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venerdì 23 gennaio 2015

La cecità dei demografi




C’è una sempre maggiore distanza tra quello che prevedono i demografi e quella che è la realtà dei fatti. Da alcune decine di anni per l’Italia i demografi prevedono un inverno demografico con una popolazione totale in caduta libera. Negli stessi anni la popolazione italiana è aumentata, al contrario, da 45 milioni a 62 milioni. Se fossimo in un paese serio cacceremmo via i demografi dalle loro cattedre universitarie e dai loro istituti per manifesta incapacità. Per l’Europa non siamo messi molto meglio. Da anni i demografi prevedono una continua diminuzione della popolazione ( l’ultimo studio pubblicato prevede un calo dagli attuali  circa  780 milioni verso i 650-700 milioni nel 2050). Al contrario la popolazione in Europa cresce costantemente da decine di anni e secondo alcuni istituti, più oggettivi, si va verso il superamento della soglia degli 800 milioni nei prossimi anni. Che cosa determina questi errori grossolani dei demografi?
Innanzitutto una banale dimenticanza.  Secondo un rapporto Cnel pubblicato nel 2011 sono previste ondate immigratorie soltanto per quel che riguarda la provenienza dall’Africa di circa due milioni di immigrati in Europa all’anno fino al 2050 (due milioni all'anno!). Senza contare gli altri milioni previsti dall’Asia e da altri paesi a forte emigrazione come il medio oriente. Ma pare che da questo orecchio i demografi ufficiali non ci sentano: per loro semplicemente questi fenomeni immigratori non esistono o sono irrilevanti. Tra l’altro le nuove popolazioni portano nel loro bagaglio culturale l’alta prolificità e pertanto contribuiscono al rialzo dei tassi di natalità del continente europeo; ma anche  questo dato  i demografi ufficiali mettono nel dimenticatoio. Un altro errore dei demografi –e qui forse c’è lo zampino di una certa visione cattolica del problema- è quello di sottostimare i reali tassi di natalità e il rapporto tra natalità e diminuzione della mortalità che porta la popolazione a crescere pur in presenza di una natalità stazionaria o di poco in salita. Allarmare la popolazione su un inverno demografico inesistente e insitllare  nelle persone la preoccupazione su un probabile deficit di lavoratori per “pagare le pensioni” porta acqua al mulino di preti e demagoghi delle culle piene. Di fatto, anche facendo la tara del fenomeno immigratorio, assisteremmo in Italia ad una pur lenta crescita della popolazione,  più lenta di quella reale di oggi, ma pur sempre di crescita si tratterebbe. La realtà europea mostra poi l’evoluzione temporale della demografia nel vecchio continente con tassi di natalità in forte crescita –nonostante tutte le previsione dei demografi fino a ieri-  in Francia (la popolazione francese è passata da 42 milioni nel 1950 a 65 milioni oggi), in Inghilterra e persino in germania (8,33 nascite/1000 di popolazione) , nonostante che i tassi di occupazione delle donne tedesche siano superiori rispetto alla Francia. I livelli di cementificazione e di scomparsa delle aree verdi conseguenti all’aumento di popolazione residente  è ormai preoccupante specie intorno alle grandi città come Parigi, Londra o Berlino. L’urbanizzazione delle aree rurali  è ormai un dato di fatto in tutta Europa e i tassi di inquinamento ambientale, nonostante tutte le politiche di repressione e regolamentazione, sono altissimi. La Germania, tra i pianti dei demografi sul declino demografico,  è passata da 70 milioni di abitanti negli anni cinquanta agli attuali 83 milioni, di cui 15 milioni di origine immigratoria.
Avere un quadro chiaro sull’evoluzione demografica nei paesi europei da parte dei demografi è purtroppo impresa impossibile e inutile. Il pregiudizio sul calo della natalità e sul declino demografico è ormai diventata una ideologia e da ogni parte si assiste al pianto greco sulla scarsa prolificità delle donne europee. Tutto questo mentre assistiamo alla devastazione delle nostre terre dovuta alla sovrappopolazione. Il mondo, come dicono gli ultimi studi proprio di questi giorni, si avvia sempre più velocemente ad un “global warming” che già pone problemi gravi per la sopravvivenza di molte specie viventi, eppure i demografi pensano ad altro, come se l’eccesso di popolazione mondiale non fosse alla base del fenomeno. Ma non ci sono solo i danni ambientali.  In Europa i cambiamenti demografici  riguardano anche  il mutamento culturale ed economico. Lo stanziamento di milioni di nuovi cittadini appartenenti a culture diverse  porta a nuovi conflitti tra popolazioni di diverse tradizioni, a contrasti religiosi, alle limitazioni della libertà di espressione, a competizione per le risorse, al terrorismo,  a guerre nelle aree di provenienza.  La crisi economica è aggravata  dal peso sempre crescente di politiche assistenziali a fronte di una produzione sempre meno capace di innovazione tecnologica e di competitività nei mercati. Come in tutte le aree in cui le popolazioni sono in crescita, anche in Europa le risorse economiche sono spostate dalla ricerca e l’innovazione verso l’assistenza e il welfare dei nuovi e vecchi residenti. L’Italia importa povertà ed esporta cervelli, ma la situazione europea non è molto migliore. 

venerdì 16 gennaio 2015

Voltaire e l'importanza della satira




Nel suo libretto “L’ingenuo” Voltaire racconta di un selvaggio del nord america, un Urone, che portato in Francia descrive, alla luce del suo buon senso e della sua ragione priva di pregiudizi , le usanze e i riti della chiesa cattolica mostrandone il lato comico e irrazionale. Quando tanti anni fa lessi Voltaire ero ancora un credente, ma quella lettura fu per me molto importante perché contribuì a farmi diventare un laico. Ricordo di essermi divertito alla descrizione di come l’Urone non si capacitava di come i francesi adorassero un "cadavere appeso ad un trespolo" e gli accendessero candele così come si fa, appunto, con i morti.O di quando alla luce dell’evangelico: “confessatevi i peccati l’un l’altro” al termine della confessione che gli era stata imposta, l’Urone avesse tirato fuori a peso il frate dal confessionale e lo avesse messo al suo posto, ordinandogli a brutto muso di dire ora i suoi di peccati. Ugualmente pungenti le riflessioni e le descrizioni ironiche  del filosofo verso la religione, i suoi riti e le sue credenze nel suo Candido. Era satira, buona satira contro le religioni confessionali, contro l’intolleranza, la tirannide chiesastica ed ogni potere che pretenda di comprimere la ragione e la libertà dell’uomo. Senza quella lettura sarei stato meno libero di scegliere la mia strada, più soggetto alle imposizioni del potere.

“L’errore e l’ignoranza sono la causa unica dei mali del genere umano, e gli errori della superstizione sono i più funesti, perché corrompono tutte le sorgenti della ragione, e il fanatismo che li alimenta spinge a commettere il delitto senza rimorso” (Voltaire).

Oggi Voltaire prenderebbe di mira gli islamici e  subirebbe certamente una "fatua" dagli integralisti islamici. Ma senza Voltaire tutti noi saremmo meno liberi di scegliere la propria strada.  Nella mia formazione personale quella satira fu utile, mi fece aprire gli occhi, mi spinse verso il laicismo, verso il rifiuto di ogni religione rivelata per essere più libero nei miei pensieri e nei miei convincimenti. La satira di Voltaire contribuì al mio laicismo e senza di essa tutti noi occidentali saremmo più poveri di cultura laica e meno liberi. Rinunciare alla satira ci porta ad  una società più sottomessa al potere della istituzione religiosa e dei potenti che la rappresentano. La satira non può essere limitata, perché chi la limita si arroga il diritto di imporre verità stabilite da altri. Unica eccezione, come ha chiarito Popper nel suo testo  “La Società libera e i suoi nemici” è quello della violenza. Nessuna violenza o incitamento ad essa, anche verbale, può essere accettato in una società libera. Esattamente l’opposto di quello che accade da noi oggi in occidente: si critica la satira poiché deride la religione, come faceva Voltaire, e si accetta invece che barbuti imam minaccino, impuniti, di attentare alla vita di chi non si adegua ai loro diktat. La facilità con cui accettiamo di rinunciare a libertà acquisite da secoli e dimentichiamo il coraggio e lo spirito illuminista di Voltaire, di Locke, di Hume  e di Rousseau, ci fanno capire come siamo fragili e come le conquiste della nostra libertà siano esposte ogni momento ad essere soffocate, se non le difendiamo con la schiena dritta e la coscienza di ciò che rappresentiamo.
Ps: anni dopo quelle letture, quando mi recai a Parigi per la prima volta, volli andare a visitare la tomba di Voltaire al Pantheòn. L’emozione fu grande nel vedere la sua statua sulla tomba: il volto era atteggiato ad un sorriso ironico, a rappresentare la forza della sua satira contro l’ignoranza e la superstizione religiosa e la determinazione del suo carattere. In quel sorriso della ragione nei riguardi dell'ignoranza era uno dei tratti fondamentali dell'occidente. Non ho mai dimenticato quel sorriso…

domenica 11 gennaio 2015

Lo scontro delle civiltà




“Quello che per l’Occidente è universalismo, per gli altri è imperialismo”  S.P.Huntington:  Lo Scontro delle Civiltà, 1996. Garzanti

 E’ senza dubbio uno dei libri più importanti scritti negli ultimi decenni ( edito nel 1996). E’ stato subito osteggiato dai “politically correct” di tutto il mondo, ma l’analisi della società mondiale e delle sue dinamiche dopo il crollo del muro di Berlino rimane di una lucidità insuperata. Le previsioni su quello che sarebbe accaduto nei venti anni successivi sono impressionanti per esattezza, comprese le dinamiche che hanno portato all’attacco dell’11 settembre e alle guerre successive. Huntington, esperto di “Foreign Affairs”, professore alla Harvard University e direttore dell’Institute for Strategic Studies, non trascura l’importanza dell’economia e degli scenari energetici. Su questa base spiega gli enormi cambiamenti in atto negli anni 90 nella società Cinese e la crescente importanza che la Cina  e l’India e gli altri paesi asiatici, avrebbero acquisito sul quadro mondiale degli equilibri strategici. Ma quel libro ha una importanza staordinaria anche per un altro fondamentale motivo: per la prima volta in maniera così esplicita un osservatore tanto acuto pone in evidenza il ruolo della demografia nel disegnare gli scenari strategici del mondo futuro, mostrando come i sollevamenti e le rivoluzioni in atto nei paesi islamici e i consistenti flussi migratori già in atto ( e di cui era possibile prevedere il successivo grande aumento) fossero tutti collegati agli alti tassi di natalità di quelle popolazioni.

“La Rinascita islamica, è stato sostenuto, è stata anche un prodotto del declinante potere e prestigio dell’Occidente…Via via che l’Occidente perdeva il proprio ascendente universale, i suoi ideali e le sue istituzioni hanno perso attrattiva. Più specificamente, la Rinascita islamica è stata stimolata e alimentata dal boom petrolifero degli anni Settanta che ha enormemente accresciuto la ricchezza e il potere di molte nazioni musulmane e ha consentito loro di rovesciare il tradizionale rapporto di dominio-asservimento con l’Occidente…Il sopraggiunto benessere ha introdotto nei musulmani un cambiamento da un sentimento di attrazione nei confronti della cultura occidentale a un profondo coinvolgimento nella propria cultura, nonché al desiderio di incrementare la presenza e l’importanza dell’Islam nelle società non islamiche…Se la grande spinta generata dal rincaro del petrolio venne ad affievolirsi negli anni Ottanta, lo sviluppo demografico ha continuato a fungere da incessante motore propulsivo. Se l’ascesa est-asiatica è stata alimentata da spettacolari tassi di crescita economica, la Rinascita dell’Islam è stata sostenuta da altrettanto spettacolari tassi di crescita demografica. L’aumento di popolazione nei paesi islamici, in particolare nei Balcani, nel Nord Africa e in Asia Centrale, è stato molto maggiore  di quello registrato nei paesi confinanti e nel mondo in generale. Tra il 1965 e il 1990, la popolazione complessiva del pianeta è passata da 3,3 a 5,3 miliardi, e il tasso di crescita annuo è stato dell’1,85 %. Nelle società musulmane il tasso di crescita è stato quasi sempre di oltre il 2 per cento, e ha spesso superato il 2,5 e a volte anche il 3 per cento. Pakistan e Bangladesh hanno avuto un tasso di crescita demografica di oltre il 2,5 per cento annuo, e l’Indonesia di oltre il 2 per cento. Nel complesso, i musulmani costituivano grosso modo il 18 per cento della popolazione mondiale nel 1980; nel Duemila supereranno probabilmente il 20 per cento, e nel 2025 raggiungeranno il 30 per cento. 
(“Lo Scontro delle Civiltà, 1996, Garzanti pag. 166-167).

Con esattezza e preveggenza Huntington descrive poi come il forte aumento di numero dei giovani musulmani avrebbe portato allo sviluppo di movimenti di protesta, instabilità, estremismi e cosidette rivoluzioni (in questo caso identitarie e regressive). I giovani islamici si sarebbero rivelati l’asse portante della Rinascita islamica, fungendo da serbatoio delle organizzazioni e dei movimenti politici islamisti. Non per nulla i fondamentalisti finanziati dai proventi del petrolio hanno basato la loro azione di proselitismo e rinascita politica sulle scuole islamiche e sullo spostamento di milioni di giovani dalle campagne nelle città e  nelle migrazioni verso l'occidente infedele. Anche in occidente la formazione religiosa dei giovani islamici è stata accentrata dagli imam delle scuole affiliate alle moschee.
A questi scenari ha contribuito l’esaurirsi della spinta ideale e politica dell’Occidente. Paradossalmente la fine della guerra fredda con il mondo comunista ha portato l’Occidente a perdere la massa critica della propria cultura basata sugli ideali di libertà dell’individuo e sul progresso sociale, mostrando invece il lato deteriore del consumismo fine a se stesso. L’arroganza  dei gruppi finanziari come il Fmi e le grandi banche e l’uniformizzazione del modello occidentale su cui si è realizzata la globalizzazione degli anni 90 e i primi anni del nuovo secolo,hanno portato all’acuirsi di quello scontro tra culture, su cui sia la Cina, le altre culture asiatiche e sia il mondo musulmano hanno basato la loro azione di opposizione al modello unico americano-occidentale. Un modello che risultava spesso distruttivo per le  tradizioni e la cultura locale degli altri popoli.
L’importanza della cultura e di quell'aspetto particolare di essa che è l'appartenenza religiosa era stata dimenticata dall’illusione universalistica degli intellettuali occidentali, specialmente di sinistra. Marx aveva relegato la cultura ad una sovrastruttura derivata dall’economia, ed aveva addirittura rifiutato la religione come un aspetto decadente (l'oppio dei popoli). Kant aveva creduto possibile sostituire alle varie culture di appartenenza una ragione universale astratta, in teoria in grado di unificare il mondo in un'epoca di pace, in realtà foriera di numerose conseguenze nefaste: dai conflitti del novecento alla uniformizzazione tecnico-scientifica del pianeta.    Huntington, nel suo libro, fa notare questo errore di fondo, e riconosce invece nelle tradizioni e nella appartenenza alla propria cultura una delle forze fondamentali in azione da sempre nella storia e a maggior ragione dopo la fine della guerra fredda. La cultura di appartenenza di un popolo, lungi da essere una sovrastruttura, rimane quella struttura identitaria di fondo che guida l'azione e il modo di vedere di quella popolazione, ne genera le aspettative e ne spiega le motivazioni dei conflitti. Purtroppo la storia di questi giorni è la conferma che il lavoro degli intellettuali occidentali si basava su una arroganza e su certezze che si sono rivelate dannose e inconsistenti. La cultura occidentale sia nella versione europea sia in quella dominante angloamericana, non solo non è stata in grado di assicurare il controllo politico ed economico del pianeta, ma è andata incontro ad una crisi che ne mostra tutte le fragilità e le false certezze. Mentre il nostro mondo è sempre più in crisi, le forze che si delineano sulla scena mondiale in qualità di future potenze geo-politiche  e del dominio economico e militare,  si basano su visioni opposte o comunque incompatibili, ad esempio con il sistema democratico occidentale, e  sul controllo delle fonti energetiche, sul conseguente potenziale  economico e commerciale, sulla demografia. I tassi di natalità da alcuni decenni sono entrati coscientemente tra i fattori di lotta di nazioni in conflitto (come è avvenuto nello scenario arabo-israeliano, ma non solo). Insieme alla esplosione demografica i conseguenti fenomeni di inurbamento massiccio, creazione di sacche di povertà e disagio sociale,  migrazioni, degenerazione consumistica, aumento delle disuguaglianze e dei conflitti per le risorse, hanno portato all’aumento della violenza e allo scontro tra civiltà contrapposte. Tutto questo mentre le risorse ambientali del pianeta sono in via di esaurimento e una crisi ecologica dirompente incombe sul futuro di tutta l’umanità. Eppure il dibattito sul libro di Huntington è stato presto soffocato dall’ondata di buonismo e di politicamente corretto che rende mellifluo e inutile il dibattito su ciò che bisogna fare per tentare, almeno tentare, di salvare il pianeta. Finché non sarà troppo tardi.