La specie Homo sapiens
potrebbe avere presto un triste primato. Avere distrutto tutte le altre specie
viventi e se stessa nel giro di 50000 anni, il ciclo della sua esistenza. E’ un
ciclo breve, brevissimo in termini evolutivi, un nulla rispetto alla durata di
altre specie. Lo scorpione, ad esempio, esiste da 400 milioni di anni.
Paradossalmente questo brevissimo ciclo di vita deriva dal possesso di una
qualità della specie Homo: la sua mente provvista di intelligenza. Un amaro
paradosso. Ugo Morelli nel suo ultimo libro “Mente e Paesaggio: una teoria
della vivibilità” si chiede che cos’è che non ha funzionato nella mente
dell’uomo e nel suo rapporto con il mondo naturale. L’Autore individua subito
il centro del problema: “Dobbiamo rivalutare un pensiero diverso
dall’oggettivismo scientifico che ci ha portato a vedere nel mondo un insieme
di cose di cui appropriarci e da trasformare e stravolgere in base alle nostre
esclusive esigenze di specie (pensiero antropocentrico)”. Per uscire dal vicolo
cieco ci sono oggi le indicazioni delle neuroscienze e l’approccio innovativo
della fenomenologia che ha messo al centro l’importanza del corpo e delle
emozioni nella esperienza, rivalutando un soggetto non più distaccato nel
dualismo anima-mondo, ma come parte della natura che ritrova nel rapporto tra
mente e natura il senso della
vita. Il nuovo soggetto non è più quindi un padrone assoluto, ma il referente
di un rapporto che superi il muro del dualismo che da Cartesio a Hegel lo ha
contrapposto alla natura. Al posto
di quel dualismo ci deve essere una prospettiva integrata volta a comprendere
la coscienza, la mente incarnata, le emozioni, l’affettività e la persona al
centro dell’esperienza estetica: una appartenenza ritrovata. Ciò fa si che “per
noi appartenenti alla specie Homo sapiens sapiens una cosa non sia mai solo una
cosa ma il significato che noi le attribuiamo nelle relazioni e nei giochi
linguistici, ci consenste di cambiare idea sul mondo, di vederlo con altri
occhi, di generare l’inedito, di accedere all’estetica del mondo o
esteticamente al mondo. Il
paesaggio è un’eccedenza di senso rispetto ad un luogo e a un territorio ed
emerge dall’accesso al mondo intorno a noi e dal riconoscimento della sua
estetica. –Il paesaggio non è natura: è cultura proiettata su montagne, oceani,
foreste, vulcani e deserti- scrive Remo Bodei…Appare perciò necessario prestare
attenzione ai segni e alle risposte corporeo-psichiche profonde che le immagini
del mondo lasciano emergere nell’esperienza umana”…”L’idea di un uomo solo che
guarda il paesaggio può quindi essere messa in discussione, sviluppando una
posizione critica allo spiritualismo. La mente relazionale, incorporata,
situata in una cultura, non è ma diviene mentre il cervello fa. E’ il corpo a
dar forma alla mente…” e quindi è il paesaggio che ci trasforma mentre ne
percepiamo la bellezza, ci trasmette senso e ci identifica.
Ma allora perché la nostra
civiltà sta distruggendo il paesaggio, la natura e con essa le altre specie
viventi? Che cos’è che ci ha fatto dimenticare la nostra appartenenza alla
natura, il nostro corpo come parte di un tutto, che ci ha portato a renderci distruttori della
vita e di noi stessi? Certamente c’è lo sfruttamento economico delle risorse,
l’appagamento delle nostre brame di possesso e sfruttamento, espressione di un
pensiero distaccato dalla natura. “Il primo cambiamento necessario appare
quello di giungere a far convivere nell’immaginario e nell’esperienza pratica
la nostra appartenenza locale con una coscienza planetaria. Ernesto de Martino
ha detto che solo chi ha un villaggio nel cuore ha la possibilità di misurarsi
ed esprimersi nel mondo”. Poi ritrovare il nostro posto tra la natura senza
egoismi di specie. Stephen Jay Gould
così comprende la nostra posizione: “ Io temo che l’Homo sapiens sia una cosa
minima in un vasto universo, un evento evolutivo estremamente improbabile
nell’ambito della contingenza” e ciò è una fonte di libertà e di consapevole
responsabilità morale. Riconoscere che la nostra evoluzione è frutto della
contingenza e che potevamo non esserci, ammettere il ruolo determinante del
caso ci permette di riconoscere la nostra appartenenza alla natura e creare le
condizioni di una nuova vivibilità. Ciò è ovviamente in contrasto totale con il
pensiero religioso che vede l’universo come finalizzato all’uomo, espressione
pura di antropocentrismo. Pensiero che non appartiene solo alla religione ma
anche a tante posizioni laiche. Ciò che non è uomo, il resto della natura
diviene per costoro uno sfondo, in parte minaccioso. E’ con questo pensiero
oggettivante ed egoistico che siamo giunti ad una soglia pericolosa e sempre
più vicina che può portarci alla distruzione e all’autodistruzione. Oggi
abbiamo una prima e anche ultima possibilità. Prima perché oggi abbiamo gli
strumenti teorici per intervenire. “Agli spiazzamenti o ferite inferti alla
nostra vanità e alla nostra presunzione di centralità, che già Freud aveva
segnalato, riguardanti lo spodestamento della Terra dal centro dell’universo da
parte di Copernico, la ricollocazione dell’uomo nel flusso evolutivo da parte
di Darwin, la scoperta dell’inconscio e del fatto di non essere padroni in casa
propria da parte dello stesso Freud, si aggiunge oggi il riconoscimento dei
rischi di specie riguardanti la forma di sviluppo autodistruttivo che ci siamo
dati”. Ultima perché il tempo è scaduto e ciò che sta accadendo al pianeta con il riscaldamento globale e la distruzione generalizzata degli ambienti naturali, con l'esaurimento delle risorse, dell'acqua e l'inquinamento generale, sono talmente evidenti e davanti agli occhi che anche le menti più antropocentriche si stanno allarmando.
Sul problema pratico del “che
fare” Morelli propone giustamente una rivoluzione nei modelli che configuri
nuove proposte rispetto al modello classico della crescita infinita. A questo
scopo occorre ri-figurarsi, ripensare il paesaggio e la vivibilità con
l’apprendimento e l’educazione. “In particolare l’educazione può concorrere a
elaborare i conflitti fra i nostri comportamenti effettivi e consolidati e le
nostre capacità di apprendimento e innovazione. Il paesaggio che creiamo
contiene e si naturalizza mentre lo creiamo.” Una scienza della formazione
basata sull’apprendimento è in realtà
una scienza dei sistemi sociali, o una scienza delle modalità evolutive
dei sistemi umani e sociali, perché l’apprendimento non è solo un problema di
aule scolastiche, universitarie o di scuole materne. L’apprendimento ha a che
fare con i vincoli e le possibilità che incontriamo a livello delle menti
individuali e menti collettive ogni volta che siamo di fronte al cambiare idea
su qualcosa, a cambiare comportamento intorno a qualcosa. Il cambiamento di
idee e comportamenti intorno al paesaggio come spazio di vita e alla vivibilità
è di portata epocale e intriso di profonde difficoltà. Dobbiamo rivedere tutto
dal concetto di crescita a quello di esercizio del potere, alla asimmetria dei
diritti che spesso ci alienano dalla responsabilità verso il resto della
natura. Citando Bateson, noi non possiamo pensare di comprendere, né tanto meno
di cambiare, un sistema vivente senza farne parte. Riconoscere questa
inevitabile interdipendenza è importante per ogni processo di conoscenza e di
cambiamento.
Ma aggiungo che lo stimolante
testo di Morelli si ferma anch’esso su una soglia, su quella stessa soglia su
cui si fermano tenti discorsi ambientalisti contemporanei. Eppure questa soglia
che sembra richiedere tanto coraggio da parte del movimento ecologista è
essenziale a capire i problemi e invertire la rotta . La soglia che neanche
Morelli è in grado di varcare è quella della denuncia aperta e chiara del
problema della sovrappopolazione. Il problema dei problemi, quello che esprime
in maniera paradigmatica a cosa ci sta portando il pensiero antropocentrico: il vedere l’uomo solo l’uomo e i suoi
infiniti diritti di crescita. Perché la crescita che ci sta portando alla
distruzione non è solo quella economica, anzi questa è un derivato dell’altra
ben più pericolosa e insostenibile: la natalità eccessiva della specie con i sette miliardi di umani che
soffocano il pianeta. Da Morelli ci aspettavamo un po’ più di coraggio e una
presa di posizione più netta che rendesse
più incisivo e veritiero il suo saggio.
<< La soglia che neanche Morelli è in grado di varcare è quella della denuncia aperta e chiara del problema della sovrappopolazione. >>
RispondiEliminaCaro Agobit, mi associo alla tua sconsolata denuncia.
Il fatto è che quasi tutti coloro che auspicano un ritrovato equilibrio tra uomo e natura stanno inseguendo (invano) l'uomo nuovo (che non arriverà mai) e dimenticano quello vecchio.
Un uomo che è intrinsecamente (geneticamente) egoista, ma proprio perchè tale, può capire che limitare la popolazione mondiale E' NEL SUO INTERESSE EGOISTICO.
Peccato.
Caro Lumen,
RispondiEliminala demagogia dell' "uomo nuovo" ha, come giustamente fai notare, fatto molti danni. Ora si tratta di lanciare un nuovo slogan: "meno uomini più natura".