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martedì 30 dicembre 2014

Il nuovo numero di Overshoot

E' uscito il nuovo numero on line di Overshoot con importanti articoli di Simonetta, Rust, e Meadows (questi ultimi tradotti in italiano). E' possibile scaricare il numero della rivista al link:
http://www.rientrodolce.org/…/media/oveshoot/overshoot_7.pdf

mercoledì 24 dicembre 2014

La Turchia sceglie la crescita demografica


Da Adnkronos:
 "Le donne turche dovrebbero dare figli alla patria, non praticare forme di controllo delle nascite attraverso la contraccezione, che rappresentano una forma di "tradimento" della nazione. Il monito, destinato a suscitare ulteriori polemiche, è venuto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Il capo dello stato turco si trovava ieri nel quadro più adatto a parlare dell'argomento: un matrimonio. Mentre partecipava alle nozze de suo alleato, l'uomo d'affari Mustafa Kefeli, s'è lanciato in una filippica contro la ceontraccezione, che rischierebbe a suo dire di castrare l'ambizione turca di diventare una naziona florida espandendo la sua poopolazione.
"Uno o due (figli) non bastano. Per rendere la nostra nazione più forte, noi abbiamo bisogno di una più dinamica e giovane popolazione. Abbiamo bisogno di portare la Turchia al di sopra del livello delle civiltà moderne", ha detto Erdogan"

Questo è esattamente il modo di ragionare adatto a portare il mondo verso la distruzione. L'enorme crescita delle periferie urbane di Istambul e delle altre grandi città turche sembra non bastare ai governanti di quel paese. La devastazione delle coste e la cementificazione stanno cambiando il volto della Turchia e ne stanno alterando la precedente caratterizzazione politica moderata. L'islamismo radicale cresce insieme al boom delle nascite. Ma quanto accade nel resto del mondo non tranquillizza. La Cina sta tornando indietro rispetto alla politica del figlio unico per gli stessi motivi, ed anche perché una economia in crescita richiede più consumi e più consumatori. L'India persegue gli stessi obiettivi di potenza "patriottica" con la politica delle culle piene. Il Pakistan vuole più figli per motivi religiosi e di espansione dell'Islam, e persino l'Iran che in passato aveva ottenuto un buon controllo delle nascite sta facendo marcia indietro. L'Africa sta attuando la più grande esplosione demografica di ogni tempo, ed ha scoperto nella emigrazione di gran parte della popolazione verso l'Europa la gallina dalle uova d'oro mediante le rimesse degli immigrati clandestini e regolari e i guadagni dei trafficanti. Allo stesso tempo guerre e conflitti locali aumentano per estremismi (fomentati dall'alto numero di giovani) e competizioni sulle risorse generati dall'aumento della popolazione; e le guerre a loro volta alimentano l'emigrazione dei profughi, aiuti e altri incentivi alla crescita demografica ( più figli, più combattenti, più risorse). Anche nel sud e centro  America  si assiste ad un aumento delle nascite, in un periodo in cui la stagnazione economica vede nell'emigrazione verso il Nord America una fonte di risorse per le politiche aperturiste di Obama. Gli Stati Uniti hanno abbandonato gli incentivi economici al controllo demografico ormai da anni. Insomma il mondo si sta incartando e nessuna politica di riduzione delle emissioni di CO2 avrà successo in un pianeta in continua crescita demografica. 

venerdì 19 dicembre 2014

Convegno sul consumo di suolo


Ispra e Forum Salviamo il paesaggio organizzano un convegno nazionale sul consumo di suolo per maggio 2015. Interessante, per chi segue questo blog, il quarto tema all'ordine del giorno: "le cause determinanti del consumo di suolo". Al primo posto secondo il nostro punto di vista è, ovviamente, la sovrappopolazione e la pressione antropica sul territorio. Di riflesso sono determinanti per il destino del residuo suolo verde in Italia sia i tassi di natalità che i numeri sempre crescenti dell'immigrazione. Speriamo che quella parte degli ambientalisti che sono ciechi e sordi al problema demografico, comincino ad aprire gli occhi e le orecchie. Per ora è una vana speranza.


Convegno scientifico nazionale
“RECUPERIAMO TERRENO”

Politiche, azioni e misure per un uso sostenibile del suolo
Milano, maggio 2015


Il forum Salviamo il Paesaggio ringrazia tutti quanti vorranno dare il loro apprezzatissimo contributo a questo importante momento di aggregazione multidisciplinare.

Call for abstract

Con lo scopo di riunire le varie comunità (scientifiche, istituzionali, professionali e sociali) che a vario titolo si occupano dell’uso e del consumo di suolo, e per avviare un percorso che consenta di affrontare la materia con approccio multidisciplinare, ISPRA e il Forum Salviamo il Paesaggio stanno organizzando un convegno scientifico che intende affrontare i seguenti aspetti:

- il monitoraggio dello stato del consumo di suolo;

- le conseguenze delle diverse forme di consumo di suolo sulle componenti ambientali, incluse le funzioni ecologiche che esse svolgono e considerando le implicazioni economiche di questi impatti, come la perdita di capitale naturale e di servizi ecosistemici;

- le pressioni delle diverse forme di consumo di suolo sulle varie componenti (agricoltura, foreste e ambienti naturali, paesaggio, acque sotterranee, acque superficiali, atmosfera, biocenosi, etc.);

- le cause determinanti del consumo di suolo;

- la valutazione delle risposte in termini di strategie e strumenti di intervento possibili, nonché della sostenibilità di uno stop al consumo di suolo netto, previsto dall’Unione Europea entro il 2050.


L’elemento innovativo del convegno è la partecipazione congiunta di comunità diverse, fondata sull’idea che per affrontare in modo efficace il problema del consumo di suolo sia necessario fornire una informazione completa e 
dettagliata a tutti gli attori coinvolti.

Date utili

a. Invio abstract: 22 dicembre 2014
- max 800 caratteri, spazi inclusi
- indicare il tema di riferimento tra i 10 elencati sopra

b. Comunicazione accettazione abstract da parte del comitato scientifico: 20 gennaio 2015

c. Invio paper o abstract esteso: 1 marzo 2015
- paper (max 30.000 caratteri, spazi inclusi)
- abstract esteso (max 8.000 caratteri, spazi inclusi)

d. Comunicazione accettazione contributi: 30 marzo 2015

I contributi dovranno essere inviati all’indirizzo:consumosuolo@isprambiente.it

Gli atti saranno pubblicati su volume ISPRA (con ISBN).
La partecipazione è gratuita.


Maggiori informazioni sul sito:
http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/suolo-e-territorio/il-consumo-di-suolo/convegni-ispra-sul-consumo-di-suolo-1/recuperiamo-terreno 

mercoledì 17 dicembre 2014

I Verdi e il problema demografico




Nel suo ultimo libro Contro (la) natura Chicco Testa conferma, sotto certi aspetti, di appartenere alla cultura dell’ambientalismo classico (è stato presidente di Legambiente). Lo fa esplicitamente quando afferma che la popolazione eccessiva umana sulla Terra non costituisce un problema  per l’ambiente del pianeta.
Afferma Testa riferendosi all’esplosione demografica: il suo incredibile incremento non ha determinato nessuna catastrofe alimentare né carenze drammatiche di alcuna materia prima. Esistono, è vero, circa un miliardo di persone denutrite e morti per carestie e fenomeni climatici estremi. Ma nonostante ciò il nostro pianeta si è dimostrato in grado di sfamare in modo sufficiente più di sei miliardi di persone. Testa critica le logiche neo-malthusiane in quanto sostiene che non è la consistenza complessiva della popolazione a determinare il suo impatto ambientale, ma la ricchezza e cioè la produzione e i consumi di quella data popolazione. Un miliardo di persone con centomila euro di Pil pro-capite consuma più o meno le stesse risorse di dieci miliardi di persone con diecimila euro di Pil pro capite. L’impatto complessivo non dipende quindi dalla popolazione, ma dall’nsieme mondiale delle attività economiche e dal loro grado di efficienza, inteso come input di materia prima più energia e output economico. Non sono quindi, secondo Testa e i verdi mainstream, le sterminate popolazioni asiatiche o africane (e i loro tassi di natalità elevatissimi) le responsabili dell’impatto maggiore sulle risorse del pianeta. Bensì il livello di consumo pro capite dei cittadini occidentali molte volte superiore a quello del terzo mondo.

E’ il Pil di un determinato territorio e non i numeri della sua popolazione che misurano l’impatto ambientale. Testa fa l’esempio degli Stati Uniti che è al primo posto per i consumi individuali e il consumo energetico e quindi hanno un impatto massimo sull’inquinamento e sulle emissioni di CO2, rispetto ad esempio all’India che con una popolazione quattro volte maggiore ed  un prodotto interno assai più basso e consumi energetici di circa tre volte minori dovrebbe in teoria inquinare molto meno. Testa e i verdi tuttavia non dicono che l'India ed altri paesi asiatici hanno rapidamente bruciato le tappe, e mentre gli Usa tendono a ridurre lievemente i livelli di emissioni, quelli di India e Asia stanno crescendo vertiginosamente (oggi l'India è il quarto inquinatore mondiale dopo Cina, Usa, ed Europa).
E' vero che i consumi individuali influiscono pesantemente sulle emissioni di CO2 ed altri inquinanti, ma ignorare completamente il fattore popolazione è un grave mistificazione che porta completamente fuori rotta le posizioni degli ambientalisti. In questi calcoli i verdi fanno due errori logici che rende sbagliato il loro ragionamento. Il primo errore è quello di considerare i dati sulla situazione statica del momento e di appiattire tutte le dinamiche economiche e demografiche al momento attuale. Se guardiamo ai consumi del miliardo di cinesi di trenta anni fa notiamo che sia il Prodotto interno lordo che il consumo energetico erano infinitamente al di sotto di quello degli Stati Uniti. Se guardiamo alla Cina trent’anni dopo e vediamo quello che accade oggi notiamo che il miliardo e mezzo di cinesi ha moltiplicato per decine di volte i consumi individuali tanto che sia il Pil che il consumo di energia supera quello americano. Oggi la Cina inquina di più degli Stati Uniti ed è il primo paese al mondo per emissioni nocive. Così sarà in futuro dell’India, e per l'Africa.  Anche perché in questo processo di spostamento verso l’alto dei consumi e del Pil viene a mancare il know-how tecnologico che contraddistingue i paesi con tecnologia avanzata ed economicamente stabili  come Stati Uniti ed Europa.  Il secondo errore,che deriva dal primo, è che secondo i verdi i tassi di natalità non influenzano il degrado ambientale in quanto si riflettono semplicemente sui numeri   della  popolazione e non sui numeri della produzione e del consumo. I tassi di natalità, a differenza di quello che pensano i verdi, influiscono invece pesantemente sul degrado ambientale in quanto sono in prospettiva in grado di aumentare fortemente i consumi senza peraltro migliorarne la qualità con la stessa velocità. Da un lato maggiore natalità significa incremento di futuri consumatori-produttori nel senso che la situazione va interpretata non staticamente ma dinamicamente. Venti anni sono un ciclo breve per l’ambiente, ed in venti anni un esercito di neonati diviene un esercito di consumatori-inquinatori. Nel giro di trenta anni la Cina è passata da un miliardo a un miliardo e mezzo di abitanti. Un miliardo e mezzo di consumatori consuma    un terzo in più di una popolazione di un miliardo di individui. Ma come abbiamo visto il Pil e i consumi sono anche essi dati dinamici che tendono ad aumentare più o meno rapidamente nel tempo, pertanto il tasso di inquinamento ambientale di una data nazione sarà aumentato in maniera esponenziale dopo dieci o venti anni anni, sia per l’incremento del numero di individui, sia per l’incremento dei consumi per ciascun individuo. In un mondo globalizzato non è possibile tenere separati i prodotti e i consumi dai potenziali consumatori con  confini politici. La conoscenza via web, la pubblicità, la mobilità di persone e  merci rende il mercato di produttori e consumatori molto più mobile  e diffuso di decenni fa. Un tasso di natalità alto farà pertanto aumentare esponenzialmente il prodotto tra numero di consumatori e livello in crescita dei consumi, in funzione di un terzo moltiplicatore che è il fattore tempo.  Il Pil segue la crescita della popolazione, e questo fenomeno avviene ormai stabilmente da molti decenni, da quando le conoscenze e la tecnologia si sono rapidamente globalizzate. Il secondo motivo che porta i tassi di natalità ad incidere pesantemente sull’ambiente è anche questo dinamico: quando il numero della popolazione cresce senza che crescano le risorse naturali, economiche e agricole del territorio, si produce il fenomeno migratorio. I popoli oggi si spostano verso i luoghi dove abbondano risorse e consumi. La globalizzazione dei mercati e la perdita di significato politico delle frontiere ha portato le persone a spostarsi di fatto liberamente seguendo le merci e le risorse e superando gli impedimenti politici. La perdita di potere della politica a favore delle dirigenze finanziarie ha guidato questo fenomeno fino a dare l’impronta definitiva alla nostra epoca, che è quella delle migrazioni di massa. Ciò porta i calcoli fatti dai verdi sul basso tasso di inquinamento delle popolazioni dei paesi poveri ad essere del tutto falsi e basati su presupposti inesistenti e sbagliati. I nuovi nati, una volta divenuti più o meno adulti, ma a volte anche prima,  si spostano nelle aree del pianeta dove sono i consumi, le risorse e le merci,  portando i tassi di inquinamento a pareggiarsi o comunque ad avvicinarsi a quelli delle popolazioni dei paesi più ricchi. Allo stesso tempo gli spostamenti di risorse dai paesi ricchi alle aree povere senza che vengano prese adeguate misure di controllo della natalità  ed educazione sessuale (i cosiddetti aiuti a pioggia molto criticati dagli stessi popoli del terzo mondo) , porta a mantenere alti i tassi di natalità assicurando un falso benessere che riguarda esclusivamente il supporto vitale di primo livello. Infatti le risorse paracadutate dall’alto in territori privi di risorse, di un tessuto produttivo  e di tecnologie agricole, vengono spese , stanto così le cose, esclusivamente per incrementare le aspettative a breve termine dei genitori per i figli, migliorarne l'alimentazione e le cure,  mentre la situazione ambientale, economica e sociale  rimane di strema povertà ed arretratezza, ed  incapace di supportare la crescita demografica in modo da permettere una vita dignitosa e sostenibile per l’ambiente ad un numero sempre più grande di individui. “Ogni nascita nei paesi poveri, con i tassi attuali di mobilità delle popolazioni e delle merci, significa maggiore inquinamento globale secondo parametri di consumi che non sono più locali ma globali”. L’equazione di Ehrlich è pertanto pienamente valida e non esistono più distinzioni statiche tra tassi di natalità ed impatto ambientale nelle diverse aree economiche del pianeta. 

venerdì 12 dicembre 2014

Pubblicato il report di Lugano sulla fusione fredda di Rossi




Dopo un periodo di silenzio arriva sul tema della  fusione fredda la pubblicazione del test condotto da alcuni studiosi ufficialmente indipendenti appartenenti alle Università di Bologna e a quelle di Uppsala (Svezia) sul reattore di Andrea Rossi, denominato Lugano Report. I risultati saranno al centro del dibattito alla prossima  Conferenza organizzata da LENR-Cities intitolata “Low Energy Nanoscale Reactions & Applications”, che si terrà al Magdalena College di Oxford dal 10 all'11 gennaio 2015.

Riporto un breve estratto contenente i risultati del Report di Lugano

E' stato pubblicato ad ottobre scorso il report ufficiale del test di prova sull'E-Cat ideato e costruito da Andrea Rossi funzionante secondo il principio della cosidetta fusione fredda, oggi meglio definita come  LENR (Low Energy Nanoscale Reactions). Il test è stato condotto con la collaborazione di Giuseppe Levi ed Evelyn Foschi dell'Università di Bologna, del professor  Bo Hoistad e collaboratori dell'Università di Uppsala e del professor Hanno Essen del Royal Institute di Stoccolma. Lo studio è durato 32 giorni ed è stato condotto nel marzo 2014. L'apparecchio E-cat consisteva in un tubo contenente spire metalliche caricate con nanoparticelle  di nichel più alcuni additivi tra cui litio. All'interno veniva introdotta una piccola quantità di idrogeno. La reazione viene iniziata immettendo una corrente  nelle spire del resistore che produce il calore di innesco della reazione. Le misure della potenza irradiata  dal reattore, onde evitare interferenze di vario tipo, sono state eseguite con la termografia ad alta risoluzione mediante telecamere apposite. Le misurazioni della potenza elettrica  introdotta nel sistema sono state effettuate con un analizzatore di potenza trifase a grande larghezza di banda. Il punto di lavoro del reattore è stato fissato a circa 1260 gradi Celsius in una prima metà dello studio, ed a circa 1400 gradi Celsius nella seconda metà. Il bilancio energetico misurato tra energia immessa in ingresso  (input) ed energia  delcalore in uscita  ha dato un fattore COP di circa 3.2 per le corse a 1260 °C e un fattore 3.6 per i 1460 °C.  L'energia netta totale ottenuta durante i 32 giorni di esecuzione del test è stata di circa 1.5 MWh. Questa quantità di energia è superiore di molto a   qualsiasi energia di qualunque fonte  chimica nota  sarebbe stata possibile ottenere nel piccolo volume del reattore. Un campione delle componenti del "carburante" è stato attentamente esaminato rispetto alla sua composizione isotopica prima della corsa e dopo la corsa, utilizzando diversi metodi standard: X ray-Spectroscopy, Secondary Ion Mass Spectrometry, Coupled plasma mass spectrometry ed altri metodi fisico-chimici. La composizione isotopica in litio e nichel era in linea con la composizione naturale dei reagenti prima della corsa, mentre dopo la corsa la composizione è stata trovata cambiata in modo sostanziale con produzione di isotopi ed elementi prima assenti. Le reazioni sembrerebbero quindi appartenere al tipo nucleare con produzione di elementi prima assenti nei reagenti, ma ciò nonostante nessuna radioattività è stata rilevata all'esterno del reattore durante la corsa. In conclusione il test degli esperti  del "Third Indipendent Party"  così conclude:

"In summary, the performance of the E-Cat reactor is remarkable. We have a device giving heat energy  compatible with nuclear transformations, but it operates at low energy and gives neither nuclear radioactive waste nor emits radiation. From basic general knowledge in nuclear physics this should not be possible. 
Nevertheless we have to relate to the fact that the experimental results from our test show heat production beyond chemical burning, and that the E-Cat fuel undergoes nuclear transformations. It is certainly most unsatisfying that these results so far have no convincing theoretical explanation, but the experimental results cannot be dismissed or ignored just because of lack of theoretical understanding. Moreover, the E-Cat results are too conspicuous not to be followed up in detail. In addition, if proven sustainable in further tests the E- Cat invention has a large potential to become an important energy source. Further investigations are required to guide the interpretational work, and one needs in particular as a first step detailed knowledge of all parameters affecting the E-Cat operation. Our work will continue in that direction. "

Si può leggere il testo completo del report di Lugano a questo indirizzo:

http://www.sifferkoll.se/sifferkoll/wp-content/uploads/2014/10/LuganoReportSubmit.pdf





mercoledì 10 dicembre 2014

La natura dei verdi



E' uscito il nuovo libro scritto da Chicco Testa (ex presidente di Legambiente) e Patrizia Feletig: "Contro (la) natura" edizioni Marsilio.
Secondo i verdi che Chicco Testa definisce gli "ambientalisti collettivi" la natura è idealizzata a madre benigna da conservare quasi in uno scrigno, a cui genuflettersi e da venerare come supremo valore spirituale, ma alla fine -come succede spesso nelle grandi religioni monoteiste- da sacrificare al "figlio prediletto" in un supremo delirio antropocentrico. Come nella eucarestia, la sacra natura buona va si messa sull'altare per essere adorata, ma poi a fine rito va mangiata dall'uomo dominatore del cosmo e spartita a pezzi tra gli umani i quali si ritrovano così a partecipare della grandezza originaria, mentre la natura è trasformata in merda.
Ma nella realtà, al di la delle idealizzazioni pseudo-religiose proprie della nuova ideologia ambientalista,  la natura ha aspetti brutali e molto scomodi per l'uomo. Già Leopardi ne descriveva l'indifferenza verso le specie viventi, e la sua potenzialità distruttrice. Di fronte alle difficili condizioni della vita a contatto diretto con  la natura,  l'uomo può migliorare il suo stato e il rapporto verso di essa grazie alla tecnologia. Se abbiamo sconfitto tante malattie è con l'invenzione degli antibiotici. Se non moriamo più di tifo è per la clorazione delle acque, un altro portato della tecnologia. E' attraverso la tecnologia che abbiamo portato da due a dieci i chicchi di grano presenti in ciascuna spiga, migliorando così la produzione di grano e le possibilità di alimentazione. E' con gli Ogm che possiamo produrre riso ricco di vitamina A impedendo così la morte e la cecità di milioni di persone che vivono con una razione di riso al giorno, come avveniva in passato. Eppure i nuovi conservatori "ambientalisti collettivi" vogliono far passare il messaggio che tutto ciò che è naturale è buono e tutta la tecnologia è da condannare. Se consideriamo poi che l'argomento della sovrappopolazione è rigorosamente tabù per l'ambientalista politically correct, abbiamo una visione di quello che desiderano i verdi per il nostro futuro: un mondo da incubo con decine di miliardi di umani costretti a sopravvivere in megalopoli povere di energia e tecnologia, preda di guerre e carestie, guidati da autorità dittatoriali che giudicano come e a chi spartire le poche risorse che un mondo scarsamente tecnologico e sovrappopolato potrà assicurare.

Come dice Fabrizio Rondolino, commentando il libro di Testa sul quotidiano  Europa:
"Testa è invece convinto che il progresso porti di per sé un miglioramento delle condizioni personali e collettive dell’umanità, e nel merito è difficile dargli torto: tutti gli indicatori – se non bastesse pensare a come vivevano i nostri nonni – ci confermano che gli uomini stanno meglio, campano più a lungo, si ammalano di meno e si divertono di più. Chi sta male, oggi, sta meglio di cinquanta o vent’anni fa, e non c’è motivo di dubitare che le cose non continuino a migliorare.
L’ironia sferzante e documentatissima con cui Testa demolisce i pensieri e le opere dell’«ambientalista collettivo» – «una miscela indistinta di qualche buona idea e paure senza senso, dati scientifici usati come gadget, informazione sensazionalista, magistrati alla ricerca di nuovi potenziali criminali, leggende metropolitane, sensi di colpa da espiare, mode e marketing» – vale da sola il prezzo del libro.
È evidente che senza civiltà – dalla penicillina all’iPhone, dagli Ogm che sfamano mezzo pianeta e potrebbero sfamarlo tutto all’energia nucleare irresponsabilmente bandita con un referendum – vivremmo molto peggio, e forse non vivremmo affatto. Ed è altrettanto evidente che soltanto la civiltà potrà difenderci (ammesso naturalmente che ci riesca) da eventuali catastrofi future. Lo stesso ambientalismo non è che il frutto di una certa agiatezza evolutiva: ci curiamo del paesaggio, e siamo capaci di apprezzarlo, perché abbiamo la pancia piena, l’aria condizionata e la luce elettrica.
Ma la civiltà (proprio come la natura) ha sempre due facce: crea e distrugge, assimila ed esclude, “migliora” e “peggiora” – spesso senza neppure rendersene conto. E, diversamente dalla natura, non è eticamente indifferente. La fiducia nella ragione umana che Testa giustamente difende contro la superstizione deve dunque accompagnarsi ad un robusto scetticismo sui suoi esiti e risultati. Il progresso è razionale, ma lo è anche la sua critica."

sabato 29 novembre 2014

1914




"C'è la sensazione che stia per succedere qualcosa; quello che non si riesce a prevedere è quando. Forse godremo di altri anni di pace, ma è altrettanto possibile che dalla sera alla mattina succeda una catastrofe" (Carl von Lang, inizio 1914)

Il libro dello storico Max Hastings è un grande affresco sull'Europa di cento anni fa e soprattutto sul primo anno della Grande Guerra. Vi sono descritte in maniera avvincente le condizioni che portarono allo scoppio del conflitto che mise fine alla Belle Epoque, e le grandi battaglie del primo anno di guerra, gli scontri in campo aperto e nelle città con gli spostamenti e le manovre dei corpi di armata, spesso con particolari di singoli episodi che ci fanno capire la portata e la drammaticità di quello scontro epocale. Fu un conflitto che nacque quasi in sordina, nella incredulità generale. Nessuno credeva che sarebbe scoppiata una guerra e le classi dirigenti dell'epoca erano come "sonnambuli" che ballavano sull'orlo del precipizio secondo la bella definizione del romanzo di Clark sullo stesso argomento. Dopo l'inizio della guerra, tutti pensavano che sarebbe durata solo qualche mese, e che la questione si sarebbe risolta in poche battaglie. Così, di sottovalutazione in sottovalutazione, si consumò la più grande carneficina della storia con un numero di vittime senza precedenti.

Mi sono spesso chiesto perché quella guerra fu tanto importante per le sorti dell'occidente, e perché in fondo il nostro declino come europei è cominciato da allora. In quei campi di battaglia si posero le condizioni per la successiva deriva autoritaria del ventesimo secolo, e il grande conflitto della seconda guerra mondiale. Fu lo storico Nolte che parlò di Conflitto civile europeo 1914-1945. Quale furono dunque le motivazioni recondite che portarono alla guerra tra gli Imperi Centrali e le potenze alleate, al di là delle motivazioni contingenti? Perché è ovvio che l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando e lo scontro per il dominio sui balcani tra Austria e Russia furono solo il grilletto che fece confliggere motivazioni e interessi ben più profondi e sostanziali. Tra questi certamente la nuova potenza tedesca dopo la riunificazione e la cultura militarista prussiana giocarono un ruolo, insieme all'instabilità "multiculturale" e "multietnica" dell'antico Impero Austro-Ungarico. Ma ci furono anche altre condizioni che riguardano da un lato la composizione demografica con la gran massa di giovani nati tra la guerra Franco Prussiana del 1870 e il primo decennio del '900. Solo la Germania era passata da 40 milioni di fine ottocento ai 65 milioni del 1914.Tutti quei giovani erano intrisi dello spirito nazionalistico che aveva visto le grandi nazioni europee impegnate nelle conquiste coloniali e nello sviluppo industriale e tecnologico guidati da una cieca fede nel progresso e nella scienza. Dall'altro ci fu la spensieratezza sconfinante nell'incoscienza derivante da quel quarantennio che aveva preceduto la guerra: un quarantennio  di relativa pace e di crescita di una società borghese che aveva dimenticato i sacrifici delle guerre ottocentesche e i loro  costi umani.  Soprattutto vi fu una sottovalutazione culturale dell'enorme potenziale tecnologico delle nuove armi come le mitragliatrici e i cannoni a lunga gittata, gli aerei e i nuovi mezzi di telecomunicazione.

C'è un episodio descritto nel libro di Hastings che rende in maniera plastica questa incomprensione del potere della tecnologia in un mondo che era in profondo cambiamento e in cui tutti i valori del passato venivano posti in questione. Si tratta dell'attacco che gli esotici cavalleggeri del generale  Jean Francois Sordet -appartenenti alla avanguardia della Quinta armata francese- portarono contro le truppe tedesche della Quarta armata germanica vicino Liegi. Erano dragoni e lancieri agghindati con elmi e corazze scintillanti, con pennacchi colorati di crine di cavallo,  e provvisti di un armamento antiquato e poco efficiente: sciabole e carabine modello 1890,a carica anteriore, poco più efficaci di una pistola. Cercarono di caricare le truppe nemiche come in una battaglia dell'ottocento e si ritrovarono invece sotto un micidiale fuoco tecnologico e letale della fanteria tedesca, armata con efficienti mitragliatrici Maxim , bombe a mano, cannoni, e ricognizione aerea. Le truppe tedesche avevano i nuovi moderni fucili a carica posteriore, più potenti e rapidi. Anche la cura dei cavalli dei francesi era di altri tempi: sovraccarichi con un peso di 120 chili ciascuno, denutriti, maleodoranti per le piaghe da sella non medicate, crollarono a terra a decine. Ma non fu il solo episodio. I tedeschi schierati in difesa dell'Alsazia guardarono meravigliati i primi soldati francesi che si trovarono davanti, vestiti con le stesse lunghe giubbe blu, i pantaloni rossi e i chepì degli uomini che i loro padri arruolati nell'esercito prussiano avevano incontrato e sconfitto nel 1870. Uno dei soldati del Kaiser scrisse in una lettera a casa: "Sembrano usciti da un libro illustrato". Joffre, il comandante in capo dell'esercito francese,  e i suoi ufficiali erano stati avvisati che utilizzare quelle uniformi sgargianti sarebbe stata una follia, ma erano convinti che in battaglia contasse ancora il coraggio e lo spirito di corpo. Purtroppo per loro tutto era cambiato con la tecnologia che aveva pressoché azzerato i vecchi valori in battaglia.  Solo in seguito, dopo gli evidenti massacri,  ordinarono le "divise da campo" grigie e comode per il movimento dei soldati. Ma anche i soldati tedeschi non se la passavano molto meglio. Le tattiche  che i generali del Kaiser usavano erano ancora legate alla avanzata in gruppi schierati e compatti della fanteria e all'appoggio della cavalleria; anche queste tattiche erano inefficienti e suicide in presenza di armi moderne come presto si sarebbe dimostrato nelle prime grandi battaglie del 1914. Il generale Moltke, capo di Stato maggiore, non credeva ancora molto alle nuove armi automatiche e si affidava ancora alle cariche con i fucili e all'arma bianca. Le conseguenze furono drammatiche anche per i tedeschi come presto impararono davanti alle micidiali mitragliatrici Vickers degli inglesi e Hotchkiss dei francesi. Inoltre la dirigenza militare sia germanica che austriaca era palesemente inadeguata e legata a vecchie idee del militarismo prussiano, con il rigido codice dell'onore e delle regole sul campo di battaglia. Nessuna delle classi dirigenti politiche europee in quel 1914  si rese conto dell'enorme potenziale della tecnica moderna e di quanto il mondo fosse cambiato dal 1870.


Dice Gadamer riferendo sul travaglio culturale di quegli anni: "La fede nel progresso propria di una società borghese rammollita da un lungo periodo di pace, una società il cui ottimismo culturale aveva dominato l'età liberale, crollò nelle temperie di una guerra che alla fine risultò essere completamente diversa da tutte le precedenti. Non furono infatti il valore dei singoli o il genio militare a decidere degli eventi bellici, ma la competizione fra le industrie pesanti delle singole nazioni belligeranti. Gli orrori delle "battaglie di materiali", nelle quali fu devastata la natura innocente, campi e foreste, villaggi e città, alla fine non lasciarono spazio, per l'uomo in trincea e nel rifugio, a nessun altro pensiero se non a quello cui allora diede voce Carl Zuckmayer: "Un giorno, quando tutto sarà finito". Le proporzioni di questo folle avvenimento superarono le capacità di comprensione della gioventù di allora. Sospinti nella battaglia con l'entusiasmo di un idealismo pronto al sacrificio, i giovani si accorsero ovunque che le antiche forme della rispettabilità cavalleresca, sebbene crudele e sanguinaria, non trovavano più alcuno spazio. Ciò che rimaneva era un evento insensato e irreale - e al tempo stesso fondato sull'irrealtà della sovraeccitazione nazionalistica, che era riuscita a sbaragliare anche l'Internazionale del movimento operaio. Non c'era quindi da meravigliarsi che in quegli anni le menti più significative si domandassero: cosa c'è di falso in questa fede nella scienza, in questa fede nell'umanizzazione e nell'incivilimento del mondo; cosa c'è di falso nella fede nel presunto sviluppo della società verso il progresso e la libertà?"
Come dirà Cioran, a proposito della Francia degli anni successivi ma in realtà di tutta la civiltà europea, si prefigurava un destino di paesi che ormai si sono spesi molto, troppo, e si avviano a una fine dove le emozioni si tempereranno fino a scomparire, verso un avvenire spirituale del continente composto da un miscuglio irrisolto di universalismo e scetticismo: "L'impero dissolve le ideologie. Al loro posto appariranno dubbi infinitamente raffinati". Mai profezia fu più esatta.


Qual'è dunque il significato di quel che avvenne in quegli anni e perché le vicende del 1914-1918 ebbero enorme rilevanza per i destini dell'Europa e dell'Occidente? Che cosa era accaduto per portare verso questi esiti sanguinari e autodistruttivi la civiltà che aveva visto l'affermazione dell'illuminismo e della fede nel progresso?
La risposta è che oltre le vicende politiche contingenti, il motivo sottostante quelle vicende era il nuovo ruolo che la tecnica stava assumendo nel mondo e la capacità di regolare i profondi cambiamenti in atto nella società moderna. La gestione della potenza tecnologica richiedeva nuove idee e nuove responsabilità che l'umanità non era pronta ad affrontare  per la mancanza di una riflessione adeguata su quanto stava accadendo.  Le vecchie classi dirigenti non si rivelarono all'altezza della società della tecnica. E furono spazzate via insieme al Reich e all'Impero Austro-Ungarico. La borghesia non si sarebbe più ripresa da una crisi culturale che l'avrebbe corrosa dalle fondamenta. L'illusione di una scorciatoia politica secondo la visione della lotta di classe si sarebbe rivelata un vicolo cieco. Le nuove potenze dominanti si sarebbero spostate lontano dall'Europa, ma anche lì la politica avrebbe perso di significato verso un nichilistico strapotere della finanza e dei mercati basato su un consumismo vuoto di senso fino all'odierno collasso ambientale. 

sabato 15 novembre 2014

L'economia circolare: nuovo paradigma o vecchio bluff?





Riporto di seguito una sintesi di  articolo di Fabio Terragni e Gianluca Sala sul nuovo paradigma dell’economia circolare. Segue un  commento dell’autore del blog.
Nel suo rapporto “Toward a Circular Economy: economic and business rationale for an accelerate transition”, la Ellen Macarthur Foundation (2012) propone una riforma sostenibile dell’economia basata su una diversa produzione di beni e servizi. Da allora i verdi di tutto il mondo si sono identificati con il nuovo Pradigma economico della economia circolare. I fautori della economia circolare spiegano che nel corso del XX secolo il prodotto interno lordo è cresciuto di 20 volte nei paesi occidentali generando una ricchezza diffusa. Alla base di questo sviluppo c’è tuttavia un modello di produzione ad alta intensità di energia e consumo di risorse naturali che può essere definito “lineare”, dove i prodotti industriali derivano da uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali che – al termine del ciclo di vita dei beni- divengono rifiuti. I concetti di riuso e di rigenerazione, ancora presenti all'inizio del secondo dopoguerra e centrali in una economia di sussistenza, sono stati abbandonati a favore del modello lineare “compra-usa- getta”.  Oggi circa l’80 % dei materiali a fine vita finisce in discarica o in un inceneritore. Gli innegabili benefici, in termini di qualità della vita, del modello lineare hanno costi “esterni” particolarmente elevati, e finora sono stati tollerati. Negli ultimi anni questo quadro sta entrando in crisi a causa dei prezzi in aumento delle risorse naturali, oltre che per i costi dello smaltimento dei rifiuti. La tendenza al recupero dei materiali è ancora troppo contenuta, soprattutto a fronte della prevista espansione della platea mondiale di consumatori, dovuto all’aumento della classe media con capacità di spesa (basta considerare i 3 miliardi di abitanti dei BRICS- Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Mantenendo inalterato il modello lineare di produzione e consumo, la pressione ambientale crescerebbe a dismisura, con effetti ecologici devastanti. Dal 2000 i prezzi delle risorse naturali sono in costante ascesa e i segnali fanno prevedere che la scarsità di risorse e la volatilità dei prezzi sono destinate ad aggravarsi, mettendo definitivamente in crisi il modello lineare.
L’economia circolare, con il recupero e la rigenerazione dei prodotti e dei materiali richiede un re-design del sistema che rivisiti i prodotti, la loro progettazione e realizzazione, i processi produttivi, i modelli di business. I produttori e distributori invece di cedere la proprietà dei prodotti, agiscono come “service provider “ dando vita ad un nuovo contratto tra le imprese e i loro clienti basato non più sulla vendita di prodotti, ma sull’erogazione di servizi basati su beni durevoli, recuperabili, rigenerabili, che possano essere  ceduti, affittati, condivisi. Nel caso debba essere ceduta la proprietà, ne viene incentivato il recupero al termine del periodo di uso primario. Questa economia, ovviamente, dovrebbe essere alimentata con energia da fonti rinnovabili, al duplice scopo di ridurre la dipendenza da risorse naturali e aumentare la resilienza del sistema. La regola d’oro dell’economia circolare fa riferimento alle “potenzialità del circolo più stretto”: meno un prodotto deve essere cambiato per il suo ri-uso o rigenerazione, più velocemente torna in uso, più alto è il potenziale di risparmio. Un altro meccanismo fa riferimento alla massimizzazione del tempo in cui la risorsa rimane in circolo e alla massimizzazione del numero dei circoli consecutivi (sotto forma di ri-uso/rigenerazione dei prodotti o di semplice riciclaggio di materiali). Un terzo meccanismo si riferisce al potenziale degli “usi a cascata”. L’esempio classico è quello dei prodotti tessili in cotone, che possono essere dapprima riutilizzati per confezionare abiti, poi utilizzati nell’arredamento e più tardi nell’edilizia (per l’isolamento termico e acustico) per ritornare infine nella biosfera. Ultima potenzialità risiede nella capacità di progettare prodotti che permettano flussi di materiali puri, non tossici e facili da separare: ciò consente un significativo aumento dell’efficienza dei processi di recupero. Secondo le analisi svolte da McKinsey con l’economia circolare il sistema economico potrebbe beneficiare di un sostanziale risparmio di materiale netto con conseguente abbassamento del livello di volatilità dei prezzi; in Europa il potenziale di risparmi si aggira nell’ordine dei 700 miliardi di dollari l’anno e del 23 % dell’attuale spesa per le materie prime. Una economia centrata sull’utente (e non sulla produzione) vedrebbe –secondo questi economisti- aumentare i tassi di innovazione, occupazione e produttività del capitale promuovendo uno spostamento verso il settore terziario. Verrebbero ridotte le esternalità negative (meno materiali e rifiuti in circolo). Tale riduzione sarebbe maggiore di ogni possibile miglioramento incrementale di efficienza all’interno del sistema attuale. Infine aumenterebbe la resilienza del sistema: la capacità di reagire a shock di ogni tipo (fattori geo-politici, climatici, ecc.). Concludendo il suo rapporto la Ellen Macarthur Foundation dichiara che la sostenibilità e il risparmio possono rendere più competitive le aziende e le economie, sulla base di competenze, innovazione ed efficienza nell’uso delle risorse.
(Tratto dall’articolo di Fabio Terragni e Gianluca Sala: Il circolo dell’economia. Qualenergia settembre/ottobre 2013)

Anche questa teoria dell’economia circolare ha il difetto di essere stata concepita a partire da premesse teoriche che poi è tutto da dimostrare che possano funzionare nella realtà. Una tale riconversione del sistema produttivo, ad esempio, come potrebbe funzionare all’interno di un sistema politico ed economico liberale basato sul libero mercato? Per quanto riguarda gli indirizzi del consumo verso  prodotti riciclabili sarebbe utile la leva fiscale mediante sgravi sui prodotti omogenei al nuovo sistema e aggravi per quelli ad impatto ambientale elevato. Ma l’economia attuale è basata sugli alti consumi. Già il semplice riuso di materiali e prodotti fa intravedere, in un sistema di mercato, il crollo dei prezzi di materie prime, la conseguenza di minor produzione di beni di largo consumo, maggior disoccupazione, recessione e stagnazione dell’economia. Crollo dei prodotti finanziari.
L’economista premio nobel Paul Krugman, in un articolo sul NYT, per conciliare il necessario rallentamento della velocità  e i limiti della Crescita con l’attuale sistema economico, ipotizza un modo di produzione che consentirebbe di mantenere una leggera crescita sostenibile del Prodotto Interno Lordo e allo stesso tempo ridurre l’impatto ambientale. Krugman  propone di ridurre l’immissione di energia nel processo produttivo, ricorrendo al contempo a forme di energia rinnovabile, e per compensare la minore velocità di produzione, allo stesso tempo ipotizza di ampliare la platea dei produttori e dei consumatori. Per spiegare il processo fa l’esempio di un gruppo di navi in crociera: egli sostiene che si può immettere meno energia diminuendo il consumo energetico delle navi e la loro velocità; il rapporto tra velocità e risultato (trasporto di merci o passeggeri)  verrebbe tuttavia mantenuto aumentando il numero delle navi: il prodotto tra i due termini non cambierebbe in quanto la diminuzione della velocità sarebbe compensata dai maggiori numeri di elementi trasportati . In pratica la proposta di Krugman prevede di ridurre il consumo mondiale di energia e modificare la sua qualità (rinnovabili) , mantenendo il Pil in leggera crescita attraverso l’aumento della popolazione attiva e la sua equa distribuzione su tutto il pianeta: l’economia viaggerebbe ad una velocità ridotta ma in  un mercato più grande. E’ corollario di questa teoria la necessità di mantenere alta l’espansione demografica (aumentare il numero delle navi).
Anche questa interpretazione di Krugman dell’economia circolare  si basa su modelli teorici che poi vanno ad impattare con la realtà dei fatti in modi del tutto imprevedibili e, forse, impossibili da realizzare. Gli individui che compongono il sistema non sono elementi deterministici che seguono schemi prevedibili. I consumi mondiali sono soggetti a variabili plurideterminate e influenze esterne ed interne non calcolabili a priori.  I produttori seguono le vie dei minor costi per assicurare la stessa quantità di prodotto e i consumatori seguono i propri gusti, a meno di imporre magazzini di stato e un monopolio centralizzato. In un sistema di libero mercato l’economia circolare può funzionare per brevi periodi in aree limitate. Sarebbe necessaria una autorità sopranazionale che imponesse parametri economici non liberali, autorità che allo stato attuale non esiste. Gli accordi internazionali possono porre dei limiti generici, ad esempio quello sull’energia e sulle emissioni di carbonio, che funzionano fino quando conviene ai singoli governi, poi vengono elusi alla prima occasione e quando non conviene più rispettare gli accordi ad uno o più dei soci del patto.  La proposta dell’economista premio Nobel dimostra ancora una volta che finché si tratta di fare analisi dei fenomeni in atto gli economisti ci possono azzeccare. Ma quando si passa alle proposte macroeconomiche su scala planetaria mostrano tutti i loro limiti. L’economia circolare tuttavia non è una proposta campata completamente in aria. In linea teorica potrebbe funzionare, non fosse altro perché in parte una economia basata sul riclico dei prodotti ha funzionato in alcuni periodi del passato non molto lontano, ad esempio si pensi all’economia autarchica durante il fascismo, o al riciclo  dei prodotti e il riuso dei materiali nella crisi economica tra le due guerre mondiali. Se si va a vedere le economie di molti paesi nella prima metà del 900, si può constatare come  erano basate in parte  sulla lunga durata dei prodotti e spesso sul loro riutilizzo o riciclo dei materiali. I nostri nonni ricordano l'uso di rigirare i vestiti e i cappotti per rinnovarli e riutilizzarli. Il corredo domestico si trasmetteva per generazioni. Le bottiglie di vetro venivano restituite, ancora negli anni 50, ai negozianti e i metalli raccolti da appositi cercatori per rivenderli alle fonderie. Qual è però la differenza che balza agli occhi a qualunque analista  del fenomeno?  La principale è che si trattava in quei casi di una economia che poteva permettersi un forte rallentamento della crescita perché questa avveniva in un mondo con molti meno abitanti del mondo attuale, prima ancora che la popolazione mondiale esplodesse ai livelli che hanno condotto il pianeta ad oltre sette miliardi di abitanti. L’economia  dei prodotti a lunga durata e del riuso dei materiali riguardava un pianeta con meno di 2 miliardi di consumatori (prima metà del novecento) .  Solo dopo la metà del '900 l’esplosione demografica ha quadruplicato il numero dei consumatori e produttori e, insieme alla globalizzazione dei mercati, ha imposto i grandi numeri della produzione di massa  e l’economia lineare dei consumi standardizzati su alti livelli di produzione e alto consumo di energia.   Il ciclo impazzito acquisto-consumo-rifiuto basato su una produzione sempre crescente ed una economia finanziaria di espansione a "bolla" di prodotti derivati  ha accompagnato la crescita demografica mondiale e la globalizzazione dei mercati. Una platea   di 7 o 8 miliardi  di consumatori, estesi a tutto il pianeta, richiede una tipologia di produzione e consumo molto diversa da una di 1,5 o due miliardi, in cui i mercati erano limitati ad alcune aree sviluppate e a classi economiche privilegiate.  
Queste riflessioni mostrano come, al di là delle teorie elaborate nelle torri d’avorio dei vari economisti equosolidali e politicamente corretti, la prospettiva di una economia circolare non può essere neanche concepita se non in un sistema di rientro demografico, in cui la diversa qualità e modalità di produzione e consumo possa inserirsi in un quadro di riduzione quantitativa progressiva e la platea di consumatori ridursi gradualmente senza generare conflitti e situazioni critiche e socialmente  insostenibili.
Ridicola è poi la pretesa di assicurare l’energia necessaria alla nuova economia circolare basandosi sulla semplice produzione da rinnovabili, in presenza di un mondo in esplosione demografica. Come far fronte alle crescenti richieste mondiali di energia per l'espansione stessa degli abitanti del pianeta? Qui tutte le aporie e le artificiosità della teoria vengono al pettine: oggi nonostante le sovvenzioni di stato alla sua produzione   e gli incentivi ai privati per il suo utilizzo, l’energia da rinnovabili non decolla ed anzi mostra tutti i suoi limiti. Figurarsi in una economia con bassa crescita (come quella prevista nell’ipotesi circolare) e mentre i numeri della popolazione continuano ad aumentare. Il progressivo esaurimento delle risorse, l'aumento dei prezzi dell'energia, i costi proibitivi delle merci e degli scambi porterebbero alla crisi economica mondiale e al collasso  sociale. Tornare al consumo massiccio di idrocarburi, anche quelli più inquinanti,  sarebbe l’unico sistema per cercare di uscire dal tracollo. 

venerdì 7 novembre 2014

La sconfitta di Obama






Nel 2009 in piena crisi economica, la più grave da quella del ’29, e che ancora oggi blocca l’economia occidentale, il presidente Obama decideva di rimuovere il veto posto dall’amministrazione Bush al finanziamento da parte Usa di programmi e piani sulla pianificazione familiare in patria e  all’estero, anche col ricorso alla contraccezione e all’aborto.
In una intervista alla Abc la allora speaker della camera Usa Nancy Pelosi spiegava la decisione del presidente con la convinzione che il finanziamento di nuovi programmi per il controllo delle nascite avrebbe reso più efficace il pacchetto di “stimoli” all’economia. Questa politica di controllo demografico poteva essere utile non solo per i paesi in via di sviluppo ma anche negli Usa dove la popolazione ha ripreso a crescere dagli anni ’90.   “La contraccezione –affermava Pelosi nel 2009- consentirà di ridurre le spese e i costi sia per i singoli stati che per il governo federale”. Madre di cinque figli, con sei nipoti, la democratica Pelosi ha idee chiarissime in materia: “Una buona pianificazione familiare permetterà di ridurre i costi. Gli stati attraversano una gravissima crisi fiscale dovuta in gran parte anche ai servizi per la salute e l’educazione dei bambini. Sono necessarie misure su questo fronte. E tra queste anche un piano per la contraccezione potrebbe essere importante”.

Il presidente Obama aveva introdotto nella sua legge sull’Obamacare (assistenza sanitaria gratuita ai poveri) l’obbligo per le aziende private di pagare ai propri dipendenti la copertura assicurativa per la contraccezione. La misura ha trovato subito molti ostacoli, tra cui il ricorso alla Corte Suprema di molte associazioni religiose che contestavano la legge per quanto riguarda la contraccezione e soprattutto l’obbligo per le aziende di rimborsare il costo della “pillola del giorno dopo”. Nel giugno di quest’anno (2014) la Corte Suprema ha deciso in favore della associazione religiose e contro l’Obamacare  e ha bocciato la volontà della Casa Bianca di imporre ai datori di lavoro, che la rifiutino per credenze religiose, l'inclusione degli strumenti per il controllo delle nascite nei piani di assistenza sanitaria riservati ai dipendenti.
Per quanto riguarda i finanziamenti alla contraccezione all’estero i programmi del Presidente non sono mai partiti sia per mancanza di fondi (la crisi economica è stata assai più pesante del previsto) sia per il precipitare degli equilibri politici nelle aree del pianeta in cui quel programma avrebbe potuto sviluppare i suoi effetti. In Africa ed in Asia del resto l’influenza americana si è andata affievolendo negli ultimi anni, in favore della Cina che sta estendendo la sua influenza e i suoi interessi economici verso le risorse di quei territori senza  preoccupazioni per l’ambiente e la salute delle popolazioni, secondo le tradizioni prima seguite dal colonialismo occidentale.

Un’altra occasione di influire sui tassi di natalità in maniera efficace è andata così sprecata. La sconfitta dei democratici di questi giorni negli Usa non fa prevedere una ripresa delle posizioni antinataliste. I repubblicani sono ancora in gran parte fermi alla condanna della contraccezione e dell’aborto, in linea con le organizzazioni religiose americane. La sconfitta dei programmi di controllo demografico non può che influenzare pesantemente in senso negativo tutte le posizioni dei vari ideologi della decrescita come via di uscita dalla crisi ambientale planetaria e in particolare il riscaldamento globale per la cappa di carbonio. Nonostante quel che credono i cosiddetti “verdi”, i quali si ostinano a negare ogni rilevanza al controllo della natalità umana per la salvezza del pianeta, la riduzione demografica rimane la base di partenza su cui è possibile impostare programmi realistici di decrescita economica, mantenendo allo stesso tempo adeguati investimenti sulla ricerca e sul livello tecnologico. 

mercoledì 5 novembre 2014

La sovrappopolazione e il nostro futuro evolutivo.




Le popolazioni umane continuano ad evolvere anche oggi, dice in un articolo su Le Scienze (novembre 2014), l'antropologo John Hawks. Questa evoluzione, che generalmente avviene su periodi molto lunghi, oggi nell'uomo sta accelerando come possiamo osservare studiando le tendenze di salute e riproduzione. Con la scoperta di nuove tecnologie mediche, l'igiene e i vaccini si è notevolmente ampliata la speranza di vita e si poteva supporre che questo potesse influire sui tassi di natalità. In molte popolazioni tuttavia i tassi di natalità oscillano, e mentre in occidente ad esempio essi sono scesi con l'allungarsi della vita media e il miglioramento della qualità di vita, in altre si assiste ad un persistere di tassi di natalità alti o intermedi. E' probabile che questo fenomeno influisca sui processi evolutivi.
Nell'Africa subsahariana, le donne che hanno una certa variante del gene FLT1 e sono incinte nella stagione malarica, hanno un piccolo aumento della probabilità di partorire rispetto a quelle che non hanno la variante, perché questa implica un minore rischio di infezione malarica della placenta e questo effetto alla lunga si manterrà come variante evolutiva favorevole. Stephen Stearns della Yale University e i suoi collaboratori hanno esaminato decenni di dati ottenuti con studi a lungo termine della sanità pubblica per vedere quali tratti potrebbero essere correlati con gli attuali tassi di riproduzione. La vita all'interno di città sempre più grandi ad esempio può influire sul processo evolutivo a seconda della resistenza allo stress per quanto riguarda l'attitudine delle donne alla natalità. Lo sviluppo economico sembra agire da stabilizzatore, ma non sempre è così. Contano le culture, le aree di appartenenza ed anche il periodo dello sviluppo. All'inizio e per tratti più o meno lunghi,lo sviluppo può aumentare i tassi di natalità in quanto migliora le aspettative, come accadde in Europa nel dopoguerra e come accade oggi in certe aree dell'Africa e dell'Asia. All'interno delle popolazioni di uno stesso paese ci possono essere caratteristiche diverse nei tassi di natalità. Negli ultimi sessant'anni, negli Stati Uniti le donne relativamente più basse e di peso più grande, con bassi livelli di colesterolo, si sono riprodotte leggermente di più rispetto alle donne con caratteristiche opposte. Tuttavia ancora non è chiaro perché questi tratti siano collegati alla dimensione della famiglia. Anche in questi casi possono giocare un ruolo sia fattori biologici che culturali ( tipo di alimentazione, idee sulla famiglia, sedentarietà, resistenza allo stress ecc.)
Nuovi studi di sanità pubblica, come il britannico Biobank, tracceranno genotipo e stato di salute di centinaia di migliaia di persone che vivono nelle città e in presenza di alta densità demografica. Queste ricerche sono effettuate perché le interazioni tra geni sono complicate e abbiamo bisogno di esaminare migliaia di casi per capire quali cambiamenti genetici influiscono sulla salute umana e verso quali cambiamenti stabili del genoma ci stiamo avviando. I geni che codificano per la tolleranza al lattosio è un esempio di come la stanzialità e lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento abbiano modificato l'iniziale intolleranza delle popolazioni umane di cacciatori-raccoglitori che non possedevano gli enzimi per digerire il latte per quanto riguarda in particolare gli adulti. Rintracciare la genealogia delle mutazioni umane è di enorme aiuto per osservare l'evoluzione lungo centinaia di generazioni, ma può oscurare le complesse interazioni tra ambiente, sopravvivenza e fecondità che si sono sviluppate nel passato. Vediamo solo i vincitori sul lungo termine, come la lattasi, ma potremmo perderci le dinamiche di breve periodo.
Come sarà il futuro della nostra evoluzione? Negli ultimi millenni, l'evoluzione della nostra specie ha preso strade differenti nelle diverse popolazioni umane, pur mantenendo sorprendenti somiglianze. Nuove mutazioni adattative presentatesi nelle popolazioni non hanno però espulso le versioni più vecchie dei geni. Viceversa, le varietà più vecchie, ancestrali, per la maggior parte sono rimaste con noi. Nel frattempo, milioni di persone si spostano ogni anno da una nazione all'altra, portando il tasso di scambio e rimescolamento genetico a un livello mai visto prima. Con un tasso di rimescolamento genetico così elevato, sembra ragionevole aspettarsi che i tratti additivi, per esempio la pigmentazione, per la quale sono molti geni diversi ad avere un effetto indipendente sul colore della pelle, saranno progressivamente attenuati nelle popolazioni future. Ci si prospetta un futuro in cui saremo una massa omogenea anziché un colorato arcobaleno di variabilità?
Niente affatto. Molti dei tratti diversi tra le popolazioni non sono additivi.  Anche la pigmentazione è raramente così semplice, come si osserva facilmente nelle popolazioni meticce in Stati Uniti, Messico e Brasile. Invece di una massa indistinta di cloni  color caffè e latte, stiamo già iniziando a vedere un trionfo di variazioni: individui biondi con lentiggini e pelle scura, e combinazioni di pelle olivastra e occhi verdi.
(Quanto riportato sopra è tratto dall'articolo di John Hawks: Evoluzione continua, Le Scienze Novembre 2014 pag.109).

Ma insieme a questi fatti biologici agiscono i condizionamenti culturali. Questo generale rimescolamento determina alterazioni irreversibili nel senso di territorialità innato nelle popolazioni umane, con sentimenti variabili di sradicamento. I ritmi frenetici di vita nelle megalopoli sono all'origine dei sentimenti di alienazione e spesso causa di patologie non solo psichiche ma anche fisiche, come quelle legate all'inquinamento. I conflitti culturali, lungi dallo scomparire con la coesistenza di diverse culture nello stesso territorio, sembrano accentuarsi. Le credenze religiose e le appartenenze culturali che in passato svolgevano un ruolo di coesione e di mantenimento di stili di vita sobri, vengono progressivamente a perdere questa funzione. Gli effetti finali possono variare dallo sfrenato consumismo, come avviene in Occidente, alla estremizzazione del processo identitario che può sfociare nella violenza come si vede negli integralismi contemporanei.
La sovrappopolazione stessa può essere un elemento che influenzerà l'evoluzione della specie umana? Certamente, visto che essa stessa è un riflesso dello sviluppo tecnologico e della medicina , dell'influenza delle culture e delle tradizioni, e sta alla base della nuova forma di vita collettiva che sono le megalopoli. Del resto le varie mutazioni sono amplificate in presenza di numeri elevati di popolazione, di alta densità demografica, e di aumentata mobilità.  Probabilmente il processo evolutivo verrà accelerato dagli alti numeri della popolazione, e allo stesso tempo non viene più controllato e mitigato dalla lunghezza dei tempi in cui i cambiamenti si confrontavano in precedenza con l'ambiente circostante. Ci sono queste accelerazioni e questi tempi ridotti alla base dei conflitti tra uomo e ambiente che stanno creando situazioni ecologiche sempre più critiche. Entrano in gioco i fattori ambientali che possono a loro volta influire pesantemente con i processi evolutivi sia biologici che culturali. Solo una minore fertilità, geneticamente o culturalmente indotta, potrà consentire un rientro nei limiti naturali del pianeta. una sovrappopolazione che mantenga alta la densità demografica, alti i consumi, e alti i tassi di natalità andrà fatalmente ad impattare con tali limiti fino a rivelarsi incompatibile con la sopravvivenza della specie.

venerdì 31 ottobre 2014

Overshot della popolazione umana: le cause




















In un articolo su Finite World, lo statistico esperto di sistemi naturali Gail Tverberg si chiede il perché dell’esplosivo aumento della popolazione umana negli ultimi  secoli. Basandosi su un lavoro di Craig Dilworth,  analizza i fenomeni in atto nella nostra società sovrappopolata e indica i possibili rimedi. Le risposte di Tverberg, più o meno condivisibili, sono interessanti e offrono spunti di riflessione a chi, come noi, denuncia ogni giorno la vera malattia che sta portando a morte il pianeta Terra. Riporto la traduzione  dell’articolo.
Ci sono sette miliardi di umani sulla Terra al giorno d’oggi. Ritenevo all’inizio che la ragione principale della recente esplosione della popolazione umana fossero i combustibili fossili che hanno creato le condizioni aumentando la disponibilità di cibo e di energia e quindi di prodotti come tecnologia e medicine. Ho trovato però in un lavoro sull’argomento di Craig Dilworth ulteriori spunti che mostrano come le disponibilità energetica sia solo una parte del problema e molto dipenda anche dai comportamenti ormai stereotipati, dai bisogni indotti, dalle comunicazioni e da chi le gestisce, dalle nuove credenze e dalle gerarchie del potere che si sono instaurate. Tutti i tipi di animali (presumibilmente uomo compreso) hanno istinti innati e comportamenti appresi che impediscono alla popolazione di salire senza limiti. Dilworth riferisce di un esperimento in cui due ratti di Norvegia sono stati messi in un recinto di 1000 metri quadrati e forniti di abbondante quantità di cibo e acqua per 28 mesi. Secondo i tassi di replicazione teoricamente possibili ci sarebbero potuti essere circa 50.000 esemplari alla fine dell’esperimento; secondo invece i limiti che si riscontrano in laboratorio (max un esemplare per 0,2 metri quadri) ci si potevano aspettare 5000 esemplari. Nella realtà risultò una popolazione di ratti sabilizzata a 200 esemplari. Molti dei meccanismi di controllo della crescita degli animali sono attivi anche nelle popolazioni umane. Dilworth riferisce che molte specie animali hanno un certo rapporto con il “territorio”, e ad esempio l’aggressività tra i gruppi è uno dei più antichi meccanismi per mantenere la popolazione verso il basso. Un altro meccanismo, di cui parla il sociologo Paul Buchheit della De Paul University, è quello gerarchico. Se viene meno il rapporto con il territorio, diviene importante ai fini del controllo della popolazione il meccanismo gerarchico. Nelle popolazioni animali se non c’è abbastanza per tutti, vengono concentrate le risorse disponibili nelle mani di quelli al vertice della piramide, emarginando quelli alla base della piramide. In caso di insufficienza della risorse la popolazione al fondo della piramide si riduce, lasciando intatta quella in alto. Questo è quello che ad esempio è accaduto anche nella popolazione americana durante la crisi economica. Dilworth nel suo libro sulla popolazione distingue negli animali due specie di popolazioni: Le specie selezionate secondo la tolleranza Krowding (K-selezionate), in cui i membri sono caratterizzati da grandi dimensioni, crescita lenta e riproduzione con poca prole e bassa mortalità, alte cure parentali. In questo tipo di popolazione le dimensioni sono costanti e la sua esistenza è messa facilmente in pericolo da nuove predazioni. La maggior parte dei mammiferi sono K-selezionati, come lo sono anche gli alberi. La specie R-selezionata: è caratterizzata invece da piccole dimensioni degli individui, crescita rapida e rapida riproduzione, vita breve (a volte meno di un anno), numerosa prole con alta mortalità, poca o nessuna cura parentale e la mancanza di territorialità. Le popolazioni di questo tipo crescono esponenzialmente con improvvisi arresti. Insetti e piante annuali sono tipiche specie R-selezionate. In base alla definizione delle due varietà di specie, gli esseri umani appartengono a quelle K-selezionate e dovrebbero avere una popolazione di dimensioni stabili, e la territorialità dovrebbe giocare un ruolo prevalente per tenere bassa la dimensione limitando il numero di coppie in via di replicazione. I territori scelti per istinto sono abbastanza grandi da garantire che le popolazioni non crescano di dimensioni in maniera tale da compromettere la loro base di risorse. Quindi, se la territorialità funziona correttamente, non c’è nessun problema di eccessivo sfruttamento di risorse e crisi conseguenti, in quanto il territorio prescelto dal maschio per il suo gruppo familiare è abbastanza grande da sfamare la famiglia, con molto cibo a disposizione. Ci sono due meccanismi al lavoro nelle specie K-selezionate: la disponibilità di cibo e territorio adeguato. In questo caso è la legge di Liebig che individua il tipo di territorio adeguato alle specie K-selezionate. Liebig aveva osservato che se per una coltura sono necessari vari tipi di input (quali fertilizzanti azotati, fertilizzanti fosforati e potassio ecc.), la resa delle colture sarebbe determinata dalla risorsa più scarsa, non dalla quantità totale delle risorse. Pertanto, ulteriori fertilizzanti azotati non possono sostituire tutti gli altri tipi di fertilizzanti necessari. Nel caso delle specie K-selezionate, come ad esempio i primati, ci sono due esigenze incomprimibili come cibo e territorio, ma solitamente il limite sul territorio è raggiunto prima. Ci sono un certo numero di meccanismi naturali per mantenere le popolazioni K-selezionate in equilibrio con il resto del sistema ecologico. Per esempio, una popolazione troppo alta rispetto al territorio disponibile tende a causare stress e porta alla violenza sia interna al gruppo che contro i gruppi confinanti. Il vincitore ottiene più territorio; i perdenti sono in genere uccisi. Può accadere che i neonati vengano uccisi, per mantenere la popolazione in linea con le risorse. Anche l’accoppiamento può essere limitato in base a comportamenti appresi o istinti. Inoltre una popolazione superiore a quella sostenibile tenderà ad attrarre predatori (nel caso degli esseri umani si tratta di germi e virus). Se la popolazione è troppo alta si farà più evidente il comportamento gerarchico. Gli individui socialmente ed economicamente favoriti otterranno una quota sproporzionata sul totale delle risorse, e ci saranno meno risorse per quelli più in basso nella gerarchia, contribuendo a ridurre le dimensioni della popolazione più rapidamente che se le risorse fossero distribuite più equamente. Quelli in alto che detengono più conoscenze e mezzi economici vengono risparmiati dalla crisi. Con gli animali sociali, l’altruismo diventa importante, perché le pulsioni istintuali che mantengono la popolazione sotto controllo debbono essere represse all’interno del gruppo familiare. Pertanto all’interno del territorio di una popolazione omogenea, gli istinti sociali tendono a sopraffare quelli sessuali di riproduzione e quelli di sopravvivenza più fondamentali. Gruppi della stessa specie spesso sono portati a condividere le risorse, ad occuparsi dei giovani e a proteggere gli individui feriti, a mantenere una assistenza adeguata agli anziani riservando loro risorse. Nella maggior parte dei casi, popolazioni con questi (ed altri) controlli ed equilibri tenderanno a rimanere in “equilibrio dinamico” con il resto dell’ecosistema. Le uniche eccezioni a questa regola sono le situazioni “pionieristiche”, quando entrambi cibo e territorio aumentano, o quando i predatori vengono rimossi. L’uso umano di energia immagazzinata (sia in legno che in combustibili fossili) è in un certo senso una di questi comportamenti pionieristici, perché ci ha permesso di ampliare la nostra alimentazione ed eliminare i predatori. Gli esseri umani sono diversi dalle altre specie in quanto la nostra intelligenza ci ha permesso di sostituire l’apprendimento ad alcuni comportamenti istintivi. Questa sostituzione dell’istinto con l’apprendimento, insieme con l’uso di energia esterna, sembra essere la causa fondamentale dell’eccesso di popolazione. Attualmente ci sono più di 7 miliardi di umani sulla terra; Colin McEvedy e Richard Jones nel loro Atlas of World Population History stimano che la popolazione umana avrebbe dovuto essere in un range tra i 70.000 e 1 milione di individui, se avesse avuto un comportamento comparabile con specie affini come i gorilla o le popolazioni di scimpanzè. Oggi chiaramente la popolazione umana supera di gran lunga questa quota prevista dal sistema ecologico naturale nel caso si fosse trattato di una tra le altre specie animali. La mia interpretazione della teoria di Dilworth può essere applicata alle società umane primitive. Dilworth afferma che in queste società esistevano controlli interni della popolazione ( tra cui l’aborto,l’infanticidio, l’astensione prolungata dai rapporti ecc.) ed erano diffusi universalmente tra i primitivi. Se nascevano gemelli, spesso uno veniva messo a morte. Se la madre non era in grado di prendersi cura di un figlio, questo veniva sacrificato. Questi controlli interni sono stati utili a mantenere un rapporto tra popolazione e risorse, ma ad un certo punto non sono più serviti. Una parte del problema era che nuovi territori erano a disposizione e si aggiungevano sempre nuovi prodotti alimentari, a causa dell’inventiva degli umani. Gli uomini primitivi hanno iniziato ad utilizzare il fuoco circa 125.000 anni fa, e sono emigrati dall’Africa e si stabilirono in nuove terre circa 90.000 anni fa. L’antico mito di Prometeo che ruba il fuoco agli dei rappresenta la memoria sublimata di questo cambiamento. Le religioni hanno svolto un ruolo importante nel promuovere l’altruismo all’interno dei propri gruppi. Esse hanno anche consentito di trasmettere tradizioni e mantenere la coesione interna tra i membri. Le religioni moderne però non hanno assicurato il controllo della popolazione, anzi il comando “siate fecondi e moltiplicatevi” va in contro tendenza. Quando i missionari sono stati inviati presso i gruppi primitivi che utilizzavano pratiche per il controllo della popolazione come l’infanticidio o i divieti rituali, hanno condannato i comportamenti volti al controllo della popolazione, di fatto aumentando la natalità. La pratica di migliorare l’assistenza sanitaria senza fornire contraccettivi gratuiti e insegnare la responsabilità demografica rispetto alle risorse naturali locali ha portato ad aumenti insostenibili della popolazione. L’ “istinto” di combattere i gruppi appartenenti ad altre religioni è utile dal punto di vista del controllo della popolazione, ma la maggior parte dei lettori di questo articolo non approverebbe questo metodo al fine di controllare la popolazione. Purtroppo questo è un comportamento parallelo a numerose specie animali che controllano con l’aggressività tra gruppi diversi le rispettive popolazioni.
Se il controllo della popolazione non arriva con altri mezzi, il ricorso al comportamento gerarchico può prendere il posto di altri modi per risolvere il problema. Questo comportamento ha assunto sempre più importanza da quando i cacciatori-raccoglitori si sono trasformati in popolazioni stanziali dedite all’agricoltura. Il comportamento gerarchico è aumentato di recente nelle società umane. Le cause immediate del fenomeno si possono così riassumere: Maggiore specializzazione con maggior complessità dei processi produttivi. I lavori al vertice della gerarchia sono molto ben retribuiti. Globalizzazione con offerte di lavoro nella parte inferiore della gerarchia con il ricorso alla manodopera straniera in competizione con l’autoctona e disponibilità di lavoratori con bassi salari. Più debito a disposizione. Il debito tende a trasferire i pagamenti di interessi legati alla popolazione della parte inferiore agli individui al vertice della gerarchia. I regimi fiscali che nei sistemi moderni favoriscono i ricchi e le aziende. In un suo libro recente l’economista Charles Murray analizza la formazione delle classi nell’America contemporanea constatando come essa sia diversa rispetto al passato. Le classi inferiori stanno perdendo molti dei sistemi attivi in passato per stabilizzare la posizione e mantenerla verso la parità: il matrimonio, opportunità di frequentare scuole con persone di tutte le classi, unirsi a gruppi religiosi ecc. Potrei anche notare come l’economia, la fede nella crescita economica come un sistema di salvezza per tutti, è diventata quasi una nuova religione che tende a nascondere tutti gli altri problemi come quelli ambientali o legati alla sovrappopolazione. Poiché quasi tutti credono in questa nuova religione del progresso economico indefinito, c’è poco bisogno di altri sistemi di credenze. Le influenze economiche però non sono una novità. Il commercio è iniziato molto presto, anche prima dei tempi di Abramo e di Isacco nel Vecchio Testamento. Questo tendeva ad abbattere le barriere tra i gruppi umani, riducendo l’effetto della territorialità e contribuendo alla crescita demografica. Lo spostamento rapido di risorse tipico del mondo moderno ha contribuito a togliere alla territorialità e alla disponibilità locale di risorse, il controllo sulla crescita della popolazione. Un’altra fonte di sistemi di credenze sono gli show televisivi. Questi rappresentano la vita familiare come un continuo consumare prodotti e acquistare merci, e inducono a credere che la cosa più importante nella vita sia avere più roba! Tutte queste nuove influenze sono in conflitto con i nostri comportamenti istintuali che tendono a farci stare con i nostri gruppi familiari, e a non vivere con comportamenti che si discostano troppo da quelli che abbiamo conosciuto in passato. Speranze per il futuro. Dilworth non vede molte speranze per uscire dalla nostra situazione attuale. Si è ormai innescato un circolo vizioso. Uno stile di vita particolare ad un certo punto cessa di fornire cibo sufficiente per una popolazione in crescita, e si sviluppano così nuovi approcci al problema che in genere non sono sempre miglioramenti effettivi del comportamento. Ad esempio lo sviluppo dell’agricoltura invece della caccia e raccolta, o l’applicazione di prodotti chimici ad uso di fertilizzanti invece di aspettare il corso dei cicli naturali dei prodotti. Si finisce così nel sostentare la crescita di più persone in un certo territorio che poi richiedono più prodotti i quali a loro volta sostentano ulteriore popolazione in un circolo vizioso.
Mi vengono im mente un paio di possibili sistemi per mitigare il nostro futuro apparentemente cupo e dare una possibile risposta alle nostre aspettative riguardo l’ambiente.
1. Intervento di una potenza superiore. Se una persona guarda come funziona l’insieme dei sistemi ecologici, non si può fare a meno di rilevare come l’intero sistema lavora in armonia e in equilibrio. Solo gli esseri umani rompono questo schema. Forse c’è una forza superiore che assicura questa funzione d’insieme e che forse darà una soluzione in un modo o nell’altro al problema Terra. Non si tratta solo di un fatto religioso. Può essere ad esempio che la tecnologia faccia parte di questo disegno e possa in futuro riportare tutto in equilibrio, come una specie di destino. Questa speranza può essere utile per alcuni individui. 2. Maggiore flessibilità delle nostre società e concentrarsi sul presente. Penso ad una lettera ricevuta da Derek che ha vissuto molto tempo in Kenya, da me pubblicata su The Oil Drum nel mese di aprile 2009. Descrive lì una vita molto diversa dalle nostre in occidente. In Kenya si vive abbastanza bene con poca energia, dando e restituendo valore a tante cose, anche quelle che da noi sarebbero disprezzate come roba di poco valore. Anche lì la sopravvivenza e la felicità sono possibili. Stranamente all’inizio la vita di un Masai ci può sembrare orribile, ma poi si vede che sono persone felici forse più di noi. In Kenya si usa l’elettricità solo quando è disponibile (non sempre). Ci sono molte interruzioni. Ci sono molti altri limiti ad una vita comoda, e questi limiti sono alla base delle decisioni che si prendono. Spesso si rinuncia ad affari se questi non sono possibili per le risorse. Non ci sono troppi alti e bassi di felicità e non si è granché infelici se le cose vanno male. La gente lì celebra ogni giorno in cui le cose vanno bene. Il 95% dei keniani è focalizzata sull’oggi, e pensa poco al futuro. Quando c’è la morte di qualcuno, anche un bambino, la situazione viene accettata dopo un periodo di lutto, senza rimanere depressi o impressionati. Le persone hanno una visione diversa delle cose. Siamo portati a investire nel futuro impegnandoci in lunghi studi e facendo grandi investimenti. Ma queste cose funzionano sempre meno. Forse abbiamo bisogno di una maggiore flessibilità e tornare ad alcuni approcci tradizionali. Se le cose non funzionano dobbiamo avere la capacità di modificarle. Ci vuole più altruismo nelle nostre società, dare più valore alle persone e meno alla produzione, e ciò significa anche un minor numero di umani considerati semplici consumatori verso una maggiore valorizzazione della singola persona nella sua specificità, magari con un numero di umani inferiore e con valori diversi e più genuini. Nella società di massa dei consumatori si stanno creando troppi gruppi emarginati che più aumenta la popolazione, più si isolano in se stessi.
Gail Tverberg (traduzione personale)