Il prossimo 22 novembre sarà il 50° anniversario
dell’assassinio a Dallas del Presidente John F. Kennedy.
A Dallas (Texas) quel 22 novembre del 1963 , alle ore
12,30 tre colpi risuonarono lungo la Main street, sparati dal Depositery
(magazzino dei libri scolastici) da un dipendente a contratto del magazzino, un
uomo folle dall’aspetto stranulato, metafora di una follia collettiva, Lee
Oswald. Ex tiratore scelto del marines, ne era stato poi cacciato per aver
aderito al comunismo. Prima dell'omicidio era stato esule in Unione Sovietica e poi filo-castrista.
Secondo alcuni aveva collegamenti con ambienti della mafia americana. Fu ucciso due giorni dopo l'assassinio di JFK da un gestore di Night-club intrufolatosi tra i giornalisti, mentre veniva trasferito dalla sede della polizia al carcere. Dopo gli spari contro il Presidente, la macchina nera
scoperta su cui era anche la moglie Jacquelin e il governatore Connally, si avviò di corsa verso il sottopasso, diretta al
Parkland Hospital. John F. Kennedy era ormai morente con il cranio trapassato
da uno dei colpi di Oswald (sparati da un fucile Mannlicher Carcano di
fabbricazione italiana). Alle 13,30 l’annuncio ufficiale della morte di Kennedy. Il giovane Presidente
aveva assunto la carica il 20 gennaio del 1961, era visto con simpatia non solo
dagli americani, ma dal mondo intero, per la sua età, per le parole di fiducia
su un futuro di progresso non solo degli Usa ma dell’intera umanità. Con la
presidenza Kennedy, dopo la
vittoria del mondo libero sui totalitarismi, era nata una nuova speranza, una
fiducia nell’avvenire supportata dal rapido sviluppo della tecnologia che proprio in quegli anni con le scoperte
sull’atomo, nel campo della chimica
e della medicina, tornava a
brillare come mito dell’occidente e non solo. Si accendeva in quegli anni la
competizione tra America e Unione Sovietica per la conquista del cosmo e per il
predominio tecnologico ( e degli armamenti). Sembrava che la vita fosse facilitata dalle grandi
scoperte, gli antibiotici, il DNA, la vittoria possibile sulle malattie,
l’energia dalla fissione dell’atomo, e che fosse alle porte un nuovo
rinascimento sull’onda del sogno
americano: la felicità sulla Terra era possibile. Kennedy aveva saputo incarnare questa
voglia di vivere dopo la fine
della guerra che aveva devastato l’Europa, che aveva visto la deportazione e la
gasificazione di milioni di ebrei, e reso l’America colpevole del primo
bombardamento nucleare della storia su due città abitate da popolazioni civili.
Con JFK l’America aveva cambiato registro rispetto agli uomini che avevano
partecipato al conflitto dai posti di comando, come Truman ed Eisenhower. Kennedy era stato un soldato
coraggioso, un ufficiale che non
aveva visto la guerra da lontano ma
da eroe sul campo, come
quando aveva salvato in mezzo alla battaglia i suoi marinai dall’affondamento del suo mezzo da sbarco. Il
Presidente era un forte comunicatore e sapeva parlare alla gente risvegliando
la speranza nel futuro: i suoi
discorsi erano tutti animati da una grande energia interiore, da una carica e uno spirito che da allora
si definirà “kennediano”. I suoi
progetti di viaggi nello spazio con la promessa di raggiungere la luna e poi gli altri pianeti ( i viaggi sulla
luna sarebbero venuti negli anni seguenti secondo le volontà del presidente ma
presto abbandonati), la sua contrapposizione al comunismo e il primo forte
incitamento ad abbattere il muro di Berlino( Ich bin ein berliner…) sono
ricordati con ammirazione da tutti . Così come i lati oscuri della tentata
invasione di Cuba, la cosiddetta “Baia dei Porci”, e l’origine del conflitto in
Vietnam. Col suo richiamo alla nuova frontiera, con il suo celebre invito ai
cittadini di darsi da fare senza aspettare lo stato, e la sua politica di
riduzione delle tasse, JFK è anche
all’origine dell’idea liberista poi ripresa da Reagan, pur essendo Kennedy un
democratico. Fu uno di primi a parlare di sovrappopolazione e della necessità
di destinare più risorse allo sviluppo e meno alla natalità.
Erano gli anni della vita che tornava dopo le stragi di
tanti giovani nel conflitto mondiale, della voglia di divertirsi; c’era la
volontà di migliorare, era l’ora dei balli scatenati, del Rock, la nuova musica
con i ritmi mai visti, del nuovo
credo nei mezzi dell’uomo per affrontare i problemi, dei motori sempre più
potenti, delle auto che si allungano e sfrecciano veloci, della corsa al
benessere, alla ricchezza che sembrava a portata di mano. L’uomo va nello spazio carico di
fiducia nel futuro. I nuovi media accelerano la sensazione di una nuova vita
che rinasce, la radio, la televisione, il cinema in casa con il mondo che entra
dentro l’intimità, il quotidiano delle persone. I dischi, le canzoni, le gonne
di mille colori, la pubblicità a farci sognare una vita diversa dal
passato…Quella figura di giovane Presidente con la sua bella moglie sorridente,
il linguaggio diretto, una sensazione di novità, di nuovi possibili sviluppi…
Tutto destinato a finire quel 22 novembre a Dallas. Alla notizia del suo
assassinio i più avveduti ebbero la sensazione netta che finiva l’epoca di ottimismo
succeduta alla guerra e che iniziava un’altra storia. Dopo pochi anni, nel
1968, sarebbe stato pubblicato da Paul R. Ehrlich il libro “The population bomb” sulla denuncia
della eccessiva pressione demografica incombente da parte della specie Homo, e successivamente il
mondo si sarebbe avviato alla globalizzazione e poi al disastro ambientale che si sta avverando sotto i
nostri occhi.
.
Ma prima che il giovane Presidente fosse ucciso, c’era
stata la morte di Marilyn. Un altro segno fatale di un cambio d’epoca. Forse,
come dice Hobsbawm, il 900 è stato veramente un secolo breve, ed è finito
precocemente in quei primi anni sessanta. Anche Marilyn aveva incarnato un
sogno: il sogno che fosse possibile la felicità in un mondo fatto di luci, di
macchine, di cinema, di brillanti, di frigoriferi, di consumi a gogò, di auto
lussuose. La morte di Marilyn fu il segnale che la strada era sbagliata, che
quel sogno poteva tramutarsi in un incubo. Pochi anni prima c’era stato il
fungo atomico su Hiroshima e Nagasaki. La precarietà della vita era ormai sentita
da tutti. La natura non era più l’infinito scenario a cui potevamo attingere
secondo i nostri bisogni. La possibilità di distruzione immediata del mondo era
alla portata dell’uomo. L’essere e il nulla erano vicinissimi. Marilyn era uno
schermo di luccicanti meraviglie posto davanti a tutto questo, una maschera
gioiosa e innocente su un senso di tragedia incombente. Una bambola bellissima
ma di estrema fragilità. La sua
sensualità debordante era la forza con cui riusciva a far dimenticare
l’angoscia esistenziale di quegli anni, a creare una realtà piacevole sovrapposta all’altra inquietante. Ma nella vita e nella morte di Marilyn c’era
un lato oscuro che aveva a che fare con John Kennedy e con suo fratello Robert,
ambedue molto disinvolti nel loro rapporto con le donne. Riporto il
magnifico ritratto che da di lei Ceronetti in una descrizione che attraverso
Marilyn apre una chiave di interpretazione su tutto il periodo. La sua incredibile,
sorprendente e
inaspettata morte nella pienezza
degli anni rimane un mistero e
alimenta la leggenda sui due Kennedy che, forse indirettamente, furono una
delle cause del suo strano suicidio.
“Marilyn morì il 4 agosto 1962, un sabato sera, alle
22,30 quando si dice che a Los Angeles accadano morti strane, per restare mito
erotico del secolo e vittima emblematica di un destino di sciagura. Era nata il
1° giugno 1926; aveva 36 anni.
Tra i film…ricordo bellissimo di grande cinema “Giungla
d’Asfalto”, del 1950, di John Huston, e “La magnifica Preda”, di Otto
Preminger, del 1954. Il titolo italiano voleva allettarci, noi popolo di
predatori maschi, riempì le sale. L’originale era modesto: The River of No
Return, la voce di lei lo percorreva, piena di seduzione staccata dal corpo,
triste come un uccellino in gabbia solitario. Il ritornello cadeva come lacrime
sul mondo incantato: No Return…No Return…
Il suo fiume-del-non-ritorno fu la corrente che la
trascinò insieme ai fratelli Kennedy;
la loro Ragione di Stato l’uccise.
Volle ricattare il potere, povera piccola scema, che per
un certo tempo ebbe una linea speciale diretta con la Casa Bianca – finché non
fu avvertita di non tentare più di comunicare col Presidente. Incontrava a
turno i due Potenti nella casa di Peter Lawford, cognato di John, dove non
mancavano le microspie, collocate per incarico del padrino mafioso Jimmy Hoffa.
Ce n’erano anche nella sua casa di Brentwood, 12305, 5th Melena Drive, dove nel
pomeriggio di quel sabato piombò Bob Kennedy con due gorilla, per offrirle un
milione di dollari in cambio di un quaderno rosso,dove Marilyn, credendosi
furbissima, annotava tutto quel che succedeva, e ascoltava, durante i suoi
convegni con quelle due altre leggende della giungla americana.Pretendeva, la
tapina, che Bob divorziasse e la sposasse! Stufa di far da troia clandestina,
lei già più volte divorziata, sognava ricevimenti di capi di Stato, con
verginità di fenice, di First Lady…Suicidio si disse, quando il titolo “Marilyn
Dead” traboccò nei giornali e il corpo della piccola martire bionda era in
attesa dell’ordine del Coroner per essere portato alla Morgue. Non ingerì
Nembutal: non se ne trovarono tracce nello stomaco e nell’intestino. Accanto a
lei non c’era bicchiere è bottiglia d’acqua per ingoiare pastiglie nere. C’erano invece dosi del barbiturico e
di cloralio nel sangue e nel fegato, da provocare più di una morte. Nessuno udì
grida. Nuda fu trovata, come appariva nei calendari, distesa sulla pancia…
Un anno e quattro mesi dopo Qualcuno vendicò a Dallas
quella triste carne che si aggrappava a un’anima disperata. E il 6 giugno 1968,
sempre nella stravagante Los Angeles, anche Bob Kennedy incontrò il suo Fato,
mentre, forse, stava per raggiungere anche lui il trono della Casa Bianca.
D’indecifrato, resta parecchio. La certezza è questa: il
mio secolo crudele prescrisse a Norma Jean, figlia di una madre pazza e di un
padre fotografo di nome Stanley Gifford, un destino dei peggiori. Punita per
aver segnato l’epoca con la sua nociva bellezza, o cara agli Dei per non aver
conosciuto vecchiaia? Un segno che fu dato dentro un soffrire.
“C’è una speciale Provvidenza nella caduta di un
passero”.
Il Fiume
Senza Ritorno risalirà alla sorgente.
(G. Ceronetti: “Ti saluto mio secolo crudele” Einaudi
pagg. 17-19).
La morte di John Kennedy, quella di Marilyn e poi, nel
1968, quella di Robert Kennedy avviato anche lui alla Presidenza, tutte e tre
morti violente, furono un segno
del secolo crudele, quello senza ritorno, come il fiume della Monroe. Le
illusioni sul progresso illimitato stavano finendo. Ma non sarebbe stato il
comunismo, né la guerra, né la bomba atomica a invertire la rotta. Da allora
apparve evidente che il cielo stava per non essere più azzurro, il mare stava
diventando acido e con gigantesche isole di plastica, la Terra una discarica. Una
cortina di esalazioni stava lentamente ma inesorabilmente iniziando a
circondare il pianeta. Ritornava alla mente l’avvertimento di Nietzsche: “Umano, troppo umano…”
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