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lunedì 29 ottobre 2012

1960-2012: I CINQUANT'ANNI DEL SACCO D'ITALIA




In cinquant’anni è scomparsa una cultura, un paesaggio, un’idea, persino l’immagine interiore del bel paese, lasciando un ricordo amaro e struggente in chi visse quel cambiamento drammatico. In cinquant’anni è scomparsa l’Italia rurale, l’Italia di piccoli paesi, delle cittadine, delle campagne, delle piccole comunità, dei dialetti, dei mille campanili. Il paese è stato stravolto sia nell’antropologia che nel paesaggio. Si è persa la varietà delle popolazioni e dei dialetti (segno di appartenenza e tradizione legata ai luoghi), si è persa un'Italia fondata sull'agricoltura e la campagna. Al verde paesaggio, ricco di prodotti e tradizioni secolari, si è sostituita una uniforme distesa di case, palazzi, capannoni, tralicci, strade. Le residue campagne sono per lo più abbandonate, stanno lì quasi per caso in attesa di una prossima colata di cemento e asfalto. Le città, un tempo piccole e diverse una dall’altra, ciascuna con le sue peculiarità, ognuna raccolta intorno ad un centro religioso o al palazzo del potere, costruite nei secoli con pietra locale, sono divenute uniformi e grigie di cemento, estese alle campagne intorno in una edificazione piatta, spaventosamente brutta, di pessima qualità, omologata nello squallore. La gente è cambiata, economicamente in meglio (almeno fino a poco tempo fa) , ma appiattita su una vita monotona, in una cultura del consumo fine a se stessa. Ricordo la straordinaria descrizione di questo cambiamento antropologico, sociale e ambientale fatta da Pasolini nel testo famoso delle lucciole.

"Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.
Prima della scomparsa delle lucciole. La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta…La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i “valori” che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la patria, la famiglia, l’obbedienza, la disciplina, l’ordine, il risparmio, la moralità. Tali “valori” (come del resto durante il fascismo) erano “anche reali”: appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l’Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a “valori” nazionali non potevano che perdere  ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato…
Durante la scomparsa delle lucciole…sia il grande paese che si stava formando dentro il paese- sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che “le lucciole stavano scomparendo”. Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia ( che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell’analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l’immediato futuro: né identificare quello che allora si chiamava “benessere” con lo “sviluppo” che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il “genocidio” di cui nel Manifesto parlava Marx.
Dopo la scomparsa delle lucciole. I "valori”, nazionalizzati e quindi falsificati, del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi. A sostituirli sono i “valori” di un nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra” rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale… In Italia sta succedendo qualcosa di simile a quello avvenuto in Germania al tempo di Weimar: e con ancora maggiore violenza, poiché l’industrializzazione degli anni Settanta costituisce una “mutazione” decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant’anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a “tempi nuovi”, ma a una nuova epoca della storia umana: di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono divenuti in pochi anni (specie nel Centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo…Ho visto dunque con i miei sensi il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino ad una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere “totalitario” iterava e reiterava  le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I “modelli” fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima.Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri…in realtà essi sono appunto delle maschere…La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c’è un drammatico vuoto di potere. Come siamo giunti a questo vuoto? O meglio, “come ci sono giunti gli uomini di potere”? La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla “fase delle lucciole” alla “fase  della scomparsa delle lucciole” senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta: non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una “normale” evoluzione, ma stava cambiando radicalmente natura.
Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale; che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di  vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica  per la famiglia,  costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva ad essa cambiamenti radicali, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante). Gli uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo. Non si sono accorti che esso era “altro”: incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà…Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient’altro che il luttuoso doppiopetto.
Tuttavia nella storia il “vuoto” non può sussistere…E’ probabile che il vuoto stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l’intera nazione. Quasi che si trattasse soltanto di “sostituire” il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trent’anni, portando l’Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico. In realtà la falsa sostituzione di queste “teste di legno” con altre “teste di legno” (non meno, anzi più funereamente carnevalesche) non servirebbe a niente. Il potere reale che da una decina di anni le “teste di legno” hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver riempito  il “vuoto”. Di tale “potere reale” noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali “forme” esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che lo hanno preso per una semplice “modernizzazione” di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola."
(Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari (1970), Mondadori I Meridiani pag 404 e seg.).

La lucidità e l’acume visionario di Pasolini è sorprendente: riesce a cogliere magistralmente il cambiamento culturale e antropologico del popolo italiano, a percepire la crisi irreversibile della politica e della rappresentanza, della democrazia stessa in Italia più che in altri paesi europei, forse anticipando una tendenza generale in occidente  che oggi sta evidenziandosi sempre più con l’espropriazione della politica tradizionale a vantaggio di nuovi poteri sovranazionali di tipo finanziario e tecnocratico. Ma in Italia il processo è più doloroso e distruttivo per la mancanza di classi dirigenti e forme istituzionali di governo adeguate. Lo scempio del territorio, preda di mafie e speculatori,  ne è una tragica conseguenza. Un popolo si riflette nel paesaggio che abita e quel paesaggio è lo spirito di quel popolo. La spoliazione brutale del territorio durante gli anni che vanno dal dopoguerra   alla fine del secolo e proseguono fino ad oggi, l’inquinamento generalizzato dell’ambiente, l’esplosione demografica degli anni 50-70, il fenomeno immigratorio successivo senza regole e caotico, l’illegalità diffusa, la speculazione, le sanatorie a raffica, l’impunità dei potenti e degli arroganti, la depredazione del pubblico, la corruzione del privato, tutto ha concorso ad un degrado e una devastazione di un paese che ha pochi precedenti e nessun eguale al mondo. Riferendosi a Roma, Antonio Cederna così descriveva, già alla metà degli anni Cinquanta, il processo di degrado in atto (e poi proseguito per decenni fino ad oggi) in luoghi storici e di grande bellezza ambientale, che avrebbero dovuto essere protetti e tenuti in ben altro modo in un paese con un minimo di civiltà:

La distruzione d’italia è il riflesso di tutti i mali che affliggono il nostro paese. Rovina chiama rovina, fino a che le rovine particolari e disperse si saldano in una rovina generale e continua: a parte i casi più clamorosi, è in atto lo smantellamento metodico, la degradazione costante, a corrosione lenta e minuta del patrimonio artistico e naturale delle nostre città. Valga per tutti il caso della via Appia Antica, di cui pochi ancora hanno capito l’esemplare gravità. Ogni nuova villa tra i ruderi, nata dal gusto cafonesco degli arricchiti e dalla colpevole incompetenza delle autorità, ha man mano legittimato l’invasione edilizia di tutta la campagna: le case si addensano in quartieri, in sudice o sfarzose borgate:vengono tracciate nuove strade, allargate le esistenti, ogni proprietà viene cintata e chiusa; l’Appia da regina della campagna diventa un meschino corridoio murato. I monumenti vengono sgretolati, limati, sfregiati, rapinati dei loro frammenti decorativi, usati come materiale da costruzione: le selci della pavimentazione vengono strappate, i marciapiedi demoliti, gli orli erbosi ridotti a terra bruciata; in qualche anno la via illustre è decaduta più che in tutti i secoli precedenti.L’ambiente dei ruderi, il panorama, l’orizzonte scompare: una delle meraviglie del mondo è stata inutilmente, stupidamente, allegramente liquidata. La campagna meridionale di Roma, che prima entrava fin nel cuore della città (dall’Appia antica alla Passeggiata Archologica al Celio al Palatino al Foro), e che costituiva, avanzi antichi a parte, una riserva naturale e salutare di verde, si è ora trasformata in una squallida, turpe periferia. Basta mascherare le case con filari di cipressi , dicono gli interessati imbecilli; e intanto i mercanti di aree ingrassano, le proprietà si frazionano, le lottizzazioni aumentano, e perfino lo Stato incrementa lo scempio, finanziando decine di cooperative, autorizzando la costruzione di grossi quartieri: dietro l’ufficiale spinta dello Stato, si precipitano sull’Appia ordini religiosi, società immobiliari, speculatori di ogni razza: si costruiscono conventi, pagode, castelli, piscine; l’ultima parvenza di rispetto crolla, e si progetta la costruzione di uno stadio olimpico sulle Catacombe. Uno dopo l’altro, se ne va un tratto della Via, come un castello di carte; nuovi problemi si presentano, congestione del traffico, necessità di collegamenti, di trasporti, di servizi pubblici, con nuovo aggravio, disordine e disdoro per le pubbliche amministrazioni…si addensano nuove borgate, la città dilaga senza soluzione di continuità, come un’infezione. Scompare il distacco tra città e colli, tutto diventa una ininterrotta serie di sciatti, lerci sobborghi: una nuova immensa escrescenza si propaga al sud, con tutti i suoi deleteri effetti sulla città, conferma dell’anarchica espansione a macchia d’olio, scomparsa di tutte le zone verdi sotto un’unica colata cementizia, congestione e minaccia di distruzione del centro storico, sconfitta di ogni impegno di razionale pianificazione, ecc. Incompetenza di autorità, disordine amministrativo, strapotenza dei più retrivi interessi economici, viltà di politici, imprevidenza sociale, invadenza clericale, illegalità, ignoranza corruzione: dalla distruzione di un meraviglioso complesso antico e naturale derivano all’intera comunità conseguenze disastrose, nel presente e nell’avvenire. Ma dalla rovina in atto i vandali e i loro fiancheggiatori  prendono pretesto per perseverare: e qualunque tentativo di arginarla, restaurando il prestigio tramortito delle leggi, appare un attentato illegale, sedizioso ed eversivo contro i sacri ed inviolabili diritti della speculazione.
Moltiplichiamo questo per mille: la situazione  in Italia si avvia a diventare disperata. Abituati a intimidire e corrompere i vandali si trovano sconcertati di fronte all’inflessibile denuncia: la loro potenza è fatta di viltà altrui. Abituati a violare, impuniti, la legge e a spacciare per “esigenze tecniche” la loro avidità, non sanno che fare contro chi svela pubblicamente i loro raggiri.
(Antonio Cederna: I Vandali in casa (1955), da Brandelli d’Italia. Newton ).

Oggi si sente la mancanza di un Antonio Cederna, oggi che la devastazione del paese è giunta alle estreme conseguenze e continua immutabile.
Di questo disastro ambientale ed umano, del cinquantennio dei vandali, noi siamo gli eredi. I tempi sono cambiati ma gli imbecilli sono rimasti gli stessi.  Oggi spariscono ogni giorno nel nostro paese  centinaia di ettari di prezioso verde rimasto. Tutto continua senza imparare mai niente, senza neanche ammettere con umiltà gli errori, ma rivendicandoli con protervia (alcuni politici orfani dei “bei tempi” si richiamano ancora alla Dc come all’età dell’oro e si circondano ancora di palazzinari incalliti e danarosi). Si continuano a costruire case, doppie case, triple case, anche fuori da  ogni mercato quasi per forza di inerzia (ed interessi speculativi); si edificano nuovi centri commerciali di cui nessuno ha bisogno. Ovunque strade, parcheggi, escavazioni, colate di cemento, muri, capannoni, ponteggi, viadotti, gallerie. Eppure, in questo brulicare umano, di una umanità afflitta e indaffarata da un fare continuo, senza senso se non quello del denaro per il denaro, c’è qualcuno che piange sulla natalità troppo bassa, sui bambini troppo pochi, troppo poca l’antropizzazione di questa terra. Non basta il carnaio delle periferie, la solitudine tra l’affollamento, la droga, la depressione, l’alienazione di un’umanità che perdendo il contatto con la natura perde il senso della propria vita. Non basta, in questo paese sovraffollato ci voleva, benvenuto da molti, l’arrivo ogni anno di centinaia di migliaia di immigrati clandestini che hanno portato in pochi anni, nonostante il calo delle nascite degli autoctoni, a più di sessanta milioni la popolazione nazionale -solo a contare i regolari. Preti e demagoghi, politici di tutte le tendenze e di tutte le risme continuano ad invocare più gente, più consumatori, più consumi, più cemento, più rifiuti, più merce, più supermercati. Parola d’ordine: cementificare tutto.  

mercoledì 24 ottobre 2012

UGO MORELLI: MENTE E PAESAGGIO. PERCHE’ L’UOMO HA ROTTO IL PATTO CON LA NATURA.




La specie Homo sapiens potrebbe avere presto un triste primato. Avere distrutto tutte le altre specie viventi e se stessa nel giro di 50000 anni, il ciclo della sua esistenza. E’ un ciclo breve, brevissimo in termini evolutivi, un nulla rispetto alla durata di altre specie. Lo scorpione, ad esempio, esiste da 400 milioni di anni. Paradossalmente questo brevissimo ciclo di vita deriva dal possesso di una qualità della specie Homo: la sua mente provvista di intelligenza. Un amaro paradosso. Ugo Morelli nel suo ultimo libro “Mente e Paesaggio: una teoria della vivibilità” si chiede che cos’è che non ha funzionato nella mente dell’uomo e nel suo rapporto con il mondo naturale. L’Autore individua subito il centro del problema: “Dobbiamo rivalutare un pensiero diverso dall’oggettivismo scientifico che ci ha portato a vedere nel mondo un insieme di cose di cui appropriarci e da trasformare e stravolgere in base alle nostre esclusive esigenze di specie (pensiero antropocentrico)”. Per uscire dal vicolo cieco ci sono oggi le indicazioni delle neuroscienze e l’approccio innovativo della fenomenologia che ha messo al centro l’importanza del corpo e delle emozioni nella esperienza, rivalutando un soggetto non più distaccato nel dualismo anima-mondo, ma come parte della natura che ritrova nel rapporto tra mente  e natura il senso della vita. Il nuovo soggetto non è più quindi un padrone assoluto, ma il referente di un rapporto che superi il muro del dualismo che da Cartesio a Hegel lo ha contrapposto alla natura. Al  posto di quel dualismo ci deve essere una prospettiva integrata volta a comprendere la coscienza, la mente incarnata, le emozioni, l’affettività e la persona al centro dell’esperienza estetica: una appartenenza ritrovata. Ciò fa si che “per noi appartenenti alla specie Homo sapiens sapiens una cosa non sia mai solo una cosa ma il significato che noi le attribuiamo nelle relazioni e nei giochi linguistici, ci consenste di cambiare idea sul mondo, di vederlo con altri occhi, di generare l’inedito, di accedere all’estetica del mondo o esteticamente al mondo.  Il paesaggio è un’eccedenza di senso rispetto ad un luogo e a un territorio ed emerge dall’accesso al mondo intorno a noi e dal riconoscimento della sua estetica. –Il paesaggio non è natura: è cultura proiettata su montagne, oceani, foreste, vulcani e deserti- scrive Remo Bodei…Appare perciò necessario prestare attenzione ai segni e alle risposte corporeo-psichiche profonde che le immagini del mondo lasciano emergere nell’esperienza umana”…”L’idea di un uomo solo che guarda il paesaggio può quindi essere messa in discussione, sviluppando una posizione critica allo spiritualismo. La mente relazionale, incorporata, situata in una cultura, non è ma diviene mentre il cervello fa. E’ il corpo a dar forma alla mente…” e quindi è il paesaggio che ci trasforma mentre ne percepiamo la bellezza, ci trasmette senso e ci identifica.
Ma allora perché la nostra civiltà sta distruggendo il paesaggio, la natura e con essa le altre specie viventi? Che cos’è che ci ha fatto dimenticare la nostra appartenenza alla natura, il nostro corpo come parte di un tutto, che ci ha portato a renderci distruttori della vita e di noi stessi? Certamente c’è lo sfruttamento economico delle risorse, l’appagamento delle nostre brame di possesso e sfruttamento, espressione di un pensiero distaccato dalla natura. “Il primo cambiamento necessario appare quello di giungere a far convivere nell’immaginario e nell’esperienza pratica la nostra appartenenza locale con una coscienza planetaria. Ernesto de Martino ha detto che solo chi ha un villaggio nel cuore ha la possibilità di misurarsi ed esprimersi nel mondo”. Poi ritrovare il nostro posto tra la natura senza egoismi di specie.  Stephen Jay Gould così comprende la nostra posizione: “ Io temo che l’Homo sapiens sia una cosa minima in un vasto universo, un evento evolutivo estremamente improbabile nell’ambito della contingenza” e ciò è una fonte di libertà e di consapevole responsabilità morale. Riconoscere che la nostra evoluzione è frutto della contingenza e che potevamo non esserci, ammettere il ruolo determinante del caso ci permette di riconoscere la nostra appartenenza alla natura e creare le condizioni di una nuova vivibilità. Ciò è ovviamente in contrasto totale con il pensiero religioso che vede l’universo come finalizzato all’uomo, espressione pura di antropocentrismo. Pensiero che non appartiene solo alla religione ma anche a tante posizioni laiche. Ciò che non è uomo, il resto della natura diviene per costoro uno sfondo, in parte minaccioso. E’ con questo pensiero oggettivante ed egoistico che siamo giunti ad una soglia pericolosa e sempre più vicina che può portarci alla distruzione e all’autodistruzione. Oggi abbiamo una prima e anche ultima possibilità. Prima perché oggi abbiamo gli strumenti teorici per intervenire. “Agli spiazzamenti o ferite inferti alla nostra vanità e alla nostra presunzione di centralità, che già Freud aveva segnalato, riguardanti lo spodestamento della Terra dal centro dell’universo da parte di Copernico, la ricollocazione dell’uomo nel flusso evolutivo da parte di Darwin, la scoperta dell’inconscio e del fatto di non essere padroni in casa propria da parte dello stesso Freud, si aggiunge oggi il riconoscimento dei rischi di specie riguardanti la forma di sviluppo autodistruttivo che ci siamo dati”. Ultima perché il tempo è scaduto e ciò che sta accadendo al pianeta con il riscaldamento globale e la distruzione generalizzata degli ambienti naturali, con l'esaurimento delle risorse, dell'acqua e l'inquinamento generale, sono talmente evidenti e davanti agli occhi che anche le menti più antropocentriche si stanno allarmando.
Sul problema pratico del “che fare” Morelli propone giustamente una rivoluzione nei modelli che configuri nuove proposte rispetto al modello classico della crescita infinita. A questo scopo occorre ri-figurarsi, ripensare il paesaggio e la vivibilità con l’apprendimento e l’educazione. “In particolare l’educazione può concorrere a elaborare i conflitti fra i nostri comportamenti effettivi e consolidati e le nostre capacità di apprendimento e innovazione. Il paesaggio che creiamo contiene e si naturalizza mentre lo creiamo.” Una scienza della formazione basata sull’apprendimento è in realtà  una scienza dei sistemi sociali, o una scienza delle modalità evolutive dei sistemi umani e sociali, perché l’apprendimento non è solo un problema di aule scolastiche, universitarie o di scuole materne. L’apprendimento ha a che fare con i vincoli e le possibilità che incontriamo a livello delle menti individuali e menti collettive ogni volta che siamo di fronte al cambiare idea su qualcosa, a cambiare comportamento intorno a qualcosa. Il cambiamento di idee e comportamenti intorno al paesaggio come spazio di vita e alla vivibilità è di portata epocale e intriso di profonde difficoltà. Dobbiamo rivedere tutto dal concetto di crescita a quello di esercizio del potere, alla asimmetria dei diritti che spesso ci alienano dalla responsabilità verso il resto della natura. Citando Bateson, noi non possiamo pensare di comprendere, né tanto meno di cambiare, un sistema vivente senza farne parte. Riconoscere questa inevitabile interdipendenza è importante per ogni processo di conoscenza e di cambiamento.
Ma aggiungo che lo stimolante testo di Morelli si ferma anch’esso su una soglia, su quella stessa soglia su cui si fermano tenti discorsi ambientalisti contemporanei. Eppure questa soglia che sembra richiedere tanto coraggio da parte del movimento ecologista è essenziale a capire i problemi e invertire la rotta . La soglia che neanche Morelli è in grado di varcare è quella della denuncia aperta e chiara del problema della sovrappopolazione. Il problema dei problemi, quello che esprime in maniera paradigmatica a cosa ci sta portando il pensiero antropocentrico:  il vedere l’uomo solo l’uomo e i suoi infiniti diritti di crescita. Perché la crescita che ci sta portando alla distruzione non è solo quella economica, anzi questa è un derivato dell’altra ben più pericolosa e insostenibile: la natalità eccessiva della specie  con i sette miliardi di umani che soffocano il pianeta. Da Morelli ci aspettavamo un po’ più di coraggio e una presa di posizione più netta che rendesse  più incisivo e veritiero il suo saggio.

venerdì 19 ottobre 2012

LA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE: CONTINUA IL DECLINO ITALIANO



 E' stato presentato ieri dal Governo il testo sulla Strategia Energetica Nazionale, che nelle prossime settimane verrà discusso con le parti sociali ed economiche. Lo scenario di riferimento non è esteso nel tempo ed arriva fino al 2020 in quanto con lo sviluppo galoppante della tecnologia non è dato prevedere oltre come sarà il mercato energetico. Questo è una fortuna per l'Italia in quanto i danni sono così limitati al decennio in corso. Nel documento si parla genericamente di ridurre i costi dell'energia, di raggiungere e superare gli obiettivi europei del 20-20-20, di sviluppare la green e white economy. Durante la conferenza stampa il ministro Passera ha affermato che in passato si è esagerato con gli incentivi al fotovoltaico e ha espresso l'intenzione di sopprimere i sussidi al fotovoltaico agricolo e ridurre quelli per il fotovoltaico sugli edifici.   si prevede di raggiungere entro il 2020 per le rinnovabili elettriche un mix nazionale del 36-38%. Aumenteranno gli incentivi per le rinnovabili termiche che ammonteranno a 900 milioni di euro l'anno (coperti con oneri sulla bolletta del gas). Nel documento si sottolinea come obiettivo primario il risparmio energetico:
       In particolare, ci si propone di risparmiare ulteriori 20 Mtep di energia primaria al 2020, equivalente a un risparmio di quasi il 25% rispetto allo scenario di riferimento europeo (superando così l’obiettivo del 20%), evitando lemissione di circa 55 milioni di tonnellate di CO2 lanno e
l’importazione di circa 8 miliardi di euro l’anno di combustibili fossili.
  

    Questo obiettivo sarà così raggiunto:
Il rafforzamento di standard minimi e normative, in particolare per quanto riguarda l’edilizia e il settore dei trasporti;
L’estensione nel tempo delle detrazioni fiscali, prevalentemente dedicate al settore delle ristrutturazioni civili, che andranno corrette per renderle più efficaci ed efficienti in termini di costo-beneficio;
L’introduzione di incentivazione diretta per gli interventi della Pubblica Amministrazione, impossibilitata ad accedere al meccanismo delle detrazioni e che intendiamo svolga un ruolo di esempio e guida per il resto dell’economia;
Il rafforzamento degli obiettivi e dei meccanismi dei Certificati Bianchi, prevalentemente dedicati ai settori industriale e dei servizi, ma rilevanti anche nei trasporti e nel residenziale, che avranno un ruolo fondamentale date le potenzialità dell’ambito di intervento e l’efficienza di costo che uno strumento di mercato come questo dovrebbe garantire.

Nella strategia un grande ruolo è previsto per il petrolio e per il gas nazionali, per il  cui sviluppo è necessario:
Rimodulare i limiti di tutela offshore imposti dal Dlgs. 128, di particolare rilevanza per la produzione di gas naturale, conservando margini di sicurezza uguali o superiori a quelli degli altri Paesi UE e garantendo la massima attenzione e controllo sulle attività di ricerca e produzione.
Ciò significa che   Passera troverà il modo di far scendere sotto le 12 miglia la “no-triv zone”. A questo si aggiunge anche l’introduzione dell’autorizzazione unica a trivellare:
Semplificare gli iter autorizzativi, oggi particolarmente lunghi e complessi, ad esempio adottando un modello, largamente diffuso in Europa e nel mondo, di conferimento di un titolo abilitativo unico per esplorazione e produzione e prevedendo un termine ultimo per l’espressione di intese e pareri da parte degli enti locali
Sempre che gli enti locali riescano a mantenere un minimo di ruolo in questa autorizzazione unica, visto che di pari passo con la SEN andrà avanti la riforma del Titolo V della Costituzione con l'obiettivo di togliere alle Regioni la possibilità di porre il veto agli impianti di trivellazione sul territorio e sul mare.
Nel piano si fa riferimento inoltre allo sviluppo dello shale gas e al fraking anche se in via indiretta:
L’impatto per l’Italia non sarà diretto (in quanto non si prevedono sviluppi di tale risorsa), ma potrebbe essere forte quello indiretto, dovuto al potenziale effetto sui prezzi mondiali, soprattutto nel mercato GNL.
Ma sul fatto che l'Italia sia interessata in via indiretta c'è da dubitare in quanto sono già in corso esperimenti di fracking anche in Italia, a Ribolla in Toscana e inoltre nel Sulcis con la ripulitura del carbone   che altro non è se non l’unione del fracking con lo stoccaggio della CO2.
 Poi, sempre riguardo al gas, si conferma la volontà di trasformare l’Italia nell’hub sud-europeo del gas. Per far ciò il Governo si prepara a favorire:
La realizzazione delle Infrastrutture Strategiche, realizzabili con garanzia di copertura dei costi di investimento a carico del sistema, per assicurare nel medio periodo sufficiente capacità di import e di stoccaggio, anche per operazioni spot. Queste beneficeranno anche di iter autorizzativi accelerati e verranno selezionate attraverso procedure pubbliche basate su criteri trasparenti di costo-beneficio per il sistema, assicurandosi che i miglioramenti attesi in termini di competitività di prezzo e di sicurezza di approvvigionamento siano ampiamente superiori rispetto agli eventuali costi a carico del sistema; in tal senso si prevedono necessità relativamente contenute in termini di nuove infrastrutture;
Il supporto alla realizzazione di altre infrastrutture di importazione (gasdotti e terminali GNL) non considerate strategiche, anche in regime di esenzione dallaccesso dei terzi, senza garanzia dei ricavi e contributi finanziari di natura pubblica. Queste infrastrutture potranno avere un ruolo
chiave nella diversificazione delle fonti e delle rotte di approvvigionamento.
 Ultimo tema scottante: il capacity payment per le centrali termoelettriche che sono in crisi a causa del fotovoltaico e chiedono di vedersi pagata anche l’energia che non producono. La SEN lo prevede “nel medio-lungo periodo” ma, allo stesso tempo, specifica che sarebbe meglio deciderlo in sede europea vista la sua incidenza sul mercato. Tuttavia, il capacity payment già esiste in Italia: è stato inserito nel Decreto Sviluppo e si attende solo che l’Autorità per l’Energia stili la lista delle centrali che ne beneficeranno.
(Gran parte delle notizie sopra riportate sono tratte dal sito Green Style). 

 Questa è la grande strategia del governo italiano fino al 2020. Cosa significa, sotto le righe, questo documento? Semplicemente che prosegue e accelera la terzomondizzazione dell’Italia, la trasformazione dell’ex bel paese in un territorio sovrappopolato, più povero, degradato dal punto di vista ambientale, devastato nelle campagne da distese di pannelli fotovoltaici e pale eoliche, dove si brucia più petrolio, carbone e gas, si trivellano le coste, si immettono in atmosfera ulteriori miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Inoltre si aumenta la burocrazia, le incombenze, gli sportelli dove recarsi per richiedere documenti e certificazioni per intraprendere qualsiasi attività. Altri funzionari statali avranno più potere (con più soldi e corruzione) per rilasciare certificati bianchi, per attestare Conti di energia termica, per autorizzare, per controllare, per allungare tempi e formalità, per aumentare i costi. Purtroppo non c’è nessuna strategia, nessuna visione, nessun finanziamento alla ricerca. C’è la riaffermazione demagogica della formuletta del 20-20-20, una formuletta che, da facile profeta, dico che sarà un ennesima truffa a scapito del cittadino credulone. Togliendo o riducendo gli incentivi al fotovoltaico classico si toglierà l’ossigeno che regge  in vita chi produce questa ennesima illusione. Inoltre l'aumento delle sovvenzioni alle rinnovabili termiche si tradurrà nell'ennesimo aggravio della bolletta del tartassato cittadino italiano. Il ruolo delle rinnovabili scenderà dalle stelle alla realtà: una fonte utile per le piccole comunità locali, per il condominio, per la fattoria. Ma assolutamente non in grado di produrre energia per un paese moderno e tecnologicamente avanzato. E l’accenno del SEN alle trivellazioni e ai rigasificatori nasconde la verità: aumenterà la combustione degli idrocarburi con ulteriori immissioni di carbonio in atmosfera. Non detto apertamente ma ben presente è inoltre l’intenzione di introdurre anche nel nostro paese l’utilizzo dello shale gas e del fracking, tecnologie che prevedono l’estrazione dal sottosuolo di gas da scisti bituminosi e da rocce in cui sono imprigionati, mediante la frantumazione degli strati rocciosi del sottosuolo con fluidi iniettati a pressione nei pozzi (acqua, gel, schiume o gas compressi come azoto, diossido di carbonio, aria ecc.). Così non contenti di devastare il pesaggio sulla superficie della terra, distruggiamo anche il sottosuolo creando fratture, inquinando e dirompendo falde idriche, immettendo e liberando tossici, creando instabilità e terremoti, procurando esalazioni di gas e ulteriore immissione di carbonio nella biosfera. Purtroppo queste tecnologie devastanti stanno prendendo piede anche in tanti altri paesi, in seguito all’aumento dei prezzi ed alla sempre maggiore scarsità di petrolio, gas e carbone rispetto alle richieste: in Polonia si sono appena stanziate risorse per il fracking del sottosuolo volto a sfruttare giacimenti di gas non convenzionale tra cui 1930 miliardi di metri cubi di metano. Continuiamo a somministrare veleni al pianeta morente. Nell’indifferenza generale e con stupida cecità.  In una situazione come questa tutti parlano di aumentare i tassi di natalità, dai candidati alla presidenza degli Stati Uniti, al congresso del Partico Comunista Cinese (che vuol abolirela legge del figlio unico), ai programmi dei partiti politici italiani. E intanto i ghiacci del Polo sono al minimo storico. agobit

lunedì 15 ottobre 2012

La Carta di Intenti del Centro-sinistra: una occasione mancata







Possibile che il mondo sta andando verso la catastrofe e nessuna forza politica in Italia ne prenda coscienza e  ponga finalmente al centro la salvezza della Terra? E' per questo che ogni volta che esce un programma politico di qualunque tendenza  sia, vado subito a leggermi i punti qualificanti, nella speranza di trovarvi una presa in carico dei problemi reali del pianeta   senza paraocchi ideologici o, peggio, religiosi. La Carta di Intenti dei Democratici e progressisti firmata qualche giorno fa è stata però una ennesima doccia fredda, una occasione mancata nell'ottica di una mentalità statalista e antropocentrica dura a morire. Risparmio al lettore le frasi stereotipe sui diritti, sull'equità, sulla sostenibilità, sulla democrazia partecipata, sui "grandi" piani, sulla ricerca, sulla condivisione sociale, sulla equità di genere, sullo sviluppo "solidale" ed altre amenità del politically correct che fanno del linguaggio di certi politici l'equivalente delle litanie delle vecchie bigotte frequentatrici delle chiese d'epoca ottocentesca. Nel documento domina ovunque un linguaggio generico e fumoso (probabilmente dovuto alla necessità di mettere d'accordo parti politiche e visioni frammentate e contrastanti).  Arrivati ad un certo punto della Carta si parla dei diritti della donna in ambito lavorativo:


 "Serve un grande piano per aumentare e migliorare l’occupazione femminile, contrastare la disparità nei redditi e nelle carriere, sradicare i pregiudizi sulla presenza delle donne nel mondo del lavoro e delle professioni. A tale scopo è indispensabile alleggerire la distribuzione del carico di lavoro e di cura nella famiglia, sostenendo una riforma del welfare, politiche di conciliazione e condivisione e varando un programma straordinario per la diffusione degli asili nido"


Fin qui nulla da dire, se non ché il compilatore della Carta si spinge a questo punto oltre il dovuto e si incarta nella frase conclusiva del ragionamento:


"Anche grazie a politiche di questo tipo sarà possibile sostenere concretamente le famiglie e favorire una ripresa della natalità"...


Ma come, il mondo sta soffocando sotto le polluzioni di sette miliardi di persone, avviati a diventare presto 10 miliardi, e quello che si augurano i "democratici e progressisti" è che in Italia vi sia una ripresa della natalità! Sembra di stare a sentire Casini, o i monsignori della Curia. Dunque non basta che in Italia si sia passati in pochi anni da 50 a 60 milioni di abitanti, se ne auspicano tanti altri e questo, purtroppo, da chi si definisce laico e progressista. Viene il sospetto che il progresso auspicato sia quello del cemento, della costruzione degli edifici e delle colate di asfalto a scapito di quel poco verde che è ancora rimasto nel nostro povero paese. tanto più che nella Carta di Intenti non è previsto alcun contrasto alla immigrazione clandestina anzi:


"Sul  piano dei diritti di cittadinanza l’Italia attende da troppo tempo una legge semplice ma irrinunciabile: un bambino, figlio d’immigrati, nato e cresciuto in Italia, è un cittadino italiano. L’approvazione di questa norma sarà simbolicamente il primo atto che ci proponiamo di compiere nella prossima legislatura"

Il che può essere anche accettabile se si accompagnasse ad un programma di contrasto alla immigrazione illegale. Ma di questo non c'è traccia. Nessun accenno al riscaldamento globale in atto e a  politiche energetiche che rallentino l'immissione di carbonio in atmosfera.
Anche dal lato della lotta alla burocrazia corrotta che soffoca il paese nella carta non c'è nulla, se non vuote parole di contrasto alla illegalità. Ma contro ciò che è all'origine della burocrazia e della corruzione, cioè l'enorme espansione del carrozzone statale costoso e inefficiente, si cerca invano qualcosa nella carta di intenti. Al contrario ci sono pericolosi programmi di ampliamento dello stato e della burocrazia:

"Per tutto questo, introdurremo normative che definiscano i parametri della gestione pubblica o, in alternativa, i compiti delle autorità di controllo a tutela delle finalità pubbliche dei servizi. In ogni caso non può venir meno una responsabilità pubblica dei cicli e dei processi, che garantisca l’universalità di accesso e la sostenibilità nel lungo periodo". 

Traduco dal politichese: più stato e più burocrazie a svolgere i servizi, i cicli e  i processi che a loro volta richiedono più stato e burocrazia che controllino i servizi, i cicli e i processi...e così via all'infinito. Questo è quello che propone il centro-sinistra laico e democratico. Ma quello che propone il centro-destra non è molto diverso,  nel campo della natalità e della demografia si auspicano le stesse cose. Per non parlare del Centro cattolico  che vuole legare gli aiuti e gli sgravi fiscali al numero dei figli (esattamente il contrario di quello che si dovrebbe fare!). E in quanto a burocrazia e corruzione basta vedere quello che hanno combinato nel Lazio. Povera Italia





domenica 14 ottobre 2012

mercoledì 10 ottobre 2012

LA SCIENZA AL TEMPO DELLA FUSIONE FREDDA




Tutta la vicenda iniziata con la famosa conferenza stampa di Fleishman e Pons  a Salt Lake City nello Utah nel lontano 1989 ha aperto uno spaccato all’interno della Scienza che permette di inquadrarne meglio il significato. Gli uomini sono da alcuni decenni sotto  il potere sconfinato della scienza e il significato stesso della civiltà si identifica oggi con la tecnica. Ma come procede la scienza? Quali procedimenti possono essere definiti scientifici e quali no? E’ corretto che la scienza si occupi di fenomeni quali la cosidetta fusione fredda, o questi debbono essere catalogati come sciamanesimo o inganno?

Oggi che la religione ha perso importanza nella società contemporanea (a parte alcune aree del pianeta in cui la religione si identifica con interessi politici), le uniche verità ammesse sono quelle della scienza. Dice Hayek che ogni gruppo umano che si ritiene possessore di verità fondamentali si autocostituisce in potere e ogni potere, a sua volta, si autocostituisce in burocrazia. Anche la verità scientifica, come quella religiosa, ha la tendenza a divenire ideologia e da un paio di secoli gli scienziati fanno parte di lobbies di potere. Le ideologie, cacciate con difficoltà dalla porta della politica, rientrano dalla finestra della scienza.
In fisica oggi domina il modello standard e ogni modifica al modello deve rientrare in parametri che i fisici mainstream stabiliscono in maniera rigorosa e che solo loro possono dichiarare ammissibili. Chi propone modelli diversi secondo parametri non ammessi dalle lobbies universitarie e di ricerca che dispongono di fondi economici e potere politico, può appartenere solo a tre categorie: quella dello sciamano, o dell’incapace o infine del truffatore.
Habermas smontando dal punto di vista teoretico ogni fondamento metafisico della scienza, ha introdotto l’ipotesi che la scienza non sia altro che un sistema di verifica di proposizioni ed enunciati all’interno di comunità dei ricercatori ed esperti. Secondo Habermas la verità non ha come oggetto i contenuti materiali della conoscenza, bensì le loro  condizioni formali di garanzia e convalida: in pratica la verità diventa l’opinione ultima della comunità di ricercatori. Ma gli eventi accaduti intorno alla fusione fredda dimostrano che le cosidette comunità di ricercatori possono essere divergenti e con opinioni assai diverse da una comunità all’altra. Se poi alcune, quelle cosiddette ufficiali e accademiche, si autocostituiscono in “chiese” e in centri di potere è ovvio che anche la verità scientifica diventa, come in politica, l’opinione dei più forti. Sulla tendenza delle comunità di scienziati ad arrogarsi il monopolio della verità –come nei conflitti religiosi- non ci possono essere dubbi, basta considerare l’ostilità anche solo ad aprire ogni discussione sui fenomeni connessi alle LENR da parte dei fisici accademici, di cui l’ultimo episodio del divieto di concedere   i locali a scienziati che si occupano del settore per discutere di Lenr all’Università di Roma è paradigmatico delle censure che anche gli uomini di scienza sanno applicare.

Due filosofi della scienza hanno dato un contributo decisivo all’apertura del mondo della scienza alle discussioni e alla variabilità delle idee, in contrapposizione alla rigidità e alla chiusura della scienza ideologicizzata e “accademica”: Karl Popper e Paul Feyerabend.

KARL POPPER

Karl Popper è stato il filosofo della scienza che ha criticato questa tendenza di fondo del potere scientifico ad irrigidire le proprie teorie e a farne dei totem inattaccabili. Il fatto che le teorie vengano discusse all’interno di comunità di scienziati per cercarne ulteriore validazione non è giudicato sufficiente dal filosofo. Spesso le comunità scientifiche sono autoreferenziali e tendono a rafforzare le teorie senza sottoporle ad una critica stringente e quindi tendono a rafforzare anche gli errori che spesso sono in quelle teorie. Popper ha studiato un metodo che cerca di porre rimedio all’eccessiva rigidità delle teorie scientifiche, e a questo scopo parte dalla seguente considerazione: se una teoria non è influenzabile dall’osservazione empirica, allora NON E’ empiricamente valida.  Ma guardando al modo in cui procede la scienza Popper conclude che l’osservazione da sola non basta. L’osservazione SENZA FORMULAZIONE DI IPOTESI non è possibile e anzi non esiste, e quindi la conoscenza non comincia con l’osservazione. Basarsi solo sull’osservazione infatti conduce all’INDUZIONE  che è fonte di errori e di teorie non valide. Ogni osservazione presuppone un lavoro preliminare del pensiero che ponga le basi per una  validità empirica. Dice il filosofo che la conoscenza avviene per congetture e confutazioni, e le congetture non sono altro che ipotesi formulate all’interno di un sapere già strutturato nel pensiero. Ma affinché le ipotesi possano essere validate si devono sottoporre al pensiero critico il quale richiede che si debba cercare di confutarle. Le caratteristiche della confutazione devono anzi far parte strutturale della formulazione stessa delle ipotesi: se uno propone una nuova teoria deve stabilire anche le circostanze che la renderebbero falsa, e deve quindi esporre la teoria stessa apertamente alla verifica puntuale di queste circostanze. Popper dunque propone come criterio di scientificità di una teoria la sua FALSIFICABILITA’, cioè che essa ammetta  circostanze che ne comportano la confutazione. Se una teoria non è falsificabile, ipso facto non può essere definita “scientifica”. Che una teoria non sia scientifica, si badi bene, non vuol dire che sia inutile. Ad esempio la teoria atomica per lungo tempo è stata non falsificabile e quindi si potrebbe dire che è stata pre-scientifica, e tuttavia è stata una teoria  utile. La scienza cerca nella natura uniformità e presuppone che queste uniformità esistano. Solo le uniformità consentono le previsioni e la verifica delle previsioni consente il controllo delle ipotesi. Le previsioni però, come detto, non sono induzioni e debbono essere falsificabili. Ma chi ci dice che la natura sia effettivamente uniforme? Anche il concetto di uniformità e le uniformità che si ritengono dimostrate  debbono essere falsificabili. La scienza, conclude Popper, si può definire affidabile solo nel senso che non abbiamo un metodo più affidabile. L’affidabilità assoluta non esiste e la scienza non è affidabile in maniera assoluta.

Quindi ogni prosopopea e ogni sicurezza eccessiva di chi si ritiene depositario di verità scientifiche non è ammissibile, e la sicumera senza se e senza ma che manifesta chi si occupa di scienza non è un buon segno. E’ un pessimo indizio, invece, dello stato in cui versa la scienza contemporanea. Come ha detto il Professor Hagelstein durante l’esposizione dei risultati dei suoi esperimenti al Mit sulle LENR, non è comprensibile tutta questa ostilità preconcetta agli studi sulla Fusione Fredda, ostilità che si è manifestata da subito già nel 1989, subito dopo l’annuncio di Fleishmann e Pons. Si può capire che all’inizio l’ostilità fosse legata all’errore terminologico di Fleishmann che parlò –senza adeguati sostegni sperimentali- di “fusione” nucleare. Ma l’assoluta indisponibilità della scienza ufficiale a considerare con mente aperta l’ipotesi di lavoro e le verifiche sperimentali ha confermato che gli scienziati “ortodossi” si sono irrigiditi in teorie che consentono solo autoconferme ed escludono ogni ipotesi che vada contro l’ideologia scientifica sostenuta dal potere accademico.



PAUL FEYERABEND

Ma la vicenda della cosiddetta fusione fredda, al di là della sua conferma empirica o della sua falsità, viene illuminata dal pensiero controcorrente di un grande della filosofia della scienza: Paul Feyerabend. Nei suoi scritti si trovano una passione ed un’energia ineguagliata da altri filosofi della scienza. Riporto alcune osservazioni del filosofo tratte da una intervista a Vittorio Hosle.  Egli contesta alla radice che esista una regola metodologica per fare scienza, e si definisce un anarchico epistemologico. Nel suo libro più famoso, “Contro il Metodo”, nega che la scienza colga verità assolute e nega anche differenze sostanziali tra scienza e mito. Anzi, nella scienza, afferma, c’è molto di mitologico. Si parla di scienza senza saperne un gran ché, in particolare da parte dei filosofi della scienza. La scienza vuol cogliere regole in una realtà complessa, ma in realtà non possiede un metodo definito. Costruisce regole artificiali e poi pretende di definirle come scienza. L’idea che nella scienza si trovi un concentrato di verità è un’idea dei filosofi. La teoria dei quanti spiega alcuni fenomeni ma non abbiamo idea di quello che c’è nell’insieme. Ciò che crea difficoltà, dice Feyerabend, è la nozione stessa di verità. Non è come stare davanti ad un giudice, dove bisogna dire tutta la verità. Ad esempio la teoria dei quanti e la teoria della relatività di Einstein sono in conflitto tra loro. Eppure tutte e due spiegano dei fenomeni e appartengono a ciò che definiamo scienza. Ciononostante sono in conflitto tra loro e inconciliabili. Che possiamo dire allora della verità? Che ha carattere matematico? Ma affermare che la verità ha carattere matematico è una teoria scientifica? Se uno scienziato, ad esempio,  introduce concetti qualitativi,  subito i matematici lo assalgono per trasformare le sue teorie in formule matematiche. Assegnare numeri a parametri qualitativi può essere non confutabile.  Poincaré cercò di introdurre concetti qualitativi nella scienza. Ma metodologie in conflitto producono tautologie. Konrad Lorenz ha un approccio completamente diverso: seguiva ad esempio delle anatre per i campi facendo osservazioni occasionali di loro comportamenti. Che criterio scientifico ha Lorenz?

Uno dei risultati della teoria dei quanti è che non è possibile stabilire una posizione ben definita di una particella. Nella teoria della relatività è assunto che  la posizione di una particella è invece perfettamente determinabile. Ambedue sono considerate teorie scientifiche. Questo dimostra che la scienza è una chimera. Che significa che una teoria è veritiera? Che possiede la verità? E’ possibile un discorso della scienza sulla verità? Una teoria è veritiera se scopre una uniformità nella natura? Oppure se dimostra coerenza con le teorie precedenti? Tutto ciò non ha senso.

Feyerabend attacca a testa bassa la regola della coerenza delle teorie: "La condizione della coerenza, la quale richiede che le nuove ipotesi siano in accordo con teorie accettate, è irragionevole, in quanto preserva la teoria anteriore, non la teoria migliore". Egli sottolinea che l'insistere sul requisito che le nuove teorie siano coerenti con le vecchie fornisce un irragionevole vantaggio alle teorie più vecchie. Il punto essenziale è, nel suo pensiero, che la compatibilità con una defunta teoria precedente non rende una nuova teoria più valida né più vera delle teorie rivali sullo stesso argomento. In altre parole, se si deve scegliere tra due teorie che abbiano lo stesso potere esplicativo, scegliere quella che è compatibile con una teoria più anziana, precedentemente falsificata, è una scelta estetica più che razionale.

Oggi abbiamo bisogno di  dedicare tutti gli sforzi possibili per rivedere il nostro discorso sulla scienza. Siamo assediati dai rifiuti prodotti dalla scienza. E’ con la scienza che il mondo è arrivato al punto di non ritorno e la civiltà si sta avvitando su se stessa. Il mondo soffoca per i rifiuti. Per toglierli abbiamo bisogno degli scienziati che li hanno prodotti. Non è possibile ripulire il mondo rinunciando alla scienza. Il mito in passato ha rischiato di portare il mondo alla distruzione. Ma la teoria scientifica può essere oppressiva come il mito. Ci sono diversi tipi di mito come ci sono diversi tipi di scienza. C’è stata un’epoca in cui discutere di scienza era discutere di sistemi scientifici, discutere di affermazioni chiare e dimostrate, e mettere ordine nella scienza era mettere ordine in queste affermazioni. Tutto in maniera aperta, chiara e verificabile tra i vari operatori. Ma oggi la scienza è molto cambiata. Fare esperimenti oggi  spesso richiede impianti industriali molto complessi e costosi, e gli operatori devono accettare compromessi (non c’è denaro sufficiente) e cambiare approccio. Si parla di “conoscenza testata” e il ricercatore ha a che fare con strumenti come un pilota di  auto da corsa o di areoplani. Il livello sperimentale oggi costituisce un’area a se e il passaggio tra il livello sperimentale e il livello teorico include molti elementi diversi, temi arbitrari, aspetti discutibili. Si procede spesso per approssimazioni. La scienza è frantumata in scienze diverse, scienze teoriche, scienze degli esperimenti, scienziati che operano su alcuni o su più versanti.  A volte è necessario un accordo “politico” tra diversi “partiti” in cui uno cede un po’ di qua e un po’ di là e si arriva a qualcosa di pubblicabile. Quanto afferma Feyerabend è facilmente verificabile oggi con le cosiddette energie rinnovabili, con l’influenza politica che le sostiene, con i compromessi che si rendono necessari. Per non parlare del nucleare, in cui la verità scientifica è variabile da paese a paese.  Continua Feyerabend portando l’esempio di Newton il quale concepiva la scienza in una ben strana maniera. Constatando infatti in base a calcoli  che le orbite di Giove e Saturno tendevano con il tempo a divaricare e, al contrario, che le misure osservazionali concludevano per una costanza delle orbite, il grande scienziato affermò, con tutta serietà, che Dio interveniva periodicamente a rimettere a posto le cose raddrizzando le orbite dei due pianeti. E’ la famosa teoria del “dito di Dio” che interviene a correggere le imperfezioni del mondo. Ma le difformità della scienza non riguardano solo l’epoca di Newton. Quando fu formulata la teoria meccanica ondulatoria nella fisica quantistica si credette che le particelle avessero natura ondulatoria. Questo era in contraddizione non solo con la teoria matriciale della fisica dei quanti di Heisenberg e Borg, ma anche con la teoria di Einstein della relatività. Erwin Schrodinger che aveva formulato la teoria ondulatoria non ritrattò e decise di lavorare con la vecchia teoria, ottenendo risultati migliori. Dunque, dice Feyerabend, confutare una teoria a volte è conveniente. La falsificazione delle teorie si dimostra utile per fer progredire le conoscenze, ma Popper sbagliò a considerarla come UNICA e che servisse sempre quella, assolutizzandola. La falsificazione è uno strumento, ma ne servono altri. Molte delle regole, apparentemente ben congegnate, trovate dai ricercatori, non si adattano ai casi reali.  A volte succede che le teorie GOFFE corrispondono meglio ai fatti e alle previsioni rispetto a quelle ELEGANTI. Alcuni, analizzando una teoria dicono che si tratta di una BRUTTA teoria, e spesso scelgono quella che loro ritengono giusta in base a preferenze personali.  In questi casi le scelte avvengono con criteri  estetici.  La conoscenza del medico è molto più dispersa rispetto a quella del biologo molecolare. Questo ha conoscenze più precise, ma non si può dire quale conoscenza è migliore:  sotto certi aspetti è meglio quella dell’uno, ma sotto altri aspetti è meglio quella dell’altro. Per vincere i Nobel spesso va bene quella del biologo molecolare, ma per curare la persona spesso è meglio quella dispersa e probabilistica del medico. Inoltre i criteri delle teorie sono spesso in contraddizione tra loro.  Vediamo ad esempio, afferma Feyerabend, il criterio della corrispondenza (tra teoria e fatti) e il criterio della coerenza (tra teorie considerate valide).  La teoria migliore, saremmo portati a pensare, è quella che soddisfa ambedue. Ci sono scienziati che non condividono nessuno dei due criteri. Se uno crede che ci sia un dio che ha creato l’universo per l’uomo e le sue esigenze, allora la verità è evidente nelle cose che accadono, si tratta quindi di una visione empirista. Se invece si è agnostici e si pensa che l’universo è una beffa di un dio distante e indifferente, allora l’uomo non può conoscere la verità. In questo universo è inutile cercare la coerenza. Ma se non vi è una coerenza di insieme, a volte vi sono soluzioni conoscitive per aspetti limitati.  Quindi taluni ricercatori potrebbero ottenere successi senza avere basi metafisiche generali ( a questo riguardo  Feyerabend  è stato profetico sul caso delle Lenr).  Molti parlano di istinto, istinto del grande scienziato. Ma a volte grandi scienziati a forza di usare l’istinto sono andati a sbattere nel nulla scientifico.  Così Einstein che ha cercato di formulare una teoria del campo unificato senza avere successo. Newton è stato certamente un grande scienziato, ha ricercato nella fisica, nella astronomia, nell’alchimia. Eppure avanzò la teoria del dito di Dio. Secondo il grande scienziato Dio era un padre che si prende cura delle creature e agisce continuamente nel mondo. Ciò non era vero per Liebnitz che credeva a un dio a volte distratto o che non sapeva bene cosa volere, sebbene animato da saggezza e bontà. Galileo è un grande scienziato ma fece ipotesi sbagliate. Credeva che con la dimostrazione si stabilisce la verità di una teoria, che con la dialettica si possano cercare accordi tra argomentazioni diverse. Ma riteneva utile anche la retorica che sfrutta le debolezze dell’avversario. Copernico fu abbandonato nel momento in cui le sue teorie furono accettate. Come Galileo, a volte è con la retorica che il grande scienziato porta avanti le sue teorie. Tycho Brahe, che negò la realtà delle sfere celesti, non esiste per Galileo. Egli rimane ancora nel sistema geocentrico, e Galileo lo irrideva. Era una mossa retorica, Galileo rifiutava qualsiasi autorità extra-scientifica. Ma Tycho Brahe fu fondamentale per preparare la scienza successiva e il tentativo di avere una buona convivenza con il programma teologico dell’epoca rientrava in un sano realismo. Feyerabend non accetta la pseudo serietà della vita accademica. E’ assolutamente necessaria oggi una netta separazione tra scienza e stato. Nelle scuole pubbliche finanziate dallo stato non deve essere insegnata la religione (solo nelle private).  La ricerca deve essere finanziata e insegnata da canali diversi, non dal solo stato che finanzia per i propri scopi, né solo dai baroni accademici che assegnano denaro a progetti scientifici “buoni” solo perché porta denaro agli staff loro afferenti. Non bisogna lasciare il monopolio della ricerca allo stato o ai grandi poteri. Gli scienziati migliori sono quelli aperti e consapevoli delle alternative ( come quelli del Mit di Boston, non come quelli della Sapienza di Roma…mi viene da aggiungere).  Conclude Feyerabend che nella scienza qualsiasi cosa può andar bene, è meglio una molteplicità delle teorie contro uno stupido DOGMATISMO, causa di una assoluta MEDIOCRITA’.
 PAUL FEYERABEND

lunedì 8 ottobre 2012

VERSO IL FLOP L'EOLICO AMERICANO


Eolico USA in crisi: Siemens licenzia 600 dipendenti


Tira una brutta aria per l’eolico USA. Siemens sta per tagliare oltre 600 dipendenti nei suoi impianti americani di produzione di energia eolica. Si tratta di oltre un terzo del 1.650 addetti complessivi, che perderanno il posto di lavoro a causa della concorrenza del gas naturale, che continua ad avere prezzi molto bassi, dell’incertezza sul futuro degli incentivi statali e da un generale calo degli ordini.
Il taglio più consistente riguarderà l’impianto di Fort Madison, che perderà ben 407 dei suoi 660 dipendenti. Solo due anni fa, il presidente Obama si era detto convinto che proprio quello stabilimento potesse dare nuova linfa all’economia locale, dichiarandosi molto felice di vedere che un impianto inattivo e abbandonato fino a poco tempo prima fosse diventato “vivo e con 600 dipendenti che canticchiavano”.
E se la profezia presidenziale per Fort Madison non si è avverata, poco hanno da gioire anche gli addetti degli stabilimenti eolici Siemens del Kansas e della Florida, dove sono previsti gli altri tagli del personale. Secondo l’azienda, uno dei problemi principali riguarda il futuro del credito d’imposta, il cosiddetto Wind energy production tax credit.

Si tratta di un meccanismo di incentivazione fiscale per l’energia eolica che potrebbe essere presto abolito, viste le recenti dichiarazioni del candidato repubblicano alla presidenza USA Mitt Romney. Insieme alla concorrenza spietata del gas, questa incertezza sta mettendo in ginocchio l’intero comparto, tanto che anche altre società, come Vestas e Windpower Clipper hanno già ridotto il numero dei loro dipendenti.
Secondo la American Wind Energy Association, in assenza di una conferma del credito d’imposta il numero degli impiegati nel settore eolico potrebbe risultare praticamente dimezzato nel giro di un anno, dai 78.000 addetti attuali ad appena 41.000 nel 2013.

Dal sito greenstyle.it