Riporto di seguito una sintesi di articolo di Fabio Terragni e
Gianluca Sala sul nuovo paradigma dell’economia circolare. Segue un commento dell’autore del blog.
Nel suo rapporto “Toward a Circular Economy: economic
and business rationale for an accelerate transition”, la Ellen Macarthur
Foundation (2012) propone una riforma sostenibile dell’economia basata su una
diversa produzione di beni e servizi. Da allora i verdi di tutto il mondo si
sono identificati con il nuovo Pradigma economico della economia circolare. I
fautori della economia circolare spiegano che nel corso del XX secolo il
prodotto interno lordo è cresciuto di 20 volte nei paesi occidentali generando
una ricchezza diffusa. Alla base di questo sviluppo c’è tuttavia un modello di
produzione ad alta intensità di energia e consumo di risorse naturali che può
essere definito “lineare”, dove i prodotti industriali derivano da uno
sfruttamento intensivo delle risorse naturali che – al termine del ciclo di
vita dei beni- divengono rifiuti. I concetti di riuso e di rigenerazione,
ancora presenti all'inizio del secondo dopoguerra e centrali in una economia di
sussistenza, sono stati abbandonati a favore del modello lineare “compra-usa-
getta”. Oggi circa l’80 %
dei materiali a fine vita finisce in discarica o in un inceneritore. Gli
innegabili benefici, in termini di qualità della vita, del modello lineare
hanno costi “esterni” particolarmente elevati, e finora sono stati tollerati.
Negli ultimi anni questo quadro sta entrando in crisi a causa dei prezzi in aumento delle risorse
naturali, oltre che per i costi dello smaltimento dei rifiuti. La tendenza al
recupero dei materiali è ancora troppo contenuta, soprattutto a fronte della
prevista espansione della platea mondiale di consumatori, dovuto all’aumento
della classe media con capacità di spesa (basta considerare i 3 miliardi di
abitanti dei BRICS- Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Mantenendo
inalterato il modello lineare di produzione e consumo, la pressione ambientale
crescerebbe a dismisura, con effetti ecologici devastanti. Dal 2000 i prezzi
delle risorse naturali sono in costante ascesa e i segnali fanno prevedere che
la scarsità di risorse e la volatilità dei prezzi sono destinate ad aggravarsi,
mettendo definitivamente in crisi il modello lineare.
L’economia circolare, con il recupero e la rigenerazione
dei prodotti e dei materiali richiede un re-design del sistema che rivisiti i
prodotti, la loro progettazione e realizzazione, i processi produttivi, i
modelli di business. I produttori e distributori invece di cedere la proprietà
dei prodotti, agiscono come “service provider “ dando vita ad un nuovo
contratto tra le imprese e i loro clienti basato non più sulla vendita di
prodotti, ma sull’erogazione di servizi basati su beni durevoli, recuperabili,
rigenerabili, che possano essere
ceduti, affittati, condivisi. Nel caso debba essere ceduta la proprietà,
ne viene incentivato il recupero al termine del periodo di uso primario. Questa
economia, ovviamente, dovrebbe essere alimentata con energia da fonti
rinnovabili, al duplice scopo di ridurre la dipendenza da risorse naturali e
aumentare la resilienza del sistema. La regola d’oro dell’economia circolare fa
riferimento alle “potenzialità del circolo più stretto”: meno un prodotto deve
essere cambiato per il suo ri-uso o rigenerazione, più velocemente torna in
uso, più alto è il potenziale di risparmio. Un altro meccanismo fa riferimento
alla massimizzazione del tempo in cui la risorsa rimane in circolo e alla
massimizzazione del numero dei circoli consecutivi (sotto forma di
ri-uso/rigenerazione dei prodotti o di semplice riciclaggio di materiali). Un
terzo meccanismo si riferisce al potenziale degli “usi a cascata”. L’esempio
classico è quello dei prodotti tessili in cotone, che possono essere dapprima
riutilizzati per confezionare abiti, poi utilizzati nell’arredamento e più
tardi nell’edilizia (per l’isolamento termico e acustico) per ritornare infine
nella biosfera. Ultima potenzialità risiede nella capacità di progettare
prodotti che permettano flussi di materiali puri, non tossici e facili da
separare: ciò consente un significativo aumento dell’efficienza dei processi di
recupero. Secondo le analisi svolte da McKinsey con l’economia circolare il
sistema economico potrebbe beneficiare di un sostanziale risparmio di materiale
netto con conseguente abbassamento del livello di volatilità dei prezzi; in
Europa il potenziale di risparmi si aggira nell’ordine dei 700 miliardi di
dollari l’anno e del 23 % dell’attuale spesa per le materie prime. Una economia
centrata sull’utente (e non sulla produzione) vedrebbe –secondo questi
economisti- aumentare i tassi di innovazione, occupazione e produttività del
capitale promuovendo uno spostamento verso il settore terziario. Verrebbero
ridotte le esternalità negative (meno materiali e rifiuti in circolo). Tale
riduzione sarebbe maggiore di ogni possibile miglioramento incrementale di
efficienza all’interno del sistema attuale. Infine aumenterebbe la resilienza
del sistema: la capacità di reagire a shock di ogni tipo (fattori geo-politici,
climatici, ecc.). Concludendo il suo rapporto la Ellen Macarthur Foundation
dichiara che la sostenibilità e il risparmio possono rendere più competitive le
aziende e le economie, sulla base di competenze, innovazione ed efficienza
nell’uso delle risorse.
(Tratto dall’articolo di Fabio Terragni e Gianluca Sala:
Il circolo dell’economia. Qualenergia settembre/ottobre 2013)
Anche questa teoria dell’economia circolare ha il
difetto di essere stata concepita a partire da premesse teoriche che poi è tutto
da dimostrare che possano funzionare nella realtà. Una tale riconversione del
sistema produttivo, ad esempio, come potrebbe funzionare all’interno di un
sistema politico ed economico liberale basato sul libero mercato? Per quanto
riguarda gli indirizzi del consumo verso
prodotti riciclabili sarebbe utile la leva fiscale mediante sgravi
sui prodotti omogenei al nuovo sistema e aggravi per quelli ad impatto
ambientale elevato. Ma l’economia attuale è basata sugli alti consumi. Già il semplice
riuso di materiali e prodotti fa intravedere, in un sistema di mercato, il
crollo dei prezzi di materie prime, la conseguenza di minor produzione di beni di
largo consumo, maggior disoccupazione, recessione e stagnazione dell’economia.
Crollo dei prodotti finanziari.
L’economista premio nobel Paul Krugman, in un articolo
sul NYT, per conciliare il necessario rallentamento della velocità e i limiti della Crescita con l’attuale
sistema economico, ipotizza un modo di produzione che consentirebbe di
mantenere una leggera crescita sostenibile del Prodotto Interno Lordo e allo
stesso tempo ridurre l’impatto ambientale. Krugman propone di ridurre l’immissione di energia nel processo
produttivo, ricorrendo al contempo a forme di energia rinnovabile, e per
compensare la minore velocità di produzione, allo stesso tempo ipotizza di
ampliare la platea dei produttori e dei consumatori. Per spiegare il processo
fa l’esempio di un gruppo di navi in crociera: egli sostiene che si può
immettere meno energia diminuendo il consumo energetico delle navi e la loro
velocità; il rapporto tra velocità e risultato (trasporto di merci o passeggeri) verrebbe tuttavia mantenuto
aumentando il numero delle navi: il prodotto tra i due termini non cambierebbe
in quanto la diminuzione della velocità sarebbe compensata dai maggiori numeri di
elementi trasportati . In pratica la proposta di Krugman prevede di ridurre
il consumo mondiale di energia e modificare la sua qualità (rinnovabili) , mantenendo il
Pil in leggera crescita attraverso l’aumento della popolazione attiva e la sua
equa distribuzione su tutto il pianeta: l’economia viaggerebbe ad una velocità
ridotta ma in un mercato più
grande. E’ corollario di questa teoria la necessità di mantenere alta
l’espansione demografica (aumentare il numero delle navi).
Anche questa interpretazione di Krugman dell’economia
circolare si basa su modelli
teorici che poi vanno ad impattare con la realtà dei fatti in modi del tutto
imprevedibili e, forse, impossibili da realizzare. Gli individui che compongono
il sistema non sono elementi deterministici che seguono schemi prevedibili. I
consumi mondiali sono soggetti a variabili plurideterminate e influenze esterne
ed interne non calcolabili a priori.
I produttori seguono le vie dei minor costi per assicurare la stessa
quantità di prodotto e i consumatori seguono i propri gusti, a meno di imporre magazzini di stato e un monopolio centralizzato. In un sistema di libero mercato l’economia circolare può
funzionare per brevi periodi in aree limitate. Sarebbe necessaria una autorità
sopranazionale che imponesse parametri economici non liberali, autorità che
allo stato attuale non esiste. Gli accordi internazionali possono porre dei
limiti generici, ad esempio quello sull’energia e sulle emissioni di carbonio,
che funzionano fino quando conviene ai singoli governi, poi vengono elusi alla
prima occasione e quando non conviene più rispettare gli accordi ad uno o più
dei soci del patto. La proposta
dell’economista premio Nobel dimostra ancora una volta che finché si tratta di
fare analisi dei fenomeni in atto gli economisti ci possono azzeccare. Ma quando si
passa alle proposte macroeconomiche su scala planetaria mostrano tutti i loro
limiti. L’economia circolare tuttavia non è una proposta campata completamente
in aria. In linea teorica potrebbe funzionare, non fosse altro perché in parte
una economia basata sul riclico dei prodotti ha funzionato in alcuni periodi
del passato non molto lontano, ad esempio si pensi all’economia autarchica durante il fascismo, o al
riciclo dei prodotti e il riuso
dei materiali nella crisi economica tra le due guerre mondiali. Se si va a
vedere le economie di molti paesi nella prima metà del 900, si può constatare come erano basate in parte sulla
lunga durata dei prodotti e spesso sul loro riutilizzo o riciclo dei materiali. I nostri nonni ricordano l'uso di rigirare i vestiti e i cappotti per rinnovarli e riutilizzarli. Il corredo domestico si trasmetteva per generazioni. Le bottiglie di vetro venivano restituite, ancora negli anni 50, ai negozianti e i metalli raccolti da appositi cercatori per rivenderli alle fonderie. Qual è però la
differenza che balza agli occhi a qualunque analista del fenomeno?
La principale è che si trattava in quei casi di una economia che poteva
permettersi un forte rallentamento della crescita perché questa avveniva in un
mondo con molti meno abitanti del mondo attuale, prima ancora che la
popolazione mondiale esplodesse ai livelli che hanno condotto il pianeta ad oltre sette miliardi di abitanti. L’economia dei prodotti a lunga durata e del riuso dei materiali
riguardava un pianeta con meno di 2 miliardi di consumatori (prima metà del
novecento) . Solo dopo la metà del '900 l’esplosione demografica ha quadruplicato il numero dei
consumatori e produttori e, insieme alla globalizzazione dei mercati, ha imposto
i grandi numeri della produzione di massa
e l’economia lineare dei consumi standardizzati su alti livelli di
produzione e alto consumo di energia. Il ciclo impazzito acquisto-consumo-rifiuto basato su una produzione
sempre crescente ed una economia finanziaria di espansione a "bolla" di prodotti derivati ha accompagnato la crescita demografica mondiale e la globalizzazione dei mercati. Una platea di 7 o 8 miliardi di consumatori, estesi a tutto il pianeta, richiede una tipologia di produzione e consumo molto diversa da una di 1,5 o due miliardi, in cui i mercati erano limitati ad alcune aree sviluppate e a classi economiche privilegiate.
Queste riflessioni mostrano come, al di là delle teorie
elaborate nelle torri d’avorio dei vari economisti equosolidali e politicamente
corretti, la prospettiva di una economia circolare non può essere neanche
concepita se non in un sistema di rientro demografico, in cui la diversa
qualità e modalità di produzione e consumo possa inserirsi in un quadro di riduzione quantitativa progressiva e la platea di consumatori ridursi
gradualmente senza generare conflitti e situazioni critiche e socialmente insostenibili.
Ridicola è poi la pretesa di assicurare l’energia
necessaria alla nuova economia circolare basandosi sulla semplice produzione da
rinnovabili, in presenza di un mondo in esplosione demografica. Come far fronte alle crescenti richieste mondiali di energia per l'espansione stessa degli abitanti del pianeta? Qui tutte le
aporie e le artificiosità della teoria vengono al pettine: oggi nonostante le
sovvenzioni di stato alla sua produzione e gli incentivi ai privati per il suo utilizzo,
l’energia da rinnovabili non decolla ed anzi mostra tutti i suoi limiti. Figurarsi
in una economia con bassa crescita (come quella prevista nell’ipotesi
circolare) e mentre i numeri della popolazione continuano ad aumentare. Il progressivo esaurimento delle risorse, l'aumento dei prezzi dell'energia, i costi proibitivi delle merci e degli scambi
porterebbero alla crisi economica mondiale e al collasso sociale. Tornare al consumo massiccio di idrocarburi, anche quelli più inquinanti, sarebbe l’unico sistema per cercare di uscire dal
tracollo.
<< la prospettiva di una economia circolare non può essere neanche concepita se non in un sistema di rientro demografico >>
RispondiEliminaGiusto, caro Agobit, ma voglio provare ad essere ottimista nonostante tutto e dico:
incominciamo a provare questa economia circolare, che non sembra solo una gran bella idea, ma anche un meccanismo ralizzabile.
E poi magari, parafrasando De Gaulle, la decrescita demografica seguirà....
La decrescita demografica seguirà senz'altro, ma meno saremo "cattivi" nel pianificarla soprattutto nel fine vita, più "cattiva" sarà la natura...Insomma denatalisti ma con moderazione ? é una contraddizione in termini.Se per preservare un ecosistema, imporremo la vigilanza sui boschi con le armi o la transizione alla permacoltura con uguale accanimento, allora saremo pieni di amore con chi viene dopo la presunta gobba lunga demografica.
EliminaSecondo me, Krugman dovrebbe tornare a fare ragioneria, magari gli insegnano a fare un'analisi Costi/benefici decente.
RispondiEliminaPenso che i premi Nobel per l'economia si siano svalutati come quelli per la pace; li danno a chiunque sulla parola.
Un viaggio in crociera, in genere, impiega 1 settimana per essere completato.
Se abbassi la velocità il giro dura 10 o più giorni.
Se metti che c'è una persona dell'equipaggio per ogni 3 passeggeri,
risparmi soldi in carburante e li paghi 10 volte tanto in stipendi dell'equipaggio.
Se poi devi aumentare il costo della crociera, le persone che viaggeranno saranno di meno.
Le compagnie da crociera ammortizzano meglio i costi facendo navi più grandi, ma non cercano di farle andare più piano allungando i giorni della crociera o riducendo il percorso; non sarebbero più interessanti per i clienti.
Della serie, se si prende un solo parametro (consumo carburante) come riferimento e non tutto il sistema nel suo complesso, non ci si accorge che, cambiando un valore (velocità di crociera), si otterrà un beneficio da una parte (costi carburante), ma un danno maggiore dall'altra (stipendi).
L'economia circolare richiede che a ogni ciclo venga introdotta energia nel sistema (non esiste il moto perpetuo di prima specie), può essere inferiore al modello lineare, ma anche no.
RispondiElimina"Le bottiglie di vetro venivano restituite"
Una bottiglia di vetro per essere riutilizzata, se deve essere fusa nuovamente (lavarla non sarebbe sufficientemente igienico e poi potrebbe essere anche scheggiata), richiede molta più energia (bisogna scaldarlo a circa 1800°C, ma con tecniche particolari si può scendere sotto i 1000°C) che fare una nuova bottiglia di plastica la quale è composta da pochi grammi di derivati dal petrolio.
Usare la bottiglie di vetro per riempirla di latte al supermercato, richiede che il latte venga sterilizzato (onde evitare contaggio di malattie), che richiede anch'esso molta energia (più della bottiglia di plastica?).
Ogni volta che si riutilizza un oggetto, si deve verificare se il bene riutilizzabile richieda più energia (logistica e trattamento per il reinserimento nel ciclo) di un oggetto usa e getta fatto di sostanze più economiche (ma recuperato per non inquinare e per altri scopi).
E' facile fare un'analisi SBAGLIATA del ciclo, che tenga in considerazione il semplice fatto che non richieda altre materie prime per reinserire un oggetto nel ciclo, e gravemente trascurare il fatto che riciclarlo richieda più energia di produrre un oggetto usa e getta.
Semplificando:
RispondiEliminaOgni bene per essere prodotto richiede due componenti:
materie prime + energia
(trascuriamo l'ingegno umano, in quanto esso viene usato solo nella fare iniziale d'invenzione del bene).
In un'economia circolare si richiedono poche materie prime ma molta energia.
In un'economia lineare (o quasi) si richiedono più materie prima e meno energia.
Se le materie prime hanno un costo alto, anche nell'economia lineare vengono riciclate (il ferro già oggi viene riciclato quasi completamente).
Una bottiglia di plastica da 1,5 litri pesa 35 g.
RispondiEliminaUna bottiglia di vetro da 1,5 litri pesa 1000 g.
Per fondere 1 bottiglia di vetro c'è bisogno di petrolio pari al peso di 3 bottiglie di plastica.
Se le bottiglie di vetro, che vengono riciclate, devono essere fuse nuovamente, non é conveniente usarle;
se invece vengono lavate e disinfettate per riutilizzarla a livello domestico, allora conviene.
Anche la bottiglia di plastica può essere lavata e riutilizzata per uso domestico; consumando meno energia di quella di vetro, quando é stata prodotta; ed é più sicura, perché se cade a terra non si spezza come il vetro rischiando che qualcuno si tagli.
EliminaPer molti anni ho riempito bottiglie di plastica in una sorgente a qualche km del mio comune.
A livello domestico conviene riutilizzare le bottiglie di plastica, a livello industriale non é possibile.
Si possono usare bottiglie d'acciaio, o di alluminio...
RispondiEliminaAnche piatti e contenitori vari per alimenti si possono costruire in acciaio (l'alluminio è troppo tenero), ne risultano oggetti pressoché indistruttibili.
In realtà il problema non è cosa si può o non si può fare, ma cosa vuole fare chi cerca di lucrare in ogni modo a danno degli altri. Fateci caso: tutti i beni cosiddetti durevoli che ci sono in commercio hanno almeno un anello debole appositamente progettato per il quale o non esistono ricambi in circolazione per un tempo congruo, o per il quale il prezzo dei ricambi è assolutamente insensato in rapporto al prezzo dell'oggetto nel suo insieme. Anche il continuo modificare modelli e ostacolare la standardizzazione sono tecniche con le quali si impedisce il riutilizzo dei beni durevoli. La pubblicità, inoltre, è il mezzo idiota col quale si rende la gente insoddisfatta di quel che ha e desiderosa dei nuovi sbrilluccichini fatti d'immondizia che rendono allettante il mondo fasullo e inconsistente infestato dalle "mode". I maniaci del Mercato chiamano questo modo di procedere marketing. Io lo chiamo essere stronzi. O stupidi, a seconda se si guarda il coltello dalla parte del manico o dalla parte della lama.
P.S. Perché tutta questa attenzione per le bottiglie? Sono così importanti, nel contesto complessivo? Sono solo un esempio?
Tutto giusto quello che scrivi, anche a proposito dell'obsolescenza programmata dei prodotti, ma anche ormai da tempo risaputo. E come mai la gente ci sta, non si ribella? Perché non ha scelta, direi, deve stare al gioco, a meno che non si ritiri dal mondo e viva da asceta col minimo indispensabile o poco più. Cosa non assolutamente impossibile, ma comprensibilmente difficile per i più, infantilmente ossessionati dal prodotto più alla moda. Io non ho mai posseduto un telefonino e non ho naturalmente nemmeno lo smartphone, oggetto ormai assolutamente necessario ai ragazzini che vogliono poi anche l'ultima versione. Credo che le case degli Italiani siano piene di cellulari "superati".
EliminaMa l'obsolescenza si spiega, e con ciò si giustifica pure almeno in parte, cal fatto che milioni e milioni di produttori modificano continuamente i prodotti per battere la concorrenza. Fare cose che durino a lungo o in eterno non conviene più e difatti molti oggetti non si possono più riparare o la riparazione costa quanto un prodotto nuovo che ha qualche funzione in più o altra caratteristica appetibile. È una macchina infernale a cui non si può praticamente sfuggire. All'attivo c'è però anche il fatto che non pochi oggetti nuovi sono effettivamente migliori dei vecchi (a parte che non durano). Pensa agli straordinari progressi della telefonia o del computer.
Pubblicità progresso, non è uno slogan?
Nell'ultimo post ne "Il non senso della vita" Odifreddi c'informa sulle novità introdotte nel Bhutan. Interessante. Fra le altre cose si legge:
"Anche l’edilizia e l’urbanizzazIone selvaggia contribuiscono al Pil, ma pure allo scempio del paesaggio e alla distruzione dell’equilibrio ecologico. In Bhutan dunque due terzi del territorio sono stati dichiarati zone inedificabili, e le costruzioni nel rimanente terzo devono rispettare lo stile del paese e gli standard ecologici."
"Il risultato è che il Bhutan si è preservato come un paradiso terrestre nel mondo della globalizzazione. E poiché ha capito, fra l’altro, che uno dei cancri intellettuali e morali del mondo occidentale è la pubblicità, l’ha dunque bandita totalmente, con un effetto inebriante per chi proviene dalla patria di Pubblitalia e del suo padrone."
Apprendo anche che il Bhutan ha sostituito il PIL con il FIL (Felicità interna lorda). L'occidente tutto, anzi il mondo intero, continua a farneticare di "crescita". Nessuno che dica cosa deve crescere e crescere in continuazione. Il parco auto mondiale? La cementificazione del territorio? Nuovi grandi progetti industriali (maddeché?).
http://odifreddi.blogautore.repubblica.it
Proposta di lettura (da Rinascita - Quotidiano di sinistra nazionale):
RispondiElimina"Periferie e immigrati"
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23624