo, ad esempio un limite alla natalità umana o al benessere (inteso come consumi), o al diritto di scegliere i luoghi dove vivere e spostarsi, allora il discorso veniva chiuso con una condanna morale. L'ambientalismo politically correct non ha voluto mai mettere in discussione i diritti assoluti dell'uomo, anzi ha considerato la tutela ambientale e delle altre specie non un valore in sé, ma un valore relativo agli interessi di Homo. Questa è la colpa principale. In presenza di una esplosione della popolazione umana e quindi di una moltiplicazione esponenziale delle necessità di consumi e di strumenti e strutture per la sopravvivenza di nuovi miliardi di umani generatisi in pochi decenni, il ruolo di una salvaguardia ambientale così riduttivamente intesa non poteva che naufragare e ridursi al giardinaggio o poco più. La politica ambientalista è così divenuta una politica dei no. No a nuove costruzioni, no a infrastrutture, no a nuovi consumi, no alle energie da idrocarburi, no a quelle nucleari, no a nuove tecnologie, no no no. E questi no erano e sono in contraddizione e conflitto con i nuovi bisogni determinati dal contemporaneo aumento della densità demografica e delle richieste da parte di una popolazione in continua crescita. Si espandono le megalopoli anche a causa delle politiche umanitarie degli ambientalisti e al tempo stesso si proclama da parte dei movimenti la necessità di fermare il cemento e salvare i terreni agricoli. Queste contraddizioni sono talmente evidenti, che anche ai più ben disposti verso l'ambientalismo, cadono le braccia. Un pretendere di fermare lo sviluppo e una contemporanea richiesta di più servizi per le masse umane in espansione incontrollata,una miscela contraddittoria ed esplosiva di cui le prime vittime politiche sono state i movimenti ambientalisti. I quali non ebbero e non hanno, anche oggi che la situazione è in rapido deterioramento, il coraggio di una scelta radicale. La prima necessità per salvare il pianeta è quella che indicarono i fondatori dell'ambientalismo: la riduzione della natalità umana per un riequilibrio tra natura e specie, tra varietà biologica e civiltà umana.

venerdì 2 settembre 2016

Fertility Day

Con un intervento di straordinaria intelligenza la ministra della sanità Lorenzin ha spiegato che in Italia non si fanno più figli e che questo è il primo problema del paese. Per invertire la tendenza ha trovato una soluzione: dei cartelloni pubblicitari in cui una donna sollecita le mamme potenziali a sbrigarsi e, con una mano sulla pancia orfana di embrioni e feti e con una clessidra nell'altra, invita le donne italiane a "daje giù". In effetti sembra più la pubblicità di un lassativo che un invito alla natalità. Perfino Renzi si è dissociato, spiegando che non ne sapeva nulla. Ora, che il paese con una delle più alte densità demografiche al mondo, in cui la cementificazione e la antropizzazione sfrenata del territorio hanno fatto più danni devastando coste e pianure, laghi e fiumi, montagne e ambienti naturali, paesaggi e patrimonio storico, abbia il suo problema principale nella desertificazione e la prima necessità consista nell'aumentare ancora di più la densità demografica e l'antropizzazione, è affermazione inqualificabile. Tra l'altro, mentre la Ministra è preoccupatissima dello spopolamento del paese, proprio nelle stesse ore, stanno arrivando decine di barconi stracarichi di cosidetti migranti, 15.000 in tre giorni, che grazie all'avvedutezza dei paesi confinanti i quali non fanno più passare nessuno, rimarranno in gran parte in Italia. Quest'anno tra arrivi via mare, aria e terra si prevedono dai 400.000 ai 500.000 nuovi migranti sul nostro territorio. Come spopolamento niente male. Non si preoccupi poi la ministra che con l'esplosione demografica in atto in Africa (sono previsti due miliardi di abitanti nel 2050)non mancheranno gli abitanti per la nostra deserta Italia. Se la popolazione censita in Italia è di 61 milioni, nella realtà ci sono alcuni milioni in più non censiti. Ma la Ministra è ansiosa. In un paese cementificato e avvelenato dai rifiuti e dalle esalazioni dei troppi umani che lo affollano, la ministra è fortemente preoccupata dal calo delle nascite. Pensa con qualche cartellone di invertire la tendenza delle donne italiane e di spingerle a fare altri figli. Ma forse è meglio così. Meglio che questi ministri si occupino dei cartelloni e non di cose pratiche. I danni sono più limitati.

domenica 28 agosto 2016

Dalla tragedia un'opportunità

Possibile che un terremoto del sesto grado della scala Richter abbia provocato tanto disastro? E come mai questo avviene solo in Italia? In Giappone e in Cile terremoti ben più forti (grado 9 o 10) provocano molte meno vittime. Possibile che fino ad oggi non si sia pensato ad un piano nazionale di messa in sicurezza degli edifici almeno nelle zone ad alto rischio? Bisogna approfittare di questa opportunità che nasce dalle necessità create dalla tragedia del terremoto di questi giorni nell'Italia centrale per cambiare prospettiva a tutta la politica urbanistica. Fermare le nuove costruzioni su suolo verde, indirizzare tutte le risorse sulla riqualificazione dell'esistente con una vasta opera di messa in sicurezza di borghi e centri storici in zone esposte a terremoti, smottamenti, rischi ambientali. Liberazione degli alvei dei fiumi, ricostruzioni in territorio sicuro e certificato dove non si può fare altro. Un piano nazionale di questo tipo assicurerebbe investimenti, lavoro, ripresa economica, tutela ambientale e sicurezza per le popolazioni. L'elemento più importante rimane lo stop a nuova occupazione di suolo da parte del cemento, il che consente una difesa dei territori dalla speculazione di scarsa qualità architettonica, la tutela del paesaggio e la salvaguardia ambientale. Allo stesso tempo ciò permetterebbe di reindirizzare le risorse pubbliche e private sul recupero architettonico e strutturale ove possibile per le costruzioni antiche o di pregio, e sulla demolizione e ricostruzione nel caso della edilizia spazzatura che ha interessato il paese dagli anni del dopoguerra ad oggi. Una architettura finalizzata ad una nuova idea dell'abitare, ecologicamente compatibile, e ad una visione urbanistica non più centrata sullo sviluppo, cioè sul continuo incessante consumo di suolo, ma sulla conservazione del suolo verde ancora rimasto e un rilancio dell'agricoltura verso una sostenibilità economica e ambientale. Ne deriverebbe un impulso al turismo e alla conservazione architettonica e paesaggistica in un territorio, come quello italiano, di alto valore storico e artistico, quando non degradato dalla cementificazione speculativa. Dalla tragedia del terremoto può così nascere qualcosa di buono per questo paese.

sabato 30 luglio 2016

La triste fine del laicismo illuminista

Quanto è durato il movimento illuminista? Circa tre secoli. al sorgere del XXI secolo il crollo delle torri gemelle ha suggellato ciò che era già finito nei campi di battaglia europei della prima e della seconda guerra mondiale. Il grande principio illuminista secondo cui la ragione è il solo criterio di legittimità di qualsiasi istituzione umana finisce con l'esaurirsi dei valori liberali e con il prevalere di nuovi oscurantismi. Il pensiero che era nato con gli empiristi inglesi, con Descartes, John Locke, Hume, Montesquieu, Rousseau e Voltaire e che vedeva nella scienza e nella ragione i mezzi per liberare l'umanità dalla superstizione e da ogni sudditanza, finisce sotto i nostri occhi sbalorditi dai cambiamenti rapidi che annunciano la fine di quel mondo di speranze e di progresso. La grande energia sociale e di pensiero che aveva accompagnato la rivoluzione Americana e Francese, la democrazia Inglese e poi le speranze del socialismo, non hanno eredi.Gli intellettuali balbettano di accoglienza e tolleranza ma parlano isolati in un disinteresse diffuso. Non sanno proporre nulla se non che tutto è uguale, e che una cultura vale l'altra. Per ritrovare qualche entusiasmo ai giovani non resta che il calcio e i centri commerciali: non credono più a nulla e sono occupati a cercare un lavoro per la sopravvivenza. Quello che ereditiamo è un mondo devastato dalla follia umana, un consumismo sfrenato fine a se stesso, una trasformazione dell'ambiente in cui la natura viene sistematicamente distrutta e il suolo cementificato, l'aria e le acque inquinate irreparabilmente, il clima stravolto, le specie diverse da Homo annientate giorno per giorno. In questo scenario che fine ha fatto la ragione? Secondo gli illuministi essa doveva guidare un processo di globalizzazione che avrebbe dovuto affermare i nuovi valori della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà tra gli uomini. In nome della ragione si era preteso da parte dei rivoluzionari l'abbandono della storia, della tradizione, del costume, dell'appartenenza e dell'esperienza dei singoli popoli. Si auspicava l'uomo nuovo libero dalle credenze del passato e aperto alle nuove scoperte e alla fratellanza universale. Gli esiti di questo pensiero sono stati invece tutt'altro. Una politica di predominio delle singole nazioni, comprese le conquiste coloniali, poi la guerra civile europea e infine uno scatenato consumismo privo di valori morali che ha condotto alla catastrofe ecologica. Nello stesso tempo l'uomo è divenuto, da creatura di dio, una creatura della scienza che lo ha illuso di poter accrescere la sua potenza sul mondo in modo illimitato. La scienza in grado ancora di dare spiegazioni sul mondo fisico, ha però smesso di dare risposte sul futuro dell'uomo. Il pensiero illuminista, come elaborato da Kant e da Hegel e poi da Marx nella versione tedesca, o dai pragmatisti americani nella versione anglosassone, ha rivelato una intrinseca debolezza: è il pensiero che ha accompagnato il declino europeo e poi la fine del sogno americano. Le democrazie basate sul laicismo si sono rivelate deboli, incapaci di motivare i giovani, di dare visioni e speranze di un mondo nuovo per cui lottare e affermarsi. Lo spirito illuminista, annientate le tradizioni e le superstizioni, non ha trovato altro sbocco che l'economicismo freddo dei burocrati europei o l'isolazionismo degli Stati Uniti, impaurito dalle proprie stesse responsabilità.
Nel frattempo il principio di ragione si è andato isterilendo verso uno scientismo che tende soltanto ad implementare la propria potenza, senza un fine condiviso che non sia quello di aumentare se stesso, di produrre sempre di più merci e tecnologia. Di questa aumentata produzione fa parte, per paradosso, l'uomo stesso la cui esplosione numerica è parte essenziale di questo processo di svalorizzazione e di mero aumento della produzione e dello smercio. L'esplosione demografica è il fondamento di questa trasformazione finale del mondo moderno avviato ad una combustione rapida, anche nel senso letterale di bruciare in pochi decenni le risorse ambientali ed energetiche residue.
Il laicismo ha subito, in seguito allo sviluppo dello scientismo e delle visioni logico-matematiche in cui si è andato trasformando, un lento processo di depotenziamento. Il dubbio metodico cartesiano, fondamentale per il progresso scientifico, si è rivelato un tarlo nichilistico per quanto riguarda la costruzione di una politica globale occidentale. Ai vecchi valori cristiani, è subentrato un laicismo privo di forza che una volta secolarizzata una parte della società - esaurita la spinta rivoluzionaria- ha dato origine ad una neutralità e una parificazione in cui ogni cultura etnica e ogni visione religiosa viene equiparata e resa equivalente ad ogni altra, senza scala di valori e senza giudizi di validità. La grande superiorità della visione laica della vita e del principio di ragione predicata dai rivoluzionari del 1789 finisce così in uno sterile burocratismo che registra le differenze solo per parificarle nella neutralità generale. Si è creato un pensiero debole, registrato anche a livello filosofico senza infingimenti con lo stesso termine, un pensiero che non genera entusiasmi, che rende apatici i giovani, che riduce tutto a consumo, che predica una metafisica dei diritti in quanto non ha altra metafisica da proporre se non quella di valorizzare al massimo il soggetto. Il soggetto nella forma di un individualismo egocentrico rimane l'unico valore nel deserto metafisico occidentale. Non esiste più tradizione, popolo, appartenenza, storia, nazione, cultura locale; ma esiste un solo unico soggetto universale (l'individuo metafisico) sradicato da ogni appartenenza ad un suolo specifico, cittadino planetario, depositario solo di diritti e privo di doveri. Se si eccettua forse l'unico dovere pro-posto-imposto che è quello di consumare. Al contempo si assiste, sull'onda dell'esplosione demografica presso culture che, nell'ottica illuminista di un tempo erano arretrate e oscurantiste, ad una rinascita vigorosa delle culture basate sulla religione, sull'uso utilitaristico e fittizio della ragione, sul rifiuto del liberalismo e della democrazia liberale in favore di regimi autoritari spesso fondati su familismi o tribalismi o su fazioni religiose. Il laicismo dei paesi occidentali, d'altra parte, è rimasto se pur depotenziato nelle istituzioni e nelle teste degli intellettuali, mentre sul territorio , anche per i cambiamenti apportati dall'epocale processo immigratorio, rinascono le fazioni, le appartenenze etniche, le culture conflittuali, le tradizioni che persa ogni appartenenza per lo sradicamento dai luoghi di origine, si estremizzano, danno luogo a violenze in nome di oscurantismi e -nella vecchia ottica illuminista- di superstizioni stupide.
Di fronte a queste nuove forze che desautorano la ragione e impongono visioni irrazionali e religiose o pseudo-religiose, il laicismo perde continuamente di presa sulle coscienze. Tutti i giovani immigrati o figli di immigrati si sentono profondamente estranei ad una cultura laica liberale. Senza alcun dubbio sono attratti dalle visioni totalizzanti offerte dalla religione, assai più forti delle visioni laiche proposte con debolezza dai governi occidentali. Anche a livello politico internazionale manca una risposta laica. L'Europa ormai subisce le guerre ai propri confini senza reagire, senza poter imporre nulla. Come magnificamente previsto da Huntington nel suo libro sullo "Scontro delle Civiltà" l'illusione sulla forza delle democrazie si sta esaurendo nella constatazione allibita della loro fragilità e incapacità di guidare i processi politici internazionali. Trecento anni dopo, l'era dell'Illuminismo si sta esaurendo nello spavento di coloro che ancora credono nell'occidente. Un Tir lanciato contro una folla di passanti sul lungomare di Nizza è l'emblema di un'epoca. Ma cantare la Marsigliese servirà veramente a poco. Anzi a niente.

domenica 17 luglio 2016

L'inutile polemica sugli OGM

(Pistola per inserire geni nelle cellule vegetali)
Roger Scruton nel suo libro intervista sul "Suicidio dell'Occidente" dice a proposito degli Ogm: "Io sono un Ogm, e per questo ne sono a favore, a patto che siano attentamente costruiti per generazioni, proprio come me". Nel 1962 il libro "Primavera silenziosa" di Rachel Carson denunciava che i pesticidi stavano avvelenando l'ambiente, i suoli e le acque e contaminando il cibo. Un rappresentante della grande industria americana dei pesticidi dichiarò che se avessimo dato retta alla Carson saremmo tornati al medioevo e "insetti, malattie e parassiti tornerebbero signori del pianeta". Negli anni sessanta e settanta non si poteva fare a meno di constatare la completa dipendenza dei coltivatori dai pesticidi chimici sia in America che nel resto del mondo. Gli scienziati dell' U.S. Department of Agricolture suggerivano di mettere in campo i nemici naturali degli insetti e dei parassiti: ad esempio il virus della poliedrosi, avrebbe potuto neutralizzare la larva del lepidottero Heliothis Armigera nota come verme del cotone americano. Ma queste strategie di lotta biologica, applicate anche ad altri insetti e parassiti per le piante e la frutta si rivelarono costose e impraticabili su vasta scala essendo le rese limitate. Nel frattempo la continua rapida crescita della popolazione mondiale, insieme alla continua riduzione dei suoli fertili messi a produzione agricola, determinavano una fortissima richiesta di fertilizzanti chimici e di antiparassitari e insetticidi. A questo punto la Monsanto sulla scia degli studi portati avanti negli anni 70 da Mary-Dell Chilton a Seattle Marc Van Montagu e Jeff Schell in Belgio, si mise a studiare come introdurre tratti di DNA nella sequenza genica della pianta che potesse renderla resistente sia agli insetti che ai parassiti. Fu dapprima utilizzato un batterio (Agrobacterium) che attraverso una sonda biologica inseriva materiale genetico nella pianta. Negli anni ottanta John Sanford della Cornell University mise a punto una pistola genica che letteralmente sparava il materiale genetico all'interno delle cellule. Per inserire il DNA prescelto, questo veniva fissato a una minuscola particella di oro o tungsteno,e in questa forma era pronto per entrare nelle cellule di mais, frumento o riso. Nel 1987 Sanford illustrò la sua pistola botanica sulle pagine di Nature. La Pioneer gigante americano produttore di sementi ibride di mais (l'ibridazione serve a renderle non utilizzabili dagli agricoltori per la semina dell'anno successivo, costringendoli così a tornare dal produttore di sementi)è stato uno dei primi a ricorrere alle biotecnologie del DNA. In fondo l'uomo ha sempre utilizzato la modificazione genetica. Molti progenitori selvatici delle attuali piante coltivate, ad esempio, erano difficili da coltivare e di bassa resa. Fu quindi necessario modificarle e i primi agricoltori capirono che le modificazioni dovevano essere prodotte internamente all'organismo (dovevano cioè essere genetiche, diremmo oggi). Ricorsero allora alla selezione artificiale, grazie alla quale gli agricoltori e allevatori facevano riprodurre solo gli esemplari che avevano i tratti desiderati. Oggi le manipolazioni GM accelerano questi procedimenti. Per il difficile problema delle erbe infestanti la Monsanto ha messo a punto una tecnologia innovativa: la Roundup Ready. Roundup è un erbicida ad ampio spettro che può uccidere praticamente qualsiasi pianta; tuttavia grazie alla ingegneria genetica, i tecnici della Monsanto hanno prodotto piante Roundup Ready nelle quali è stata incorporata la resistenza all'erbicida, e che quindi prosperano mentre le erbacce intorno sono distrutte. Naturalmente, il fatto che gli agricoltori che acquistano i semi GM della Monsanto comprino anche l'erbicida prodotto dalla stessa azienda non fa che favorire gli interessi commerciali di qest'ultima. I vari tipi di erbacce richiedevano in passato prodotti chimici diversi per ciascun tipo. L'uso di un unico prodotto si traduce in una effettiva riduzione della concentrazione di inquinanti chimici nell'ambiente; quanto allo stesso Roundup, esso viene rappidamente degradato nel suolo( o almeno così viene affermato dai produttori). I pesticidi sono tra le sostanze più inquinanti del pianeta. Il DDT fu bandito nel 1972 ma la tossicità ambientale è ancora presente con effetti devastanti. Gli organofosforici, sebbene degradino più rapidamente, sono ancora più tossici: il gas nervino utilizzato nell'attacco terrorista ala metropolitana di Tokyo nel 1995, noto come sarin, è un membro della famiglia dei pesticidi organofosforici. Anche il ricorso a sostanze pesticide naturali o derivate da esse come la piretrina (sintetizzata artificialmente dalla metà degli anni sessanta copiando prodotti naturali, ha dimostrato la pericolosità di queste sostanze che sono fortemente sospettate di essre all'origine del Parkinson o sindromi affini nei mammiferi. Un effetto collaterale dell'uso delle piretrine è che molti insetti hanno sviluppato resistenza nei loro confronti. L'agricoltura biologica utilizza già da tempo una tossina prodotta da un batterio - Bacillus thuringiensis (Bt)- che attacca l'intestino degli insetti uccidendoli. Gli ingegneri del DNA ricombinante hanno pensato che anziché disperdere enormi quantità del bacillo sulle piante coltivate, convenisse inserire il gene codificante la tossina Bt nel genoma di queste ultime. Gli agricoltori non avrebbero avuto così più bisogno di irrorare i campi, perché ogni boccone del vegetale manipolato sarebbe letale per l'insetto, e innocuo per noi perché la tossina è disattivata dall'ambiente acido gastrico. Oggi abbiamo un'ampia gamma di piante produttrici di Bt - mais Bt, patate Bt, cotone Bt e soia Bt- e il risultato complessivo è stata una drastica riduzione nell'uso dei pesticidi. Nel 1995, in media, i coltivatori di cotone nella regione del delta del Mississippi irroravano i campi 4,5 volte per stagione. Solo un anno dopo, non appena il cotone Bt si diffuse, quella media in tutte le piantagioni (comprese quelle in cui si coltivava cotone non Bt) scese a 2,5.Si stima che in Cina, nel 1999, l'impiego di cotone Bt abbia ridotto l'uso di pesticidi di milletrecento tonnellate. Le biotecnologie hanno reso più forti molte piante coltivate anche rispetto ai virus. Roger Beachy della Washington University provò a inserire nelle piante il gene che codifica l'involucro proteico di virus che le colpiscono per verificare se le piante divenissero immuni. Il trucco funzionò. In seguito gli scienziati della Monsanto per combattere una comune malattia virale che colpisce la patata,ricorsero a questa tecnica favorendo la produzione e abbassando i prezzi. La Mc Donald e altri giganti del fast food rifiutarono di utilizzarle temendo forme di boicottaggio, per cui oggiutilizzano patatine fritte con costi più elevati del mercato. Alcuni prodotti dell'agricoltura GM oltre alla resistenza alle malattie hanno maggiori costituenti nutritivi, come il riso giallo ricco di vitamina A che assicura una maggiore protezione alle popolazioni che se ne cibano, scongiurando malattie e invalidità (come la cecità da carenza di carotenoidi, che interessa circa 500.000 persone ogni anno nei paesi poveri). Gli ambientalisti si sono sempre rifiutati di accettare le manipolazioni genetiche delle piante usate in agricoltura. Le loro posizioni al riguardo non hanno nessuna logica razionale ma sono dettate unicamente da motivazioni irrazionali e pregiudizi ideologici. La necessità di sfamare sette miliardi e mezzo di persone impone -obtorto collo- l'uso di pesticidi o in alternativa di organismi GM in agricoltura. La lotta biologica alle malattie delle piante ha forti limiti di produzione e di costi e ovunque nel mondo si è dimostrata inefficace nell'assicurare produzioni sufficienti a soddisfare la richiesta di cibo a prezzi accessibili. I prodotti da agricoltura biologica sono prodotti di nicchia con costi proibitivi per la grande massa di consumatori. La sovrappopolazione impone oggi il ricorso agli OGM se vogliamo sfamare il mondo senza le carestie e i milioni di morti per fame del passato. Nonostante questo sia a tutti evidente, gli ambientalisti si rifiutano di lottare contro la sovrappopolazione, si disinteressano ampiamente delle politiche di controllo demografico da portare avanti specialmente nei paesi poveri con agricoltura arretrata. Nello stesso tempo combattono ferocemente gli OGM e pretendono di proibire il ricorso ai pesticidi. Se fossero seguite le politiche da loro proposte non si vede come si potrebbe assicurare alla popolazione mondiale in rapida crescita una quantità di cibo e prodotti agricoli adeguata. Anche i fenomeni migratori sono influenzati da queste politiche cieche e irrazionali, infatti alti tassi di natalità in paesi che non hanno produzioni sufficienti di derrate agricole determinano la necessità per milioni di persone di spostarsi verso terre più ricche e produttive. Gli ambientalisti mainstream si rifiutano di vedere quello che è davanti agli occhi di tutti: l'uso degli OGM non è una discussione teorica in cui discettare di politica, ma una necessità imposta ai governanti e alle popolazioni dalla abnorme esplosione demografica degli ultimi decenni che ha portato a raddoppiare la popolazione mondiale nello spazio temporale di una generazione. L'alternativa all'uso degli OGM se non vogliamo far morire di fame decine di milioni di persone, è un uso massiccio e devastante per la salute umana e delle specie animali di migliaia di tonnellate di pesticidi ogni anno in agricoltura. Tutto il resto sono chiacchiere "ambientaliste" del politicamente corretto che hanno poco a che vedere con la realtà che sta vivendo il pianeta. Ci aspettiamo almeno dai cosiddetti "verdi" (più ideologi dell'anticapitalismo romantico che realmente interessati all'ambiente) una conversione alle politiche di controllo della natalità, le uniche che nel giro di alcuni decenni potrebbero portare ad un minor uso di OGM e pesticidi in agricoltura.