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sabato 17 giugno 2023

La distruzione green degli Oceani

Nella foto un automezzo robottizzato sta per essere calato nei fondali oceanici per effettuare trivellazioni di prova alla ricerca dei metalli nobili della nuova economia green.
Il grande businness della produzione e vendita nei prossimi anni di un miliardo di vetture elettriche, di miliardi di batterie, di accumulatori, di motori magnetici per pale eoliche e di milioni di pannelli solari, e di tutto ciò che è connesso alla economia green ( ma non solo, anche di microchip e di armi di precisione) sta portando all'inizio della grande corsa verso i fondali oceanici, dove gli elementi nobili titanio, cobalto, manganese, litio ecc. e le terre rare necessarie alla nuova produzione, abbondano in modo superiore agli attuali giacimenti terrestri in Congo o in Cile. Come sempre ai primi posti nella corsa all'accaparramento c'è la Cina con le sue industrie di Stato, ma non solo : le multinazionali con sede a Bruxelles, l'americana Lokheed per le armi, la Tesla ecc. Nel silenzio generale dei media, con le bocche tappate dei movimenti verdi che al riguardo tacciono in modo assoluto, si sta per realizzare la piu grande devastazione ambientale a livello planetario con operazioni di scavo, di estrazione, di sommovimento (anche con esplosivi), di abbattimento, di trascinemento, di frantumazione e di immissione di sostanze chimiche nei fondali oceanici, con la distruzione senza precedenti della biodiversita' e la rovina dell'ecosistema oceanico di assorbimento del carbonio e della liberazione di ossigeno (circa il 50 % dell'ossigeno in atmosfera viene dai fondali oceanici). E' una opèerazione che fa impallidire tutti gli altri tipi di inquinamento e devastazione industriale della terra e dei mari degli ultimi decenni. Le grandi multinazionali che hanno deciso la svolta green nell'economia, tra cui i colossi produttori delle rinnovabili, hanno avviato le procedure per iniziare l'esplorazione e i primi sbancamenti delle profondita oceaniche : una regione di pianure abissali ampia quanto gli Stati Uniti continentali, situata in acque internazionali e che si estende dalla costa occidentale del Messico al centro del l'Oceano Pacifico, appena a sud delle Isole Hawaii. Allo scopo hanno ottenuto dall'ISA (agenzia Onu composta da circa 50 persone che ha autorita' su tutti i fondali in acque internazionali) i permessi per iniziare lo scavo dei fondali e l'inizio della estrazione del prezioso fondo oceanico che, oltre a contenere nelle proprie viscere i metalli rari preziosi per la produzione delle batterie, dei microchip, dellle armi e dei motori elettrici, costituiscono l'ambiente che supporta migliaia di nuove specie ancora sconosciute avviate alla distruzione senza neanche essere catalogate e studiate ( con importanti perdite non solo per la biodiversita, ma anche per la medicina e la biochimica, derivando molti farmaci e prodotti utili dalle componenti fisiologiche che sono il prodotto sintetizzato da innumerevoli specie naturali). In nome della nuova religione green con i suoi idoli (Riscaldamento Climatico, Rinnovabili, Sostenibilità ecc.) si prepara così l'ennesima distruzione ambientale politicamente corretta. Il massacro degli oceani è ovviamente accompagnato dal solito silenzio: quello sulla responsbilità della crescita della popolazione umana senza limiti, cioè la vera causa di tutte le devastazioni ambientali del pianeta. E' proprio di questi giorni la notizia che le grandi multinazionali che guidano l'economia verde, sotto la guida di una holding controllata da Singapore, stanno preparando il piano per co-finaanziare con 150 miliardi di dollari la costruzione di 123 megalopoli in Africa, tutte alimentate -secondo i progettisti- con "energia sostenibile" (sic!), servizi idrici, trasporti e infrastrutture comprese, con buona pace (eterna) delle foreste e delle selve africane e della loro biodiversità. ( Le notizie su progetto Africa 123 le potete trovare sul Sole 24 ore del 9 giugno 2023 pag.11. )
Riporto di seguito l'articolo: " Salvare la Terra. Oceani Esclusi?", scritto da Giovanni Brussato per la rivista L'Astrolabio. Cercare l'argomento sulle riviste edite dai verdi e dai movimenti contro il cambiamento climatico e' inutile. Non troverete nulla. L'argomento non e' politicamente corretto...
Si apre l’era dell’attività mineraria negli oceani, necessaria a reperire i minerali per un passaggio accelerato alla mobilità elettrica e alle fonti rinnovabili elettriche intermittenti. Con incognite e rischi ambientali gravissimi per habitat che non conosciamo o di cui non abbiamo nemmeno cominciato a comprendere le caratteristiche.
Foto copertina: Un robot per l'estrazione mineraria dai fondali oceanici della Global Sea Mineral Resources sta entrando nelle acque del Pacifico il 20 aprile. Fonte Global Sea Mineral Resources- Gruppo Deme L'Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) si sta preparando ad approvare il codice minerario che da luglio potrebbe innescare una corsa per estrarre i metalli necessari per alimentare la rivoluzione dei veicoli elettrici. Le associazioni ambientaliste internazionali, affiancate da molti enti di ricerca, affermano che metterebbe in pericolo i fragili ecosistemi marini e temono che l'ISA non stia valutando se estrarre questi minerali dai fondali marini, ma solo, come estrarli. I timori per i rischi ambientali sono talmente gravi che hanno spinto persino BMW AG, Volvo, Google di Alphabet Inc. e Samsung SDI Co., preoccupati per la propria immagine, ad affermare, il mese scorso, di non essere disposti ad acquistare i metalli estratti dall'oceano fino a quando la ricerca non dimostrerà che questa attività non danneggia gli ecosistemi marini. Cos’è che ci inquieta? Ci inquieta che un problema di questa gravità, l’assalto delle compagnie minerarie ai fondali oceanici, che mette a serio rischio il più grande ecosistema del Pianeta, giustamente sollevato da importanti organizzazioni ambientaliste internazionali e riconosciuto dalla scienza e dall’industria, non sia posto con adeguata efficacia all’attenzione dell’opinione pubblica e, tantomeno, del dibattito politico sulla transizione ecologica nei diversi paesi avanzati. Ad esempio, la recente pubblicazione di “In too deep what we know, and don’t know, about deep seabed mining” da parte del WWF ci offre uno spunto di riflessione sull’evidente contraddizione tra le preoccupazioni espresse dagli esperti delegati a seguire questo specifico settore a livello internazionale e quelle che sono le indicazioni univoche delle stesse associazioni ambientaliste e dei loro apparati – fatte proprie dai Governi - per il contrasto al cambiamento climatico, ovvero auto elettriche e fonti rinnovabili elettriche intermittenti che richiedono grandi sistemi per lo stoccaggio dell’elettricità prodotta e, di conseguenza, enormi quantità di metalli necessari alla loro produzione. Non è il primo caso, in effetti, perché analoghi dubbi ci erano venuti con “Deep Trouble. The murky world of the deep sea mining industry” di Greenpeace e, per dirla tutta, ci avevamo già pensato quando uscì “In deep water. The emerging threat of deep sea mining”. L’impegno minimo che ci saremmo attesi è quello di vedere tradotti e pubblicati questi contributi, posti all’attenzione mediatica di quanti nel nostro paese seguono con attenzione le vicende della transizione energetica ed hanno a cuore il bene del Pianeta. Invece? Invece si tiene un profilo basso. Sembra di essere tra le associazioni di pescatori dove ci sono quelli d’acqua dolce e quelli d’acqua salata e gli uni non sanno niente dei problemi degli altri. È come se gli ambientalisti – e i Governi –, pur riconoscendo il problema delle nuove miniere e delle loro incognite, non volessero vederne la connessione ai programmi di decarbonizzazione che vengono promossi e sostenuti in modo acritico. Il problema, infatti, è più complesso di quanto sembri e mette in dubbio seriamente il supposto “basso impatto ambientale” delle transizioni energetiche fondate su pale eoliche, pannelli fotovoltaici e auto elettriche. Qualora l’attenzione mediatica si concentrasse su quanto avviene nei remoti uffici della ISA, la International Seabed Authority, potremmo scoprire che il nuovo codice minerario che si sta redigendo, in un opportuno silenzio, dovrà regolamentare la più grande estrazione mineraria della storia, i cui effetti per gli oceani sono ancora sconosciuti e non meno preoccupanti per il Pianeta rispetto alle estrazioni di combustibili fossili. Gli attori di questa vicenda sono molteplici: dalle compagnie minerarie comeDeepGreen Metals ad aziende specializzate nelle attività offshore come Global Sea Mineral Resources (GSR) sussidiaria della società belga DEME o la UK Seabed Resources, una consociata interamente controllata da Lockheed Martin, uno dei più grandi produttori di armi al mondo oltre naturalmente ad altre società cinesi e di altre nazioni come la francese Ifremer. Per tutte la motivazione è la stessa: il mondo non sopravvivrà se continueremo a bruciare combustibili fossili ed il passaggio ad altre forme di energia richiederà un massiccio aumento della produzione di tecnologie green. Su un pianeta con un miliardo di automobili, la conversione in veicoli elettrici richiederebbe molto più metallo di tutte le riserve terrestri esistenti e l'estrazione comporterebbe un pesante tributo ambientale e sociale. Pertanto, queste industrie non si definiscono più industrie minerarie ma piuttosto aziende nel business della transizione energetica: vogliono aiutare il mondo a uscire dai combustibili fossili con il minor impatto ambientale possibile. Quindi è la necessità di fornire veicoli a emissioni zero ad attirare l'attenzione a tre chilometri di profondità nell'Oceano Pacifico, dove le riserve di cobalto e nichel fanno impallidire quelle che si trovano nella Repubblica Democratica del Congo e in Indonesia, i maggiori produttori terrestri dei due metalli. Quello che, del tutto incidentalmente, omettono è quello che invece l’intera comunità scientifica evidenzia: conosciamo meglio la superficie di Marte che i fondali oceanici, l'oceano profondo costituisce oltre il 95% dello spazio dove c'è vita sul pianeta, ma solo circa lo 0,0001% dei fondali marini profondi è stato studiato. I biologi scoprono nuove specie in quasi ogni spedizione di esplorazione scientifica, ci sono temi di assoluta rilevanza, come il ruolo degli oceani nel ciclo del carbonio planetario e le potenziali risorse per la medicina umana presenti nella vita biologica da comprendere compiutamente. L'attività mineraria rischia di modificare irreparabilmente, o distruggere, habitat che non conosciamo o di cui non abbiamo nemmeno cominciato a comprendere le caratteristiche. Come dicono all’Ocean and Marine Wildlife Conservation Initiatives (worldwildlife.org):“È importante. Perché rischiamo di perdere per sempre qualcosa di cui non abbiamo ancora nemmeno conosciuto l’esistenza”. Eppure, su questi rischi, nel nostro paese – e negli altri paesi avanzati protagonisti della transizione – non si dice neppure una parola, quasi non ci riguardassero o forse perché toccano nervi scoperti, aspetti contraddittori di una decarbonizzazione spinta di cui non sono ancora chiari né gli esiti né i costi. Le stesse dichiarazioni delle compagnie minerarie inconsapevolmente squarciano il velo di riservatezza sui reali costi sociali ed ambientali. Dovremo estrarre enormi quantità di metalli devastando innumerevoli ecosistemi. Li useremo soprattutto nei nostri paesi ricchi ma non li estrarremo noi: li estrarranno compagnie minerarie multinazionali che li venderanno al miglior offerente. Oppure, come frequentemente avviene, li acquisteremo dalla Cina che detiene il controllo della produzione delle tecnologie verdi. La stessa Commissione Europea afferma sommessamente che potrebbe prefigurarsi per l’Europa una dipendenza da queste materie prime superiore a quella dei combustibili fossili. Ma questa è ancora un’altra storia.  
*Giovanni Brussato è l’autore di “Energia Verde? Prepariamoci a scavare” edizioni Montaonda, Una decarbonizzazione rapida e profonda in tutto il mondo è lo scenario elaborato dalla IEA (International Energy Agency) per riuscire a contenere l’aumento delle temperature medie nel modo più rapido possibile, e prevede l’impiego massiccio delle tecnologie conosciute come green: pannelli fotovoltaici, impianti eolici, sistemi di accumulo e mobilità elettrica. La costruzione di questi dispositivi richiederà enormi quantità di risorse non rinnovabili. Per sostenere la richiesta la World Bank stima che nei prossimi 25 anni sarà necessario estrarre 3,5 miliardi di tonnellate di metalli, una quantità colossale: estrarremo più rame nel prossimo quarto di secolo che in 5000 anni di storia dell’umanità. La carenza di efficaci tecnologie per il riciclo dei materiali provenienti dall’obsolescenza dei dispositivi comporterà inoltre la produzione di enormi quantità di rifiuti. L’autore analizza gli impatti di simili obbiettivi su più livelli. Dal punto di vista estrattivo realizza un percorso attraverso il Pianeta per descrivere gli impatti ambientali e sociali dell’industria mineraria, dai boschi dell’Alaska alla foresta andina ecuadoregna, dal deserto di Atacama all’isola di Sulawesi, fino a prendere in considerazione l’intenzione, già avanzata da più parti, di sfruttamento minerario dei fondali oceanici. Descrive quindi le principali conseguenze legate all’attività estrattiva: dal drenaggio acido, che contamina le risorse idriche, ai potenziali disastri legati alle dighe di sterili, come quelli avvenuti di recente in Brasile, alle diverse conseguenze dell’estrattivismo sulle popolazioni locali. Ma in particolare la verità scomoda è che la maggior parte dei metalli viene e verrà consumata dai cittadini di una manciata di nazioni ricche, mentre le conseguenze ambientali, sociali e culturali, ricadono e sempre più ricadranno sulle popolazioni delle nazioni povere da cui vengono estratti. Completano l’analisi considerazioni di carattere geopolitico, che evidenziano come queste materie prime critiche, fondamentali per centrare gli obbiettivi degli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, comportino una dipendenza nelle forniture da Paesi in diretta competizione per i medesimi obiettivi, come la Cina, evidenziando come la dipendenza attuale dai combustibili fossili verrà sostituita da una dipendenza dalle materie prime.