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mercoledì 11 maggio 2022

Verdi e popolazione: il muro non cade

Riporto questo articolo del Fatto Quotidiano perché esprime in maniera paradigmatica il pensiero del movimento verde (caduto nell’antropoegoismo assoluto) attraverso quelli che attualmente ne rappresentano esponenti di primo piano, come Fridays for Future e l’ecogiornalista inglese Monbiot. Le frasi estratte dal pensiero verde antropoegoico sono caratteristiche: non contano le specie viventi diverse da Homo ma solo i diritti di Homo. Il lento e sotterraneo movimento per i diritti degli animali e per un visione non antropocentrica, sembra ancora non scalfire il muro che separa gli ecologisti dalla presa di coscienza della principale criticità del pianeta: la sovrappopolazione umana. Nel pezzo vengono continuamente citati i diritti (di Homo), tra cui quello di figliare a piacimento. Si nega che la crescita demografica sia un problema, anzi:
“l’impatto globale di essa è molto più esiguo di quanto molti possano immaginare”.
“La crescita demografica non è, come molti sostengono, esponenziale. Anzi il tasso è in rapido calo”.
“Considerare i figli come un grave errore di cui vergognarsi…è piuttosto desolante, sintomo di una società vecchia e reazionaria”.
Poi si riportano le posizioni di George Monbiot, un giornalista ecologista che era partito bene in passato, contribuendo insieme ad altri (Wilson et al.)a fondare il concetto e la filosofia del Rewilding, cioè di una azione ecologica rivolta non solo a conservare le aree verdi e le specie a rischio, ma anche a reintrodurre il selvaggio, gli ambienti naturali, le specie tipiche, nelle varie zone da cui l’antropocentrismo le ha cacciate e restaurando le aree incontaminate stravolte dalla presenza umana. Purtroppo Monbiot è caduto anche lui nelle posizioni dei diritti di Homo e nell’antropocentrismo ideologico, dimenticandosi del mondo selvaggio. La giornalista del Fatto, riportandone l’evoluzione del pensiero, parte con la solita sparata dei cannoni con cui i verdi attaccano il pensiero dissenziente:
“…una vena più o meno razzista e colonialista nell’accusa che le nazioni ricche fanno alle nazioni povere (di fare troppi figli senza avere le risorse per mantenerli)”. Sono infatti le soscietà ricche quelle con la crescita demografica zero, ad essere più inquinanti, consumiste e ad avere impronte carboniche maggiori, commenta la giornalista.
A parte il fatto che a pensarla così non sono le nazioni ricche (molte multinazionali portano avanti il pensiero unico equosolidale...)ma ecologisti che non vogliono adeguarsi al politically correct ma pensare con la propria testa, questo modo di vedere nasconde una presunzione di verità e una omissione. La presunzione di verità è la seguente: un mondo più povero, con le risorse equamente distribuite, ma senza maggior produzione (e quindi più povero, per una legge matematica), sarebbe meno inquinante anche se sovrappopolato, rispetto ad un mondo più ricco con popolazione stabile o in decrescita. Un mondo più povero e popolato, al di là delle astrazioni ideologiche, è già presente oggi in alcune aree del pianeta: non mi risulta che siano le meno inquinate. Provare per credere: proprio in questo blog ho varie volte accennato a megalopoli sovrappopolate e con tecnologia arretrata per povertà di risorse economiche (come nel mio articolo su Karachi, o su certe megalopoli africane) ridotte a discariche gigantesche e fonti di inquinamento chimico, da particolato, da plastiche, da tossici , con aria irrespirabile e tassi di morbilità e mortalità elevati.
Veniamo all’omissione: si tace , rimuovendola da ogni argomentare, sul fatto che oggi i tassi di natalità non possono più essere considerati appartenenti a certe aree e non ad altre, della superficie terrestre. Quando si dice che i tassi di natalità, ad esempio, sono alti in Africa o in Bangla Desh, ma troppo bassi in Europa si dice una menzogna colpevolmente nascosta dai verdi antropoegoici. E’ vero infatti che la natalità è concentrata in certe aree, dove tra l’altro non vi sono risorse, ma poiché il mondo oggi è globalizzato, l’affermazione che la crescita demografica è riservata a certe zone è falsa. In passato, quando gli spostamenti di popolazione erano più rari e difficoltosi, le risorse locali (acqua, produzione agricola, alimentari, lavoro, sanità ecc.) fungevano da limitazione alla natalità. Oggi questo non costituisce più impedimento alle alte natalità, in quanto i nuovi nati, spesso ancora minorenni, si trasferiscono (o meglio vengono trasferiti con vere e proprie tratte…) nelle aree dove possono trovare risorse adeguate (Europa essenzialmente). La mobilità delle merci, ma in questi ultimi decenni soprattutto delle persone, è divenuta estremanente efficiente e diffusa (nonostante i frequenti incidenti, ma di questi i trafficanti non si preoccupano). Ciò significa che di chi nasce, ad esempio, in Nigeria, solo una parte rimarrà sul luogo, la stragrande maggioranza vivrà in Europa. (Ciònonostante la popolazione della Nigeria cresce a ritmi che la porterà ai 950 milioni a fine secolo. E stiamo parlando solo della Nigeria). E’ palesemente falso quindi che chi nasce in Nigeria inquinerà di meno: inquinerà con gli stessi tassi di tossicità chimica e fisica e le stesse emissioni di chi vive in Europa. A ciò si aggiunga che gli stessi Nigeriani aspirano ad aumentare i consumi e gli inquinanti, non volendo giustamente vivere da poveri e ricercando le vie brevi per lo sviluppo. La frase di Monbiot: “Poiché la crescita demografica riguarda soprattutto i più poveri del mondo, questi hanno un impatto sul pianeta molto più lieve rispetto ai ricchi e quindi la crescita demografica è molto inferiore a un terzo dell’aumento complessivo dei consumi” è quindi un insieme di falsità, un inganno senza se e senza ma. Monbiot tace poi miseramente sulla fine delle specie animali selvaggie africane dovuto alla crescita dell'agricoltura, delle città e delle infrastrutture. Un silenzio di tomba è il termine adeguato su una perdita irreparabile per il pianeta Terra. Altro che ritorno al selvaggio, come predicava Monbiot agli inizi della sua carriera ecologista...
Dopo di ché l’articolo vira sulle banalità: se si assicurano i diritti delle donne, se si da istruzione ed emancipazione a donne e bambini, la natalità cala bla bla bla direbbe Greta. (E’ evidente la contraddizione tra il dire che la natalità non conta in quanto contano i consumi dei ricchi, e poi auspicare il calo della natalità per diritti). Sono le posizioni dell’Onu, ma se non si interviene con politiche attive di controllo delle nascite la storia dell’ultimo secolo dimostra che i tassi sono molto lenti a calare, o non calano affatto. A volte la natalità è anzi aumentata con lo sviluppo economico e sociale. Se ad esempio per ragioni politiche o religiose, o per semplici tradizioni secolari,per nazionalismo, o come avviene oggi in certi paesi per interessi economici (rimesse ecc.), si perseguono l’aumento della popolazione e un alto numero di figli, lo sviluppo di economie più floride non arresta la crescita. Si consideri l’inerzia demografica delle popolazioni immigrate: la riduzione, pur presente in certi casi, è molto lenta e i tassi si mantengono alti soprattuto nelle culture poco disposte all’integrazione. C’è infine il discorso della campana demografica: le popolazioni in crescita sono molto giovani, e su una popolazione con alti numeri di giovani la base su cui si applicano le percentuali è più ampia. Alla lunga, anche se il tasso di natalità cala leggermente nelle percentuali, i numeri assoluti dei nuovi nati sono in crescita, pur in presenza di sviluppo economico e di diritti. Il finale di simili articoli sconfina a volte nel patetico e nel politically correct: " Perché i bambini lavorano nei paesi poveri? Perché gli adulti non hanno salari adeguati, perché le multinazionali (e quindi la colpa è sempre dell’occidente…) subappaltano ecc. ecc. Stendo un pietoso velo su questa congerie di corbellerie di cui è difficile fare anche un commento. Come se l’Africa, qualora mancassero le imprese occidentali, sarebbe in rigoglioso sviluppo. Sospetto che, semplicemente, sarebbe preda delle imprese di rapina cinesi, o, bene che vada, russe o indiane.
Come sempre i verdi sono ormai in pieno delirio antropocentrico e , parafrasando il filosofo, forse soltanto un Dio ci può salvare.
Articolo del Fatto Quotidiano (Autrice : Linda Maggiori)
Ogni volta che provo a parlare di stili di vita, che testimonio come si possono ridurre i consumi, che parlo di giustizia ecologica e globale, immancabilmente qualcuno mi attacca dicendomi: “Ipocrita, taci, tu vegana e senz’auto, inquini più di me che mangio tutti i giorni la bistecca e che vado sempre col Suv, perché hai fatto 4 figli”. Considerare i figli come un grave errore di cui vergognarsi, o un motivo per accusare e zittire una donna impegnata nell’ambiente, è piuttosto desolante, sintomo di una società vecchia e reazionaria. Non ho mai “sbandierato” questa scelta (la pianificazione familiare è un fatto privato). Mi accorgo però che sul concetto della sovrappopolazione tanti si aggrappano, forse per mettersi a posto la coscienza. Pochi figli (o zero figli) legittimano stili di vita inquinanti? Al contrario è colpa di chi fa più figli se il mondo va a rotoli? Una settimana fa i Fridays for Future Italia hanno sollevato questo tema, scatenando un vespaio. Hanno citato un articolo di Monbiot, giornalista del Guardian, che affermava (2020): “Non c’è dubbio che la crescita demografica sottoponga l’ambiente a uno stress. Ma l’impatto globale è molto più esiguo di quanto molti possano immaginare. La crescita demografica globale (annua) è oggi dell’1,05% e costituisce la metà del tasso di crescita massima, raggiunto nel 1963 (2,2%). In altre parole, la crescita demografica non è, come molti sostengono, esponenziale. Anzi, il tasso è in rapido calo. Di contro, fino alla pandemia, la crescita economica globale si era aggirata per diversi anni intorno al 3% e ci si aspettava che restasse stabile. In altre parole, la crescita era esponenziale. Poiché la crescita demografica riguarda soprattutto i più poveri del mondo, questi hanno un impatto sul pianeta molto più lieve rispetto ai ricchi e quindi la crescita demografica è molto inferiore a un terzo dell’aumento complessivo dei consumi”.
George Monbiot sottolineava una vena più o meno consapevolmente razzista e colonialista nell’accusa che le nazioni ricche fanno alle nazioni povere. Sono infatti le società ricche, quelle con crescita demografica zero, ad essere più inquinanti, consumiste e ad avere impronte carboniche maggiori. Prendiamo l’Italia, dove ci sono più morti che nati, dove il cemento avanza imperturbabile la sua corsa e le auto aumentano di anno in anno. Sempre meno persone, sempre più oggetti. Una società vecchia, sempre meno attenta ai bisogni delle nuove generazioni, e piuttosto cinica rispetto al futuro. In Italia i bambini sono 5 volte in meno delle auto (8 milioni contro 39 milioni), i diritti e lo spazio destinato ai bambini in città è sempre più esiguo. Nel Sud del mondo la sovrappopolazione è davvero un problema, ma è un problema soprattutto di diritti. Le donne dei paesi poveri hanno tanti figli non sempre per libera scelta, ma perché non hanno diritti, sono costrette in matrimoni forzati e precoci, hanno scarso accesso ai metodi contraccettivi, alle cure sanitarie, all’istruzione, i bambini sono braccia da lavoro, sfruttati nel lavoro minorile. Con programmi di emancipazione, salute e istruzione per donne e bambini, mettendo al bando lo sfruttamento del lavoro, la crescita demografica naturalmente rallenta.
Ma perché i bambini lavorano? Perché gli adulti non hanno salari adeguati, perché le multinazionali subappaltano chiudendo gli occhi sui diritti, perché noi occidentali abbiamo fame di continui vestiti, giocattoli, oggetti a prezzi stracciati. Solo dando maggiori diritti a donne e bambini si riuscirà a rallentare la crescita demografica nei paesi poveri. Al contempo il modello occidentale, consumista ed energivoro non può essere un modello da seguire per chi esce dalla povertà. E siamo noi i primi a dover dare il buon esempio, consumando meno. Il punto è tutto qua. Nel mondo ci sono quasi 2 miliardi di auto (concentrate soprattutto nel nord del mondo), qualcosa come 210 miliardi di animali allevati, (carne destinata per lo più a occidentali ipernutriti – e malati) e una marea di cibo sprecato. Il 5% dei 7 miliardi di attuali esseri umani usa il 25% delle risorse disponibili e il 20% della popolazione mondiale usa l’80% dell’energia. Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale toccherà i 9,8 miliardi nel 2050 per poi diminuire. Se tutti vorranno mangiare così tanta carne come mangiamo noi, se vorranno avere un’auto a testa come noi, cementificare, produrre rifiuti, sprecare cibo e comprare vestiti come facciamo noi, cosa diremo loro? “Noi sì, voi no, stateci a guardare e fate meno figli”? Oltre a garantire diritti, istruzione e salute nei paesi del Sud del mondo, dobbiamo ridurre la nostra impronta ecologica, per permettere a tutti gli abitanti del pianeta di raggiungere la stessa dignità e sobrietà. Non c’è pace senza giustizia ecologica.
Linda Maggiori

domenica 8 maggio 2022

Il mondo che si delinea dopo la guerra

Si temeva che le emissioni di carbonio portassero alla fine della civiltà nel giro di alcuni decenni. Ben più rapidamente l'emissione di stupidità da parte degli umani sta portando ad una crisi planetaria da cui non vedo vie di uscita. La guerra e, prima ancora la pandemia, ci stanno insegnando che sperare nelle risorse delle civiltà che si confrontano sulla terra è pura illusione. La globalizzazione si è rivelata per quel che era, un fatto commerciale per ridurre il costo del lavoro e implementare le produzioni su scala mondiale(senza più alcuna attenzione alla democrazia). In realtà, dietro le menzogne sull'economia globale, c'erano interessi di potere di paesi e governi ben determinati a fare solo i propri affari. La fine del lungo dopoguerra è ormai evidente dalla politica Usa degli ultimi presidenti, senza distinzione di partito. Molto illuminante è stato come l'america ha risposto alla aggressione russa dell'Ucraina: il presidente, un vecchio signore dell'establishment, invece di arrivare ad un compromesso onorevole con l'aggressore,come avrebbe fatto un quasiasi Kennedy o Nixon, ha cominciato ad inveire contro il nemico, ha escluso accordi fin da subito, infine si è limitato a inviare armi, lasciando la politica dell'occidente in balia dei singoli governi incapaci di dare una risposta unitaria. Dietro le parole inutili era possibile leggere questo pensiero: l'America non ha intenzione di sporcarsi le mani a migliaia di chilometri dai suoi confini, noi siamo qui, vedetevela voi. La crisi dell'Europa è evidente a tutti, e gli unici interlocutori della potenza nucleare russa sono stati la Cina ed Erdogan. L'europa è un circolo dopolavoro che fa continue riunioni senza concludere nulla. Manca di strumenti adeguati , non ha un esercito, ha una economia frammentata, e legislazioni completamente diverse nei singoli paesi. Anche nella pandemia abbiamo assistito allo spettacolo di una Europa incapace di coordinarsi, ed a una america che ha vaccinato solo una parte della popolazione. La sfiducia nella scienza è manifesta ovunque nella terra della sera, come chiamavano i greci la parte di mondo soggetta alla loro influenza. La scienza è nata in occidente ma la civiltà occidentale non trasmette più istruzione, la scuola ha perso i suoi riferimenti e i contenuti tecnici sono scadenti. Se fosse possibile stilare un indice di sviluppo tecnologico, al primo postro sarebbe la Cina. Le lingue parlate in europa sono tutte alla fine, l'inglese regge finchè ci si gestirà il commercio, ma presto arriverà il cinese o l'indiano. La vicenda delle vaccinazioni ha dimostrato che non c'è più una comunità con valori condivisi. Ancora alcuni decenni fa si seguivano le indicazioni degli scienziati senza discutere, oggi si fanno dibattiti per qualsiasi argomento. Il crollo culturale non è che il riflesso del crollo dell'ambiente, della biosfera, e di quella luce intellettuale che è oggi sostituita dal commercio e dalle vendite. In questo mondo mediatito sembra di assistere alla continua menzogna pubblicitaria, senza un senso di verità che guidi da qualche parte. Siamo tutti più soli, in un mondo di otto miliardi, chiusi in scatoloni di cemento, irrorati dal verbo consumistico, impoveriti di concetti e di parole, in preda a ciarlatani e a scienziati che parlano nel deserto di coscienze intellettuali, mescolando le loro voci in un osceno caleidoscopio. Non ci sono più cori gregoriani, ma coretti da pollaio. Nella tv russa hanno parlato, le nuove menti che orientano i popoli, di missili termonucleari lanciati su città come Londra o Berlino, o Parigi. Non sono stati neanche in grado di capire la follia e il paradosso che si nasconde diatro queste esibizioni. Questo nel bel mezzo di una guerra che rischia ogni momento di estendersi. Il discorso ecologico, al momento della crisi, non ha retto alla prova.I vari protocolli tipo Kyoto sono belli e seppelliti, e ogni paese si industria a bruciare petrolio, carbone e gas senza più alcuna remora. Sulle rinnovabili pongo pietoso velo, visto che la situazione ha fatto gettare la maschera a tutti: nessuno crede che siano di qualche importanza per superare la crisi. L'economia si avvia verso la stagnazione e l'inflazione, contemporaneamente. Dall'aumento vertiginoso dei prezzi dell'energia si salvano per il momento i paesi che usano il nucleare, ma ciò non basta all'economia mondiale. Nel frattempo si preparano scenari di fame e di migrazioni di massa visto la crescita demografica del nord Africa e dell'India. Migrare verso la crisi economica è pur sempre meglio che rimanere nella fame certa. E nessuno ancora azzarda a prporre politiche demografiche che facciano almeno ridurre il problema tra dieci o venti anni. Le emissioni di stupidità da parte di Homo non si fermano: paesi alla fame cercano di incrementare le nascite per pura politica di potenza o per la speranza di rientro economico delle rimesse degli emigrati. Si procede alla cieca...chi vivrà, vedrà.