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mercoledì 27 novembre 2013

La Beffa della Conferenza di Varsavia


Nuova Beffa Ecosostenibile alla Conferenza di Varsavia (COP 19) . Si sono riuniti i governi di vari paesi di tutto il globo per stabilire che non si può fare niente o poco meno contro il riscaldamento climatico dovuto alle emissioni di gas serra. Il più chiaro è stato il Giappone:   ha candidamente annunciato di non essere in grado di sostenere l'impegno di un taglio delle emissioni di gas serra del 25 per cento rispetto ai livelli del 1990. La percentuale alla sua portata è del 3 per cento. Da scoppiare dal ridere. A seguire la dichiarazione di Christiana Figueres, segretario dell’UNCCC, che ha detto ai rappresentanti del World Coal Association, che il carbone non va tanto bene perché è una materia prima tra le peggiori quanto ad impatto ambientale e ad emissioni di anidride, però si deve continuare ad usarlo, magari con accorgimenti che ne riducano l’impatto per il bene di tutti. Cosa significa? Nulla. Specifica la Figueres che l’uso del carbone può continuare se è compatibile con l’obiettivo di contenere entro i due gradi Celsius l’incremento della temperatura media globale. Cosa significa? Nulla di nuovo, quindi bene così. L’invito ai produttori di carbone sembrerebbe quello di diversificare il portafoglio, investendo sulle energie cosiddette rinnovabili, così come hanno già fatto diverse compagnie petrolifere e del gas. Poiché le rinnovabili non incidono sulle emissioni per un bel niente, in quanto inutili per la domanda energetica industriale e le altre esigenze principali, traduco la cosa così: continuate a produrre veleno, l’importante è che ci appiccichiate sopra l’etichetta verde “contribuisce alle rinnovabili” e così salvano l’anima e il portafoglio. In fondo trovare la parola "Rinnovabile" scritta ogni tanto e da qualche parte,  acquieta gli animi e rende tutti sereni: si tratta di roba equasolidale e sostenibile. Si può continuare -ergo- a bruciare miliardi di tonnellate di idrocarburi e che si fottano le calotte polari e i polmoni della gente! Tutti hanno fatto marcia indietro, dagli Stati Uniti alla Cina, dall’India al Sud america. Dell’effetto serra non frega niente a nessuno. Forse non ci credono, forse non esiste. Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti, seguendo il consiglio di fare qualcosa di buono onde nasconderci sotto il malloppo puzzolente, si sono impegnate a ridurre il processo di deforestazione, allocando a questo progetto 280 milioni che verranno gestiti dal BioCarbon Fund della Banca Mondiale. Polonia, Russia e Ucraina si oppongono a tutto e sono ultrafavorevoli al gas e petrolio di scisto, sparando nel sottosuolo i peggiori solventi e liquami e facendo sgusciare fuori miasmi di metano, gas, petroli, zolfo, solfuri e altre diavolerie che andranno ad inquinare le terre e le acque per chilometri quadrati,  mentre l’Unione Europea si tappa gli occhi e predica bene, senza tuttavia fare nulla. Chi può continua beatamente a farsi le sue centrali nucleari, e forse sono i più lucidi, come Cameron ed Erdogan. Per finire il solito: nessuno ha parlato dell’esplosione demografica alla base dell’aumento delle emissioni di gas serra ed altri inquinanti nell’ultimo secolo. La sovrappopolazione per COP19 non esiste. Non è un problema. Conseguenti sono le previsioni che si possono fare: questa conferenza di Varsavia è l’ennesima Beffa e non servirà a nulla, come a nulla è servita quella di Kyoto. La prossima di Parigi nel 2015 sarà ugualmente inutile. Ci guadagneranno solo i partecipanti, gli esperti con le provvigioni per le consulenze, le residue imprese che producono rinnovabili solo grazie agli incentivi, ed altre amenerie del genere.  Se abolissimo del tutto queste Prese in giro, non se ne accorgerebbe nessuno, e la Terra forse respirerebbe perfino meglio.

domenica 24 novembre 2013

Sviluppo economico e caos demografico





Quali sono i fattori determinanti che intervengono nella scelta del numero di figli nelle femmine di Homo? Molto importanti sono certamente i condizionamenti religiosi  e delle culture tradizionali, come avviene ad esempio in certe società islamiche o tra gli appartenenti a sette religiose tradizionaliste. Secondo gli studi dell’antropologo Marvin Harris (1927-2001) sembra che abbiano maggiore importanza i fattori materiali ed in particolare gli interessi economici. “Nelle famiglie contadine delle società preindustriali, i bambini cominciavano ad occuparsi delle faccende domestiche non appena muovevano i primi incerti passi. Verso i sei anni aiutavano a raccogliere la legna per il fuoco e a portare l’acqua per cucinare, si prendevano cura dei fratellini più piccoli; seminavano i campi, li ripulivano dalle erbacce e mietevano i raccolti…più grandi badavano a portare il cibo agli adulti, pascolavano il bestiame…”. In definitiva i figli erano economicamente convenienti in quanto i bambini producevano più di quanto consumassero. Proprio per questo ogni abbassamento del valore attribuito al lavoro infantile nell’agricoltura può determinare una riduzione del tasso di natalità. Se i profitti economici che i genitori si attendono dai figli possono essere aumentati mandandoli a scuola e facendo loro imparare un mestiere impiegatizio, il tasso di natalità può decrescere molto rapidamente. Negli anni sessanta, i ricercatori dell’Università di Harvard scelsero un villaggio dello stato del Punjab, Manupur, nell’India settentrionale, come sede di un progetto che puntava all’abbassamento del tasso riproduttivo attraverso l’uso di tecniche contraccettive e vasectomie. I ricercatori scoprirono che, se in linea teorica gli abitanti del villaggio non avevano problemi ad accettare l’idea di una pianificazione familiare, in pratica rifiutavano di farsi sterilizzare o di usare contraccettivi fino a quando non avevano raggiunto il numero di due figli maschi. Questo implicava spesso, tenendo conto delle femmine, la nascita di tre, quattro o più figli. Quindici anni dopo, alcuni ricercatori americani tornati nel villaggio scoprirono sorprendentemente che le donne facevano uso di metodi contraccettivi per ridurre in modo sostanziale il tasso di natalità e che il numero di figli maschi a cui aspiravano era notevolmente diminuito. La vera ragione di questa inversione di tendenza era la seguente: dopo la conclusione del progetto di ricerca americano, gli abitanti di Manupur erano stati coinvolti in una serie di progressi economici e tecnologici che avevano fatto del Punjab uno degli stati più avanzati dell’India. Lo sviluppo della rete dei canali di irrigazione e il sempre maggior utilizzo di trattori, diserbanti chimici e stufe da cucina a cherosene avevano drasticamente ridotto il valore economico dell’aiuto prestato dai bambini nelle fattorie. Nello stesso tempo, gli abitanti di Manupur cominciavano a rendersi conto dei vantaggi offerti dalla possibilità di impiego nelle fabbriche e negli uffici commerciali e statali. Avvertivano la necessità di essere maggiormente istruiti per poter gestire le loro fattorie meccanizzate e finanziate dalle banche. Oggi molti genitori vogliono che i loro figli proseguano gli studi e non hanno interesse a utilizzarli come contributo al lavoro manuale. Di conseguenza, le iscrizioni alla scuola superiore sono salite dal 63 all’81 % per i ragazzi, e dal 29 al 63 % per le ragazze. E i genitori di Manupur aspirano a che almeno un figlio si impieghi nel terziario, in modo che la famiglia non dipenda esclusivamente dai guadagni dell’agricoltura; molti progettano addirittura di mandare sia i figli sia le figlie all’università.
Questi motivi ricordano quelli alla base dei profondi mutamenti del tasso di riproduzione che hanno accompagnato il passaggio, nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, dalle società agricole a quelle industriali. L’industrializzazione ha aumentato il costo dei figli e ha tolto ogni convenienza ad averne molti. I benefici che si possono ottenere dai figli consistono nella loro disponibilità ad aiutare i genitori nelle difficoltà economiche e nei problemi di salute della terza età. Tuttavia l’allungamento della vita e l’aumento del costo delle cure mediche rendono sempre più irreale la possibilità che i genitori ricevano questo aiuto dai figli. Le nazioni industrializzate non hanno altra soluzione che quella di costruire case di riposo e predisporre assicurazioni mediche per la terza età, in sostituzione al sistema in uso nelle società preindustriali, nelle quali i figli si prendono cura dei genitori anziani.
Purtroppo le società industriali sono enormemente più impattanti sull’ambiente rispetto a quelle preindustriali. La riduzione dei tassi di natalità nelle nazioni progredite non ha perciò portato a benefici sull’ambiente, anche perché gli effetti della diminuita natalità sono stati surclassati negli ultimi decenni dall’arrivo di milioni di immigrati dai paesi che hanno ancora tassi di natalità molto elevati. C’è inoltre un grave ritardo culturale nelle nazioni occidentali dove le tradizioni religiose e le visioni solidaristiche antropocentriche hanno determinato un supporto a politiche di stimolo delle nascite che –purtroppo-  hanno spesso avuto successo come ad esempio negli Stati Uniti o in certi paesi europei (ad esempio Gran Bretagna e Francia). Una popolazione complessivamente  in crescita in presenza di economie industriali fortemente inquinanti è un coktail esplosivo per il residuo ambiente verde delle nazioni sviluppate. Ciò è ancora più vero per le economie emergenti dove esigenze di risorse non consentono l’utilizzo di tecnologie avanzate e meno inquinanti. Questi aiuti dati dallo stato (a carico della fiscalità generale) a politiche pro-nataliste è un vero dramma per le prospettive di successo di ogni tentativo di rientro ambientale sostenibile. La caparbia ostinazione  con cui le associazioni ambientaliste ignorano il fattore della riduzione della natalità  quale elemento determinante ed alla base di tutti gli aspetti del disastro ambientale che sta sotto i nostri occhi, aggiunge un aspetto paradossale al problema  ecologico e alle possibilità residue del pianeta.
Le prospettive per il futuro non sono rosee.
Nonostante tutte le mitologie su riduzioni sostanziali dei consumi energetici   e su fantomatici futuri sviluppi delle tecnologie riguardanti le fonti rinnovabili, la realtà è che negli ultimi decenni non vi sono state importanti innovazioni tecnologiche in grado di dare una svolta al problema del crescente inquinamento ambientale da fonti energetiche tradizionali e a quello del riscaldamento del clima. Solo per fare un esempio: il paese europeo con l'economia più forte, la Germania, ha ancora alla base del suo sistema energetico il carbone che rimane una fonte in assoluto tra le più inquinanti. La mancanza di un disegno strategico complessivo e basato su dati certi, l’assenza di una autorità politica in grado di condurre progetti a livello planetario, l’inconsistenza delle proposte dei vari convegni e consessi internazionali, il deficit di risorse da destinare alla ricerca aggravano i problemi. Ogni paese, ogni associazione, ogni istituzione segue politiche diverse e per lo più lasciate al gioco spontaneo degli interessi in campo. L’evoluzione delle economie e delle politiche sociali nelle varie aree geopolitiche  è priva di un disegno lungimirante di salvaguardia ambientale e lasciata allo spontaneismo caotico. Il fatto più grave è che tutti  ancora ignorano –o fingono di ignorare- il problema sovrappopolazione, ed il tempo sta per scadere.



lunedì 18 novembre 2013

Dallas 1963




Il prossimo 22 novembre sarà il 50° anniversario dell’assassinio a Dallas del Presidente John F.  Kennedy.
A Dallas (Texas) quel 22 novembre del 1963 , alle ore 12,30 tre colpi risuonarono lungo la Main street, sparati dal Depositery (magazzino dei libri scolastici) da un dipendente a contratto del magazzino, un uomo folle dall’aspetto stranulato, metafora di una follia collettiva, Lee Oswald. Ex tiratore scelto del marines, ne era stato poi cacciato per aver aderito al comunismo. Prima dell'omicidio era stato esule in Unione Sovietica e poi filo-castrista. Secondo alcuni aveva collegamenti con ambienti della mafia americana. Fu ucciso due giorni dopo l'assassinio di JFK da un gestore di Night-club intrufolatosi tra i giornalisti, mentre veniva trasferito dalla sede della polizia al carcere. Dopo gli spari contro il Presidente, la macchina nera scoperta su cui era anche la moglie Jacquelin e il governatore Connally, si avviò di corsa verso il sottopasso, diretta al Parkland Hospital. John F. Kennedy era ormai morente con il cranio trapassato da uno dei colpi di Oswald (sparati da un fucile Mannlicher Carcano di fabbricazione italiana). Alle 13,30 l’annuncio ufficiale della morte di Kennedy.  Il giovane Presidente aveva assunto la carica il 20 gennaio del 1961, era visto con simpatia non solo dagli americani, ma dal mondo intero, per la sua età, per le parole di fiducia su un futuro di progresso non solo degli Usa ma dell’intera umanità. Con la presidenza Kennedy, dopo  la vittoria del mondo libero sui totalitarismi, era nata una nuova speranza, una fiducia nell’avvenire supportata dal rapido sviluppo  della tecnologia che proprio in quegli anni con le scoperte sull’atomo, nel campo della chimica  e della medicina,  tornava a brillare come mito dell’occidente e non solo. Si accendeva in quegli anni la competizione tra America e Unione Sovietica per la conquista del cosmo e per il predominio tecnologico ( e degli armamenti). Sembrava che  la vita fosse facilitata dalle grandi scoperte, gli antibiotici, il DNA, la vittoria possibile sulle malattie, l’energia dalla fissione dell’atomo, e che fosse alle porte un nuovo rinascimento sull’onda del sogno  americano: la felicità sulla Terra era possibile.  Kennedy aveva saputo incarnare questa voglia di vivere  dopo la fine della guerra che aveva devastato l’Europa, che aveva visto la deportazione e la gasificazione di milioni di ebrei, e reso l’America colpevole del primo bombardamento nucleare della storia su due città abitate da popolazioni civili. Con JFK l’America aveva cambiato registro rispetto agli uomini che avevano partecipato al conflitto dai posti di comando, come Truman ed Eisenhower.  Kennedy era stato un soldato coraggioso, un ufficiale  che non aveva visto la guerra da lontano ma  da eroe sul campo, come  quando aveva salvato in mezzo alla battaglia  i suoi marinai dall’affondamento del suo mezzo da sbarco. Il Presidente era un forte comunicatore e sapeva parlare alla gente risvegliando la speranza nel futuro:  i suoi discorsi erano tutti animati da una grande  energia interiore, da una carica e uno spirito che da allora si definirà “kennediano”.  I suoi progetti di viaggi nello spazio con la promessa di  raggiungere la luna e poi gli altri pianeti ( i viaggi sulla luna sarebbero venuti negli anni seguenti secondo le volontà del presidente ma presto abbandonati), la sua contrapposizione al comunismo e il primo forte incitamento ad abbattere il muro di Berlino( Ich bin ein berliner…) sono ricordati con ammirazione da tutti . Così come i lati oscuri della tentata invasione di Cuba, la cosiddetta “Baia dei Porci”, e l’origine del conflitto in Vietnam. Col suo richiamo alla nuova frontiera, con il suo celebre invito ai cittadini di darsi da fare senza aspettare lo stato, e la sua politica di riduzione delle tasse, JFK  è anche all’origine dell’idea liberista poi ripresa da Reagan, pur essendo Kennedy un democratico. Fu uno di primi a parlare di sovrappopolazione e della necessità di destinare più risorse allo sviluppo e meno alla natalità.
Erano gli anni della vita che tornava dopo le stragi di tanti giovani nel conflitto mondiale, della voglia di divertirsi; c’era la volontà di migliorare, era l’ora dei balli scatenati, del Rock, la nuova musica con  i ritmi mai visti, del nuovo credo nei mezzi dell’uomo per affrontare i problemi, dei motori sempre più potenti, delle auto che si allungano e sfrecciano veloci, della corsa al benessere, alla ricchezza che sembrava a portata di mano.  L’uomo va nello spazio carico di fiducia nel futuro. I nuovi media accelerano la sensazione di una nuova vita che rinasce, la radio, la televisione, il cinema in casa con il mondo che entra dentro l’intimità, il quotidiano delle persone. I dischi, le canzoni, le gonne di mille colori, la pubblicità a farci sognare una vita diversa dal passato…Quella figura di giovane Presidente con la sua bella moglie sorridente, il linguaggio diretto, una sensazione di novità, di nuovi possibili sviluppi… Tutto destinato a finire quel 22 novembre a Dallas. Alla notizia del suo assassinio i più avveduti ebbero la sensazione netta che finiva l’epoca di ottimismo succeduta alla guerra e che iniziava un’altra storia. Dopo pochi anni, nel 1968, sarebbe stato pubblicato da Paul R. Ehrlich il libro “The population bomb” sulla denuncia della eccessiva pressione demografica incombente da parte della specie Homo, e successivamente il mondo si sarebbe avviato alla globalizzazione e  poi al disastro ambientale che si sta avverando sotto i nostri occhi.
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Ma prima che il giovane Presidente fosse ucciso, c’era stata la morte di Marilyn. Un altro segno fatale di un cambio d’epoca. Forse, come dice Hobsbawm, il 900 è stato veramente un secolo breve, ed è finito precocemente in quei primi anni sessanta. Anche Marilyn aveva incarnato un sogno: il sogno che fosse possibile la felicità in un mondo fatto di luci, di macchine, di cinema, di brillanti, di frigoriferi, di consumi a gogò, di auto lussuose. La morte di Marilyn fu il segnale che la strada era sbagliata, che quel sogno poteva tramutarsi in un incubo. Pochi anni prima c’era stato il fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki. La precarietà della vita era ormai sentita da tutti. La natura non era più l’infinito scenario a cui potevamo attingere secondo i nostri bisogni. La possibilità di distruzione immediata del mondo era alla portata dell’uomo. L’essere e il nulla erano vicinissimi. Marilyn era uno schermo di luccicanti meraviglie posto davanti a tutto questo, una maschera gioiosa e innocente su un senso di tragedia incombente. Una bambola bellissima ma di estrema fragilità.  La sua sensualità debordante era la forza con cui riusciva a far dimenticare l’angoscia esistenziale di quegli anni, a creare una  realtà piacevole sovrapposta all’altra inquietante. Ma  nella vita e nella morte di Marilyn c’era un lato oscuro che aveva a che fare con John Kennedy e con suo fratello Robert, ambedue molto disinvolti nel  loro rapporto con le donne. Riporto il magnifico ritratto che da di lei Ceronetti in una descrizione che attraverso Marilyn apre una chiave di interpretazione su tutto il periodo. La   sua incredibile, sorprendente   e inaspettata  morte nella pienezza degli anni rimane un  mistero e alimenta la leggenda sui due Kennedy che, forse indirettamente, furono una delle cause del suo strano suicidio.

“Marilyn morì il 4 agosto 1962, un sabato sera, alle 22,30 quando si dice che a Los Angeles accadano morti strane, per restare mito erotico del secolo e vittima emblematica di un destino di sciagura. Era nata il 1° giugno 1926; aveva 36 anni.
Tra i film…ricordo bellissimo di grande cinema “Giungla d’Asfalto”, del 1950, di John Huston, e “La magnifica Preda”, di Otto Preminger, del 1954. Il titolo italiano voleva allettarci, noi popolo di predatori maschi, riempì le sale. L’originale era modesto: The River of No Return, la voce di lei lo percorreva, piena di seduzione staccata dal corpo, triste come un uccellino in gabbia solitario. Il ritornello cadeva come lacrime sul mondo incantato: No Return…No Return…
Il suo fiume-del-non-ritorno fu la corrente che la trascinò insieme ai fratelli Kennedy;  la loro Ragione di Stato l’uccise.
Volle ricattare il potere, povera piccola scema, che per un certo tempo ebbe una linea speciale diretta con la Casa Bianca – finché non fu avvertita di non tentare più di comunicare col Presidente. Incontrava a turno i due Potenti nella casa di Peter Lawford, cognato di John, dove non mancavano le microspie, collocate per incarico del padrino mafioso Jimmy Hoffa. Ce n’erano anche nella sua casa di Brentwood, 12305, 5th Melena Drive, dove nel pomeriggio di quel sabato piombò Bob Kennedy con due gorilla, per offrirle un milione di dollari in cambio di un quaderno rosso,dove Marilyn, credendosi furbissima, annotava tutto quel che succedeva, e ascoltava, durante i suoi convegni con quelle due altre leggende della giungla americana.Pretendeva, la tapina, che Bob divorziasse e la sposasse! Stufa di far da troia clandestina, lei già più volte divorziata, sognava ricevimenti di capi di Stato, con verginità di fenice, di First Lady…Suicidio si disse, quando il titolo “Marilyn Dead” traboccò nei giornali e il corpo della piccola martire bionda era in attesa dell’ordine del Coroner per essere portato alla Morgue. Non ingerì Nembutal: non se ne trovarono tracce nello stomaco e nell’intestino. Accanto a lei non c’era bicchiere è bottiglia d’acqua per ingoiare pastiglie nere.  C’erano invece dosi del barbiturico e di cloralio nel sangue e nel fegato, da provocare più di una morte. Nessuno udì grida. Nuda fu trovata, come appariva nei calendari, distesa sulla pancia…
Un anno e quattro mesi dopo Qualcuno vendicò a Dallas quella triste carne che si aggrappava a un’anima disperata. E il 6 giugno 1968, sempre nella stravagante Los Angeles, anche Bob Kennedy incontrò il suo Fato, mentre, forse, stava per raggiungere anche lui il trono della Casa Bianca.
D’indecifrato, resta parecchio. La certezza è questa: il mio secolo crudele prescrisse a Norma Jean, figlia di una madre pazza e di un padre fotografo di nome Stanley Gifford, un destino dei peggiori. Punita per aver segnato l’epoca con la sua nociva bellezza, o cara agli Dei per non aver conosciuto vecchiaia? Un segno che fu dato  dentro un soffrire.
“C’è una speciale Provvidenza nella caduta di un passero”.
 Il Fiume Senza Ritorno risalirà alla sorgente.

(G. Ceronetti: “Ti saluto mio secolo crudele” Einaudi pagg. 17-19).


La morte di John Kennedy, quella di Marilyn e poi, nel 1968, quella di Robert Kennedy avviato anche lui alla Presidenza, tutte e tre morti violente,  furono un segno del secolo crudele, quello senza ritorno, come il fiume della Monroe. Le illusioni sul progresso illimitato stavano finendo. Ma non sarebbe stato il comunismo, né la guerra, né la bomba atomica a invertire la rotta. Da allora apparve evidente che il cielo stava per non essere più azzurro, il mare stava diventando acido e con gigantesche isole di plastica, la Terra una discarica. Una cortina di esalazioni stava lentamente ma inesorabilmente iniziando a circondare il pianeta. Ritornava alla mente  l’avvertimento di Nietzsche: “Umano, troppo umano…”

giovedì 14 novembre 2013

Fusione Fredda: il prossimo reattore Lenr sarà americano o giapponese




Su invito di Vincenzo Valenzi ho partecipato alla recente conferenza sulla Fusione Fredda tenutasi a Roma   nell’ambito di Coherence 2013. Il tema verteva sugli ultimi sviluppi delle ricerche. La corsa al nuovo reattore Lenr-ahe riguarda attualmente in particolare i ricercatori  americani e i giapponesi. Soltanto in Usa e in Giappone ci sono infatti finanziamenti adeguati a portare avanti la ricerca con buone prospettive di successo. In America accanto ai classici centri di ricerca   (il gruppo del Mit, coordinato dal professor Hagelstein, quello di Miley dell’Illinois, quello che fa capo alla Nasa, la Boeing corp. e tanti altri)  c’è soprattutto quello del professor David Nagel (Washington University) che ha ricevuto dal governo l’incarico di centralizzare  la miriade di ricercatori americani e di coordinare le ricerche a livello internazionale. In Giappone sono attivi i ricercatori dell’Universita di Osaka e di Koba e della Technova. Ma sono  in particolare i ricercatori   della Toyota che stanno accelerando in vista dei futuri auspicabili sviluppi commerciali.

Su questi temi e sulle ricerche che si svolgono in Italia riporto una breve sintesi dell’intervento di Celani (Infn )e di Mastromatteo (ST Microdinamics) nella conferenza di Coherence 2013 tenutasi il 30 ottobre ottobre a Roma nei locali della Casa dell’Aviatore. Un buon segnale è stata la partecipazione: la sala era piena e il pubblico molto interessato.

Nel suo intervento  Celani , dell’istituto nazionale di fisica di Frascati, e principale esponente della ricerca sulle Lenr in Italia,   ha  passato in rivista lo stato attuale degli studi e degli esperimenti e le prospettive a breve-medio termine.
Celani ha riferito in particolare sulle novità emerse dall’ultima conferenza ICCF 18 tenutasi dal 21 al 27 luglio 2013 in Missouri.

La prima (ed importante) novità è che gli Usa hanno deciso, anche per  diretta spinta del governo americano, di centralizzare tutti gli studi, in particolare quelli collegati alle istituzioni pubbliche (Navy Lab della Marina), quelli della Nasa, dei principali istituti universitari, all’interno del progetto di ricerca del professor David Nagel (G. Washington University), e di affidare a lui il coordinamento internazionale  di questo settore (LERN). Vedi a questo proposito il  lavoro riepilogativo di Nagel:  http://www.infinite-energy.com/images/pdfs/NagelIE103.pdf
E’ molto probabile che, in base al crescente interesse nel settore e a nuovi cospicui finanziamenti,  gli sviluppi futuri di un reattore LENR – AHE  avverranno negli Usa e che presto ci saranno novità preliminari ad una eventuale commercializzazione di  sistemi di riscaldamento e di produzione di energia per usi inizialmente domestici e di piccole imprese, destinati poi a crescere in altri campi con il progredire delle sperimentazioni. Ricordiamo che negli Usa è anche in attività di ricerca la Leonardo Corp. di Rossi, su cui però non si dispongono dati certi per la politica del segreto industriale perseguita da Rossi e collaboratori.

Oggi i lavori internazionali che riguardano le LERN- AHE (Anomalous Healt Effect) si svolgono in numerosi paesi, ma i centri principali sono gli Usa e il Giappone, dove si stanno interessando al problema i ricercatori dell’Università di Osaka, dell’Università di  Kobe,  e quelli della Toyota.

Celani ha fatto un cenno alle varie tappe che hanno portato allo stato attuale della ricerca. Dopo le celle elettrolitiche iniziali che producevano una temperatura operativa di 50-60 C° si è passati alla combinazione di metalli con struttura molecolare a reticolo e di gas di deuterio o di idrogeno che hanno permesso temperature assai superiori (300-500 C°) .  Nella costruzione dei reattori sperimentali oggi non si utilizza più il palladio , raro e costoso, oltre che facilmente deperibile nelle reazioni, ma nuove leghe a base di nichel-rame in forma parcellizzata micrometrica, al cui uso hanno contribuito molto i ricercatori italiani, tra cui Piantelli, Focardi e Rossi, e per ultimo Celani stesso con la sua costantana. I reattori con cui sperimentano gli americani sono derivati in gran parte  dagli esperimenti del Prof. Arata e dal reattore di Celani , e gli esperimenti si avvalgono di un nuovo sistema di condivisione (Live Open Science),  si svolgono sotto l’occhio di numerose  telecamere e vengono messi in onda in tempo reale . Chiunque dall’esterno può osservare gli esperimenti, portare il suo contributo e fare commenti (Open Science). Si è stabilito che il termine Fusione fredda non è idoneo a indicare le reazioni che avvengono in questi sistemi sperimentali: si tratta di fenomeni termici e nucleari a bassa intensità che, probabilmente non  riguardano una reale fusione nucleare. Oggi si preferisce definirli AHE (anomalous healt effect). Qual’ è l’utilità di usare il rame-nichel? 
a)   Abbassare il costo rispetto al palladio. Riuscire a fare a meno del deuterio che è costoso e considerato di interesse strategico.
b)   Aumentare la temperatura operativa esterna degli esperimenti (300-500    C°) per facilitare la produzione di energia elettrica.
Nel 2010 due gruppi indipendenti, uno italiano e l'altro giapponese,  che lavoravano in segreto e ciascuno senza conoscere il lavoro dell’altro, hanno usato leghe di Nichel-Rame per costruire reattori in cui veniva immesso idrogeno gassoso per innescare la reazione. I giapponesi hanno utilizzato polveri nanometriche di nichel-rame stabilizzate in una matrice di silicio, mentre quelli italiani (Celani, IFNF) pseudopolveri aderenti a fili sottili (0,2 mm) di costantana. Ricordiamo che il primo ad aver scoperto che i materiali metallici per favorire le reazioni debbono avere dimensioni nanometriche fu il prof. Arata, antesignano delle ricerche sulla fusione fredda in Giappone.   I risultati sono stati comparabili tra i due gruppi, e ciò dimostra che le reazioni esistono, sono produttive di un effetto termico non spiegabile dalla fisica fin qui conosciuta, sono replicabili.
Oggi il materiale è stato ulteriormente sviluppato e migliorato dai ricercatori del MFMP ( Martin Fleischmann Memorial Project) e il funzionamento dei reattori sperimentali in America è migliore rispetto a quelli che usiamo noi in Italia. Con l’appoggio di numerose università e istituzioni oggi gli americani sono molto più avanti di noi (il governo italiano e la grande industria in Italia si è completamente disinteressata a questa ricerca).

Il rettore da noi usato attualmente (Celani- Infn) consiste di fili di 200 micron che hanno una “corteccia” di materiali nanometrici di nichel-rame. Questi sono all’interno di una camera le cui pareti possono essere metalliche o in vetro, in cui viene immesso idrogeno gassoso. Cambiando i parametri: tipo di gas, pressione, temperatura, si può capire come migliorare la reazione.  Il dott. James Truchard , fondatore della National Instruments, ha fornito gli strumenti di misura nei laboratori americani in cui vengono studiate le LENR.  Il dott. Kidwel che dirige i laboratori di ricerca della Marina americana è stato all’inizio un forte oppositore alle LENR di cui negava l’esistenza. Oggi Kidwel da nemico è divenuto amico ed è uno dei principali ricercatori nel campo in Usa. E’ stato uno degli artefici del passaggio dall’elettrolisi ai nanomateriali ed ha contribuito a migliorare i reattori. Il professor Nagel infine è intervenuto, anche per incarico del governo, a coordinare una miriade di ricercatori e attualmente dirige gran parte della ricerca in America e coordina numerosi studi internazionali.
In Giappone ricordiamo le ricerche della Mitsubishi dove gli sperimentatori, attraverso le reazioni LENR hanno realizzato trasmutazioni di elementi. Tra le principali quella del Cesio in  Praseodimio (documentata nel 2002), dello Stronzio in Molibdeno (2004). Che ci sia trasmutazione e non contaminazione è dimostrato dallo spettro isotopico corrispondente tra i due elementi prima e dopo la trasmutazione. Questi studi sono interessanti per poter tramutare il Cesio radioattivo (prodotto dalle centrali nucleari ad esempio) in elementi a breve decadimento, e quindi per lo smaltimento delle scorie radioattive. Successivamente sono state le Università di Osaka e poi di Kobe a portare avanti la ricerca sui nanomateriali. La Technova conduce attualmente le ricerche con leghe di nichel-rame in matrice nanoporosa di silicio.  Oggi la Toyota  guida un settore  di  ricerca sulle Lenr  in Giappone volto alla creazione di utility tecnologiche che possano portare a prodotti commerciali, e gli studi sperimentali riguardano sia le trasmutazioni che la produzione di energia.

La realtà della produzione di energia da parte dei fenomeni precedentemente chiamati FF è sempre più riconosciuta a livello internazionale. Si tratta di reazioni difficili (non facili!) da produrre che richiedono preparazioni complesse degli elementi costituenti i reattori e particolari stati dinamici. Le reazioni in situazioni di stabilità sono difficili da riprodurre e la reazione è facilitata da stati di squilibrio del sistema. La standardizzazione di queste “perturbazioni” dinamiche che creino temporanei disequilibri utili alla reazione è uno dei campi principali di ricerca.  Inoltre non tutta l’energia prodotta è inspiegabile. Parte della temperatura del reattore di Celani, ad esempio, è un prodotto riconducibile all’effetto Longmire in cui l’idrogeno in forma molecolare (H2) viene scisso dall’aumento della temperatura nel gas (H + H), e poi si ricombina  sulla superficie del vetro della cella restituendo calore.
Ma nonostante queste spiegazioni, gran parte dell’effetto rimane non spiegato  ed attualmente, con l’uso di catalizzatori che permettono di abbassare la temperatura della reazione è possibile vedere meglio la produzione netta di energia. Oggi, nelle migliori condizioni di lavoro, con un grammo di materiale reagente si producono 104 megajoule cioè l’equivalente di tre litri di benzina. Il reattore di Celani usa questi catalizzatori contenuti in una cella di vetro: un filo di costantana è quello reagente e un altro filo è di riferimento per confronto sperimentale (stiamo parlando di sistemi sperimentali e non ancora ingegnerizzati per la produzione). Quando l’idrogeno permea la costantana si ha la produzione di 10 watt di calore  (100 watt/grammo – si tenga presente che una centrale convenzionale da una produzione di 30 watt/grammo). I Giapponesi hanno usato per i loro reattori una nanopolvere composta da 80 % di Nichel  e  20% di Rame dispersa in una matrice di zirconio o silicio. Noi usiamo una percentuale diversa (più rame) e leghiamo il nanomateriale alla superficie del filo di costantana. Per la reazione è importante che l’idrogeno passi da H2 ad uno stato atomico  H ed entri così nei nanomateriali: a questo scopo la costantana si è rivelata materiale migliore rispetto al palladio.

Nella relazione del dott. Mastromatteo (ST Microdinamics) si accenna alle fonti energetiche principali del prossimo futuro e alle recenti ricerche sulla cosiddetta Fusione Fredda. In presenza di un ambiente terrestre che si surriscalda e del possibile futuro esaurimento dei combustibili fossili, bisogna agire ora nel campo della ricerca e della sperimentazione. Siamo pronti a rinunciare al nostro benessere? Avremo bisogno di sempre più energia e  di considerare la disponibilità dei combustibili e del loro costo. Inoltre una energia non più legata ai giacimenti di gas,carbone e petrolio, consentirà una maggiore condivisione su scala planetaria del benessere e  dello sviluppo, e di un minor impatto ambientale che potrà   avvantaggiarsi dell’assenza di emissioni di CO2 o di scorie radioattive.
Per un confronto delle varie fonti del futuro  si può considerare che oggi   l’energia nucleare è l’unica disponibile, sperimentata, è caratterizzata da alta densità dei reagenti, da una buona portabilità (si fanno reattori sempre più piccoli),ma da  probabile futura scarsità dei combustibili, e da una dannosità potenzialmente elevata sia per le scorie sia per il possibile uso militare. L’energia da fusione calda è invece ancora in fase sperimentale, è caratterizzata da alta densità, da complessità tecnica del reattore, scarsa portabilità, ma senza problemi di scorie e   i combustibili sono abbondanti in natura. La FF è  l’unica che soddisfa tutti i criteri ed è caratterizzata  da alta densità, abbondanza di materiali, assenza di radioattività, alta portabilità, una tecnologia relativamente semplice. Oggi gli Usa e il Giappone sono all’avanguardia nella ricerca sulle LENR e si stanno sperimentando nuovi materiali e nuove tecniche, tra cui l’uso di laser per l’innesco della reazione. 

lunedì 11 novembre 2013

Complessità e utopia




 “L’Utopia è semplice. La Realtà è complessa”.

  Lo sviluppo della tecnologia e il boom demografico stanno aumentando la complessità della organizzazione materiale e tecnica del sistema uomo, e ciò determina una pressione sempre maggiore sul sistema natura. La  gestione di questa complessità sta divenendo un problema centrale per la scienza e non solo: anche la politica deve cominciare a pensare in termini di complessità. Pensiamo un attimo alle megalopoli, un aspetto di fondo  della società sovrappopolata contemporanea, una società –soprattutto in futuro- sempre più urbana. Le megalopoli sono strutture organizzate adattative con aspetti di enorme complessità   come, ad esempio, le reti di elaborazione e trasmissione delle informazioni e i media perennemente connessi, i sistemi di produzione e distribuzione dell’energia necessari ad assicurare il funzionamento giornaliero delle strutture di supporto per milioni di persone, i sistemi sanitari con la gestione di macchinari e reti ospedaliere su vari livelli, i trasporti metropolitani e tra metropoli diverse,  ecc.
Quando vediamo i grandi concentrati di grattacieli che costituiscono i centri strategici (economici, politici, amministrativi, energetici) dei sistemi megapolitani, siamo portati a sottovalutare la complessità insita in tali megastrutture umane, complessità che deve essere continuamente mantenuta ed implementata. Il Club di Roma studiò questo aspetto della modernità e diede incarico nel 1970 a Jay Forrester , esperto in Dinamica dei Sistemi e professore al MIT, di redigere uno studio sulla complessità e relativa fragilità delle società umane caratterizzate da sovrappopolazione, alti consumi e alte richieste energetiche. Forrester valutò la “difficile situazione del genere umano” e la futuribile crisi globale a causa delle richieste di consumo sulla capacità di carico della terra (delle relative fonti di risorse rinnovabili e non rinnovabili e dei relativi dispersori per l'eliminazione delle sostanze inquinanti) da parte della popolazione mondiale in crescita esponenziale. I suoi studi portarono alla elaborazione di modelli di sviluppo, in particolare il  World3 sulla cui simulazione al computer fu basato il famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo (traduzione errata di "Rapporto sui limiti della crescita"), commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato nel 1972.

Uno dei problemi centrali nelle strategie di “rientro “ dall’eccesso demografico dela specie umana è quello di assicurare una continuità di gestione e sviluppo della complessità tecnologica in presenza di un calo demografico. Un problema ancora più grave è la sostenibilità in termini di sistema di una riduzione dei consumi, in particolare di quelli energetici. Una decrescita economica non è solo un problema politico e culturale, si tratta di analizzare le dinamiche e le retroazioni che possono portare a squilibri di sistema fino a collassi veri e propri.   La gestione di un calo demografico mondiale o dei consumi e dei relativi prodotti interni delle principali nazioni sarà gravata da problemi di tenuta dei sistemi economici e sociali con forti ricadute materiali sull'ambiente. Non si tratta banalmente di chi pagherà le pensioni.  Le società complesse composte da megalopoli, con scambi di grandi quantità di merci e di energia, con alti consumi energetici e strutture stratificate in vari livelli funzionali,  sono anche caratterizzate, come rilevò Forrester nei suoi modelli, da elevata fragilità e tendenza al collasso in situazioni critiche. Per assicurare il funzionamento di queste megacomplessità si richiede la presenza di servizi finora assicurati dalla moderna società tecnologica: sistemi intelligenti di computazione, sistemi a feed-back semiautomatici, condivisione sincronica delle informazioni, apparati industriali ed energetici flessibili ed efficienti in grado di far fronte ai cicli produttivi ed economici. Fino ad oggi abbiamo assistito a delle fasi di crescita economica intervallate da periodi di crisi. Questi aspetti erano però interni al sistema economico mondiale. Oggi per la prima volta assistiamo ad una crisi in cui fattori extra-economici ed in particolare fattori  ambientali planetari giocano un ruolo preminente. 
Nella nostra civiltà contemporanea  molte intelligenze debbono essere al lavoro contemporaneamente ed ininterrottamente e deve essere in atto una costante elaborazione nei vari livelli organizzativi. Un rientro demografico o un generale rimodellamento dei consumi, più o meno rapido, deve prevedere sistemi di adattamento e gestione che assicurino continuità e mantenimento dei sistemi con  implementazione di funzioni, in  situazioni in cui i grandi numeri e le variabili in campo influenzano l’evoluzione in maniera imprevedibile.  Non disponiamo di sistemi informatici in grado di fare previsioni di sistema valide sui tempi lunghi. L'unica possibilità di mantenere in equilibrio la complessità è quella di un continuo progresso tecnologico. Paradossalmente la stessa strategia di decrescita dei consumi e di riduzione e riqualificazione  energetica (comunque ottenuta) richiede reti di complessità e di elaborazione tecnologica non minori, ma superiori rispetto alla situazione attuale, se non si vuol precipitare l’umanità in uno stadio pre-industriale o addirittura di medioevo tecnologico. Tutti coloro che propongono uno stop alla crescita della tecnologia nel  quadro di una decrescita delle società umane espongono l’umanità ad alto rischio di collasso strutturale e disastro materiale, politico,   economico e culturale.  Una società delle megalopoli non può essere supportata da una economia fondata, ad esempio, sull’agricoltura. Un sistema industriale sviluppato e  una disponibilità energetica a prezzi sostenibili per i principali attori internazionali sono condizioni irrinunciabili per una società delle megalopoli in cui è strategica la formazione e lo sviluppo tecnologico.  Le questioni riguardanti le fonti energetiche del pianeta per i prossimi 50 anni e le relative tecnologie sono il campo in cui si gioca la partita tra le utopie e le strategie vincenti e costituiscono la base di fattibilità di ogni tentativo di rientro nei limiti della biosfera.

mercoledì 6 novembre 2013

Sovrappopolazione e collasso della civiltà




Sul sito dell' MAHB (Alleanza del Millennio per l'Umanità e la Biosfera)  è apparso un importante articolo del padre del concetto di sovrappopolazione Paul R. Ehrlich. I temi trattati riguardano l'Antropocene cioè la drammatica epoca planetaria che stiamo vivendo  in cui una sola specie, quella di Homo sapiens, sta mettendo a rischio la sopravvivenza della biosfera. Illuminanti sono le descrizioni di Ehrlich sul confronto - decisamente distruttivo allo stato attuale - tra due megasistemi adattativi: quello della biosfera e quello socio-economico umano. Dallo stato di convivenza simbiotica si è passati ad un aperto conflitto. Ehrlich pone poi l'accento su un problema sottovalutato ma che invece ha un posto rilevante sulla futura evoluzione-involuzione della presenza umana sulla terra: quello dell'alimentazione, a cui sono collegati le crisi riguardanti il global warming, l'esaurimento dei suoli, l'inquinamento della terra, l'esaurimento e l'intossicazione delle acque, il problema dell'energia. 
Ehrlich pone il tema centrale del ritardo della politica, dei media  e della cultura sui temi dell'esplosione demografica e fa esempi incredibili, ma a cui siamo abituati noi che viviamo in un paese di tradizione cattolica.  L'ignoranza ed i ritardi riguardano tutti, senza distinzioni politiche. L'associazione MAHB ha lo scopo di contribuire a diffondere la coscienza del problema. Ci sono segni positivi in tante parti del mondo, dobbiamo cercare di unificarli e di creare un vasto movimento di opinione prima, più operativo in seguito, per cambiare la coscienza del problema da parte della nostra specie prima che sia troppo tardi.

Riporto l'articolo di Paul R. Ehrlich, per la cui segnalazione ringrazio il gruppo Fb "Assisi Nature Council"  (traduzione personale).


" Un importante obiettivo dell’Alleanza del Millennio per l’Umanità e la Biosfera (MAHB) e per la Sostenibilità è ridurre la probabilità di avveramento delle previsioni che la tempesta di problemi ambientali che minacciano l’umanità porti ad un collasso della civiltà. Tali minacce comprendono lo sconvolgimento climatico, la perdita di biodiversità ( e quindi dei connessi ecosistemi), cambiamento di uso del suolo come la cementificazione o l’immissione di rifiuti tossici con il degrado conseguente, l’intossicazione chimica globale, l’acidificazione degli oceani, il degrado e la alterazione dei contesti epidemiologici con la diffusione di nuove malattie, il crescente impoverimento di risorse importanti, e le guerre per l’accaparramento di queste risorse sempre più scarse (guerre che potrebbero essere facilmente caratterizzate dall’uso di armi nucleari). Questo non è solo un elenco di problemi, si tratta di un quadro di numerose criticità collegate tra loro che può essere descritto come  risultante da una interazione tra due complessi sistemi adattativi: il sistema della biosfera e il sistema socio-economico umano. Le manifestazioni di questa interazione sono spesso indicate come la “condizione umana”. Questa condizione è sempre in continuo e rapido peggioramento determinato in particolare da fenomeni come la sovrappopolazione, gli eccessivi consumi da parte dei popoli più sviluppati, l’uso di tecnologie arretrate e dannose all’ambiente. Un ulteriore fattore è il supporto del sistema sociale, economico e politico a consumi inquinanti.
Tutti i problemi sono tuttavia riconducibili in gran parte alla sovrappopolazione e agli eccessivi consumi, specie di quelli  non finalizzati al miglioramento della tecnologia. Si può sperare che sia sempre più chiaro almeno alle persone più istruite che maggiore è la dimensione della popolazione umana e, ceteribus paribus, più è distruttivo l’impatto ambientale. Ma purtroppo non sempre è così e molti ancora negano la rilevanza del problema. L’influenza  della sovrappopolazione sull’ambiente è indicato abbastanza esattamente dall’analisi dell’impronta ecologica, che dimostra come per sostenere la popolazione di oggi con gli attuali modelli di consumo si richiederebbe circa un altro mezzo pianeta vergine disponibile, e che se si considerano i livelli consumistici degli Stati Uniti sarebbero necessarie ulteriori 4 o 5 nuove Terre.
La gravità della situazione può essere meglio compresa se consideriamo l’attività più importante di Homo Sapiens: produrre e procurare cibi. Oggi, almeno due miliardi di persone soffrono la fame e hanno disperato bisogno di più cibo e di migliore qualità, e la maggior parte degli analisti ritengono che sarebbe necessario raddoppiare la produzione di cibo per sfamare una popolazione umana del 35 % più grande e in ulteriore crescita prevista entro il 2050. Per avere una qualche probabilità di successo, l’umanità avrà bisogno di fermare l’espansione delle superfici dedicate all’agricoltura (per salvaguardare i residui ecosistemi); aumentare le rese della terra coltivata, aumentare l’efficienza dei fertilizzanti, l’uso di acqua e di molta più energia. Sarà anche necessario modificare la produzione agricola in senso vegetariano, ridurre lo spreco alimentare, fermare la distruzione degli oceani per inquinamento e acidificazione, aumentare considerevolmente gli investimenti nella ricerca agricola sostenibile, ed infine spostare al primo posto dell’agenda politica il problema dell’alimentazione. Tutti questi compiti richiedono modifiche sostanziali ai comportamenti umani che sono state già raccomandate ma per ora si sono rivelate irraggiungibili. Forse uno dei problemi più critici sono le insormontabili barriere biofisiche all’aumento della resa dei suoli, ed anzi il tema è quello di evitare una riduzione della resa a fronte di perturbazioni climatiche.
La maggior parte delle persone non riescono a capire l’urgenza della situazione alimentare, perché non capiscono il sistema dell’agricoltura e dei suoi complessi componenti, le connessioni non lineari ai fattori di degrado ambientale. Il sistema stesso, per esempio, è uno dei maggiori emettitori di gas serra, e quindi è un importante motore dello sconvolgimento climatico che minaccia seriamente la produzione alimentare. Viene portato avanti un cambiamento epocale nei modelli più che millenari di temperatura e di precipitazioni , con la prospettiva di tempeste climatiche che mettono in pericolo coltivazioni, situazioni di siccità in zone finora temperate, ondate di calore e alluvioni, tutti elementi che sono già sotto i nostri occhi. In queste condizioni, ed anzi in condizioni in continuo aggravamento, la produzione alimentare sarà sempre più difficile nei decenni a venire.
Inoltre, l’agricoltura è una delle principali cause di perdita di biodiversità e degli ecosistemi che sono fondamentali per la sopravvivenza dell’agricoltura stessa e di altre attività umane; e fonte anche di inquinamento chimico e gassoso globale, i quali entrambi pongono ad ulteriore rischio la produzione alimentare. La sola perturbazione climatica è una tale minaccia alla produzione alimentare e alla stessa civiltà umana, che è necessaria urgentemente una mobilitazione di tutta l’umanità per contenere il riscaldamento atmosferico ben al di sotto di un aumento – che sarebbe letale- di 5 gradi centigradi della temperatura media globale. Ciò significa ad esempio che dobbiamo cambiare gran parte delle nostre infrastrutture per il reperimento, il trasporto e la distribuzione dell’acqua per fornire la flessibilità necessaria per il rifornimento idrico alle colture in un contesto di continua evoluzione delle precipitazioni.
Il cibo è solo l’area di interesse più ovvia in cui la sovrappopolazione tende ad oscurare il futuro umano – praticamente ogni problema umano, dall’inquinamento atmosferico, al brutale sovraffollamento delle megalopoli, alla carenza delle risorse, alla perdita di contesti naturalistici, alla democrazia in declino: tutti questi problemi sono aggravati dalla ulteriore crescita della popolazione. E, naturalmente, uno dei problemi più gravi è il fallimento della leadership politica sulla questione della demografia, sia negli Stati Uniti che in Australia (ma in tanti altri paesi, ad esempio l’India). La situazione è peggiore negli Stati Uniti, dove il governo non menziona mai il problema della popolazione, a causa del timore delle reazioni della gerarchia cattolica in particolare (ed anche di altre organizzazioni religiose) e la destra religiosa in generale, oltre che della quasi totalità dei media, da quelli repubblicani a quelli liberal e di sinistra, i quali mantengono l’ignoranza pubblicando articoli in favore della natalità. In Australia addirittura si è arrivati a pubblicizzare in TV in prima serata programmi per avere altri bambini e famiglie numerose.
Un primo esempio è stato un ridicolo articolo di David Brooks pubblicato sul New York Times nel 2010, in cui si invitano gli americani a rallegrarsi perché “…nei prossimi 40 anni la popolazione degli Stati Uniti aumenterà di ulteriori 100 milioni di persone”, a più di 400 milioni di abitanti complessivamente.
Una simile totale ignoranza della situazione della popolazione in rapporto alle risorse e all’ambiente è stato dimostrato da un altro  articolo apparso sul NYT nel 2012 a firma di Ross Douthat, in cui si invocavano “più bambini, per favore”, ed uno di Rick Newman sul giornale US News in cui si affermava che “un calo della natalità sarebbe un grosso problema”. Entrambi sono segni ulteriori del totale fallimento del sistema educativo degli Stati Uniti che non riesce ad rendere coscienti i cittadini e anche  gli intellettuali –o presunti tali- del problema demografico locale e generale.
E’ pertanto necessario un movimento popolare che conduca campagne informative per correggere tale fallimento e intervenga direttamente sui sistemi culturali fornendo una “intelligenza lungimirante” della situazione e che chiarisca gli aspetti riguardanti i cambiamenti necessari in campo agricolo, ambientale, energetico, e soprattutto di pianificazione demografica; tutti aspetti sui quali le leggi del mercato non intervengono o sono dannose, e non forniscono sufficienti informazioni. Gli analisti della società inoltre dovrebbero smetterla di trattare la crescita della popolazione come un “dato” e prendere in considerazione i benefici nutrizionali e sulla salute, sugli aspetti complessivi della qualità della vita e del rapporto con la natura, e i benefici a tutte le altre specie viventi oggi in pericolo, che deriverebbero dallo stop alla crescita della popolazione umana ad un livello ben al di sotto dei nove miliardi e dall' iniziare un percorso di lento calo demografico. A mio parere, il modo migliore per accelerare il passaggio verso tale calo della popolazione è di dare pieni diritti, istruzione, e le opportunità di lavoro per le donne in tutto il mondo, e di fornire a tutte le persone sessualmente attive informazioni sulla corretta contraccezione, sull’aborto e sugli altri diritti fondamentali di pianificazione familiare. Il grado di riduzione dei tassi di fertilità determinati da queste misure è tuttora controverso, ma sarebbero comunque un programma vincente per la società e il suo miglioramento. Non sarà mai abbastanza sottolineata l’importanza critica di aumentare l’azione attualmente insufficiente sul fattore demografico da parte delle organizzazioni internazionali e dei singoli stati, oltre che delle opinioni pubbliche, affinché nei prossimi decenni si inverta sensibilmente  il trend di crescita per riportare la dimensione della popolazione umana ad un  livello “umano” nel senso più proprio del termine, essendo noi una parte della natura di questo pianeta e non i suoi padroni assoluti. Mentre i modelli di consumo, come abbiamo appreso durante le mobilitazioni della sconda guerra mondiale, possono essere modificati in maniera sostanziale in meno di un anno, in presenza di certe situazioni e dati adeguati incentivi, è molto più difficile alterare i comportamenti demografici. Il movimento cui stiamo lavorando dovrebbe anche mettere in evidenza le conseguenze di queste idee folli quali quella di far crescere l’economia al 3-5 % all’anno nel corso di decenni (o addirittura per sempre), come la maggior parte degli economisti e dei politici pretendono e credono possibile. La maggior parte delle persone “colte” non si rendono conto che nel mondo reale una breve storia di una crescita esponenziale non implica un lungo futuro di tale crescita.
Produrre una mobilitazione nella società civile per sviluppare l’intelligenza e la lungimiranza sui temi della sostenibilità e della crescita demografica eccessiva della specie umana sono obiettivi centrali della Alleanza del Millennio per l’Umanità e la Biosfera (“rischi di incidenti rilevanti” – mahb.stanford.edu) , obiettivi oggi condivisi da una importante missione della University of Technology di Sidney.
I blog di MAHB – UTS  sono una joint venture tra la University of Technology di Sidney e l’Alleanza. Le domande devono essere indirizzate a joan@mahbonline.org."
 (Autore: Paul R. Ehrlich)



martedì 5 novembre 2013

Nucleare: la lettera degli scienziati




Quattro scienziati di fama mondiale hanno sottoscritto e inviato una lettera alla Associated Press e a vari gruppi internazionali di ambientalisti. 
James Hansen della Nasa, Ken Caldera della Carneige Institution, Kerry Emanuel del Mit, e Tom Wigley della Università di Adelaide  chiedono di portare avanti la ricerca sul nucleare sicuro e di puntare su questa tecnologia se vogliamo salvare la Terra:  Non c’è più tempo, dicono, per fermare il riscaldamento globale. Le emissioni di CO2 non solo non stanno diminuendo ma stanno aumentando vertiginosamente in tutto il mondo. Con il prossimo affacciarsi allo sviluppo di regioni del globo finora relegate ad economie arretrate come l’Africa e l’accelerazione di paesi come India e Cina, la situazione diverrà presto insostenibile. Mentre gli ambientalisti ortodossi si trastullano sperando nel sole e nel vento, gli studi sulle emissioni nocive parlano chiaro: il mondo si sta suicidando. Le rinnovabili non partono e anche se danno buoni risultati su scala locale, per piccoli impianti decentrati, non sono competitive e falliscono sulle necessità energetiche in grado di influire sul quadro macroeconomico. Le imprese produttrici di fotovoltaico ed eolico falliscono e chiudono a ripetizione. I quattro scienziati non si dichiarano contrari alle rinnovabili e sono favorevoli a continuare la ricerca. Ma puntare su di esse per arrestare il global warming è pura illusione.

Fonti di energia come eolico e solare”- dicono nella lettera- “non riusciranno a crescere abbastanza in fretta: con questi livelli di riscaldamento del pianeta e con l’aumento vertiginoso delle emissioni nocive, non possiamo permetterci di mettere da parte questa tecnologia ad emissioni zero. Non è realistico pensare a un futuro senza nucleare: chi dice di credere a questa favola, sta barando. Serve investire in impianti e tecnologie più sicure e produttive”.

Purtroppo il quadro generale è preoccupante anche perché continua la crescita demografica globale. Se già ora le emissioni sono insostenibili  con sette miliardi di persone, cosa avverrà quando, secondo le proiezioni IPCC dell’Onu, ci avvieremo ad essere 10-11 miliardi già nel 2050? Nessuna riduzione di consumi, anche imposta con la forza, potrà arrestare la crescita della richiesta di energia. I fallimenti dei protocolli internazionali tentati finora per ridurre le emissioni sono un campanello di allarme.
Intanto  il premier inglese Cameron ha proprio in questi giorni autorizzato la costruzione di una nuova centrale nucleare a Hinkely Point nel sud dell’ Inghilterra, di ultima generazione, ultrasicura, a prova di terremoti e di inondazioni. Sono previsti due reattori con la produzione di energia sufficiente a coprire il 10 % delle necessità energetiche inglesi con zero emissioni nocive. La centrale costerà 18 milardi di euro e sarà pronta nel 2023. E’ un pazzo?
No: è uno che vuol  abbattere le emissioni atmosferiche       di anidride carbonica del 34 % entro il 2020 secondo i protocolli firmati dal governo inglese. Forse lui al riscaldamento globale ci crede veramente.