L’ultimo numero di Limes, la rivista
italiana di Geopolitica, tratta delle Utopie del nostro tempo. Tra queste, un
articolo a firma di Carlo Stagnaro, esamina l’utopia ambientalista: “Se
l’ambiente diventa articolo di fede”.
Stagnaro è impietoso ma esatto
nell’esaminare il pensiero dell’ambientalismo contemporaneo. Premette una
verità che è dura da digerire per l’ecoambientalista politically correct: “ Il
mondo industrializzato si preoccupa dell’ambiente perché può permetterselo”,
infatti i paesi poveri e sottosviluppati, nonostante la retorica del povero è
bello, dell’ambiente non gliene importa un fico secco. Quando c’è da pensare
alla fame e a svangare la giornata, del paesaggio non si interessa nessuno, e
un albero è buono solo per la legna. La scomparsa di tante specie protette in Africa ne sono un'altra tragica conferma. Prosegue Stagnaro:
“Non è un caso che la retorica
ambientalista sia strettamente (e sempre più) legata a quella della decrescita,
finendo per disegnare un’inevitabile contrapposizione tra il fiorire delle
attività umane e la loro sostenibilità…osservando il movimento ambientalista è
difficile non trovare un comune denominatore nell’opinione, costantemente
aggiornata e adeguata ai tempi, secondo cui il demone della modernità è la
finitezza delle risorse. Secondo gli ecologisti esiste un dato stock delle
risorse, sicché maggiore è la quantità che ne viene consumata, più rapidamente
si esauriranno. Confutare questa tesi va ben oltre l’obiettivo di questo
articolo, se non per quanto riguarda un aspetto molto specifico. Cioè l’idea
stessa che possa esistere un limite esogeno alla crescita e che tale limite
sia, per così dire, fissato ab origine. Questo è vero solo nel breve termine:
nel lungo termine, è l’idea stessa di risorsa a essere continuamente
ridefinita. ..In altre parole, è l’ingegno umano a tracciare i limiti dello
stock di risorse. Le risorse non sono date, ma create o scoperte (ndr: vedi uno
dei post precedenti su questo blog sulla futura disponibilità dell’energia da
fusione).
Questo fraintendimento sull’economia
dele risorse naturali è all’origine di parte della miopia del movimento
ambientalista, inteso come ambientalismo politico. Ma le sue conseguenze non
sarebbero state tanto pesanti se non si fossero accompagnate a una triplice
parabola, che ha investito il movimento fin dalle sue origini (le quali possono
essere individuate nella pubblicazione di Silent Spring ad opera di Rachel
Carson, nel 1962). Tale parabola è la seguente: da movimento interessato ai
problemi locali a movimento proiettato verso problemi globali; da movimento
sociale a movimento politico; da movimento post-industriale a movimento
anti-industriale.
La politicizzazione del movimento è una
conseguenza diretta dell’abbandono di temi locali e dei dati ambientali
concreti , resa sempre più evidente dal progressivo spostamento a sinistra dei
movimenti verdi ( in parte
appoggiati dalla destra illiberale). Ma è la terza parabola quella che
racchiude e dà profondità ale altre due. Il caso più eclatante è quello
dell’antinuclearismo: non solo e non tanto guerra ad una tecnologia, bensì
paradigma di una lotta senza quartiere alla civiltà occidentale e al progresso
in senso lato… Mario Signorino coglie perfettamente la dinamica di quel che
stava accadendo: “Dei temi ambientali, filtrati attraverso pregiudizi
ideologici secolari, si è visto solo quel che si voleva vedere; le vicende dei
due secoli successivi alla rivoluzione industriale sono interpretate come una
corsa cieca verso il precipizio, l’innovazione tecnologica è identificata con
il male, ogni problema viene spacciato per una caratteristica incorreggibile
dell’economia occidentale, una catastrofe scongiurabile solo con un cambio di
sistema. Con questo messaggio si toglie significato alle politiche pubbliche
sull’ambiente –interpretate come inganni di un meccanismo perverso- e si
fornisce la giustificazione teorica per un attacco culturale all’Occidente:
l’attacco più fanatico di tutti, in quanto lo si accusa di distruggere il
pianeta e, con esso, le basi fisiche, biologiche e culturali della vita umana”
(M. Signorino: La grande balla antiindustriale, l’Astrolabio, febbraio 2013).
Se l’ambientalismo si confina nel
ghetto della sinistra nostalgica e luddista, se identifica il progresso col
male e accetta solo quelle tecnologie che interpreta come uno strumento di
decrescita, la risposta sul piano teorico non può che essere feroce.
L’economista Gorge Reisman parlerà di “tossicità dell’ambientalismo: il
movimento verde degli ambientalisti è semplicemente il vecchio movimento
“rosso” dei comunisti e dei socialisti liberato dalla sua venerazione per la
scienza. L’unica differenza che vedo tra i verdi e i rossi è quella
superficiale delle ragioni specifiche per cui essi vogliono violare la libertà
individuale e la ricerca della felicità. I rossi sostenevano chel’individuo non
potesse essere lasciato libero perché il risultato sarebbero cose quali lo
“sfruttamento” e il “monopolio”. I verdi dicono che l’individuo non può essere
lasciato libero perché il risultato saranno cose come la distruzione dello
strato di ozono e il riscaldamento globale. Entrambi affermano che sia
indispensabile il controllo centralizzato del governo sull’attività economica”
(Questo e nient’altro si nasconde dietro la retorica della decrescita felice).
Il paradosso e l’eccezionalità del fenomeno ecologista, però, sta altrove ed è sul
piano della percezione: più i movimenti verdi si spostano a sinistra e assumono
una collocazione politica minoritaria e antagonista, più la loro battaglia
diventa patrimonio condiviso. Più si rivela fallimentare l’esperienza partitica
dei verdi, più il loro messaggio viene fatto proprio, almeno sul piano
retorico, dall’intero arco costituzionale. Su queste basi, l’ambientalismo appare del tutto
incompatibile con lo sviluppo di una civiltà moderna. Anzi, appare come una
delle manifestazioni di un sentimento pauperistico, antioccidentale e
antimoderno (ndr: terzomondista, vedi politiche pro-immigrazione) e il suo
successo sembra legato ad un gigantesco equivoco.
(…) Non è vero che la crescita
economica produce solo esternalità negative. Anzi essa, pur creando potenziali
impatti negativi sull’ambiente, crea anche le condizioni perché questi possano
essere risolti. In secondo luogo, l’intervento centralizzato del governo e la
pianificazione economica non sono l’unico strumento per intervenire a
correzione delle esternalità: in molti casi è piu efficace la definizione di
chiari diritti di proprietà, in altri ancora i costi per correggere le
esternalità sono ampiamente superiori ai benefici…Quel che vale per le risorse
naturali vale anche per la risorsa ambiente: solo lo sviluppo e la crescita
possono portare, nel lungo termine, a una maggiore “offerta di ambiente” (cioè
a una migliore qualità ambientale), sebbene nel breve periodo e in paesi a
reddito medio-basso essi possano indurre iniziali peggioramenti. Visto con gli
occhi di oggi, buona parte dello sforzo ecologista si è tradotto in qualcosa
d’altro rispetto alle finalità ambientali: o un tentativo tutto politico di
dare al pezzo di società orfano dell’utopia industriale del socialismo una
nuova utopia anti-industriale, o la promozione di attività a volte
spregiudicate a fini di lucro. Oppure entrambe le cose.
Rimettere l’ambiente al centro e
prendere atto che il progresso è amico del pianeta, non la sua condanna, può
segnare la nuova fase di un movimento che altrimenti rischia di spegnersi.”
(Carlo Stagnaro:“Se l’Ambiente diventa
articolo di fede”, Limes settembre 2013 pagg. 71-76).
Condivido gran parte di quello che dice Stagnaro, dietro i
temi dell’ambientalismo si nasconde – ma oggi viene sempre più affermato
apertamente- il tentativo di togliere la libertà e ricreare lo Stato
centralista e autoritario tanto caro ai vecchi “rossi” di una volta. Fa parte
di questo Totem autoritario e antropocentrico il rifiuto da parte degli ambientalisti di
parlare di decrescita demografica. I teorici dell'ambientalismo anti-industriale auspicano solo la decrescita economica e
tecnologica, con il ritorno massiccio all’agricoltura e l’affidarsi
alle energie rinnovabili, un’altra utopia che significa ulteriore
aumento dei consumi di idrocarburi con immissione di ancora più massive
quantità di gas di carbonio ed effetto serra nell’atmosfera. Si prepara così
per il pianeta, nella disgraziata ipotesi che qualcuno segua le deliranti
posizioni di Latouche e compagni, il seguente cocktail: Stato autoritario, fine della libertà personale, declino
economico, regressione tecnologica e boom demografico. Uno scenario da incubo
che rende l’ambientalismo attualmente maggioritario non solo inefficace, ma
fatale per il futuro del pianeta.
Distopisti miei, sviluppisti reali.
RispondiEliminaNon potrebbe che iniziare per un calembour sul titolo lo smantellamento della vagonata di dogmi che Stagnaro elenca in quella che pare uno dei milion mila discorsi nevrotici psicotici degli apologeti dei sistemi 5.
La crescita demografica e la sua apologia non sono altro che uno degli aspetti dell'accescitivismo e le obiezioni degli apologeti del tumore quasi sempre si basano su un mescolone orribile di credenze morali, di fideismo tecnofilo e di una presunta liberta' e diritto individuale di riproduzione che e' del tutto inesistente in quanto l'atto del riprodursi e' quello di gran lunga piu' deleterio in termini di sostenibilita' e con le peggiori conseguenze sul prossimo, sulla societa' e sull'ambiente.
Ritengo naif una lettura in chiave sociopolitica (destra sinistra, rossi verdi _ angurie, luddisti e tecnoteisti) una sorta di dualismo del tutto superficiale in due espressioni leggermente diverse (qui in Italia abbiamo il corrispettivo partitico del presunto dualismo PD(L)) di una stessa (in)cultura necrofila della crescita oltre ogni limite.
Non ci si potra' adagiare sulla presenza di un qualche centralismo in quanto il collasso del sistema che chiudera' il petrolitico e probabilmente l'antropocene semplicemente ridurra' la complessita' della societa' a livelli minimi sostenibili localmente.
In un certo senso l'ambiente imporra' la sua etica e un ecoregime della sostenibilita' peraltro assai ridotta proprio per la distruzione (diciamo degrado entropico) e dei sistemi biotici e delle risorse non riproducibili economicamente sfruttabili.
A livello ideologico al pauperismo di una certa "sinistra" corrisponde il consumismo becero antiedonistico della "destra": come in questo caso potremmo trovare (ne sono citati altri qui sopra) di religiosismi spegniosservazione e ammazzacritica da parte delle due parti presunte antagoniste.
Un po'come F. Engels e i seguaci di A. Smith e furono detrattori feroci delle elementari, ovvie, aritmetiche conclusioni di T. Malthus.
Stagnaro (e anche tu, visto che ne condividi gran parte delle posizioni) non accettate che l'ecologismo non e' di destra o di sinistra, ma semplicemente un paradigma (neopagano) che considera l'ovvio ovvero che per evoluzione biologica homo non puo' vivere se mancano le condizioni biologiche necessarie: ossigeno, acqua, cibo, possibilita' di scaldarsi nei climi temperati e boreali, disponibilita' di selvatico e sua estetica, capacita' di biodegradare i rifiuti, spazio, terreni fertili e coltivabili non inquinati, etc. e che quindi la prima politica e' quella del conservare la "sfera vivente" in condizioni per le quali homo non si estingua.
Infime, l'idea di risorsa (idea di?!) continuamente ridefinita ...
Ma come si puo' scrivere una puttanata del genere nel 2013?
A Stagnaro, visto che gli stock ittici sono al collasso, invece che una frittura di paranza gli offriremo una frittura di frammenti di plastica e di monnezza marina, vedra' di ridefinirsi (l'idea di) apparato digerente e metabolismo, con un bel bicchierone di acqua di Fukushima (che al posto della madonnnina di Lourdes ora ne regaliamo un barattolo a mo' di ex-voto a tutti i tecnoteisti adoratori delle magnifiche sorti progressive).
"Ritengo naif una lettura in chiave sociopolitica (destra sinistra, rossi verdi _ angurie, luddisti e tecnoteisti) "
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"A Stagnaro, visto che gli stock ittici sono al collasso, invece che una frittura di paranza gli offriremo una frittura di frammenti di plastica e di monnezza marina, vedra' di ridefinirsi (l'idea di) apparato digerente e metabolismo, con un bel bicchierone di acqua di Fukushima"
Condivido di meno ma apprezzo l'ironia e l'efficacia della metafora. Il rischio però è di gettare il bambino con l'acqua sporca: non possiamo rinunciare alla tecnologia, e la tecnologia presuppone investimenti e sviluppo economico (non consumistico, su questo concordo). Si tratta di trovare pragmaticamente una via di uscita. Al primo posto, per me, rimane la decrescita demografica.
Sono d'accordo con UnUomo.InCammino.
RispondiEliminaE' incredibile come, a fronte di inevitabili lati "meno forti", meno coerenti -ma anche semplicemente sbagliati-, di una teoria di pensiero il cui fine è comunque l'inversione di tendenza nella distruzione delle condizioni biologiche in cui l'uomo vive (e ovviamente necessarie alla sua sopravvivenza); è incredibile, dicevo, come si faccia un processo con allegata condanna indicando capriciosamente e testardamente la famosa scheggina nell'occhio senza badare al proprio occhio e alla sua trave all'interno. Incredibile nel senso di incredibilmente autolesionistica ignavia (e forse proprio pura e semplice malafede).
Ed ecco la frase capolavoro:
"Anzi essa, *pur creando potenziali impatti negativi sull’ambiente*, [...]"
HA HA HA... bella questa, bellissima...
*potenziali*????
CARO STAGNARO, qui non si parla dell'africano che non puo' mangiare e taglia un albero per riscaldarsi, o uccide un roditore si una specie protetta per nutrirsi, per carita! chi avrebbe la faccia di bronzo di condannare siffatte azioni causate da una siffatta situazione! Andiamo... non facciamo opera di distrazione/elusione...
Qui si parla, solo per fare un esempio, delle innumerevoli aziende di chimica che (in Paesi avanzati e non certo a causa della fame) hanno riversato più o meno illegalmente nell'ambiente bidonate di veleni che, oltre a distruggere l'ecosistema (vedi: fiume) diventano mortali anche per l'uomo (bevi un pò dell'acqua di quelle falde e avvelenati piano piano...).
QUALE ALIBI vogliamo trovare per questi soggetti industriali?
Mi vengono in mente decine di esempi di avvelenamento/spreco/distruzione ingiustificata (o meglio, giustificata giusto se li si vede dal puro punto di vista del *guadagno*).
Allora, sarebbe lecito inibire il controllo di un'Autorità centrale (magari esistesse) che non permetta la distruzione edonistica/egoistica delle multinazionali sull'ambiente e lasciare l'uomo, sotto la pura ideologia del guadagno, a perpetrare i peggiori crimini sul SUO ambiente "finchè ce n'è"? (SUO nel senso di dove vive, non nel senso di proprietà).
A volte uomini intelligenti usano la loro stessa intelligenza per cavillare contro l'ovvio.
A volte si parla di batteri in termini negativi.
Nell'essere umano ci sono miliardi di batteri buoni. Buoni perchè non lo invadono fino a distruggerlo e anzi collaborano con esso in modo simbiotico, vedi i batteri nell'intestino. Qual'è la differenza tra batteri buoni e parassiti?
Semplice! il parassita succhia le risorse dell'ospitante e non si ferma se non dopo la sua morte (spesso morendo anch'esso)... inoltre molte volte l'ospitante attiva delle autodifese contro il parassita eliminandolo.
*Come si sta comportando l'uomo con la Terra? In modo regolamentato e benigno o come un parassita che non si ferma se non con la COMPLETA estinzione della risorsa?*
...Altro che ecologismo verde/rosso e compagnia bella...
Lascio a tutti la riflessione sulla mia ultima domanda.
Rimane centrale il problema demografico, cui anche tu non accenni (ma non sei l'eccezione, purtroppo la maggioranza degli ambientalisti lo dimentica costantemente). Gran parte dell'inquinamento chimico, ad esempio, non deriva dalla semplice voglia di "guadagno". Antropologicamente l'uomo cercherà sempre il guadagno, su questo si può fare poco. I tentativi di Stalin di creare l'uomo nuovo non hanno dato esiti apprezzabili. Si tratta, banalmente, di numeri. Sostenere la sussistenza e il benessere (perché ormai gli uomini chiedono benessere e lo faranno sempre di più in futuro, Latouche o non Latouche...)di sette miliardi di umani richiede uso massiccio di fertilizzanti, medicinali, carburanti, solventi, antiparassitari, lubrificanti, vernici, detergenti ecc. ecc. Quando saremo nove miliardi (tra una ventina d'anni) ne serviranno ancora di più. Nessuno, neanche un nuovo Stalin riuscirà ad imporre un regime che vieti i fertilizzanti,quando ci saranno 9 miliardi di bocche da sfamare. Quella sulla sovrappopolazione è la battaglia più importante.
RispondiEliminaSì, il problema demografico è in problema N° 1.
RispondiEliminaProprio perché ha caratteristica esponenziale e frantuma passandoci sopra qualsiasi miglioramento nell'efficienza, nella diminuzione degli sprechi, nel risparmio.
Ma... l'unico paese che ha implementato una politica, l'unica politica corretta, quella sacrosanta e coercitiva del figlio unico, è un paese fortemente centralista.
Quindi non sono neppure il centralismo / autoritarismo / liberismo (liberi da cosa?) dimensioni sufficienti pro o contro la boma demografica.
Anzi, su questo specifico punto, l'unico paese che ha preso misure draconiane per affrontare il problema è stato la Cina centralista (che non vuol dire nulla perché la maggior parte delle decisioni sempre di quel paese sono decisioni di politiche antiecologiche e pesantemente accrescitive).
Quello del rapporto autoritarismo/controllo demografico è un bel dilemma per chi la pensa come noi.
RispondiEliminaSappiamo bene che, alla fine, la riduzione demografica ci sarà (la natura, ritorna sempre all'equilibrio), solo che le strade sono sostanzialmente 3:
- quella apocalittica (guerre, carestie, pestilenze, ecc.);
- quella centralistica-dittatoriale (modello Cina e anche peggio);
- quella democratica della consapevolezza dal basso (con comportamenti spontanei e condivisi).
La migliore è ovviamente l'ultima, ma qualcuno di voi si sente di scommettere sulla sua riuscita ?