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domenica 27 dicembre 2009

DUE CONCEZIONI DEL MONDO



Nove miliardi di umani nel 2050: ecco il grande disastro ambientale che ci attende, che è prossimo, molto più vicino e concreto di tanti allarmi sul clima e sugli inquinanti. Nove miliardi di consumatori, una massa umana la cui attività trasformerà in maniera cataclismatica il pianeta terra in un groviglio di strade e casermoni di cemento, fabbriche e città; il mondo come contenitore di umani. Il futuro non vedrà più ideologie e bipolarismi destra-sinistra ma un'unica polarità: il mondo antropizzato. L'ambiente della fauna e della flora azzerato da un mondo di prodotti dell'attività antropica.DUE sono le VISIONI DEL MONDO che oggi si affrontano: una, quella attualmente dominante che vede il mondo come CONTENITORE DI UMANI che non fanno altro che consumare e crescere, l'altra che vede il mondo come un sistema di equilibri in cui gli umani sono solo una e NON ESCLUSIVA delle componenti. S'impone oggi una lotta alla SUPERSTIZIONE ANTROPOCENTRICA della natalità e della crescita demografica. Una lotta alla SUPERSTIZIONE RELIGIOSA dell'uomo come padrone del mondo, di un mondo fatto solo per l'uomo da un crudele Dio antropomorfo. Politiche di salvezza per il mondo saranno la democrazia laica, il rispetto e la liberazione della donna con il conseguente calo di fertilità, le politiche anticoncezionali e di sostegno alla denatalità, la pianificazione familiare per dedicare le risorse allo sviluppo economico e tecnologico invece che alla sussistenza a livelli proletari di famiglie in sovrannumero di figli con troppe bocche da sfamare. NO alla visione antropocentrica del mondo, SI all'armonioso rapporto tra umani, animali e vegetali in un ambiente naturale.NON c'è una terza via: o faremo del mondo un contenitore della crescente massa umana e la pattumiera dei suoi scarti, o lo salveremo come il pianeta in cui è ancora bello e dignitoso vivere. A noi la scelta, adesso.

venerdì 11 dicembre 2009

Ipocrisia a Copenaghen

Uno spettro s'aggira a Copenaghen, lo spettro della Sovrappopolazione. Un pianeta soffocato da sette miliardi e mezzo di umani che presto saranno dieci miliardi. Ma per i grandi e piccoli della terra il problema non esiste. Miliardi di esseri umani che, solo per l'alimentazione e la sussistenza (abitazione, riscaldamento) stanno portando alla distruzione di milioni di ettari di foresta e alla cementificazione intensa di immense aree ex verdi. Ci si chiude gli occhi per non vedere, ci si tappa le orecchie per non udire. Si parla di ridurre le emissioni di CO2 come se il problema fosse di porre filtri alle ciminiere o costruire mulini a vento. Si spera negli specchietti solari, ma nessuno guarda in faccia il pianeta ridotto ad un contenitore di immense masse umane, le vaste megalopoli inquinate e sovraffollate e per questo cariche di aggressività e violenza. Alcuni imbecilli sperano nella nuova ideologia della decrescita (ovviamente della economia, non della popolazione, tutt'altro!): la chiamano DECRESCITA FELICE!
Si illudono che la gente volontariamente abbandoni automobili e aerei per tornare alla carrozza trainata da cavalli e alla mongolfiera. Sognano cinesi e americani intenti a coltivare carote e fagiolini in colcoz collettivisti. Ma i Cinesi non costruiscono più biciclette, oggi fabbricano SUV! Le politiche demografiche, che pure in passato avevano avuto qualche successo, consentendo lo sviluppo di alcuni paesi arretrati specie in Asia, oggi non vengono più supportate e quasi nessuno ne parla. I Soloni dell'ecologia politically correct se la prendono con il capitale, che è invece l'unico sistema in grado di sfamare le masse. NESSUNO al consesso di Copenhagen ha detto che al ritmo di ottanta milioni di inquinatori- consumatori al giorno in più (tale è la crescita demografica attuale) non ci sarà nessuna inversione di tendenza, e la politica ipocrita della riduzione marginale dei gas di scarico non servirà all'ambiente e porterà solo ad un aumento delle tasse sui cittadini. In questo modo il vero scarico è quello della coscienza e il mondo è avviato alla distruzione ambientale. Senza una politica di riduzione del tasso demografico vivremo presto in una immensa Honkong sotto un cielo scuro di fuliggine.

mercoledì 25 novembre 2009

Allungamento della vita e sovrappopolazione

di Ramez Naam
L'articolo originale sul sito dell'Institute for Ethics and Emerging Technologies

Quando si parla di interventi tesi all'allungamento radicale della vita, si sentono sempre le stesse domande: "Dove la metteremmo tutta questa gente?" "E la 'bomba demografica?'" "Non siamo già troppi?" Ramez Naam ha dedicato un capitolo del suo More Than Human proprio a tali domande.



Che impatto avra' l'estensione della vita sulla popolazione globale? Certamente, qualunque fattore mantenga più gente in vita più a lungo, farà anche crescere la popolazione, ma la crescita demografica procede in modo controintuitivo. Si consideri, per esempio, il fatto che le nazioni con le aspettative di vita più lunghe sono anche quelle la cui popolazione è stabile o in declino. Secondo le Nazioni Unite, nei prossimi 50 anni le popolazioni di Giappone, Italia, Germania e Spagna diminuiranno, nonostante il fatto che il Giappone abbia le più lunghe aspettative di vita al mondo e che quelle delle nazioni europee siano su livelli molto vicini. In fondo alla classifica troviamo invece popolazioni in rapida crescita in quei paesi dove le aspettative di vita sono relativamente brevi: nazioni come India, Cina, Pakistan e Nigeria.

Storicamente, i tassi di natalità e di mortalità sono sempre stati molto alti. Nell'anno 1000, il tasso di natalità annuo era di circa 70 nascite per 1000 persone, mentre il tasso di mortalità era di circa 69,5 per 1000. Ogni anno, quindi, un paese di mille abitanti avrebbe, in media, aumentato la propria popolazione di mezza persona, con un tasso di crescita dello 0,05%.

Man mano che una società progredisce, migliore alimentazione, servizi igienici e medicinali contribuiscono ad abbassare il tasso di mortalità. E quando le nascite superano di molto le morti, le popolazioni si espandono velocemente, come è accaduto nel XX secolo. Nelle ultime decadi, però, anche il tasso di natalità si è abbassato drasticamente, soprattutto nei paesi sviluppati. Quando una nazione raggiunge un certo livello di benessere, di educazione e soprattutto quando la popolazione femminile conquista più diritti, le risorse vengono dirette verso l'educazione e la carriere piuttosto che verso famiglie numerose. Questa tendenza demografica si sta ora diffondendo da Europa, Giappone e Nord America al resto del mondo. Globalmente, il tasso di natalità è di 21 nascite per 1000 persone e quello di mortalità è di 10 per 1000. Quindi, la popolazione mondiale sta crescendo approssimativamente dell'1%, cioè più lentamente che ad ogni altro momento degli ultimi secoli.

Essendo il tasso di natalità il doppio di quello di mortalità, i fenomeni che hanno un impatto sulla fertilità sono ben più significativi di quelli che impattano la mortalità. Per esempio, fra il 2000 e il 2050 l'ONU prevede, globalmente, 3,7 miliardi di decessi e 6,6 miliardi di nascite. Dimezzando il tasso di mortalità avremmo una crescita demografica di 1,9 miliardi, mentre raddoppiando il tasso di natalità avremmo altri 6,6 miliardi di persone. E' quindi evidente come il tasso di natalità sia il fattore più significativo per quanto riguarda la crescita demografica.

Stimare la crescita demografica futura è sempre difficile. Essa dipende, infatti, da quanto rapidamente la crescita economica migliorerà l'assistenza medica, la nutrizione e le fognature, nonchè, naturalmente, da quanto rapidamente calerà il tasso di natalità. Le Nazioni Unite producono ogni anno tre stime, uno scenario "alto", uno "medio" e uno "basso". La differenza fra tassi di natalità e tassi di mortalità è spesso di pochi punti percentuali fra i vari scenari, ma, su varie decadi, tali piccole differenze si fanno sentire. Nel 2000, la popolazione mondiale era di 6 miliardi e l'ONU predice che nel 2050 raggiungerà un livello fra gli 8 e gli 11 miliardi, con una predizione "media" di 8,9 miliardi.

8,9 miliardi di persone rappresenta una crescita del 50% sulla popolazione odierna. Eppure, tale crescita sarebbe ad un tasso corrispondente alla metà del tasso di crescita medio degli ultimi 25 anni. Si stima che il successivo balzo del 50% necessiterà circa il doppio del tempo ed è quindi previsto non prima del 2050. Nel 2100, lo scenario "medio" dell'ONU stima che la popolazione mondiale si stabilizzerà intorno ai 10 miliardi. Naturalmente, una previsione di quasi cent'anni nel futuro è particolarmente rischiosa, in quanto dipende dalla progressione indisturbata delle tendenze odierne e non tiene conto della possibilità di pandemie, di guerre mondiali, o di tecnologie che modifichino radicalmente l'umanità.

Le tecnologie per l'estensione della vita sono solo un'esempio di tali tecnologie, ma il loro impatto demografico sarebbe sorprendentemente limitato. Il demografo Jay Olshansky, nonostante un certo pessimismo nei confronti della fattibilità degli interventi mirati a rallentare l'invecchiamento, ha dimostrato come l'allungamento della vita avrebbe un impatto incrementale, piuttosto che esponenziale, sulla crescita demografica: "In pratica, anche se ottenessimo oggi l'immortalità, il tasso di crescita globale rimarrebbe più lento di quello visto nel dopoguerra con la generazione del baby-boom." Se l'intera popolazione mondiale fosse resa immortale in questo preciso istante, nel 2100 essa raggiungerebbe i 13 miliardi invece dei 10 miliardi oggi previsti, dato che il tasso di natalità è in declino.

L'immortalità di cui parla Olshansky non è però possibile: anche se fermassimo l'invecchiamento, incidenti, omicidi, suicidi e malattie infettive continuerebbero ad uccidere. Inoltre, la cura per l'invecchiamento non è esattamente dietro l'angolo. E' più probabile, invece, che otterremo le tecnologie necessaria a rallentare, ma non a fermare, l'invecchiamento, entro i prossimi 10-20 anni. Saranno poi necessari altri anni ancora perchè tali tecnologie divengano disponibili globalmente. Anche allora, però, l'impatto demografico non sarà istantaneo: coloro già in età avanzata, ovviamente, non otterranno sostanziali benefici da tecniche che rallentano l'invecchiamento. Saranno invece coloro di mezza età, o più giovani, a trarne i massimi benefici. La combinazione di questi fattori risulterà in un impatto graduale sulla popolazione mondiale.

Ecco un semplice esempio matematico (dato che non possiamo predirre esattamente quando le tecnologie per l'estensione della vita saranno disponibili, o quanto rapidamente si diffonderanno, dovremo affidarci a stime ipotetiche): supponiamo, dunque, che delle terapie efficaci per l'estensione della vita divengano disponibili nel 2015 e che l'anno successivo il tasso di mortalità globale cali dell'1% come diretta conseguenza del loro utilizzo. Supponiamo anche che il tasso di mortalità globale diminuisca di un'altro punto percentuale ogni anno successivo, così da ridurre la mortalità globale del 3% nel 2017 e quindi del 35% nel 2050. In questo ottimistico scenario, le aspettative di vita raggiungono i 120 anni nei paesi avanzati e i 113 nei paesi in via di sviluppo (e questo sarebbe un miglioramento senza precedenti, anche se paragonato a quanto ottenuto negli ultimi due secoli).

Ebbene, quanto significativo sarebbe l'impatto demografico di questo estremamente ottimistico allungamento della vita media? Togliendo dal numero di morti annue previsto dall'ONU le morti evitate dalle terapie anti-invecchiamento sopra citate (1% in meno nel 2016, fino al 35% in meno nel 2050), otteniamo una popolazione mondiale di 9,4 milliardi di individui invece degli 8,9 stimati dall'ONU.

Mezzo miliardo di persone in più non sono certo poche, ma come proporzione della popolazione mondiale stimata per il 2050, si tratta di meno del 6%, cioè meno dell'incremento demografico percentuale che si è avverato fra il 1970 e il 1973. Una crescita non trascurabile, ma altrettanto certamente non catastrofica.

Si noti, inoltre, che i demografi si aspettano, nei paesi in via di sviluppo, un calo della natalità più rapido di quello previsto dallo scenario "medio" dell'ONU. Una natalità anche solo del 5% più bassa, risulterebbe in una popolazione mondiale di circa 8 miliardi nel 2050 e nella possibilità di un ritorno ai livelli del 2000 (6 miliardi) nel 2100. Queste cifre sarebbero perfettamente raggiungibili con gli investimenti necessari. Una stabilizzazione demografica globale, seguita da un calo, dipende dalla diffusione di benessere, educazione e libertà nei paesi in via di sviluppo. Per esempio, le Nazioni Unite prevedono che la popolazione Europea subisca un calo dello 0.4% annuo da oggi al 2050 (al netto dell'immigrazione) e che la popolazione dei paesi in via di sviluppo rimanga più o meno stabile. Se i paesi in via di sviluppo riusciranno ad ottenere il livello di benessere dei paesi avanzati entro il 2050, osserveremo un rallentamento della crescita seguito dall'inizio di un declino della popolazione mondiale.

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venerdì 20 novembre 2009

Siamo troppi Tiziana Ficacci per NoGod

Parlare di sovrappopolazione spesso è sgradevole. Come è possibile che noi occidentali che abbiamo difficoltà e mille remore a tagliare le nostre emissioni nocive parliamo di tagliare i bambini?
I luoghi del mondo dove la popolazione cresce più rapidamente non emettono ossido di carbonio e hanno tassi di consumo alimentare minime. Il divario con l’occidente è così alto che per essere responsabile di una quantità di emissioni di gas pari a quella di un qualunque cittadino italiano (il romano abitualmente emette gas mefitici anche in metropolitana) dovrebbe mettere al mondo 262 figli. [Anche se le cose stanno cambiando: ormai i paesi "poveri" nel loro complesso inquinano di più dei paesi ricchi- comprendendo tra i poveri Cina e India. Ndr].
Possiamo noi con la pancia piena e seduti nelle nostre case alla giusta temperatura in qualsiasi stagione, col frigorifero bello pieno e la macchina – magari un suv – sotto casa, dire di tagliare i bambini?

I miliardi di persone che oggi praticamente non emettono gas, prima o poi si uniranno alle nostre abboffate, o almeno è quello che dovremmo augurargli se crediamo nella equa distribuzione della ricchezza. E le donne, devono continuare a somigliare a coniglie senza memoria di sé? Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (cfr l’ultimo Rapporto Unfpa sullo Stato della Popolazione Mondiale) stima che 350 milioni di donne che vivono nei paesi più poveri non avrebbero voluto l’ultimo figlio, ma non avevano i mezzi per prevenire la gravidanza, né la possibilità di ricorrere ad un aborto sicuro.

Per aiutarle concretamente a scegliere si dovrebbe creare una rete mondiale anti-Vaticano. L’ultimo sconsiderato anatema papale, che condanna aborto e contraccezione chiamando l’embrione bambino, meriterebbe che prendessimo i forconi marciando su sanpietro. Per poter guardare senza vergognarci tutte le donne e gli uomini che vivono nei paesi poveri del mondo.

domenica 25 ottobre 2009

NON ESISTE L'EFFETTO SERRA

"Se la Terra si surriscalda colpa del Sole: l’uomo non c’entra"
di Stefano Lorenzetto




Come smascherare la più colossale bufala del secondo millennio (anche del terzo) e vivere tutti felici e contenti. L’Ipcc, Intergovernmental panel on climate change, il foro intergovernativo sul mutamento climatico istituito dalle Nazioni Unite allo scopo di studiare il riscaldamento globale del pianeta, non avrebbe capito nulla. E pensare che nel 2007 gli hanno pure conferito il premio Nobel... I rapporti di valutazione periodicamente diffusi dall’Ipcc, che sono alla base di accordi internazionali come la Convenzione dell’Onu sui cambiamenti climatici e il mitico Protocollo di Kyoto, sarebbero carta straccia, più o meno.
L’Ipcc ritiene che il riscaldamento globale della Terra vada attribuito per il 92,5% ai gas serra prodotti dall’uomo, in primis all’anidride carbonica, e per il 7,5% al Sole. Tutto sbagliato. Semmai sembrerebbe vero il contrario: è il Sole che modifica il clima e surriscalda il pianeta, non l’anidride carbonica e le schifezze emesse dai veicoli e dalle industrie, che incidono sull’innalzamento delle temperature in misura marginale. Quindi la pretesa del Protocollo di Kyoto di abbassare del 5% entro il 2012 i valori di anidride carbonica rispetto alle emissioni che si registravano nel 1990, con la speranza che le colonnine di mercurio dei termometri si comportino di conseguenza, non è soltanto ardua: è soprattutto inutile. Perché il Sole se ne impipa altamente delle umane decisioni.
A dirlo è il professor Nicola Scafetta, uno scienziato di 39 anni originario di Gaeta, che nel 1998, dopo essersi laureato in fisica a Pisa, se n’è andato a continuare i suoi studi in un’università del Texas e poi s’è trasferito a far ricerca e a insegnare al Free-electron laser laboratory della Duke University, uno dei più prestigiosi atenei degli Stati Uniti, fondato nel 1838 a Durham, nella Carolina del Nord. Scafetta è membro dell’Acrim (Active cavity radiometer irradiance monitor), centro mondiale di studio dell’irradianza solare associato alla Nasa, l’ente spaziale americano. Insomma, è uno di quelli che da noi vengono definiti «cervelli fuggiti all’estero», anche se non gli piace essere chiamato così: «Non mi sento per niente un fuggitivo. Espatriare allo scopo di confrontarsi a livello internazionale è quasi un dovere per chiunque voglia fare scienza in modo serio».
Alcuni osservatori ritengono che Scafetta possa legittimamente aspirare a diventare premio Nobel per la fisica nel 2035. Per capire il motivo del lusinghiero pronostico, basta leggere la presentazione del suo lavoro fatta dall’Us Environmental protection agency: lo scienziato italiano è l’unico al mondo ad aver elaborato una previsione scientifica sull’evolversi delle temperature planetarie da qui al 2100. Se le temperature seguiranno la sua previsione, continueranno a diminuire fino al 2030 per poi aumentare di nuovo fino al 2060. Ma già dal 2035 si potrà dire se si saranno comportate o no «alla Scafetta». E, in caso affermativo, sarà stato il nostro connazionale ad aver indicato a tutti come affrontare un problema altrimenti inintellegibile. Finora gli studiosi mondiali si sono accontentati di presentarci in proposito soltanto «scenari», che stanno alla scienza quanto i «se» stanno alla storia. Ma, come la storia non si fa con i «se», così la scienza non si fa con gli «scenari».
In parole semplici, di cosa s’è occupato?
«Ho simulato sistemi fisiologici per la diagnosi di ipossia e iperossia in pazienti a rischio».
Che c’entrano la diminuita e l’aumentata concentrazione di ossigeno nei tessuti del corpo umano? Pensavo che lei s’occupasse di clima.
«Anche. In realtà mi occupo di applicare modelli statistici a sistemi complessi non lineari, come quello che ho appena detto o come, appunto, le influenze del Sole, più precisamente dell’intero sistema solare, sul clima terrestre».
Oggi il «politicamente corretto» afferma che è l’uomo, con le sue emissioni di gas serra, a governare, anzi a sgovernare, il clima. Lei invece sostiene che è l’intero sistema solare, ho afferrato bene?
«A teorizzare che l’uomo governa il clima, e a essere stato insignito del premio Nobel per tale teoria, è l’Intergovernmental panel on climate change. Ma si ricordi che fu, quello dato all’Ipcc, un Nobel per la pace, non per la scienza. Secondo questi signori, il nostro pianeta rischia di raggiungere un punto di non ritorno se non s’interrompono al più presto le emissioni di CO2».
Cioè di anidride carbonica. E invece lei non crede a questo rischio?
«La Terra in passato, nel periodo cosiddetto Cambriano, 500 milioni d’anni fa, ha avuto già occasione di raggiungere questo presunto punto di non ritorno, quando la concentrazione di CO2 fu non 1,2 volte superiore ai livelli pre-industriali, com’è oggi, bensì 20 volte, diconsi 20, più elevata. Purtroppo l’umanità non misura gli eventi col metro della storia, in questo caso preistoria, ma con quello della cronaca. Senza rendersi conto che un secolo o due secoli sono niente, sul calendario del tempo. E gli eventi climatici seguono il calendario del tempo».
Com’è che all’Ipcc sono giunti alle loro conclusioni, a suo avviso avventate per non dire totalmente sballate?
«Fondandosi su modelli climatici chiamati General circulation models, che sono stati poi usati per fare proiezioni nel corso del XXI secolo, assumendo diversi scenari possibili. Questi modelli furono sviluppati prima del 2004, quando si credeva che la temperatura del pianeta fosse rimasta quasi costante nei mille anni precedenti all’era industriale. La credenza ebbe origine da un’analisi statistica effettuata nel 1998 da uno studioso, Michael Mann. Oggi sappiamo che è completamente errata. Inoltre, i cambiamenti climatici sono fortemente condizionati dalle nuvole, dal vapore acqueo, che è in assoluto il principale gas serra, e dalle correnti oceaniche, e i modelli attuali non tengono correttamente conto di questi contributi. I modelli hanno predetto un riscaldamento continuo della Terra in concomitanza con una continua crescita di CO2 durante gli ultimi dieci anni, ma questo riscaldamento non s’è avuto né negli anni dal 1940 al 1975, cioè in pieno boom industriale, né negli ultimi otto anni: in entrambi i periodi s’è osservato un raffreddamento del clima, non un riscaldamento. Inspiegabile, non trova?».
Trovo.
«E se si usano i modelli all’incontrario, cioè per “predire” il passato, essi non riproducono il forte riscaldamento occorso negli anni dal 1910 al 1940. Infine, i modelli che ho citato predicono un riscaldamento piuttosto vistoso nella media e alta troposfera, a circa 10 chilometri sopra l’equatore, ove invece le misurazioni satellitari degli ultimi trent’anni registrano un rinfrescamento».

Ha dell’altro da dire contro questi modelli?
«Be’, sì. Numerosi dettagli suggeriscono che essi non riproducono le oscillazioni viste per decenni nei dati della temperatura. E sistematicamente sottostimano gli effetti dei cicli solari sul clima».
Siamo giunti al cuore della questione: il Sole. Don Ferrante nei Promessi sposi incolpa le stelle dell’epidemia di peste. Lei invece attribuisce alla stella più vicina alla Terra il surriscaldamento del pianeta.
«Già. La domanda che una persona sensata dovrebbe porsi è: che cosa ha causato il riscaldamento della Terra nel trentennio 1910-1940, quando le emissioni di gas serra provocate dall’uomo erano pressoché irrilevanti? E scoprirebbe così che quello fu un periodo di forte crescita dell’attività solare, al pari del ciclo di circa tre secoli noto ai geologi come “periodo caldo medievale”. Mentre un periodo di scarsa attività solare, chiamato dagli astronomi “minimo di Maunder”, fu quello dei tre secoli attorno al 1600, noto ai geologi come “piccola era glaciale”».
Lei s’è posto la domanda.
«Sì. Ma ho seguito un approccio completamente diverso dall’Ipcc per rispondermi».
Mi spieghi questo approccio.
«Ci provo. Vede, i modelli dell’Ipcc, nel tentativo di contemplare la massima quantità di informazioni possibili, hanno incluso un numero enorme di parametri. Ma con un numero enorme di parametri liberi si può ottenere qualunque risultato. Il grande matematico John von Neumann usava dire: “Datemi 4 parametri e vi simulo al calcolatore un elefante; datemene 5 e gli faccio muovere la proboscide”. I modelli climatici, sebbene contengano centinaia di parametri, o forse proprio per questo, simulano malissimo la realtà. Io ho usato un criterio che chiamerei fenomenologico. Sono partito direttamente dai dati reali sul clima disponibili sin dal 1850 e ne ho fatto una dettagliata analisi statistica».
L’esito dell’analisi qual è stato?
«Ho potuto notare la presenza di cicli: i più importanti sono un ciclo di 60 anni e uno di 20. Quindi mi sono domandato quale fosse la loro origine, e credo di aver trovato la risposta. I cicli di 60 e 20 anni sono due cicli naturali, che influenzano tutto il sistema solare: il periodo sinodico di Giove e Saturno, precisamente 20 anni, e il periodo dell’orbita combinata di Giove e Saturno, precisamente 60 anni. Giove e Saturno col loro movimento intorno al Sole producono onde gravitazionali e magnetiche, che investono tutto il sistema solare e fanno letteralmente “ballare” anche il Sole e la Terra: i due maggiori periodi di queste onde sono proprio 20 e 60 anni. Ma forse un paragone tra il mio approccio e quello dei grossi modelli adottati dall’Ipcc può farle meglio capire lo spirito dell’analisi che ho condotto».
Sentiamo.
«Immagini che io voglia prevedere i suoi movimenti quotidiani per i prossimi giorni. Potrei cercare di costruire un modello che contenga decine di parametri liberi: lo stato di salute suo e dei suoi familiari, il traffico, le condizioni meteorologiche, i suoi interessi, il suo lavoro, eccetera, e usare quindi il modello per prevedere i suoi movimenti futuri in rapporto al variare dei parametri, cioè al variare degli scenari. Oppure potrei fare diversamente: studiare i suoi effettivi movimenti degli ultimi 100 giorni, analizzarli statisticamente in modo da enucleare gli elementi di ripetibilità che mi consentano di “prevedere” i suoi movimenti degli ultimi 1.000 giorni. Poi, se la “previsione” eseguita sul passato riproduce accuratamente questo stesso passato, ecco che allora posso usare il modello per avanzare una previsione vera sul futuro. Io ho fatto appunto così. Un mio modello si basa unicamente sul Sole: utilizza due informazioni statistiche presenti nella temperatura degli ultimi 30 anni e degli ultimi 150 anni, e ricostruisce più di 400 anni di clima. Un altro mio modello si basa sui pianeti: usa le informazioni degli ultimi 75 anni e riproduce i precedenti 75 anni».

Risultato?
«In entrambi i casi l’accuratezza delle “previsioni” sul passato è sbalorditiva. Ho quindi usato i miei modelli per fare previsioni da qui al 2100. Il punto centrale è che l’analisi da me fatta evidenzia che almeno il 60% del riscaldamento del clima terrestre osservato sin dal 1975 è causato dalle attività del Sole e degli altri pianeti. E, se così è, dovremmo attenderci un raffreddamento fino agli anni Trenta di questo secolo. Bisognerebbe pubblicare sul Giornale il grafico che ho disegnato al riguardo».
Manca lo spazio. Al massimo può esibirlo al fotografo che deve farle il ritratto, così lo vedranno anche i lettori.
«Il grafico mostra un tracciato rosso indicante la temperatura globale registrata dal 1850 in poi e le previsioni da qui al 2100 basate sul mio modello planetario. Per il futuro sono indicate con curve nere due diverse ipotesi: quella in cui la temperatura mantenga l’attuale fase di crescita e quella in cui la componente secolare dell’attività solare dovesse per qualche ragione ridursi, come peraltro altre considerazioni fanno presumere. Il futuro previsto da me appare ben diverso dalle proiezioni catastrofiche dell’Ipcc, rappresentate dalla curva tratteggiata in azzurro».
C’è nella comunità scientifica qualche altro studioso convinto che non siano le attività umane a governare il clima?
«Ne esistono moltissimi. Faccio parte di un comitato non governativo, l’Nipcc, Nongovernmental international panel on climate change, che ha prodotto quest’anno un corposo rapporto, il Climate change reconsidered, il quale è giunto alla conclusione che è la natura, e non l’uomo, a governare il clima. Questa conclusione è stata fatta propria da oltre 31.000 scienziati americani».
Insomma, dobbiamo ridurre le emissioni di anidride carbonica sì o no?
«La CO2, pur non essendo inquinante, è un gas serra e quindi influenza il clima. Ma attenzione: anche pochi centesimi di euro sono denaro e influenzano la nostra ricchezza. Il punto è che la CO2 antropogenica, cioè prodotta dall’uomo, non ha sul clima quell’influenza squassante e conclamata che ci vorrebbe far credere l’Ipcc. La CO2 è una molecola indispensabile per la fotosintesi clorofilliana che fa vivere tutte le piante. Maggiore CO2 significa quindi più vegetazione rigogliosa, più raccolti, più cibo per uomini e animali. Meglio cercare di adattarsi ai cambiamenti climatici piuttosto che tentare di governarli. Il clima è veramente un gigante di proporzioni impensabili. Fa quello che vuole, ci schiaccia quando vuole e come vuole».

mercoledì 14 ottobre 2009

Cresce la fame nel mondo?

La crisi economica fa crescere anche la fame nel modo. Per effetto della tempesta finanziaria che non ha risparmiato nessun mercato, gli affamati nel modo sono cresciuti del 9% nell’anno in corso, arrivando alla vetta di 1,02 miliardi, il livello più alto dal 1970. A lanciare l'allarme a livello mondiale è stato il rapporto pubblicato oggi dalla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione) e dal Pam (il Programma alimentare mondiale).

I cali causati dalla crisi Molti Paesi, a causa della crisi globale, hanno subito cali generalizzati nei propri flussi finanziari e commerciali, ed hanno assistito ad una caduta verticale delle entrate da esportazioni, degli investimenti esteri, degli aiuti allo sviluppo e delle rimesse in denaro. Il rapporto fa notare come, ad esempio, le 17 economie più importanti dell’America Latina nel 2007 hanno ricevuto 184 miliardi di dollari in entrate finanziarie, cifra che si è circa dimezzata nel 2008 con 89 miliardi di dollari e si prevede diminuirà ulteriormente nel 2009 con 44 miliardi di dollari. Questo significa che si deve ridurre il consumo alimentare, e per alcuni paesi a basso reddito con deficit alimentare questo aggiustamento del consumo può tradursi nella diminuzione delle tanto necessarie importazioni alimentari e di altri beni importanti come medicine ed attrezzature mediche. La sottonutrizione è una realtà estesa in Asia e nel Pacifico - spiega il rapporto- dove si stima che gli affamati siano 642 milioni ma non risparmia neanche i Paesi sviluppati dove sono 15 milioni a soffrire la fame; nell’Africa sub-sahariana sono 265 milioni, in America Latina e Caraibi 53 milioni, nel Vicino Oriente e Nord Africa 42 milioni.

Chi muore di fame Nel corso dell’ultimo decennio , anche prima dell’attuale crisi, il numero delle persone sottonutrite era aumentato in modo lento ma costante. Proprio questo aumento, sia nei periodi di prosperità economica che recessione, mostra, secondo la Fao, l’estrema debolezza del sistema mondiale di governance della sicurezza alimentare. "I leader mondiali hanno reagito con determinazione alla crisi economica e finanziaria e sono stati in grado di mobilitare miliardi di dollari in un lasso di tempo molto breve. La stessa azione decisa è adesso necessaria per combattere fame e povertà", afferma il direttore generale della Fao Jacques Diouf. Secondo Diouf, è anche "essenziale investire nel settore agricolo dei Paesi in via di sviluppo, non solo per sconfiggere fame e povertà, ma anche per assicurare una generalizzata crescita economica, e dunque pace e stabilità nel mondo".

Raggiunto il picco storico Nel momento il numero delle persone che soffrono la fame ha raggiunto un picco storico, vi è il più basso livello di aiuti alimentari mai registrato - ha dichiarato Josette Sheeran, direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale dell’Onu. "Sappiamo quello che occorre per coprire le necessità urgenti - conclude Sheeran - quello che serve sono le risorse e l’impegno internazionale per farlo".

MA SI VUOL CAPIRE O NO CHE IL PROBLEMA NON è LA FAME MA AL CONTRARIO L'ECCESSO DELLA POPOLAZIONE IN RAPPORTO ALLE RISORSE DEL PIANETA? NON C'è PEGGIOR CIECO DI CHI NON VUOL VEDERE. IL MESSAGGIO CHE L'ONU VUOL MANDARE è CHE LA COLPA DELLA FAME è DEL CAPITALISMO E DELLE SUE CRISI. LA VERITà è CHE SENZA IL CAPITALISMO LA FAME SAREBBE SU TUTTO IL PIANETA E NON SOLO IN CERTE AREE. COME DIMOSTRA LA RECENTE STORIA DI ALCUNE AREE DELL'ORIENTE, DOVE ARRIVA LO SVILUPPO CAPITALISTICO E IL MERCATO, FINISCE LA FAME. IL PROBLEMA è LA SOVRAPPOPOLAZIONE UMANA DI VASTE AREE DEL PIANETA, CHE IMPEDISCE DI INDIRIZZARE LE RISORSE VERSO LO SVILUPPO ECONOMICO E AL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITà DELLA VITA. RIDURRE L'ECCESSO DI POPOLAZIONE UMANA è OGGI SEMPRE PIù IMPORTANTE E CENTRALE PER ASSICURARE SVILUPPO E AL TEMPO STESSO SALVAGUARDARE L'AMBIENTE NATURALE.

giovedì 6 agosto 2009

sovrappopolazione e cementificazione

In 15 anni il cemento ha ricoperto
un'area grande come Lazio e Abruzzo
Dal 1990 al 2005 consumata dall'urbanizzazione una superficie agricola che equivale alla superficie del Veneto

NOTIZIE CORRELATE
Il testo integrale del dossier: 2009 anno
del cemento
Italia da salvare -



Al ragazzo della via Gluck, quello di Celentano che nella Milano degli anni '60 si immalinconiva perché "là dove c'era l'erba ora c'è una città", oggi verrebbe un infarto: dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro paese è aumentata del 500%. Si tratta di un'impresa di distruzione di territori boschivi e agricoli unica nel suo genere, in particolare se si tiene conto che l'Italia è un paese montuoso, che vede presenti anche significative superfici occupate da laghi, fiumi e zone umide. Nell’ultimo quindicennio il consumo di suolo, e quindi di paesaggio, ha viaggiato in Italia al ritmo di 244mila ettari all’anno. Secondo i censimenti dell’Istituto Centrale di Statistica, dal 1990 al 2005 abbiamo consumato 3 milioni e 663 mila ettari di superficie libera, cioè un'area più grande del Lazio e dell’Abruzzo messi assieme. Fra questi ci sono 2 milioni di terreno agricolo fertile che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade: una superficie paragonabile al territorio di tutto il Veneto. E' quindi a pieno titolo che l'Italia vanta il primato di essere il primo produttore e consumatore di cemento in Europa: buona parte è stato e continua ad essere riversato sulle aree più importanti per la biodiversità (coste, fiumi, aree agricole). Questi dati, e le osservazioni relative, sono contenuti in un nuovo dossier intitolato "2009, l'anno del Cemento", curato dal Wwf in collaborazione con un gruppo di ricercatori della Facoltà di Ingegneria Ambiente e Territorio e Scienze Ambientali dell'Università dell'Aquila, coordinati dal prof. Bernardino Romano. Sono dati gravi, basti pensare che sono già almeno 100 i Comuni sono riusciti a urbanizzare oltre il 50% delle aree di loro appartenenza.


LA SCOMPARSA DEI LUOGHI ISOLATI - La controprova di questa effetto blob del cemento nel paese è dato da un esame sui luoghi rimasti isolati. Il prof. Romano ha ricercato siti dai quali le costruzioni più vicine distassero almeno 5 km, in grado quindi di produrre un cerchio con un diametro di 10 km senza niente all’interno. Il risultato è chiaro: ormai solamente il 14% del nostro territorio risponde a questa caratteristica. Questa diffusione a macchia del cemento, in parte determinata dall’incapacità di programmare lo sviluppo edilizio - ad oltre 8.000 Comuni corrispondono oltre 8.000 piani regolatori - porta con sé la necessità di connettere questi immobili attraverso strutture viarie. E’ così che, stando ai dati Istat, la nostra rete stradale si sviluppa per oltre 200mila km, producendo una pesante segmentazione del territorio ed interrompendo ovunque quella continuità che, in modo molto più esteso, è facilmente visibile in molti altri Paesi, anche europei.
CASE SU CASE - In passato la crescita delle città era unicamente collegata all'aumento della popolazione urbana. Al contrario, oggi, in tutta Europa, dove la crescita demografica è molto ridotto o addirittura assente, l'urbanizzazione è un fattore totalmente fuori controllo, guidato dalla ricerca di un "benessere" che si misura sulle seconde case, sugli investimenti immobiliari e su una componente speculativa e finanziaria che ha fatto impazzire il meccanismo, facendo scempio del territorio e della qualità della vita di chi abita spazi dove non si sono più "vuoti" ma soltanto "pieni". Dal 1950 a oggi in Europa le città hanno subito una crescita del 78% contro un aumento della popolazione che raggiunge a malapena il 33%. La sola città di Palermo, per fare un esempio, di fronte a un aumento della popolazione del 50% è corrisposto un aumento dell'urbanizzazione del 200%. Allo stesso tempo in molte regioni italiane ad un decremento della popolazione corrisponde un increscioso aumento del territorio urbanizzato. Un aspetto interessante inoltre è come la crescita straordinaria dell’edilizia privata (+21%) vada a braccetto con un crollo dell’edilizia pubblica e sociale. Case quindi per profitto e investimento e non certo per le nuove coppie, per i poveri o per chi richiede un alloggio in cui vivere. Secondo i dati diffusi dall’Ance, cioè l’associazione dei costruttori, risulta che dal 1999 al 2007 l’intero comparto delle costruzioni è cresciuto del 27,1%. Se si considera che nello stesso periodo il nostro prodotto interno lordo è cresciuto del + 13,5% ci si rende conto che lo sviluppo di settore è stato percentualmente il doppio rispetto a quello complessivo del Paese.

CONDONI E PIANI CASA - In questo contesto, secondo l'analisi contenuta nel dossier del Wwf, si inserisce una consistente quota di edilizia selvaggia, che ha fatto scempio di zone particolarmente preziose del nostro paese: ad esempio tra il 1990 e il 2000 la tendenza di urbanizzazione costiera è proceduta del 30% più velocemente dell’urbanizzazione dell’entroterra. E hanno quindi un suono particolarmente sinistro le tre leggi emanate su condoni che hanno prodotto un numero imprecisato (nessuno lo sa con esattezza) di abusi sanati e centinaia di migliaia di pratiche ancora giacenti (molte di queste da oltre 20 anni) presso i Comuni di tutt’Italia, in particolare del centro e del sud. E quindi i nuovi piani casa arrivano in una situazione indefinita ed aggiungono volumetria in un contesto dove non c’è certezza di quanto è legale o illegale, di quanto è sanabile, di quanto dev’essere necessariamente respinto e abbattuto.
La maggior parte delle forme di consumo del suolo sono irreversibili, ovvero non esistono forme di recupero: una volta fatto il danno, che siano case o capannoni, ce lo si tiene. E il dossier denuncia che l’attività edilizia (non solamente quella abitativa) e quella legata alle opere pubbliche, arricchisce di solito chi già possiede finanze da investire e distrugge irreversibilmente quel “capitale” pubblico collettivo costituito dalla natura e dalla biodiversità, unica concreta assicurazione per il nostro futuro. C'è di che meditare su quella massima secondo la quale «se non si costruisce, non c’è progresso economico».

Stefano Rodi

mercoledì 8 luglio 2009

La Chiesa e la sovrappopolazione

Nella sua ultima enciclica il papa Benedetto XVI condanna le politiche di controllo delle nascite che, dice tra l'altro, ritardano lo sviluppo economico. Inoltre auspica che la politica rimetta al centro l'uomo (e non il pianeta, la natura e l'ambiente). Così, con parole che si richiamano alla vita e ai valori dell'uomo, la Chiesa cattolica continua una politica di morte, di fame, di malattie e di arretratezza economica per le persone, e contribuisce alla catastrofe ambientale verso cui il pianeta è avviato.

mercoledì 1 luglio 2009

OTTIMISMO E SOVRAPPOPOLAZIONE

di Virginia Abernethy
traduzione di Carpanix



Ebbene, sì, l’Occidente deve fare attenzione ai problemi relativi alla popolazione del Terzo Mondo. Ma che tipo di attenzione? La saggezza convenzionale sostiene che lo sviluppo economico — e quindi l’aiuto economico da parte dell’Occidente — sia la chiave per frenare la crescita della popolazione nelle nazioni povere. Non è vero, dice l’autore…
Introduzione
Progresso e popolazione
Il messaggio della penuria
Pensare localmente


Introduzione

La sovrappopolazione affligge la maggior parte delle nazioni, ma rimane primariamente un problema locale — un’idea che questo articolo cercherà di spiegare. Anche il controllo della riproduzione (la soluzione) è primariamente locale; esso nasce dalla sensazione che le risorse si stiano riducendo. In queste circostanze gli individui e le coppie spesso vedono la limitazione delle dimensioni della famiglia come il più probabile percorso verso il successo.

Molti studiosi, antichi e moderni, hanno sempre saputo che le reali dimensioni della famiglia sono connesse molto strettamente al numero di figli che la gente desidera. Paul Demeny, del Population Council, è eccezionalmente chiaro a questo proposito, e l’economista della Banca Mondiale Lant Pritchett asserisce che l’85-90% dei tassi di fecondità reali possono essere spiegati dai desideri dei genitori — non dalla mera disponibilità di contraccettivi. Pritchett scrive che “l’imponente declino della fertilità osservato nel mondo contemporaneo è dovuto quasi interamente all’altrettanto imponente declino del desiderio di fecondità.” Dell’opinione di Paul Kennedy, espressa nel suo libro Preparandosi al XXI secolo, secondo la quale “l’unico mezzo pratico per assicurare un calo nei tassi di fecondità, e quindi nella crescita della popolazione, è l’introduzione di forme di controllo delle nascite economiche ed affidabili”, Pritchett dice: “Non avremmo potuto inventare una affermazione più chiara e articolata del punto di vista che sosteniamo essere sbagliato”.



Progresso e Popolazione

Dati interculturali e storici suggeriscono che la gente ha solitamente limitato le proprie famiglie ad una dimensione coerente con la possibilità di vivere comodamente in comunità stabili. Se lasciate indisturbate, le società tradizionali sopravvivono per lunghi periodi in equilibrio con le risorse locali. Una società dura in parte perché si mantiene entro le capacità di carico del suo ambiente.

Ad ogni modo, la percezione dei limiti che derivano dall’ambiente locale è facilmente neutralizzata da segnali che promettono prosperità. Citando l’ultimo Georg Borgstrom, un riconosciuto scienziato alimentarista e un pluridecorato specialista in economie del Terzo Mondo che morì nel 1989, una pubblicazione del Population Reference Bureau del 1971, spiega:

Una quantità di civiltà, incluse quelle dell’India e dell’Indonesia, “avevano una chiara idea dei limiti dei loro villaggi o comunità” prima che l’intervento straniero corrompesse gli schemi tradizionali. I programmi di aiuto tecnologico… “li indussero a credere che l’adozione di certi avanzamenti tecnologici stava per liberarli da questi vincoli e dalla dipendenza da queste restrizioni”.

L’espansione economica, specialmente se introdotta dall’esterno della società e su larga scala, incoraggia la convinzione che i limiti precedentemente riconosciuti come validi possano essere tenuti in poco conto, che ognuno possa guardare avanti alla prosperità e, come in casi recenti, che si possa contare sull’Occidente come fornitore di assistenza, recupero e come valvola di sfogo per la popolazione in eccesso.

La percezione di nuove opportunità, se dovuta ad avanzamento tecnologico, espansione dei mercati, cambiamenti politici, aiuti esterni, emigrazione verso una terra più ricca o scomparsa di competitori (che se ne vanno o muoiono), incoraggia maggiori dimensioni della famiglia. Le famiglie riempiono avidamente ogni nicchia apparentemente più grande, e le nascite extra e la conseguente crescita della popolazione spesso vanno oltre le reali opportunità.

Crescere oltre il numero sostenibile è una minaccia onnipresente, poiché gli esseri umani prendono spunto dalle opportunità che risultano apparenti nell’immediato, e sono facilmente ingannati dai cambiamenti. Contando su ciò che è prossimo nello spazio o nel tempo, calcoliamo con difficoltà la crescita a lungo termine della popolazione, i limiti all’avanzamento tecnologico futuro e la inesorabile progressione dell’impoverimento delle risorse.

L’apparenza (e la concretezza sul breve periodo) di opportunità in espansione assume varie forme. Negli anni ‘50, la redistribuzione dei terreni in Turchia condusse i contadini precedentemente senza terra ad incrementare significativamente le dimensioni delle loro famiglie. Tra i pastori del Sahel Africano, i pozzi profondi per la captazione dell’acqua trivellati dai Paesi donatori negli anni ‘50 e ‘60 permisero l’allevamento di più grandi mandrie di bovini e greggi di capre, matrimoni più precoci (poiché i prezzi delle spose sono pagati in animali e il numero di capi richiesto divenne più facile da accumulare), e più elevata fecondità. Allo stesso modo, la diffusione della coltivazione della patata in Irlanda nei primi anni del XVIII secolo incrementò la produzione agricola e incoraggiò i contadini a suddividere parte delle proprie fattorie in appezzamenti per i propri figli, i quali per parte loro promossero matrimoni precoci e un incremento esplosivo delle nascite. Ancor prima, tra il VI e il IX secolo, l’introduzione in Europa della staffa, dei finimenti a collare rigido e della ferratura dei cavalli potenziò grandemente la produzione agricola delle pianure settentrionali dell’Europa. Una migliore alimentazione aiutò a condurre l’Europa fuori dal Medio Evo verso la ripresa economica e quindi, tra il 1050 e il 1350 circa, a triplicare la popolazione in Paesi quali l’Inghilterra e la Francia.

L’India offre un altro esempio. La sua popolazione fu quasi stabile dal 400 a.C. a circa il 1600 d.C.. Dopo la fine delle invasioni Mongole, e con l’avvento di nuove opportunità commerciali, la popolazione cominciò a crescere (con un tasso di circa la metà rispetto all’Europa). Più tardi, il commercio Europeo offrì all’India ulteriori opportunità, e la crescita della popolazione accelerò. Decollò letteralmente poco dopo che la nazione si liberò della sua condizione coloniale, nel 1947; l’assistenza da parte dell’URSS, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale potenziarono la percezione di un futuro prospero, e il tasso di crescita della popolazione continuò ad accelerare fino al 1980 circa.

Movimenti indipendentisti di successo e golpe populisti sono preminenti tra i tipi di cambiamento che portano il messaggio che i tempi sono buoni e stanno migliorando. La Cina cominciò il suo interludio euforico con l’espulsione dei Nazionalisti, nel 1949. Il Comunismo trionfò, e la sua filosofia sosteneva che una nazione grande richiedeva più gente (qualcuno tra i lettori riesce a ricordare uno dei principali motti del nostro Fascismo? Iniziava con “Condizione imprescindibile del primato è il numero…”; ancora una volta, gli estremi coincidono - N.d.T.). Il tasso di fecondità e la dimensione della popolazione partirono a razzo verso l’alto. Una popolazione del territorio principale della Cina che era stimata essere 559.000.000 nel 1949 crebbe fino a 654.000.000 nel 1959, laddove nei precedenti 100 anni di agitazione politica e guerra il tasso medio di crescita della popolazione cinese era stato appena dello 0,3% all’anno. Sia la minore mortalità, sia la accresciuta fecondità contribuirono all’incremento. Judith Banister scrive in La popolazione cinese che cambia: “La fecondità cominciò a crescere verso la fine degli anni ‘40 e era prossima o superiore alle 6 nascite per donna durante gli anni 1952-57, una fecondità maggiore di quella che era stata abituale” nei precedenti decenni. Banister attribuisce l’esplosione demografica cinese alla fine della guerra e alla politica del governo: “La riforma fondiaria del 1950-51 redistribuì la terra ai contadini che ne erano privi e ai fittavoli”.

Cuba ebbe una esplosione demografica quando Fidel Castro spodestò Fulgencio Batista, nel 1959. Castro promise esplicitamente una redistribuzione delle ricchezze e, secondo i demografi S. D’az-Briquets e L. PZ rez, come risposta la fecondità crebbe. D’az-Briquets e L. PZ rez scrivono: “Il fattore principale fu l’incremento delle entrate reali tra i gruppi più svantaggiati portato dalle misure di redistribuzione del governo rivoluzionario. La crescita della fecondità nell’ambito di quasi ogni fascia d’età suggerisce che le coppie videro il futuro come più promettente e sentirono che ora si sarebbero potuti permettere più figli”.

Le popolazioni dell’Algeria, dello Zimbabwe e del Ruanda crebbero rapidamente intorno all’epoca in cui le potenze coloniali partirono. L’Algeria, per esempio, ottenne l’indipendenza nel 1962, e trent’anni dopo il 70% della sua popolazione aveva meno di 30 anni d’età. Lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza nel 1980, e subito raggiunse uno dei maggiori tassi di crescita della popolazione del mondo; la crescita venne incoraggiata dal Ministro della Salute, che attaccò la pianificazione familiare come una “congiura del colonialismo bianco” per limitare il potere nero.

A causa dei loro effetti sulle dimensioni della famiglia, i programmi di sviluppo implicanti grandi trasferimenti di tecnologia e di fondi verso il Terzo Mondo sono stati particolarmente dannosi. Questo tipo di aiuto è inappropriato poiché invia il segnale che la ricchezza e le opportunità possono aumentare senza sforzo e senza limiti. Che ne consegua una rapida crescita della popolazione non dovrebbe stupire nessuno. L’Africa, che negli ultimi decenni ha ricevuto tre volte più aiuti dall’estero pro-capite di qualsiasi altro continente, ha ora anche i più alti tassi di fecondità. Durante gli anni ‘50 e ‘60 la fecondità in Africa crebbe — fino a quasi sette bambini per donna — nello stesso momento in cui veniva ridotta la mortalità infantile, cresceva la disponibilità di cure, si diffondeva l’istruzione maschile e femminile e l’ottimismo economico pervadeva sempre più ampi settori della società. Tassi di crescita della popolazione straordinariamente elevati erano nuovi per l’Africa; durante gli anni ‘50 i tassi di crescita della popolazione in America Latina erano stati più alti.

Anche l’immigrazione può influire sulla popolazione mondiale complessiva. Studi relativi all’Inghilterra e al Galles del XIX secolo e alle popolazioni Caraibiche moderne, evidenziano che in comunità già nel pieno di una rapida crescita della popolazione, la fecondità rimane elevata fino a quando esiste la possibilità di emigrare, mentre declina rapidamente nelle comunità prive di questa valvola di sicurezza. E mentre i tassi di fecondità si vanno riducendo nella maggior parte dei Paesi africani, tale tasso resta alto in Ghana (6,2 nascite per donna nel 1993), forse perché una certa emigrazione (l’uno per 1.000 della popolazione) fornisce una valvola di sicurezza per la quantità di popolazione in eccesso. Questo effetto sulla fecondità è coerente con studi indipendenti secondo i quali l’emigrazione accresce le entrate sia tra coloro che emigrano sia tra coloro che rimangono.

In sostanza, è vero, anche se scomodo, che gli sforzi per alleviare la povertà spesso stimolano la crescita della popolazione, così come fa il lasciare aperte le porte all’immigrazione. I sussidi, le ricchezze inattese e la prospettiva di opportunità economiche rimuovono l’immediatezza del bisogno di preservare. I mantra della democrazia, della redistribuzione e dello sviluppo economico innalzano le attese e i tassi di fecondità, incoraggiando la crescita della popolazione e quindi rendendo più ripida una spirale ambientale ed economica discendente.

A dispetto di questo fatto, certi esperti e il pubblico che essi informano, desiderano nonostante tutto credere che i tassi di fecondità siano stati tradizionalmente alti nel mondo intero e si siano ridotti solo nelle nazioni post-industriali o nei Paesi nei quali è disponibile la moderna contraccezione, e che l’esplosione demografica del secondo dopoguerra sia dovuta principalmente alle migliori condizioni di salute e di nutrizione, che portarono a un rapido declino dei tassi di mortalità e ad un leggero, involontario incremento della fecondità. La possibilità che le maggiori dimensioni delle famiglie fossero il risultato del desiderio di avere più figli continua ad essere negato.

Gli esperti in studi sulla popolazione furono i primi ad essere ingannati. Negli anni ‘30 molti demografi predirono un rapido declino della popolazione, poiché la bassa fecondità delle nazioni occidentali industrializzate veniva attribuita allo sviluppo e alla modernizzazione più che al pessimismo endemico dovuto alla Grande Depressione (l’autore sta prendendo a riferimento la storia statunitense - N.d.T.). Continuando a non cogliere il punto, molti non riuscirono a vedere che gli alti tassi di fecondità che si ebbero dopo la Seconda Guerra Mondiale furono la risposta alla percezione di possibilità economiche in espansione. L’esplosione demografica negli Stati Uniti (1947-1961) e la leggermente succcessiva esplosione demografica nell’Europa Occidentale colsero di sorpresa la maggior parte dei demografi.



Il messaggio della penuria

Come succede, gli incontri con la penuria ai quali miliardi di persone sono costretti dai limiti naturali del loro ambiente stanno cominciando a correggere le conseguenze di decenni di percezioni errate. La retorica della modernizzazione, dello sviluppo internazionale e dell’egualitarismo sta perdendo il suo potere di inganno. Man mano che l’Europa si dimostra incapace di alleviare le sofferenze della ex-Iugoslavia, che i Paesi ricchi in generale si dimostrano quasi impotenti nell’aiutare le innumerevoli moltitudini lontane, diviene difficile credere nel recupero. Ora, come è successo molte volte nella storia dell’umanità, la riscoperta dei limiti sta risvegliando le motivazioni a ridurre le dimensioni delle famiglie.

In Irlanda i terreni divennero pochi in relazione alla popolazione in rapida crescita nei primi anni del XIX secolo e, come conseguenza, la fecondità cominciò a ritrarsi verso il basso livello dell’epoca precedente all’introduzione della patata. Nel 1830 i due terzi circa delle donne si sposavano prima dei venticinque anni di età. Nel 1851 solo il 10% di esse si sposava così giovane — un drastico rinvio del matrimonio in risposta alla carestia della patata del 1846-1851. Dopo una breve ripresa, non più del 12% si sposava prima del venticinquesimo anno di età. L’uso di contrarre matrimoni tardivi persistette dal 1890 circa fino alla Seconda Guerra Mondiale. Negli Stati Uniti l’esplosione demografica terminò all’incirca nel momento in cui il mercato del lavoro cominciò ad essere saturo: il tasso di fecondità crollò al di sotto dei livelli di sostituzione dopo lo shock petrolifero del 1973 e molti dei redditi reali degli Americani cessarono di crescere. Nella Cina post-rivoluzionaria l’incremento della popolazione proseguì fino a quando la carestia, non mitigata dagli aiuti degli Occidentali, impose un confronto con i limiti oggettivi. Nel 1979, consapevole delle gravi carenze di beni alimentari, il governo istituì una politica del tipo un-figlio-per-famiglia, portando così a compimento l’evoluzione degli incentivi e dei controlli che riportò la nazione alle restrittive abitudini matrimoniali e riproduttive pre-comuniste. A Cuba l’esplosione demografica ispirata da Castro lasciò il posto a una fecondità al di sotto del tasso di sostituzione quando l’impossibilità del comunismo di fornire la prosperità divenne evidente. Nei Paesi dell’area Orientale, compresa la Russia, la ristrutturazione economica, lo svanire dei sussidi governativi per il consumo e la percezione pubblica di una mortalità infantile in crescita hanno portato a tassi di fecondità minori e hanno creato una tendenza ad evitare la gravidanza.

Nello Zimbabwe, spinto dalla crisi economica dei tardi anni ‘80, il governo cominciò a sostenere la pianificazione familiare. Secondo The Economist, “l’elevato costo del mantenimento di una famiglia numerosa ha aiutato a convincere alcuni uomini dell’importanza del limitarne le dimensioni”. Il tasso di fecondità è in calo tra gli Yoruba in Nigeria, a causa di una combinazione del ritardo nei matrimoni e dell’accettazione della moderna contraccezione. Due terzi delle donne che hanno risposto ad un recente sondaggio hanno detto che “la principale causa alla radice della posposizione del matrimonio e dell’uso della contraccezione per consentirla era l’attuale sitazione economica difficile”.

Anche altrove, la richiesta di una moderna contraccezione è in crescita, e ancora la ragione sembra essere che le coppie percepiscono come economicamente insostenibile un matrimonio precoce e una famiglia numerosa. Nel suo nuovo libro “Masse critiche”, il giornalista George D. Moffett riporta che una madre su due in Messico difese il suo ricorso alla contraccezione davanti al prete di un villaggio spiegando: “Le cose sono difficili, qui. La maggioranza della gente sta attraversando tempi duri. Il lavoro è difficile da trovare”. In modo simile, un lavoratore giornaliero in Tailandia, secondo le parole di Moffett, “avrebbe piacere di avere un figlio in più, ma è consapevole che andrebbe al di là dei propri mezzi”.

Senza la motivazione a limitare le dimensioni della famiglia, la contraccezione moderna è pressoché irrilevante. Per sei anni, negli anni ‘50, un progetto condotto dal ricercatore inglese John Wyon fornì a diversi villaggi dell’India Settentrionale istruzione riguardo alla pianificazione familiare, accesso alla contraccezione e cure mediche. Gli abitanti dei villaggi erano ben disposti nei confronti di chi forniva le cure mediche e della pianificazione familiare, e la mortalità infantile si ridusse notevolmente. Ma il tasso di fecondità rimase altrettanto alto.

Il gruppo di Wyon capì il motivo: gli abitanti dei villaggi apprezzavano le famiglie numerose. Essi erano entusiasti del fatto che ora, con una minore mortalità infantile, potevano avere i sei figli che avevano sempre desiderato. Il ben finanziato progetto di Wyon potrebbe anche avere rinforzato la predilezione per le famiglie numerose, avendo contribuito a rendere possibili i figli in più.



Pensare localmente

L’errore nell’individuazione della causa dell’esplosione demografica ha portato a strategie di nessun peso e a volte addirittura controproducenti nell’aiuto fornito al Terzo Mondo per portare ad un equilibrio le dimensioni della sua popolazione e le risorse disponibili. Nei tardi anni ‘40 e negli impetuosi decenni successivi, il commercio, i movimenti indipendentisti, le rivoluzioni populiste, gli aiuti stranieri e le nuove tecnologie portarono la gente di ogni dove a credere nell’abbondanza e nella fine dei limiti naturali imposti dagli ambienti coi quali essi avevano famigliarità.

Ora è un passo avanti per le nazioni industrializzate, essendo la loro ricchezza diminuita di molto, il ricalibrare e indirizzare gli aiuti con maggiore ristrettezza. La loro ricchezza residua non deve essere sprecata nell’armare fazioni opposte, in una assistenza estera avventata, o nel sostegno alle migrazioni internazionali che impoveriscono e alla fine incattiviscono — fino alla violenza e ad una possibile guerra civile — le popolazioni residenti. Questa necessità di ricalibrazione rattrista molti, ma la precedente liberalità ha fornito un disservizio a ogni Paese individuato come obiettivo per l’indirizzamento verso lo sviluppo.

Con una nuova, informata comprensione delle risposte umane, certi tipi di aiuto rimangono appropriati: micro-prestiti che rafforzano l’imprenditoria di base, dove il successo è sostanzialmente in relazione allo sforzo; e l’assistenza con servizi di pianificazione familiare, non perché la contraccezione sia una soluzione di per sé ma perché la moderna contraccezione è un modo umano per ottenere una famiglia di ridotte dimensioni quando c’è il desiderio di una famiglia di ridotte dimensioni. Questa modesta lista di cose da fare è ancora nelle possibilità dei Paesi industrializzati anche nel momento in cui essi prestano attenzione alle necessità dei sempre più numerosi ranghi dei propri stessi poveri. E non inganna né danneggia involontariamente coloro che sono stati individuati come beneficiari.

L’idea che lo sviluppo economico sia la chiave per mettere un freno alla crescita della popolazione si basa su presupposti e affermazioni che hanno influenzato la politica degli aiuti internazionali per qualcosa come cinquant’anni. Ad ogni modo, questi presupposti non stanno in piedi di fronte ad una analisi storica o antropologica e le politiche che hanno prodotto hanno contribuito a potenziare la crescita della popolazione.

La capacità umana di avere una risposta di tipo adattivo si è evoluta nell’ambito di interazioni faccia-a-faccia. La forza dell’umanità è una rapida risposta agli stimoli ambientali — una risposta che è più probabilmente appropriata quando l’ambiente che conta è quello ravvicinato e locale. L’orizzonte della mente è qui ed ora. I nostri antenati si sono evoluti e hanno dovuto avere successo in piccoli gruppi che si muovevano su territori relativamente piccoli. Essi dovevano riuscire ad avere successo giorno per giorno — o non sarebbero divenuti gli antenati di nessuno. Quindi non è una sorpresa che i segnali che vengono dall’ambiente locale siano fortemente motivanti.

Mettiamo da parte i globalisti. Le soluzioni basate su un mondo unificato non funzionano. Le soluzioni locali, sì. Ovunque la gente agisce secondo la personale percezione dei propri interessi. Le persone sono portate a interpretare i segnali locali per trovare la prossima mossa da fare. In molti Paesi e comunità di oggi, dove le condizioni sociali, economiche e ambientali stanno indubbiamente peggiorando, la domanda per una moderna contraccezione è in crescita, il matrimonio e l’iniziazione sessuale vengono posticipati e le dimensioni della famiglia si stanno riducendo. Gli individui che reagiscono con una bassa fecondità ai segni del raggiungimento dei limiti sono la soluzione locale. C’è da pregare che i venditori di uno sviluppo inappropriato non mettano sottosopra questa situazione.



Copyright © 1994 di Virginia Abernethy. Tutti i diritti sono riservati.
Originariamente pubblicato su The Atlantic Monthly,
Dicembre 1994. Volume 274, n. 6 (pagine 84 - 91).

Traduzione di Carpanix

lunedì 29 giugno 2009

I Verdi e la devastazione del territorio italiano

L' orizzonte mentale dei Verdi in fondo non è diverso da quello del distruttore dell'ambiente, l'uomo occidentale antropocentrico. Essi non amano la campagna, il sacro che è racchiuso in essa, non amano gli olivi per quello che sono. Non hanno occhi nuovi per la natura. Amano gli uomini, le loro esigenze, i loro egoismi di specie.Non dicono nulla sull'eccesso di popolazione umana divoratrice di mondi, guardano a questa immane distruzione del pianeta con gli occhi gelidi della ragione umana, non vedono che l'uomo, non c'è un sentimento nuovo per gli alberi, per gli ulivi, per le antiche tradizioni, per un reale connubio tra quanto di naturale è nell'uomo e quanto di naturale è nel mondo.

domenica 28 giugno 2009

L'assurda fabbrica di figli

Da "La Stampa" dell'8/6/2007

L'assurda fabbrica di figli

di Guido Ceronetti

Quando si tratta di cifre-uomo bisogna squarciare il velo statistico astratto e ficcare lo sguardo nel formicaio, l'uomo è là.

La Cina e l'India, da sole, fanno - già oggi - poco meno di due miliardi e mezzo di esseri umani, attivi e per lo più all'oscuro di tutto come animali ingabbiati. Con Giappone, Indonesia, Vietnam, Taiwan e Pakistan credo che i tre miliardi siano, se non già raggiunti o superati, a un passo. Le religioni in quel crogiuolo sono quasi incalcolabili, ma l'idolatria biologica della famiglia numerosa è comune: il raddoppio, senza che passino molti decenni, è possibile. Il regime cinese, in tutto spietato, ha frenato per un certo tempo le nascite imponendo il massimo di due figli e reprimendo crudelmente il prevalere, che è fenomeno planetario, delle femmine, e tuttavia i disciplinati cinesi hanno aggiunto al loro miliardo altri trecento milioni. L'India, per democrazia, ha fatto grandi sforzi non coercitivi (ci sono, o c'erano, addirittura associazioni di sterilizzati volontari, ai quali probabilmente si danno premi di Stato).

Resta che, da quelle regioni del povero mondo materiale lo Spermatozoo sempre più dilagherà come un immenso incandescente magma di vita produttrice quasi esclusivamente di consumazione e di distruzione. Guardarsi dal lodare scioccamente la loro industrializzazione: è ben più disumana di quella, terribile, dell'Inghilterra vittoriana, che produceva come nocciolini stracci d'uomini malati a morte, e il loro grado d'inquinamento è una minaccia per la vita di tutti. O cercare di pensare - o rischiare d'impazzire.

Intervistato a New York da «La Stampa» Giovanni Sartori, che con Alberto Ronchey è, credo, il quasi unico politologo in Italia che batte il chiodo dell'eccesso di popolazione con autentica percezione della gravità primaria del problema demografico, accennava a possibili misure coercitive su larga scala come soluzione - anche in Africa, in Sudamerica... Ma, da perfetto razionalista, Sartori si rifiuta di ammettere che qui Malthus suona la resa e che l'esplosione demografica non ha soluzione razionale. Le più dure misure di coercizione non hanno fermato la crescita cinese: avendo scoperto l'invecchiamento, la Cina deve rassegnarsi e presto cercherà, tragicamente, il suo lebensraum in terre africane decimabili ulteriormente da siccità e carestie (più la guerra permanente). E a dire tragico evochiamo l'estremo, tra il fisico e le ombre ctonie, del pensare umano: nel tragico l'insolubilità è cittadina sempre, la razionalità risolutrice no. Gli stessi Stati Uniti perdono sempre più spazio per la follia della loro famiglia-tipo di almeno quattro figli, e per il tranquillo, serafico coniglismo dei coloured e dei portoricani, mentre dal Rio Grande che cosa gli arriva? Malthus in carrozza?

Mi dicevano di una prostituta nera che, in una farmacia di Torino, chiedeva «medigina ber non fare gente»: lei sola, forse, povera bambina, a preoccuparsi del problema in tutto il suo continente, per igiene propria, però. Nella Cina antica, in regioni dove l'aut-aut era tra nascite di troppo o epidemie di fame, le levatrici praticavano il pestaggio a morte dei pancini gonfi: il rimedio della «Modesta proposta» di Swift per i neonati irlandesi in eccesso è addirittura un po' meno raccapricciante. Emanuele Severino, ragionando su questo, osservava che l'Occidente, una volta che la nube migratoria da Oriente e da Sud gli oscurasse il cielo, risolverebbe la cosa con l'atomica. Fortunatamente né Sartori né io vedremo sorgere la glooming peace di un simile giorno del crimine umano.

Noi qui non riusciamo a immaginare noi stessi così pigiati (solo cartoline dai viaggi: «Ah le folle, sapessi... dormono ammucchiati per strada... autobus che scoppiano... miasmi...») eppure abbiamo i ghetti etnici e i rifugi dei clandestini che prefigurano la densità futura e dove nessuno pone limiti allo spermatozoo di bandiera. E vediamo le immagini di città del mondo inaccessibili ad ogni pensare di plausibile esistere umano, deliranti di brutto, che bisogna, pensando, non dissociare dall'ipertrofia delle nostre, dal deteriorarsi di tutto nei maggiori concentramenti urbani, perché il troppo pieno, negli spazi d'Italia più abitati, è presente già, e da tempo gli architetti urbanisti ammoniscono e fanno piani.

Nell'Italia sconquassata del 1945 (abitanti 39 milioni e mezzo: un censimento ideale da non superare) l'esplosione dei rifiuti a Napoli e la penosità dell'alloggiare sarebbero stati impensabili. Oggi siamo quasi venti di più (censiti) e l'Insolubile urbano è Hannibal ad portas.

E poiché il mare tutto quanto cambia per una pietra, e se non vogliamo aggiungere lavoro all'impazienza dell'angelo sterminatore, prima d'introdurre anche un solo essere tra i sette miliardi raggiunti e inarrestabili, in qualunque luogo siamo, e pur distantissimi dai duecento milioni che brulicano lungo il Gange meridionale, la cui onda sacra è ormai un sorso di peste pura, chi abbia un'intelligenza e un'etica deve rifletterci. La mia personale politica della famiglia è molto lontana dal coro.

La sovrappopolazione primo problema

Una popolazione del pianeta che era di meno di un miliardo nel 1900 (impiegando qualche milione di anni per arrivare a tanto) e che oggi va per i sette miliardi, in soli cento anni. Chi non riconosce un questo la tragedia del pianeta terra è cieco o fa finta di non vedere. La redistribuzione delle ricchezze è una chimera per allocchi: non farebbe che aumentare la produzione di rifiuti e di CO2, la deforestazione, la fine del pianeta.Né si può costringere gli uomini all'indigenza (che senso ha ridurre i consumi se non creare disoccupazione, degrado sociale, dittature autoritarie per impedire lo sviluppo). Marxisti e verdi degli specchietti solari spacciano castronerie. La verità è che l'unica soluzione è la politica del contenimento demografico mediante contraccettivi, incentivi fiscali per le famiglie con un solo figlio, sterilizzazioni, aiuti condizionati alla riduzione della natalità.

Chi afferma che lo sviluppo demografico aiuta lo sviluppo economico?
Potrebbe essere ben vero il contrario. Come spiegato da Ansley Coale della Princeton University, nei paesi del sottosviluppo c’è un rapporto di proporzionalità diretta tra tassi rapidi di incremento della popolazione e condizioni economiche declinanti. Le economie di molti paesi in via di sviluppo, ad esempio quelli dell’Africa e dell’America Latina, vengono frenate dal fatto che un’alta percentuale del reddito personale e di quello nazionale venga spesa per rispondere a necessità di consumo immediate, per cibo, alloggio e vestiti - ci sono, infatti, troppi bambini per ogni lavoratore adulto. Così rimane poco reddito disponibile, a livello personale e nazionale, per accumulare capitale da investire. La mancanza di capitali d’investimento deprime la crescita di produttività dell’industria e porta ad un’alta disoccupazione (che è esacerbata dalla rapida crescita del numero di persone in cerca di prima occupazione). La mancanza di capitale contribuisce anche all’incapacità, da parte di un paese, di investire in educazione, amministrazione, infrastrutture, nelle necessità ambientali e in altri settori che potrebbero contribuire al miglioramento della produttività a lungo termine dell’economia e degli standard di vita della gente.
Nessun paese, nel ventesimo secolo, ha fatto molti progressi nella transizione da “in via di sviluppo” a “sviluppato”, fino a che non ha messo sotto controllo la crescita della sua popolazione. Per esempio, in Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore, nelle Bahamas e nelle Barbados, un rapido sviluppo economico, misurato in prodotto nazionale lordo pro capite, è avvenuto solo dopo che ognuno di questi paesi aveva raggiunto un tasso di crescita naturale della sua popolazione al di sotto dell’1,5% l´anno e un numero medio di figli per donna di 2,3 al massimo. Herman Daly, ex Senior Economist della Banca Mondiale, ritiene che criteri simili potrebbero valere anche per altri paesi. Detto in parole semplici, se quanto affermano Simon e Forbes fosse vero, i paesi a bassa crescita demografica dell’Europa e del Nord America dovrebbero avere economie deboli, mentre le economie dell’Africa sub-sahariana e degli altri paesi dell’Asia e dell’America Latina, caratterizzati da una crescita impetuosa, dovrebbero essere robuste. La Cina è un buon esempio dei giorni nostri di come un cambiamento demografico nella direzione di una riduzione della fertilità possa stimolare il settore manifatturiero e potenziare la crescita economica.


martedì 23 giugno 2009

JFK contro la sovrappopolazione nel 1960

La lotta per lo sviluppo economico non s'imbatté soltanto nei ben noti ostacoli dell'ignoranza, delle epidemie, della corruzione e dell'inerzia. Anche quando i paesi erano decisi a riformare modi di vita e istituzioni, rimaneva pur sempre una minaccia costante: che la popolazione aumentasse più rapidamente della produzione, facendo sì che diminuisse il reddito individuale e che diminuissero di conseguenza i risparmi disponibili per la formazione di capitali. Nel Venezuela, ad esempio, dal 1957 al 1963, il prodotto nazionale lordo, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, aumentò del 4,5 per cento, ma la popolazione si accrebbe del 3,8 per cento, riducendo l'incremento netto del reddito individuale allo 0,7 per cento; nell'Uganda, le cifre furono rispettivamente del 3,4 e del 2,5 per cento e ridussero allo 0,9 per cento l'incremento del reddito individuale. "Come un ladro nella notte" disse Asoka Mehta della Commissione indiana per la pianificazione "l'incremento demografico può defraudarci di tutti i risultati ottenuti, un giorno dopo l'altro, nell'espansione economica". Un economista dell'AID (Agency for International Development) calcolò che in certi paesi ogni dollaro investito nel controllo delle nascite sarebbe stato duecento volte più produttivo dello stesso dollaro investito nello sviluppo economico.Nel 1959 fu pubblicato un rapporto sulla politica degli aiuti all'estero in cui si raccomandava coraggiosamente che gli USA dessero la loro assistenza ai piani di controllo delle nascite nei paesi sottosviluppati (rapporto Draper). Il rapporto Draper provocò l'energica reazione dei vescovi cattolici. Si sarebbe potuto supporre che l'elezione nel 1960 di un presidente cattolico escludesse più che mai dal campo della politica pubblica il controllo dell'incremento demografico. In realtà Kennedy si era interessato da tempo ai riflessi dell'aumento della popolazione sullo sviluppo economico. Nel 1959, ad esempio, John Cowles pronunciò un discorso sul problema demografico, sostenendo: "A meno che non vogliamo vedere le condizioni esistenti in India e in Egitto diffondersi nel resto del mondo, gli scienziati devono scoprire un metodo semplice, poco costoso ed efficace per il controllo delle nascite"; e Kennedy fece pubblicare il testo del discorso nel Congressional Record definendolo "un panorama significativo dei fattori che determineranno la nostra politica estera nei prossimi decenni".Nel suo primo messaggio sugli aiuti all'estero fece rilevare:"Nell'America latina l'incremento demografico sta già minacciando di rallentare l'espansione economica".
Nell'autunno del 1962 la Svezia presentò all'Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione che invitava il segretario generale a svolgere una ricerca sui problemi demografici. Questo significava che, per la prima volta, l'Assemblea generale avrebbe discusso di politica demografica. Gardner, intervenendo in accordo con il presidente Kennedy, disse che gli Stati Uniti avrebbero "se richiesti" aiutato altri paesi "a trovare fonti potenziali di informazioni e di assistenza per quanto concerneva i modi e i mezzi di affrontare i problemi della sovrappopolazione".

(Arthur M. Schlesinger Jr.: " I mille giorni di JFK" Biblioteca Universale Rizzoli 1992 pag.623)

giovedì 18 giugno 2009

L'integralismo religioso nemico mortale

Oggi l'integralismo religioso è il nemico mortale del pianeta. Il mondo integralista mussulmano in particolare costituisce oggi la più importante spinta all'incremento demografico della specie umana.Se a ciò si aggiunge la prospettiva di uno sviluppo economico sregolato di quei paesi dominati da integralisti che comporti una maggior produzione di gas serra e rifiuti tossici e un'incremento delle aree popolate nel pianeta, si può comprendere come i paesi mussulmani con politiche demografiche espansive saranno nei prossimi anni il primo pericolo in assoluto per la sopravvivenza della biosfera. Una sconfitta degli integralisti in quei paesi che portano avanti politiche basate sulla cosidetta rivoluzione islamica come l'Iran, è oggi fondamentale per salvare il mondo da un futuro sovrappopolato. Ugualmente importante è la sconfitta della politica cattolica verso l'Africa che, in contrasto con le esigenze alimentari e di sviluppo economico del continente, combattein maniera criminale l'uso degli anticoncezionali. Questa politica della Chiesa in Africa è corresponsabile della morte per AIDS di milioni di persone. Il danno non è consistito solo nel disincentivare l'uso del preservativo e quindi la diffusione della malattia. Le mancate politiche di controllo demografico hanno portato vaste aree dell'Africa ad uno sviluppo eccessivo di popolazioni umane in aree povere e senza risorse naturali quali acqua, cereali, infrastrutture ecc. Questa sovrappopolazione è stata causa determinante della origine e successivo sviluppo e progressione della pandemia dell'AIDS.

lunedì 15 giugno 2009

IMMIGRAZIONE E DIRITTO D’ASILO

Il pozzo senza fondo
di Giovanni Sartori

Per chi non lo sapes se, il pozzo di San Patrizio è un pozzo senza fondo, e quin di un pozzo che non si riempie mai. Finora risulta va che la terra fosse un pia neta tondo e racchiuso in se stesso. Ma per i «popola zionisti » e per chi si occu pa di migrazioni di massa è, si direbbe, un pozzo di San Patrizio. Siamo più di 7 miliardi? Nessun proble ma, il pozzo li ingurgita tut ti. Sarebbe lo stesso se fossi mo 77 miliardi: provvede rebbe sempre San Patrizio. Un Santo del VI secolo che la Chiesa dovrebbe rivaluta re.

Ma procediamo con ordi ne. Di recente Alberto Ron chey ricordava su queste co lonne che un secolo fa gli africani erano 170 milioni, mentre oggi si ritiene che siano 930 milioni. La sola Nigeria potrebbe arrivare, nel 2050, a 260 milioni di abitanti; e le Nazioni Unite stimano che Paesi come l’Etiopia, il Congo e il Su dan, già stremati da ricor renti carestie, rischiano di raddoppiare, entro il 2050, la loro popolazione. E men tre la popolazione cresce a dismisura, le risorse ali mentari del continente afri­cano sono state malamente dilapidate dall’erosione del suolo e dalla desertificazio ne.

Questi sono, all’ingros so, i numeri della «pressio ne dell’Africa» richiamata da Ronchey, che è la pres­sione a noi più vicina e quindi più minacciosa. Una pressione che si ascrive alla categoria degli «eco-profu ghi », e correlativamente de gli «eco-rifugiati». Che fa re? Come accoglierli? Fino ra si è parlato di diritto di asilo. Ora si comincia a par lare di «profughi ambienta li ». La prima categoria è im propria e difficile da accer tare, mentre la seconda è davvero troppo larga, trop po onnicapiente: presuppo ne che il mondo sia quel pozzo di San Patrizio che non è.

Il diritto di asilo è stato, nei millenni, una protezio ne, una immunità religiosa dalla «vendetta del san gue » (i parenti di un ucci so, o simili) per chi si rifu giava in un luogo sacro. Questo asilo trova la sua massima espansione nel l’Europa medievale, per poi venir meno. E il punto è che l’asilo non è mai stato riconosciuto come «dirit to » di intere comunità e tanto meno per motivi poli tici. Pertanto il diritto di asi lo concepito come titolo di entrata in un Paese per i ri fugiati politici è una recen te invenzione. E andiamo ancora peggio con la nozio ne di «vittime ecologiche». Questa categoria è davvero smisurata e sconfitta dai numeri. Gli eco-profughi sono già centinaia di milio ni; e basterebbe che il disse sto del clima spostasse i monsoni per ridurre alla fa me mezzo miliardo di india ni.

Il rimedio certo non può essere di accogliere tutti e di un Occidente che si pren de carico dei diritti di asilo e dei profughi ambientali. Per l’Africa un’idea sarebbe di «rinverdirla», di render la di nuovo fertile e vivibi le. Un po’ tardi, visto che l’agricoltura è già per metà perduta, che i laghi si pro sciugano e che la desertifi cazione è irreversibile. Per carità, l’Africa va aiutata. Ma tutto è inutile se e fin ché non apriremo gli occhi alla realtà, al fatto che l’Afri ca (e non soltanto l’Africa) muore di sovrappopolazio ne, e che la crescita demo grafica (ovunque avvenga) va risolutamente affrontata e fermata.



15 giugno 2009

Perché la Cina ha avuto un grande sviluppo economico

Nessuno lo ricorda, ma la Cina fin dagli anni sessanta e settanta è divenuta malthusiana nella propria politica demografica. Ammettendo che la rapida crescita demografica stava ostacolando lo sviluppo, il governo cinese elaborò un programma intensivo di pianificazione delle nascite. Attraverso il capillare sistema sanitario, i "medici scalzi" e gli assistenti alla pianificazione familiare distribuirono informazioni, pillole per il controllo delle nascite, IUD, preservativi, diaframmi e spermicidi. Gli ospedali e le cliniche locali fornivano sterilizzazione volontaria per le coppie che avevano chiuso con la gravidanza, e l'aborto veniva praticato come metodo per il controllo delle nascite.La tecnica dell'aborto per "aspirazione", ora usata in tutto il mondo, fu messa a punto dai cinesi negli anni Sessanta.
Negli anni Settanta, l'obiettivo del piano era che ciascuna coppia avesse due figli ben distanziati l'uno dall'altro. Gli incentivi comprendevano licenze maternità retribuite, pause nel lavoro per l'allattamento, assistenza gratuita per l'infanzia, contraccettivi gratuiti, e permessi retribuiti per gli aborti e le sterilizzazioni. i genitori che collaboravano erano ricompensati con alloggi migliori e maggiori possibilità di istruzione per i loro figli. Esistevano responsabili della pianificazione delle nascite nelle comunità che facevano pressione sulle coppie. Nelle zone rurali, rispettate donne anziane erano organizzate in "quadri femminili" per promuovere il programma di pianificazione. Tutto questo era in atto quando il censimento della popolazione verso la fine degli anni Settanta scioccò la leadership nazionale rivelando che, contrariamente alle precedenti stime di 900 milioni di abitanti nel 1979, la popolazione cinese era già salita ad un miliardo. Tra gli altri problemi, questo riduceva del 10% la crescita economica pro capite della Cina.Il governo decise che serviva una decisione storica: per la prima volta una nazione fissò come proprio obiettivo la riduzione della propria popolazione. Si decise di fermare la crescita a 1,2 miliardi e poi di iniziare un graduale declino verso la dimensione sostenibile (valutata in circa 650 milioni). Per far questo, fu promosso come ideale la famiglia con un unico figlio. A proposito del programma si deve ricordare:
1. è indigeno e non prevede aiuti esterni.
2.garantisce uguali diritti e istruzione alle donne.
3. fa parte di un programma riuscito per fornire assistenza sanitaria di base a tutta la popolazione.
4.usa come principale strumento di motivazione la pressione esercitata dai pari.
5. c'è stata notevole trasparenza da parte del governo centrale sui successi e sugli insuccessi del programma.

Il programma di controllo delle nascite cinese ha avuto il maggior successo che sia mai stato registrato: ha ridotto la fecondità di più della metà in una dozzina di anni. Sebbene successivamente siano subentrate alcune difficoltà e il tasso di crescita abbia ricominciato ad aumentare, il programma di riduzione delle nascite cinese rimane alla base del poderoso sviluppo economico della Cina di questi anni.

mercoledì 3 giugno 2009

Terra Madre

Terra madre, l'impossibile ricerca
di un buon rapporto con la natura


di Goffredo Fofi
ROMA (1 giugno) - La lodevole iniziativa di questo documentario di lungo metraggio, Terra madre, firmato da Ermanno Olmi ma cui hanno contribuito molte mani, è della Cineteca di Bologna, un’istituzione più solida e seria di quella romana, che pure è statale e non comunale-regionale. La Cineteca organizza dall’anno scorso una sorta di festival di cinema e cibo (il cibo è di gran moda tra chi ne consuma di più, e il mangiar bene, godurioso o austero, è un tema dominante nei nostri media che fa venire in mente il vecchio e saggio monito del “pancia piena non crede al digiuno”), e il festival si appoggia all’associazione Terra Madre fondata e diretta da Carlo Petrini. E’ dai materiali dell’incontro torinese di Terra Madre del 2006 (150 paesi rappresentati, alla presenza del Presidente della nostra non luminosa Repubblica) che partono le considerazioni di Olmi, servite da un montaggio dei materiali che, grosso modo, considera:
a) l’incontro torinese, con scelta di interventi, volti, dichiarazioni, inserti didascalici o dimostrativi, e dove la parte del leone, anzi della leonessa, la fa Vandana Shiva, che ripete da anni le stesse quattro cose sui danni della globalizzazione e dello sviluppo manipolato dal connubio finanza-scienza e sui vantaggi della decrescita;
b) un inserto bello e commovente sul piccolo campo e la piccola casa di una sorta di eremita padano, contadino autosufficiente vissuto ai margini di un’autostrada del nostro Nordest;
c) una lunga parte finale, più o meno un terzo dell’intero film, che è opera del grande documentarista Franco Piavoli, un vero poeta del cinema, il quale ci mostra stagione per stagione il lavoro di un orto, in una stupenda, anche se troppo edenica e stupenda, valle altoatesina, un posto che non tutti possono avere.

Terra madre è in definitiva di un buon film di propaganda ispirato da una visione del mondo molto condivisibile. Se i due brani più belli del film, quelli che abbiamo citato, hanno una loro autonomia, il primo come ritratto di un assente e illustrazione della sua scelta di vita, il secondo come idillio di un “ancòra possibile”, la lunga parte che apre il film e che ruota attorno al convegno torinese, è per ovvie ragioni la più prosastica, ma anche quella che dovrebbe convincere di più. Perché la propaganda di un modo di vivere sia efficace occorre, credo, molta convinzione in chi l’avanza. Se non si è veramente convinti di ciò che si afferma, la capacità di convincere gli altri si fa minore, ma più in generale non basta rispondere con la suggestione della poesia alla grande menzogna dello sviluppo che libera l’uomo, mentre ormai sappiamo bene che ne avvicina la fine.

I bellissimi brani citati ricordano allo spettatore la necessità di scelte che permettano all’uomo di ritrovare un buon rapporto con la natura. Ma essi lo consolano piuttosto che spaventarlo. Se insomma la poesia dei brani citati è ottima poesia (la prima trattando di un radicale rifiuto del mondo così com’è diventato, la seconda delle opere e i giorni di antica, antichissima memoria), però non basta a rispondere ai dilemmi più generali che nascono dalla prima parte del film, quella “in prosa”. Perché questa prosa – da buona propaganda – resta di suggestione più che di convinzione.

Per esempio: l’autosufficienza non è sufficiente a sfamare il mondo e non tutti possono permettersela, la sovrappopolazione è un incubo che si esorcizza tacendone tal quale la Madre Chiesa, il “ritorno dei contadini” è un obiettivo fondamentale ma che non potrebbe essere che graduale, tornare indietro è tutt’altro che facile per chi è abituato a tante macchine e tanto consumo, il riscaldamento globale è una minaccia per i poveri del mondo provocata dai ricchi, la già crescente disuguaglianza geopolitica porterà nuovi conflitti… eccetera… eccetera.... E soprattutto: si è imparato a diffidare dei “buoni” (e del “buonismo”) perché sul ricatto della bontà sono nati nuovi piccoli imperi (terzo settore a rimorchio dei primi due, ong ed enti nazionali e internazionali, milioni di associazioni di psueudo-volontariato, di difesa dell’ambiente, di questo e di quello) che lottano per la conquista di spazio più per sé che per chi ne ha bisogno e nel cui nome si dice di agire…
Non è in questione, è ovvio, la buona fede degli autori del film o delle organizzazioni coinvolte, anche se non si può giurare su tutte quelle presenti a Torino. Come sanno le organizzazioni e i teorici più attenti, la lotta per la affermazione di sé e della propria parte (gruppo o clan o corporazione) si serve spesso di molti alibi e il suo forte è proprio la propaganda, ma gruppi e persone coinvolti in questo film meritano grande rispetto e attenzione. Credono in ciò che fanno, ma non vanno abbastanza a fondo, o si compiacciono troppo della loro bontà. Dimenticano soprattutto che il capitalismo non potrà mai rinunciare alla propria anima, il profitto, pena la sua morte. E l’ecocapitalismo è già una delle risposte già adesso – slow food compreso – che il capitalismo cerca alla crisi in cui ci ha precipitato e in cui è precipitato.

Il percorso sarà molto lungo – se ci sarà – e le chiarificazioni non potranno che essere brucianti. No, non siamo ottimisti sul futuro del mondo e sulla bontà degli umani, e diffidiamo delle nuove, sempre nuove forme di edonismo dei ricchi, che difendono i propri giardini invece di aprirli, e più che di nuove consolazioni e nuove illusioni, più che di “bontà”, abbiamo bisogno di “lucidità”. Sappiamo peraltro assai bene che sono stati gli ottimisti, buoni per definizione, ad aver portato il mondo sulla soglia del precipizio! Cosa non sono stati capaci di fare gli ottimisti?

Noi abbiamo paura, e non ci vergogniamo di dirlo. E pensiamo che alla radicalità della crisi sia necessario rispondere anche con un maggior radicalismo delle analisi, e facendo più che predicando.
In modi molto generali e molto radicali, noi dovremmo essere certamente per nuovi modelli di sviluppo, e per “il ritorno dei contadini” – senza di loro, il mondo è fermo, il ciclo aggredito e spezzato. Ma anche per un nuovo accordo tra uomo e natura che non può avvenire, sul piano teorico, che in un nuovo incontro tra cristianesimo (l’amore del prossimo al suo centro) e paganesimo (il rispetto del vivente e della sua varietà, un nuovo equilibrio che contempli, per esempio, il ripudio o la drastica riduzione della violenza sugli animali). Occorrono analisi che non trascurino la parte delle responsabilità individuali in tutto questo, il rifiuto delle nostre abitudini più distruttive e delle nostre infinite (e astute) complicità, e forse un’etica di radici più orientali che occidentali e che ha avuto in Francesco e in Gandhi i due profeti da riscoprire. Il generale e il particolare devono congiungersi, in scelte individuali ben più drastiche di quelle che i “buoni” ci propongono. Terra Madre convince a metà perché non va a fondo, e risolve in poesia – anche se splendida poesia – molti cruciali del nostro presente e del nostro futuro.

lunedì 18 maggio 2009

L'editoriale di Ronchey sul Corriere

Nel suo editoriale sul Corriere di Oggi riguardo i flussi migratori provenienti dall'Africa, Ronchey sembra girare intorno al toro, senza avere il coraggio di prenderlo per le corna. Dice che gli africani erano 170 milioni all'inizio del '900 e oggi sono 930 milioni, sestuplicati in un secolo, ma sottintende tutto il resto. Dice che controllare i flussi è estremamente difficile e che la pressione illimitata dell'Africa è insostenibile, ma qui si ferma. Non propone nulla, se non forse appoggiare, ma si badi bene, senza dirlo, la politica dei respingimenti intrapresa in questi ultimi giorni dal governo. Nessuna parola sul problema della proliferazione incontrollata della popolazione in un continente privo di risorse alimentari adeguate e con il cronico problema della siccità. Un continente il cui sottosviluppo è indissolubilmente legato alla alta prolificità. Come dimostra la vicenda dei paesi asiatici lo sviluppo economico è più facile in presenza di una pressione demografica bassa. L'Africa è stata letteralmente devastata da politiche irresponsabili, come quella legata alla dottrina della Chiesa, che hanno scoraggiato l'uso dei preservativi e degli altri metodi di contraccezione: una politica che ha contribuito alla diffusione dell'AIDS, tipica malattia da sovrappopolazione. Perfino Ronchey, che in passato ha più volte sottolineato il problema demografico, oggi nel suo editoriale non ha il coraggio di denunciare il male di fondo da cui derivano tanti mali secondari cui oggi assistiamo come la immigrazione clandestina e l'insicurezza sociale. Quel male di fondo ha un solo nome: la sovrappopolazione diffusa in tutto il pianeta e specialmente in quelle aree povere di risorse come l'Africa.

mercoledì 13 maggio 2009

i Verdi e la devastazione del territorio italiano

La coordinatrice dei Verdi Francescato ha dichiarato che abbiamo il dovere di accogliere tutti i migranti clandestini e che anche noi italiani siamo stati migranti quando emigrammo in America nei primi anni del '900. Non dice però che noi emigravamo verso una terra che aveva meno di un abitante per chilometro quadrato, quelli che arrivano oggi in Italia lo fanno in una terra sovrappopolata con 200 abitanti per kmq (più di 300 per kmq se si escludono le aree montane). In pochi anni la popolazione italiana, con l'immigrazione incontrollata, è passata da 52 milioni a 60 milioni. Questo significa, e Francescato lo sa, una enorme cementificazione delle periferie delle città, dei piccoli centri, dei paesi e delle campagne. Tutto il paesaggio italiano, una volta famoso per la sua bellezza e conservatosi intatto per secoli, si sta rapidamente degradando con la costruzione di strade, caseggiati, opere di edilizia scadente, discariche, depositi di materiali, bivaccamenti ecc.E molti di questi clandestini non hanno alloggi sufficienti ed adeguati e pertanto ne dovranno essere costruiti ancora molti con una devastante ulteriore cementificazione del territorio. Con il buonismo anche i Verdi contribuiscono al degrado ambientale del nostro paese.

sabato 9 maggio 2009

Da "Optimum Population Trust"

The world's population is expected to grow by another 2.3 billion, from 6.8 billion in 2009 to 9.1 billion in 2050.

Human consumption of renewable resources is already overshooting Earth's capacity to provide. Resources are becoming scarcer and the number of hungry people increasing year by year.
Reversing population growth is one of the measures needed to ensure environmental survival. It can be done by voluntary and peaceful means, given a political and individual will to act without delay.
Politically, governments can give urgent attention and increased resources to providing access to contraception and education to the estimated 200 million women worldwide who need and want it.
Individually, couples can decide to have smaller families, for example to Stop at Two children to make a difference to population growth.

giovedì 7 maggio 2009

Oggi siamo a quota 6.833.860.000

Oggi 7 maggio 2009 il mondo ha 6.833.860.000 umani, continua così la giornaliera spaventosa crescita della specie umana che sta antropizzando il pianeta e azzerando la diversificazione genetica della biosfera. Nessuno ne parla, se non i pochi consapevoli, nessuno fa nulla, nessuno protesta per questa vera emergenza internazionale. I cosiddetti ambientalisti hanno gettato nel dimenticatoio e apertamente boicottato i testi che per primi denunciarono il problema, "I limiti dello sviluppo" del Club di Roma e la "Bomba demografica" di Paul Ehrlich, per rivolgersi alla critica del capitalismo, secondo i canoni della ideologia marxista che ha intossicato e stravolto l'originale impostazione ambientalista di denuncia della esplosione demografica della specie umana. Costoro criticano le immissioni di CO2 nell'atmosfera giudicandole un prodotto del capitalismo e non della eccessiva antropizzazione. Predicano un mondo in cui il Prodotto interno lordo si riduca a livelli medioevali, lasciando crescere liberamente la popolazione del globo. Preparano così un mondo più simile all'Inferno che al pianeta terra come lo abbiamo conosciuto. A questo conduce la cecità ideologica e il rifiuto di vedere la realtà nella sua semplicità. Tra l'altro, contrastando l'economia di mercato e le risorse che questa produce in termini di ricerca e di tecnologie, i cosiddetti verdi si castrano e vogliono castrare tutta la società privandola di quegli unici mezzi che possono consentire a un così alto numero di individui umani di sopravvivere su un pianeta fatto per un numero assai inferiore di persone e un ben diverso equilibrio tra le varie specie viventi: la scienza e la tecnologia, prodotti di quel capitalismo e di quel mercato che i verdi combattono aspramente.

lunedì 4 maggio 2009

Testo di Ryerson sulla sovrappopolazione

La questione della popolazione globale e il lavoro del Population Media Center

Intervento al Convegno sulla Sovrappopolazione del Gruppo Consiliare Radicale alla Regione Piemonte in Italia

Torino,15 Gennaio 2005

Di William N. Ryerson (presidente del Population Media Center)
Sito Web: www.populationmedia.org


La situazione della popolazione
I mezzi di informazione europei e statunitensi da alcuni anni continuano a parlare di una “carenza di nascite”[1] e della possibilità che si arrivi ad un calo della popolazione entro un arco di tempo compreso tra i 50 e 200 anni. Questi articoli non colgono l’aspetto più vistoso e immediato di ciò che sta accadendo nel mondo. Nel prossimo mezzo secolo, proiezioni demografiche prudenti mostrano che la popolazione mondiale crescerà di 3 miliardi di persone: un aumento del 50%. Questo è ora il problema più immediato e importante che si presenta all’attenzione del mondo.

Si può discutere di quale sia esattamente la “capacità di carico” del nostro pianeta, e non è certamente un qualcosa che rimanga costante: è un numero che muta con l´avanzamento della tecnologia. Comunque il prof. David Pimentel della Cornell University ha stimato la capacità a lungo termine del globo in 2 miliardi di persone e quella degli Stati Uniti in 200 milioni. Se Pimentel ha ragione, il mondo si trova in un stato di “eccesso”, che sarà seguito da uno stato di collasso, parallelamente all’esaurimento delle risorse naturali fondamentali. L’Accademia Nazionale delle Scienze e la Royal Society di Londra hanno emesso una solenne dichiarazione congiunta per avvertire che la popolazione di tutto il mondo deve essere stabilizzata al più presto, se si vogliono evitare catastrofiche conseguenze sull’ambiente.

Gli Stati Uniti sono il terzo paese al mondo per crescita annuale della popolazione, dopo l’India e la Cina. A dispetto di un tasso di fertilità vicino a quello di sostituzione, l’immigrazione sta provocando una crescita che potrebbe portare la popolazione degli Stati Uniti a raggiungere il miliardo entro la fine di questo secolo. La crescita della popolazione statunitense è oggetto di grande preoccupazione a due livelli: globale ed interno. A livello globale la crescita del numero di residenti negli Stati Uniti, che consumano e inquinano a un tasso di circa dieci volte quello pro capite dei paesi in via di sviluppo, fa sì che gli Stati Uniti graveranno sempre più, dal punto di vista ambientale, sul resto del mondo. Incrementare il numero di tali mega-consumatori non è nell’interesse generale.
A livello interno la crescita della popolazione americana sta portando ad una perdita di spazi liberi, ad un aumento dell'inquinamento atmosferico, a una sensibile riduzione della disponibilità d’acqua , a una maggiore dipendenza da petrolio estero e ad un abbassamento della qualità della vita. Nel 1973 gli Stati Uniti dovettero importare il 38% del loro petrolio. Ora la percentuale è salita al 55. A causa della crescita della popolazione, si stima che nel 2025 gli Stati Uniti dipenderanno dall’estero per il 78% del loro fabbisogno di petrolio. Il Census Department[2] prevede, nei prossimi 46 anni, un incremento del 50% della popolazione statunitense, che passerà così dagli attuali 290 milioni a 420 milioni nel 2050.
L’assunto che rapidi tassi di crescita demografica in qualche modo stimolino la crescita economica è stato a lungo sostenuto dagli economisti, ma è durante l´amministrazione Reagan che ha acquisito maggiore rilevanza. La tesi, sostenuta da Julian Simon, Malcolm Forbes Jr. (in un editoriale sulla rivista Forbes) e altri, è che rapidi tassi di crescita demografica incrementino i consumi e che la domanda aggiuntiva stimoli la crescita economica.
Potrebbe essere ben vero il contrario. Come spiegato da Ansley Coale della Princeton University, nei paesi del sottosviluppo c’è un rapporto di proporzionalità diretta tra tassi rapidi di incremento della popolazione e condizioni economiche declinanti. Le economie di molti paesi in via di sviluppo, ad esempio quelli dell’Africa e dell’America Latina, vengono frenate dal fatto che un’alta percentuale del reddito personale e di quello nazionale venga spesa per rispondere a necessità di consumo immediate, per cibo, alloggio e vestiti - ci sono, infatti, troppi bambini per ogni lavoratore adulto. Così rimane poco reddito disponibile, a livello personale e nazionale, per accumulare capitale da investire. La mancanza di capitali d’investimento deprime la crescita di produttività dell’industria e porta ad un’alta disoccupazione (che è esacerbata dalla rapida crescita del numero di persone in cerca di prima occupazione). La mancanza di capitale contribuisce anche all’incapacità, da parte di un paese, di investire in educazione, amministrazione, infrastrutture, nelle necessità ambientali e in altri settori che potrebbero contribuire al miglioramento della produttività a lungo termine dell’economia e degli standard di vita della gente.

Nessun paese, nel ventesimo secolo, ha fatto molti progressi nella transizione da “in via di sviluppo” a “sviluppato”, fino a che non ha messo sotto controllo la crescita della sua popolazione. Per esempio, in Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore, nelle Bahamas e nelle Barbados, un rapido sviluppo economico, misurato in prodotto nazionale lordo pro capite, è avvenuto solo dopo che ognuno di questi paesi aveva raggiunto un tasso di crescita naturale della sua popolazione al di sotto dell’1,5% l´anno e un numero medio di figli per donna di 2,3 al massimo. Herman Daly, ex Senior Economist della Banca Mondiale, ritiene che criteri simili potrebbero valere anche per altri paesi. Detto in parole semplici, se quanto affermano Simon e Forbes fosse vero, i paesi a bassa crescita demografica dell’Europa e del Nord America dovrebbero avere economie deboli, mentre le economie dell’Africa sub-sahariana e degli altri paesi dell’Asia e dell’America Latina, caratterizzati da una crescita impetuosa, dovrebbero essere robuste. La Cina è un buon esempio dei giorni nostri di come un cambiamento demografico nella direzione di una riduzione della fertilità possa stimolare il settore manifatturiero e potenziare la crescita economica.

La vera misura della ricchezza economica non è né il prodotto nazionale lordo né il reddito nazionale, ma il reddito medio su base pro capite. Stimolare il prodotto nazionale lordo facendo in modo che ci sia sempre più gente che compra sempre meno, non accresce il benessere economico. È possibile che qualcuno tragga vantaggio dalla crescita della popolazione, ma non la grande maggioranza delle persone.
Secondo un ampio rapporto dell’autore americano Bruce Sundquist, i paesi in via di sviluppo avrebbero attualmente bisogno di circa mille miliardi di dollari per la realizzazione di nuove infrastrutture solamente per far fronte all'incremento della loro popolazione - una cifra molto lontana dall’essere raggiunta e che effettivamente non è alla portata di questi paesi. Questo spiega perché gli aiuti umanitari del mondo sviluppato e i prestiti ai paesi in via di sviluppo, del valore di 56 miliardi di dollari all’anno, non sono stati sufficienti a migliorare le loro infrastrutture e spiega perché il mondo in via di sviluppo venga schiacciato dai fabbisogni di una popolazione aggiuntiva di 9,5 milioni di persone ogni sei settimane, equivalente a quella della contea di Los Angeles.

Esiste una stretta correlazione tra debito estero dei paesi in via di sviluppo e tasso di crescita della popolazione. Dei 41 paesi che la Banca Mondiale definisce “paesi poveri pesantemente indebitati”, 39 ricadono nella categoria dei paesi ad alta fertilità, nei quali le donne, in media, hanno 4 o più figli ciascuna. Allo stesso modo, si prevede che i 48 paesi identificati dall’ONU come “i meno sviluppati” triplicheranno la loro popolazione entro il 2050. Nel suo insieme, il mondo in via di sviluppo paga con fatica 270 miliardi di dollari all’anno, a fronte di un debito estero di 2.500 miliardi - un debito che cresce di altri mille miliardi di dollari ogni dieci anni.

Molti articoli sulla cosiddetta “carenza di nascite” evitano di porsi la domanda se l’ecosistema mondiale sia in grado di sostenere 9 miliardi di persone. Molti non sono consapevoli del fatto che la crescita della popolazione mondiale continua ad un tasso globale di 76 milioni di persone l´anno. Non si rendono inoltre conto dell’impatto che una tale crescita ha sull’ambiente globale, ivi comprese le minacce alle riserve ittiche oceaniche, alle aree selvagge, alla biodiversità, alla disponibilità di energia, a quella di acqua dolce, e alle foreste; tutto questo unito alla povertà, alla cattiva salute e alla sofferenza umana, che derivano da gravidanze non pianificate. La crescita della popolazione ha anche effetti disastrosi in termini di erosione del suolo, aumento delle inondazioni, eccessivo sfruttamento dei pascoli, salinizzazione dei suoli causata dall’irrigazione, esaurimento delle falde acquifere sotterranee (usate per l’irrigazione), distruzione delle barriere coralline, depositi fangosi nelle acque a monte delle dighe ed estinzione delle specie. Oltre a questo, molte zone di pesca del mondo sono sotto minaccia di collasso - in larga parte perché, come Sundquist evidenzia nel suo rapporto, le flotte pescherecce di tutto il mondo hanno una capacità di pesca pari al doppio della quantità che le riserve naturali del pianeta possono sostenere.
La mancanza di capitale causata dalla crescita della popolazione rende sempre più difficile, per i paesi in via di sviluppo, far fronte al crescente fabbisogno di scuole. Una delle ragioni principali delle pessimistiche previsioni negli ambienti dei servizi segreti sulla crescita del terrorismo in Medio Oriente, è il debole sistema educativo esistente nella regione - un "costo capitale" legato alla crescita della popolazione. Questo produce generazioni che difettano di competenze, tecniche e atte alla risoluzione dei problemi, che sono necessarie per ottenere una crescita economica.
In aggiunta a tutto questo, nota Sundquist, nei paesi in via di sviluppo massicce migrazioni dalla campagna alla città vanno rendendo la situazione dei grandi centri urbani sempre più disperata, con quartieri poveri che si espandono, privi di condizioni igienico-sanitarie di base e senza acqua. È probabile che queste migrazioni aumentino fortemente negli anni a venire. Man mano che i sistemi fondati sull’agricoltura si trasformeranno in sistemi ad alta intensità di capitale, enormi quantità di persone che vivono nelle aree rurali diventeranno disoccupate. Dati i maggiori tassi di crescita della popolazione nelle aree rurali, le proiezioni relative alle migrazioni dalle campagne alla città nei prossimi 30 anni sono impressionanti. In questo lasso di tempo ben quattro miliardi di persone potrebbero abbandonare le aree rurali dei paesi in via di sviluppo e unirsi al miliardo che già vive nei quartieri poveri delle città oppure emigrare verso i paesi sviluppati. Questo è un modo efficace per generare instabilità politica, sociale ed economica in tutto il mondo!

I dati provenienti da indagini demografiche effettuate in tutto il mondo evidenziano che il non-uso della pianificazione familiare NON è primariamente dovuto a mancanza di accesso a servizi di contraccezione. Piuttosto, le principali ragioni che la gente adduce per motivare il mancato uso della pianificazione familiare sono il desiderio di avere più figli, la paura per gli effetti secondari dei contraccettivi, l’opposizione, reale o percepita, dei maschi, le proibizioni religiose e la convinzione che non si abbia il diritto morale di determinare il numero dei figli e l’intervallo tra le gravidanze.
Questi problemi culturali e di informazione possono essere affrontati soltanto attraverso strategie comunicative tali da far cambiare le norme sociali, strategie come quelle portate avanti dal Population Media Center (PMC).

I costi in sofferenza umana che derivano da gravidanze non pianificate ed eccessive sono impressionanti:

- 600.000 donne e ragazze in tutto il mondo muoiono ogni anno di gravidanza e di parto - un numero pari alla somma delle perdite umane degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale, nella seconda guerra mondiale, nella guerra di Corea e in quella del Vietnam. La maggior parte di queste donne sono adolescenti o ventenni, forzate dalle loro società ad avere figli in giovane età e con una frequenza di gran lunga eccessiva.
- 140.000 donne muoiono ogni anno di emorragia durante il parto. È tragico che molte di loro muoiano pur essendo vicine a strutture sanitarie, perché i loro parenti non permettono loro di essere curate da medici di sesso maschile.
- 75.000 donne muoiono ogni anno nel tentativo di interrompere le loro gravidanze. Le Nazioni Unite stimano che, in tutto il mondo, 50.000 donne e ragazze (vale a dire 18,3 milioni l´anno) tentano ogni giorno di abortire da sole. Molte di quelle che sopravvivono soffrono poi di dolori disabilitanti per tutta la vita.
- Approssimativamente 100.000 donne muoiono ogni anno di infezione e altre 40.000 muoiono nell’agonia di doglie prolungate. E questi sono solo i casi di morte. Le statistiche dell’UNICEF mostrano che per ogni donna che muore, 30 sopravvivono con orribili lesioni e disabilità. In tutto sono 17 milioni di donne ogni anno.
A tutto ciò si aggiunga il peso devastante di gravidanze e parti ripetuti e si avrà un quadro globale della sofferenza femminile, che impone una risposta globale.
Ciò che suscita maggiore indignazione è che queste morti e queste tragiche lesioni sarebbero quasi interamente prevenibili. Eppure, il mondo sviluppato nel suo insieme non è riuscito neppure ad avvicinarsi al mantenimento degli impegni presi alla Conferenza del Cairo relativamente all’assistenza alla popolazione. Il mondo in via di sviluppo è così affamato di capitali, a causa dell’alto tasso di crescita della sua popolazione, che è spesso estremamente difficile destinare una qualche frazione dei bilanci governativi alla cura della salute riproduttiva. Sia i paesi sviluppati sia quelli in via di sviluppo dovrebbero triplicare i loro contributi per avvicinarsi a quanto si sono impegnati a fare al Cairo. La vita di miliardi di persone del mondo in via di sviluppo viene resa sempre più disperata dalla loro esclusione dall’accesso a informazioni e servizi di pianificazione familiare, che pure vorrebbero e dei quali avrebbero estremo bisogno.
Un’analisi costi-benefici di diverse strategie utilizzate per affrontare la crescita della popolazione, effettuata da Sundquist, mostra che la strategia più efficace e più umana è quella che consiste nel fornire informazione, motivazione e servizi medici di pianificazione familiare in grado di prevenire quest’orrendo tributo di sofferenza umana e contemporaneamente di fare uno “sconto demografico” sulla richiesta di infrastrutture a governi che stentano ad adeguarsi alle necessità di popolazioni in crescita.
È proprio nel campo dell’informazione e della motivazione che si verifica la maggiore carenza a livello globale. E, appunto, le strategie comunicative dirette a far cambiare i comportamenti, usate dal Population Media Center, hanno dimostrato di essere di gran lunga il mezzo più efficace, considerando il rapporto costi-benefici, per ridurre le nascite. Allo stesso tempo, queste strategie consentono di estendere la libertà di scelta e i diritti delle donne e delle ragazze, molto al di là del loro attuale destino di precoci e ripetute gravidanze.
Il soddisfacimento dell’intero fabbisogno d´informazione e servizi di pianificazione familiare, ad un costo di soli 15,2 miliardi di dollari l’anno, esteso per molti decenni, potrebbe far maturare un beneficio a lungo termine, per il mondo in via di sviluppo, di oltre mille miliardi di dollari l’anno, attraverso la riduzione della necessità di nuove infrastrutture.
Il Population Media Center si serve di sceneggiati a puntate a carattere ricreativo/educativo, diretti ad aiutare le persone a capire l’importanza di una paternità e maternità responsabile, dei diritti delle donne, dell’educazione delle ragazze e della comunicazione tra marito e moglie riguardo al futuro della loro famiglia. I fondatori del Population Media Center sono stati leader per decenni nel campo della demografia e hanno creato un genere molto efficace di serial di intrattenimento educativo. Il PMC sta mettendo in pratica, in sette paesi, progetti a lungo termine di soap opera dirette a cambiamenti comportamentali, e sta lavorando a nuovi progetti in altri otto paesi.

Prove dell´efficacia dell´intrattenimento educativo
Ci sono prove convincenti che le strategie mass-mediatiche, e in particolare i programmi di intrattenimento, abbiano giocato un ruolo significativo, in alcuni paesi, nel determinare cambiamenti del comportamento riproduttivo e nel promuovere l’adozione di altre misure sanitarie. Gruppi di ricerca indipendenti hanno documentato, in Messico, India, Kenya e Tanzania, gli straordinari effetti di soap opere radiofoniche e televisive sull’atteggiamento e sul comportamento del pubblico, con riferimento alla profilassi dell’AIDS e all’uso della pianificazione familiare.
Uno dei vantaggi dell’uso di sceneggiati a puntate rispetto all’uso di documentari o di sceneggiati in una sola puntata è che essi danno tempo al pubblico di affezionarsi ai personaggi e permettono ai personaggi stessi di evolversi nel loro modo di pensare e di comportarsi, su varie questioni, in modo graduale e credibile, in risposta a situazioni problematiche che sono state ben illustrate durante lo svolgimento della trama. Un’altra cosa, altrettanto importante, è il fatto che i programmi di intrattenimento creano legami emozionali con il pubblico che influenzano valori e comportamenti con maggior forza che non informazioni puramente cognitive come quelle fornite nei documentari. Come descritto nella teoria dell’apprendimento sociale dello psicologo Albert Bandura della Stanford University, l’“apprendimento vicario”, ossia l'apprendimento derivante dall’osservazione degli altri, è un potente maestro di atteggiamenti e comportamenti. Accanto ai modelli costituiti dai coetanei e dai genitori, i modelli provenienti dai mass-media sono di particolare importanza nel formare gli atteggiamenti culturali e il comportamento.

Sceneggiati melodrammatici[3] in più puntate che usano la metodologia elaborata dal messicano Miguel Sabido per promuovere la salute riproduttiva, sono stati straordinari nella loro capacità di non attirarsi serie opposizioni in nessun paese. Questo è il frutto, in parte, delle approfondite ricerche che hanno preceduto la creazione dei programmi, dirette a quantificare gli atteggiamenti e le norme del pubblico riguardo a questi temi. Solo questi studi permettono di creare dei personaggi che rispecchino il carattere del pubblico e siano in armonia con la sua cultura. Attraverso l’evoluzione graduale dei personaggi, man mano che affrontano problemi vissuti anche da molti nel pubblico, le soap opera possono mettere in scena l’adozione di comportamenti nuovi e non tradizionali, in un modo che non genera reazioni negative da parte del pubblico. A causa dei legami emozionali che a questo punto sono stati creati tra personaggi e pubblico e a causa della condivisione di problemi che personaggi e pubblico affrontano, quest’ultimo tende ad accettare i cambiamenti rappresentati, anche se essi sono contrari alle sue tradizioni culturali. Poiché tali programmi si occupano di questioni delicate come le relazioni sessuali e la riproduzione, è particolarmente importante che essi siano progettati in modo tale da non suscitare ostilità o provocare dei contraccolpi negativi.

Nel 1977, Miguel Sabido, allora Vice-Presidente, in Messico, della Televisa, ha creato la prima soap opera avente lo scopo di promuovere la pianificazione familiare, intitolata Acompaname ("Accompagnami"). Come un altro serial da lui prodotto in precedenza, che trattava del problema dell’alfabetizzazione illustrando la vita di personaggi analfabeti, il programma era stato progettato per creare dei personaggi che si sarebbero evoluti nel tempo fino a divenire dei modelli positivi per il pubblico. Acompaname metteva in scena, nel corso di puntate durate nove mesi e focalizzate sul tema dell’armonia familiare, i vantaggi personali che si ottengono pianificando la propria famiglia.
I risultati di Acompaname, come riferito dall’ente governativo messicano National Population Council (CONAPO), furono:
1. Le telefonate al CONAPO per richieste di informazioni sulla pianificazione familiare crebbero da zero a una media di 500 al mese. Molte delle persone che chiamavano facevano menzione del fatto che erano state incoraggiate a farlo dalla soap opera televisiva.
2. Più di 2.000 donne si registrarono come volontarie nel programma nazionale di pianificazione familiare. Questa era un’idea suggerita nella soap opera televisiva.
3. Le vendite di contraccettivi crebbero del 23% in un anno, a fronte di un aumento del 7% l’anno precedente.
4. Più di 560.000 donne si iscrissero ai consultori familiari, con un aumento del 33 percento (a fronte di una diminuzione dell'1 percento l’anno precedente).
In Messico, ad oggi, sono state trasmesse altre 5 soap opere, tutte realizzate da Miguel Sabido: Vamos Juntos (“Andiamo insieme”), Caminemos (“Camminiamo”), Nosotros las Mujeres (“Noi donne”), Por Amor (“Per amore”), e Los Hijos de Nadie (“I figli di Nessuno”).
Nel decennio 1977-1986, quando molte di queste soap opere messicane andarono in onda, il paese ottenne un calo del 34% del tasso di crescita della popolazione, così che, nel maggio 1986, il Messico ottenne il Premio Popolazione delle Nazioni Unite per il maggiore successo al mondo in tema di demografia.
Thomas Donnelly, allora in Messico con la USAID, scrisse: “in tutto il Messico, ovunque uno viaggi, quando chiede alle persone se sanno qualcosa sulla pianificazione familiare o cosa le ha indotte a praticarla, la risposta che ottiene ne attribuisce universalmente il merito a una delle soap opere realizzate dalla Televisa. ... Le soap opere sulla pianificazione familiare della Televisa hanno dato il più potente contributo all’esperienza messicana di successo demografico”.

India

L’India cominciò a trasmettere la sua prima soap opera a contenuto sociale, Hum Log (“Noi gente”), nel luglio del 1984, in seguito a un incontro di David Poindexter, ora presidente onorario del Population Media Center, e Miguel Sabido con Indira Ghandi, e a un corso di formazione per la Televisione Indiana (Doordarshan) organizzato dagli stessi Poindexter e Sabido. Attraverso le parole e le azioni dei protagonisti si promuovevano la pianificazione familiare e l’innalzamento della condizione femminile.

Nel corso dei 17 mesi di trasmissione, gli episodi di Hum Log ottennero ascolti tra il 60% e il 90%. Ricerche condotte dal professor Everett M. Rogers e da Arvind Singhal, allora alla Annenberg School of Communications dell’Università della California Meridionale, rilevarono, attraverso un sondaggio, che il 70% degli spettatori dichiarava di avere imparato da Hum Log che le donne avrebbero dovuto avere pari opportunità, il 68% che le donne avrebbero dovuto essere libere di fare le proprie scelte di vita, e il 71% che le dimensioni della famiglia dovevano essere limitate. Il programma, tra l’altro, spinse oltre 400.000 persone a inviare lettere all’Autorità della Televisione Indiana e a vari personaggi del programma per esprimere il loro punto di vista sulle questioni trattate o per chiedere aiuto e consiglio.

In seguito a un secondo corso formativo rivolto a un gruppo indiano, tenutosi a Città del Messico nel dicembre 1986, il produttore Roger Pereira di Bombay intraprese la creazione di una seconda soap opera televisiva. Il programma che ne risultò, Humraahi (“Vieni con me”), andò in onda nel gennaio del 1992. Aveva per tema la condizione delle donne, con particolare attenzione all’età del matrimonio e a quella della prima gravidanza, ai pregiudizi legati al genere sessuale nella procreazione e nell’educazione dei figli, alle pari opportunità nell’ambito dell’istruzione e al diritto delle donne di scegliere con chi sposarsi. Nel giro di quattro mesi, Humraahi divenne il programma più seguito della televisione indiana, con un’audience stimata in circa 230 milioni di spettatori. In questa soap, una ragazza che fa la domestica muore durante la gravidanza all’età di 15 anni, dopo essere stata obbligata dai suoi genitori, a 14 anni, ad accettare un matrimonio combinato. Dopo questo episodio-chiave, gli altri personaggi cominciano a deplorare la situazione delle ragazze in India e la tragedia dei matrimoni e delle gravidanze precoci. Uno studio finanziato dalla Rockfeller Foundation e realizzato da William Ryerson ha dimostrato che gli spettatori, a differenza dei non-spettatori, avevano cambiato significativamente atteggiamento riguardo all’età ideale per sposarsi e alla presenza delle donne nel mondo del lavoro; due questioni centrali, nella trama.

Kenya

David Poindexter cominciò a lavorare in Kenya nel 1983 per la governativa Voice of Kenya, che più tardi diventò Kenya Broadcasting Corporation (KBC). Dopo aver addestrato personale della radio e della televisione keniota in Messico con l’ausilio di Miguel Sabido, Poindexter collaborò alla realizzazione di due programmi: la serie televisiva Tushauriane (“Parliamone”) e la serie radiofonica Ushikwapo Shikamana (“Se aiutata, aiuta te stessa”). Questi programmi, trasmessi nel 1987, puntavano ad aprire la mente agli uomini affinché permettessero alle loro mogli di ricorrere alla pianificazione familiare. Mettevano inoltre in stretta correlazione le dimensioni della famiglia e l’eredità terriera, e quindi la capacità o incapacità dei figli di mantenere i genitori durante la vecchiaia. I due programmi risultarono i più popolari mai trasmessi da Voice of Kenya, rispettivamente tra quelli televisivi e radiofonici.

Quando terminarono, si constatò che l’uso dei contraccettivi in Kenya era aumentato del 58% e che il numero di figli desiderato era crollato, passando da 6,3 a 4,4 per donna. Indubbiamente furono molti i fattori che concorsero a determinare questi cambiamenti; in ogni caso, da uno studio condotto dalla Scuola di Giornalismo dell’Università di Nairobi presso centri sanitari rurali emerse che parecchie donne vi si presentavano riferendo che i loro mariti avevano permesso loro di ricorrere alla pianificazione familiare grazie a quel programma radiofonico.

Tanzania

La valutazione più piena degli effetti di un serial a contenuto sociale si ebbe tra il 1993 e il 1997 in Tanzania, dove Radio Tanzania mise in onda uno sceneggiato melodrammatico a puntate che catturò il 58% della popolazione (di età compresa tra i 15 e i 45 anni) in diverse zone raggiunte dalla trasmissione. Per valutare meglio il suo riscontro, in una particolare area del paese - la zona intorno alla città di Dodoma - nel corso dei primi due anni del progetto (1993-95) invece della soap opera si mandò in onda un programma musicale. Poi, dal 1995 al 1997, la soap fu trasmessa anche in quella zona di Dodoma.

Attraverso alcune ricerche indipendenti condotte nell’Università del Nuovo Messico e nell’ambito del Piano del governo della Tanzania su popolazione, famiglia ed educazione, si esaminarono gli effetti del programma in merito a questioni quali i comportamenti di prevenzione dell’AIDS, l’età ideale del matrimonio per le donne e l’uso di metodi di pianificazione familiare. Poiché la popolazione della zona di Dodoma che era stata esclusa dalla trasmissione nei primi due anni era più urbanizzata del resto del paese, un’analisi a regressione multipla eliminò l’influenza che tale caratteristica poteva avere avuto sull’esito. Durante e dopo la trasmissione del programma furono condotti sondaggi su scala nazionale su campioni casuali che coinvolsero 2.750 persone. Si raccolsero anche dati del Piano governativo per il Controllo dell’AIDS, del Ministero della Salute e dell’Indagine Demografica e Sanitaria. Tutti questi dati confermavano il notevole impatto della soap opera sugli atteggiamenti e i comportamenti delle persone.

Si rilevarono anche significativi aumenti: nella percentuale di popolazione che avvertiva il rischio di contrarre l’HIV; nella convinzione generale che si potesse agire efficacemente per prevenire l’HIV/AIDS; nelle comunicazioni interpersonali sul tema dell’AIDS; nella convinzione che gli individui, e non il loro dio o il loro destino, potessero decidere quanti figli avere; nella convinzione che i bambini vivessero meglio in famiglie di piccole dimensioni piuttosto che in famiglie molto numerose; nella percentuale delle persone che rispondevano ai sondaggi dicendo di approvare la pianificazione familiare.

Lo studio dimostrò anche che il serial radiofonico tanzaniano contribuiva a importanti mutamenti di comportamento. Oltre la metà della popolazione delle zone in cui il serial fu trasmesso si dichiarò ascoltatrice del programma, con un pubblico composto più da uomini che da donne. Uno dei personaggi-chiave della soap opera era un camionista che, durante il tragitto, passava da una ragazza all’altra. A un certo punto quest’uomo contrae l’AIDS. Degli ascoltatori intervistati, l’82% affermò che il programma li aveva spinti a cambiare comportamento per evitare l’HIV, limitando il numero di partner sessuali e facendo uso del preservativo. Dati indipendenti del Piano del governo della Tanzania per il Controllo dell’AIDS evidenziarono un aumento del 153% nella distribuzione di preservativi nelle zone interessate dalla soap opera nel corso del primo anno di trasmissione, mentre la distribuzione di preservativi nella zona di Dodoma che era stata esclusa dalla trasmissione era aumentata solo del 16% nello stesso periodo.

Il programma fu anche efficace nella promozione della pianificazione familiare. Si verificò una forte relazione positiva tra livelli di ascolto per distretto e cambiamento della percentuale degli uomini e delle donne che utilizzavano metodi di pianificazione familiare. La ricerca mostrò anche un aumento nella percentuale di tanzaniani, nelle zone raggiunte dalla trasmissione, che discutevano di pianificazione familiare con i propri mariti o le proprie mogli. Il programma ebbe anche un significativo effetto nell’innalzamento dell’età considerata ideale, per una donna, per sposarsi e per avere il primo figlio.

Dove il programma andò in onda, la percentuale delle donne sposate che al momento usavano un metodo di pianificazione familiare aumentò di 10 punti nei primi due anni di trasmissione, mentre non ci furono variazioni nella zona di Dodoma nel periodo in cui il programma non fu trasmesso. Quando poi il programma fu trasmesso anche lì, il tasso di diffusione dei contraccettivi aumentò del 16%. Dove il programma fu trasmesso, il numero medio di nuovi utilizzatori di metodi di pianificazione familiare per clinica, su un campione di 21 cliniche, aumentò del 32% dal giugno del 1993 (il mese precedente alla messa in onda dello sceneggiato) al dicembre 1994. Nello stesso periodo, il numero medio dei nuovi utilizzatori presso le cliniche della zona di Dodoma rimase sostanzialmente stabile.

Dati indipendenti di cliniche del Ministero della Salute mostrarono che il 41% dei nuovi utilizzatori di metodi di pianificazione familiare vi ricorrevano sotto l’influenza della soap opera. Tra questi, un 25% citava la soap opera per nome quando gli si chiedeva perché si fosse recato alla clinica, e un altro 16% citava “qualcosa per radio” e poi individuava la soap quando gli si mostrava una lista di programmi in onda in quel periodo. Un altro serial sulla pianificazione familiare che usava una diversa metodologia, trasmesso su scala nazionale da Radio Tanzania sempre in quel periodo, fu citato appena dall’11% di nuovi utilizzatori di metodi di pianificazione familiare nelle stesse cliniche del Ministero della Salute. Questi dati sottolineano l’importanza della metodologia usata nell’elaborare questi serial.

Calcolando tutti i costi di questo serial radiofonico, il costo per ogni nuovo utilizzatore di metodi di pianificazione familiare è stato inferiore agli 80 centesimi di dollaro; il costo per ogni persona che ha cambiato comportamento per prevenire l’HIV/AIDS è stato di 8 centesimi di dollaro.

Poiché i programmi di intrattenimento (per radio o per televisione, a seconda della presenza di questi due media nei diversi paesi) sono i più seguiti dal pubblico, è particolarmente importante avvalersi dei media di intrattenimento per diffondere informazione su questioni di salute riproduttiva.

Il Lavoro del Population Media Center

Il Population Media Center è impegnato nella realizzazione di ampie campagne mediatiche nei paesi in cui attua i suoi progetti. Essendo comprovata la loro efficacia, i serial a contenuto sociale costituiscono, per lo più, il centro della strategia di qualsiasi paese. Strategia che consiste nell’utilizzare il meglio di ciò che si è fatto in passato e, su questa base, sviluppare in ciascun paese attività che trattino in modo intensivo le questioni relative ai comportamenti sessuali a rischio. Il PMC intende in questo modo contribuire, in ogni parte del mondo, a un rapido cambiamento del comportamento delle persone nei riguardi della propria salute.

Il PMC offre intrattenimento e informazione per aiutare le persone a prendere decisioni informate senza dire loro esplicitamente cosa fare. L’approccio del PMC fa leva su un modo non coercitivo e informato di prendere le decisioni, definendolo su misura a seconda dei casi e a seconda delle esigenze e delle situazioni locali. I suoi programmi sono progettati per promuovere la salute e la dignità umana attraverso l’educazione, presentando varie alternative con le rispettive conseguenze.

Oltre alla sede centrale negli Stati Uniti, il Population Media Center ha uffici e operatori in Brasile, Messico, India, Filippine, Etiopia, Kenya, Malawi, Mali, Nigeria, Ruanda e Sudan; paesi in cui porta avanti progetti già avviati o in via di realizzazione. Il progetto per il Mali serve anche per il Burkina Faso e la Costa d’Avorio. Si stanno elaborando progetti anche in Nepal, ad Haiti, in Mozambico, in Nigeria, nello Swaziland e nel Togo. Ecco alcuni esempi di questo lavoro:

Etiopia

In Etiopia il PMC sta attuando un progetto che comprende alcuni serial radiofonici nelle lingue principali, amarico e oromiffa. Dopo una fase di ricerca preparatoria, terminata nel 2001, nel giugno del 2002 sono cominciate la produzione e la trasmissione di questi lavori radiofonici. I programmi affrontano questioni riguardanti la salute riproduttiva e la condizione delle donne, compresi l’HIV/AIDS, la pianificazione familiare, il matrimonio forzato (ottenuto attraverso il rapimento), l’educazione femminile, la comunicazione interconiugale e argomenti correlati. I programmi stanno avendo un enorme riscontro in termini di audience. Finora sono già arrivate più di 14.000 lettere da parte degli ascoltatori.

Un segno dell’impatto dei programmi del Population Media Center in Etiopia è dato dal fatto che attualmente[4] il 60% di coloro che si recano per la prima volta nelle cliniche del paese per accedere a servizi di salute riproduttiva dicono di seguire uno dei serial radiofonici del PMC. Come ha scritto qualcuno, i programmi del PMC stanno facendo uscire l’Etiopia da un buio di secoli.

Da notare che il 18% dei nuovi utenti di questi servizi nomina uno dei programmi del PMC come primo fattore motivazionale della decisione di ricorrere a servizi di salute riproduttiva. Di coloro che citano programmi radiofonici come motivazione del ricorrere a tali servizi, il 96% dichiara di essere stato motivato da uno dei programmi del PMC. La cosa più importante è che la proporzione di donne sposate che dicono di avere usato anticoncezionali almeno una volta è passata dal 27% del periodo immediatamente precedente la messa in onda dei programmi al 79% tra gli ascoltatori di questi ultimi[5], di contro a un 47% tra i non ascoltatori.
Sempre in Etiopia, il PMC sta mettendo in atto due progetti che, nell’affrontare questioni riguardanti la popolazione e la salute riproduttiva, fanno leva sulla creatività. Questi progetti comprendono la produzione di spettacoli itineranti che trattano questioni di salute riproduttiva; la realizzazione di videocassette su questioni inerenti alla popolazione in Etiopia; un concorso sui migliori racconti e le migliori poesie su questioni di salute riproduttiva; un corso di formazione per giornalisti sul modo in cui trattare argomenti di attualità collegandoli alla crescita della popolazione. Come parte di questo lavoro, PMC-Etiopia ha pubblicato, nel 2003, una raccolta di poesie e racconti vincitori di premi nazionali incentrati sull’HIV/AIDS e su questioni sociali correlate, dal titolo Yehiowt Tebitawoch (“Gocce di vita”). Questi lavori sono stati selezionati tra 146 racconti e 176 poesie presentate a un concorso nazionale per le migliori poesie e i migliori racconti su temi inerenti alla salute riproduttiva e all’HIV/AIDS. Di questo libro sono state pubblicate 10.000 copie, attualmente distribuite sul territorio etiope. Nel 2004 è stato pubblicato un secondo volume di racconti, in seguito a un secondo concorso svoltosi su scala nazionale. Il libro, Kinfam Hilmoch (“Sogni Alati”) sarà distribuito su larga scala come il precedente. Il PMC ha anche prodotto un’intera opera teatrale sul tema della prevenzione dell’HIV/AIDS intitolata Yesak Jember (“Risata al Crepuscolo”). Il lavoro è stato inaugurato il 29 settembre 2003 e ha avuto tra i suoi spettatori l’ex presidente della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia, il dottor Negasso Gidada. Yesak Jember è rimasto nei teatri della capitale per 10 settimane, seguito da rappresentazioni in altre 14 città etiopi. Il copione è affidato a gruppi teatrali locali per gli adattamenti.

Il PMC ha avuto l’appoggio per realizzare e trasmettere un talk show radiofonico incentrato sul mondo giovanile mirante a informare i ragazzi sull’HIV/AIDS, la salute riproduttiva e su questioni sociali correlate. Le trasmissioni del programma avranno inizio nel 2005 su Radio Etiopia.

Mali, Costa D’Avorio e Burkina Faso

In Africa Occidentale, il PMC sta trasmettendo un serial radiofonico che affronta questioni inerenti allo sfruttamento dei bambini, compreso il legame tra questo problema e fattori che provocano la povertà come le gravidanze indesiderate e l’HIV/AIDS. Per sovrintendere al progetto, il PMC ha aperto un proprio ufficio a Bamako, in Mali. Le ricerche preparatorie si sono concluse, e nel giugno del 2004 si è tenuto un tirocinio rivolto al produttore e agli autori. Il lavoro, intitolato Cesiri Tono (“Tutte le ricompense del coraggio e della fatica”), è andato in onda l’11 novembre 2004 ed è attualmente distribuito, attraverso il satellite WorldSpace, a stazioni radio pubbliche locali e alla radio governativa, che ha trasmesso il programma anche in Mali, Costa D’Avorio e Burkina Faso.

Sudan

Il PMC sta trasmettendo un serial radiofonico settimanale su questioni di salute riproduttiva in Sudan. Il PMC ha condotto ricerche preparatorie di base durante la seconda metà del 2003, e ha tenuto un laboratorio formativo per il produttore e gli autori nel febbraio 2004. I risultati della ricerca preparatoria sono stati presentati durante questo laboratorio, per fornire una base su cui costruire la storia, i personaggi e il copione. Dopo un iniziale test delle prime quattro puntate pilota, sono state scritte e prodotte le prime 64 puntate, e successivamente se ne sono scritte altre 30. Il programma, Ashreat Al Amal (“Vele di speranza”), è trasmesso dal 22 novembre 2004 su tutto il territorio dello stato di Khartum. A trasmetterlo su scala nazionale è Radio Omdurman. La messa in onda è fornita gratuitamente dal ministero dell’informazione.

Brasile

In Brasile il PMC sta lavorando in partnership con Comunicarte, un’organizzazione non-governativa di Rio de Janeiro, al fine di influenzare i programmi prime time[6] di TV Globo. Lo staff che si occupa di questo progetto si incontra regolarmente con gli autori delle tre telenovele di prime time di TV Globo per suggerire temi e storie inerenti alla salute riproduttiva. Nel 2003 si è riusciti a convincere TV Globo a integrare 1.354 scene che trattavano di salute riproduttiva, dimensioni familiari ridotte e questioni sociali e sanitarie correlate. Questi programmi sono trasmessi su scala nazionale in Brasile ed esportati in dozzine di paesi del mondo, doppiati in varie lingue.

Messico

Qui dei giovani stanno creando serial radiofonici su temi legati alla sessualità adolescenziale. Il PMC sta lavorando con il Centro per l’Orientamento degli Adolescenti (CORA) del Messico per produrre una serie di mini-serial radiofonici inframmezzati a talk-show nei cinque stati del Messico con i più alti tassi di fertilità. Questi programmi sono stati realizzati da giovani e sono rivolti a un pubblico giovane. Il PMC ha saggiato il modello per i programmi radiofonici nello stato del Puebla e ha poi realizzato un manuale di metodologia. Il PMC e il CORA stanno estendendo l’uso di tale metodologia ad altri stati, a cominciare dall’Hidalgo, il Tlaxcala e il Michoacan. Oltre ai programmi radiofonici, i progetti comprendono una formazione intensiva per chi opera nel settore della cura della salute e per il personale di agenzie di servizi per giovani affinché siano in grado di trattare efficacemente le questioni legate alla sessualità adolescenziale.

Stati Uniti

Il PMC sta tenendo un concorso annuale nazionale che premierà le migliori vignette già pubblicate su questioni relative alla popolazione, sperando di stimolare, con questa strategia semplice ma molto efficace, una maggiore attenzione verso tali temi da parte dei media statunitensi. Nel primo anno del concorso sono state inviate 188 vignette.

La giuria del concorso di quest’anno comprendeva l’ex-governatore del Colorado Richard Lamm, il presidente – ora in pensione – di United Media Robert Metz, il professor Robert Wyman dell’Università di Yale, la vice-presidente per i programmi internazionali di Planned Parenthood Federation Allie Stickney e i vignettisti Edward Koren e Signe Wilkinson. La National Cartoonists Society e la Association of American Editorial Cartoonists hanno pubblicizzato il concorso tra i loro membri.

A vincere l’edizione del 2004 del concorso è stato Clay Bennett, vignettista editorialista del Christian Science Monitor e vincitore del Premio Pulitzer nel 2002. La vignetta di Clay Bennett, “Siate fecondi e moltiplicatevi… Ora dividete”, ha trionfato su altre 187 vignette e si è aggiudicata il gran premio di 7.000 dollari, oltre al viaggio completamente spesato a New York. Il premio gli è stato consegnato il 5 ottobre 2004 allo Yale Club di New York. I vignettisti Jeff Parker ed Eric Lewis hanno vinto rispettivamente il secondo e il terzo premio. Jeff Parker disegna per la pubblicazione Florida Today, e i suoi lavori sono anche diffusi attraverso il sito web caglecartoons.com. Eric Lewis disegna per il New Yorker. Le vignette vincitrici si possono vedere su http://www.populationmedia.org/cartooncontest/index.html
A livello regionale

Il PMC ha recentemente messo a punto per l’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) un progetto regionale per l’Africa e l’Asia, volto ad aiutare le stazioni radio locali, pubbliche e in FM, ad affrontare questioni relative all’HIV/AIDS e alla salute riproduttiva attraverso l’intrattenimento educativo. Il progetto comprende una stima delle esigenze dei gestori delle radio pubbliche di determinati paesi africani e asiatici in tema di informazione sulla salute riproduttiva, e laboratori di formazione per l’uso di tecniche di intrattenimento educativo per produttori di radio pubbliche e rappresentanti di alcune particolari ONG. Questo progetto ha visto il tirocinio del personale di stazioni radio e di ONG di otto paesi africani – Angola, Guinea Bissau, Mali, Mozambico, Namibia, Niger, Nigeria, Sudafrica - in un laboratorio di Johannesburg nel marzo del 2003. Sei paesi asiatici - Cambogia, Mongolia, Nepal, Papua Nuova Guinea, Filippine, Vietnam – hanno partecipato a un laboratorio simile a Manila nel maggio del 2003. A seguito di questi laboratori, il PMC, insieme a diversi partecipanti ai tirocini, sta elaborando progetti per serial di lunga durata a contenuto sociale.

Nel 2004 l’UNFPA ha chiesto al PMC di elaborare una guida formativa con informazioni dettagliate sull’applicazione della metodologia fondata sul serial radiofonico o televisivo per affrontare questioni come l’impatto delle discriminazioni di genere sulla vulnerabilità delle donne all’HIV/AIDS. La guida formativa sarà pubblicata nel gennaio del 2005.

Per ulteriori informazioni, contattare:
Population Media Center
PO Box 547
Shelburne, Vermont 05482 USA
Telefono: 802-985-8156
Fax: 802-985-8119
E-mail: pmc@populationmedia.org
Sito web: www.populationmedia.org

Traduzione di Guido Ferretti, Alberto Licheri, Renata Pantucci