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domenica 25 novembre 2018

Verità e falsità sul clima - seconda parte

Emblematico di tutto quel che e' avvenuto dietro il discorso sul clima e' la vicenda di El Nino, cavalcata sul finire degli anni novanta da Al Gore e dai verdi nostrani.L'aumento della forza degli alisei e delle piogge in Ecuador e Peru' fu attribuita al riscaldamento atmosferico, di cui si imputavano gli Usa e le altre economie industriali con le loro emissioni. Poi pero' studi indipendenti dimostrarono che il fenomeno denominato El Nino era sempre esistito con andamento ciclico negli ultimi 5000 anni, fino che gli esperti dell'IPCC decretarono ai primi del nuovo millennio che non ci erano prove scientifiche di variazioni di intensità' del fenomeno negli ultimi decenni. Finalmente il Nino cadde nel dimenticatoio insieme alle battaglie di Al Gore e dei verdi che predicavano l'abbandono del modello industriale di produzione. Si trattava di pura speculazione politica. Ma il massimo della commedia, anzi della tragicommedia che ha riguardato la storia sul cambiamento climatico e i protagonisti (movimenti ambientalisti, esperti Onu dell'IPCC, ecc.) che hanno gestito il tema, si e' raggiunto con il convegno di Kyoto del dicembre 1997 in cui fu stabilito il famoso protocollo. Questo, ignorando gli studi di importanti istituzioni di ricerca -tra cui quelli dell'Office of Technology Assessment e del Worldwatch Institute che indicavano nella spropositata crescita della popolazione la causa prima del cambiamento climatico- utilizzava per la prima volta l'argomento clima come mezzo di una battaglia politica volta a colpire le economie sviluppate. Il protocollo stabiliva che nel periodo 2008-2012 i paesi elencati nell'Allegato I (in sostanza i paesi industrializzati ed in particolare Usa ed Europa) avrebbero dovuto ridurre le emissioni complessive di anidride carbonica fino a raggiungere un livello del 5,2 % (sic!) inferiore a quello del 1990. Ma contestualmente veniva azzerato il beneficio (tutto teorico) che ne sarebbe dovuto derivare in quanto l'accordo non imponeva alcun limite alle emissioni dei paesi in via di sviluppo e concedeva dilazioni (ad esempio sull'uso del carbone) a Cina ed India che -visto l'impetuoso sviluppo in atto- avrebbero aggravato il problema anziché ridurlo. Calcoli effettuati da numerosi istituti di ricerca (WEC, Perry, Nordhaus ecc.)hanno dimostrato che in seguito alle misure stabilite a Kyoto, nel caso del tutto improbabile che fossero rigorosamente rispettate, l'aumento della temperatura entro il 2100 sarà' di 0,15 gradi celsius in meno rispetto ad una situazione in cui non si fosse intervenuti affatto. L'intento di coloro che si erano riuniti a Kyoto era in realtà' di colpire le economie sviluppate per pura opposizione politica e ideologica e ciò' senza alcun vero riguardo in favore delle economie dei paesi arretrati, che anziché giovarsene sarebbero anche essi stati colpiti dal rallentamento delle economie avanzate. La riduzione complessiva delle economie avrebbe comportato enormi costi in termini di minore ricchezza prodotta stimata in 107 mila miliardi di dollari a fronte di danni ambientali risparmiati dovuti ai cambiamenti climatici di circa 5000 miliardi di dollari (stime dell'IPCC). Ma la cosa che interessava i delegati a Kyoto era accentuare la necessita' di andare politicamente verso una società' più' egualitaria, decentralizzata, meno commercializzata e meno orientata alla produzione. Di fronte a questi obiettivi era del tutto secondario l'obiettivo iniziale della riduzione del consumo energetico di idrocarburi. Kyoto stabili' definitivamente che la lotta al cambiamento climatico era solo una bandiera senza alcun effetto reale sul clima del pianeta, una bandiera dietro cui combattere una battaglia politica terzomondista contro le economie sviluppate e il mercato.
In realtà sul riscaldamento climatico è in gioco un aspetto di fondo del futuro della Terra. Tutte le diatribe sul riscaldamento riguardano, alla fine, due scelte opposte, un bivio di civiltà. Ci sono due risposte strategiche: una è rappresentata dal discorso sulla redistribuzione delle risorse verso i paesi arretrati e la decrescita delle economie sviluppate, come teorizzato dal filosofo Latouche, l'altra esemplificata dagli sforzi di numerose nazioni del pianeta nella spianata di Cadarache nel sud della Francia. La prima, quella prescelta dalla maggioranza degli esperti che si radunano nelle varie conferenze Cop sponsorizzate dall'Onu, punta su una riduzione dei consumi (che in questa fase dovrebbe essere a carico delle nazioni industriali sviluppate), e su tattiche di riduzione del consumo di idrocarburi in favore di rinnovabili meno efficienti e più costose ma più compatibili con basse emissioni. La seconda si basa su una sfida incentrata su ricerca e innovazione: lo sviluppo della tecnologia come risposta ai problemi del cambiamento climatico. Mentre la prima risposta trova numerose forze politiche di opposizione(principalmente i movimenti verdi e associati) che la condividono e portano avanti, la seconda vede molti scienziati e governi di nazioni importanti impegnati nella sua realizzazione. Vediamo meglio le due strategie. Quella portata avanti dai movimenti verdi e ambientalisti si basa su una decrescita economica assistita, realizzata cioè riducendo le produzioni e le risorse inquinanti e prediligendo il ritorno ad una agricoltura senza chimica e una produzione basata sul riciclo e sul basso impatto ambientale. Sul lato della energia la strategia della decrescita si fonda sull'uso sempre più esclusivo delle energie rinnovabili. Dal punto di vista economico la decrescita dovrebbe basarsi su una riconversione di tutta l'industria nel senso dell'utilizzo di manodopera umana, su un uso limitato di tecnologia, su una ricerca centrata sull'ambiente e sulla sua salvaguardia. Politicamente su un forte intervento dello Stato e di istituzioni sopra-statali e una serie di divieti e limitazioni riguardanti gli stili di vita, la produzione e il mercato. Ciò dovrebbe consentire una economia a basso impatto con una industria centrata sul riutilizzo e su prodotti compatibili con l'ambiente, e una agricoltura biologica che veda l'utilizzo di mano d'opera e una tecnologia non inquinante. Gli aspetti negativi di questa strategia -a parte gli aspetti politici e le sue ricadute sulla libertà' individuale- sono la riduzione programmata del Pil e di conseguenza una minore disponibilità di risorse per ricerca ed investimenti, con un impatto diretto sulla ricerca tecnologica che subirebbe un rallentamento e forse uno stop. La minor competizione tra imprese in concorrenza -come avviene nel libero mercato- che invece verrebbe contrastata nella economia dirigista della decrescita, comporterebbe una minor spinta alla innovazione dei prodotti e alla ricercca su nuove energie e nuovi materiali. L'esclusione del discorso sul contenimento demografico, esplicitamente rigettato da Latouche, dai verdi e da tutti i fautori della decrescita economica, comporterebbe inoltre un micidiale coktail : una crescita demografica incontrastata si combinerebbe con un basso livello di tecnologia disponibile, portando a conseguenze incalcolabili sulla società dei prossimi decenni, anche verso l'ambiente. L'altra strategia, per dirla con un termine in voga, l'altro paradigma, è quello della risposta tecnologica alla crisi climatica. Nonostante tutte le critiche alla società' industriale moderna, non si puo' dimenticare che grazie all'economia di sviluppo, al libero mercato e alla tecnologia abbiamo più' tempo libero, maggiore sicurezza e meno incidenti, più' istruzione, più' comodita', redditi più' alti, meno sofferenza per fame, più' cibo a disposizione e vite più' sane e lunghe. Certamente permangono disuguaglianze e ingiustizie, ma tutti i discorsi sulla redistribuzione si debbono basare su un livello adeguato di produzione di risorse. La tecnica, frutto dello sviluppo economico, della produzione e della ricerca, ha aumentato l'uso di risorse naturali e l'inquinamento ambientale ma ha d'altra parte aperto numerose opportunità' e migliorato infiniti aspetti della vita quotidiana.Soprattutto l'economia e la ricerca tra imprese in competizione sul mercato sono all'origine della innovazione tecnologica e lo sviluppo di nuovi mezzi nel campo della medicina, dell'energia, della robotica o della IA.
Dunque il problema di fondo innescato dalla questione del clima è se il nostro futuro, il futuro della presenza umana sul pianeta terra, debba essere a bassa o ad alto tasso di tecnologia.In ultima sintesi il problema e' questo: uscire dal carbonio con i divieti, le sanzioni e la burocrazia (vedi protocollo di Kyoto e seguenti) o uscire dal carbonio con la tecnologia? E' ovvio che una decrescita (ma anche una bassa crescita della produzione e dei consumi) è incompatibile con uno sviluppo tecnologico che permetta di affrontare la questione climatica. Questa sarebbe affidata ad una mera riduzione delle immissioni di carbonio in atmosfera fondata su divieti e sanzioni. Un'alta tecnologia richiede al contrario una crescita economica e di produzione. Un'alta tecnologia non è compatibile con una società a bassa produzione e, peggio ancora, sovrappopolata rispetto alle risorse disponibili. Chi crede nella risposta tecnologica alla crisi climatica non può non essere per la crescita della produzione e delle disponibilità economiche da investire in tecnologia e ricerca. La corsa contro il tempo, e di tempo a disposizione nonostante quello che ne dicano i catastrofisti, i dati dicono che ce ne è ancora molto - non è meramente teorica. La scelta tra i due paradigmi non avvera' nelle sessioni COP o nelle assemblee dell'Onu. E neanche nelle conferenze degli scienziati o peggio, dei politici. La scelta del nuovo paradigma avverrà' sul campo: catastrofi ecologiche potranno indirizzare alla bassa crescita. Successi della tecnica come l'innesco della fusione a Cadarache potranno indirizzare il mondo verso lo sviluppo e la tecnologia. Su questo secondo fronte si attendono gli sviluppi della intelligenza artificiale e della robotica che dovrebbero contribuire all'abbattimento delle emissioni e rendere possibili lo sviluppo di società con demografia stabile e crescita economica allo stesso tempo. Su tutto incombe, causa prima di ogni altra crisi ambientale compresa quella climatica, la catastrofe demografica: la spaventosa crescita della popolazione umana tuttora inarrestabile e in accelerazione. Le tasse più alte sugli idrocarburi e i divieti rischiano di avere un effetto paradosso: rallentare la crescita economica e quindi il finanziamento su ricerca e innovazione con l'effetto che il mondo avrà' meno tecnologia. Se a ciò si aggiunge la completa mancanza di lotta al boom demografico da parte dei movimenti ambientalisti , l'effetto finale combinato sarà' più' popolazione, più' necessita energetiche e meno tecnologia disponibile per ridurre le emissioni. Un effetto catastrofico delle buone intenzioni degli esperti Onu e dei movimenti politici verdi . La lotta ai cambiamenti climatici non puo' avere come scopo la riduzione degli investimenti sulla ricerca e le innovazioni tecnologiche, altrimenti non farà' che accelerare gli effetti negativi delle tecnologie obsolete e di una economia in recessione combinate ad una crescita demografica inarrestabile.
Lo scontro tra queste due visioni non e' teorico ma già' in atto. Siamo di fronte alla necessita' di un cambiamento di paradigma che riguarda la presenza umana sulla terra imposto dal cambiamento climatico. I tempi molto lenti di questo cambiamento climatico rendono molto improbabile un cambio di paradigma in seguito ad eventi catastrofici nei prossimi anni. Abbiamo più' tempo a disposizione di quanto previsto (e in parte auspicato) nelle varie conferenze Cop. Se vediamo quello che e' accaduto in passato possiamo intravedere possibili scenari. Con il crollo dell'Impero romano in seguito alle massicce invasioni di popoli dall'oriente europeo ci fu un profondo cambiamento della società' precedente: l'incastellamento e la nascita della civiltà' feudale e l'affermarsi di una nuova religiosità'. Così' alla fine del secondo conflitto mondiale non fu un evento catastrofico a determinare il cambiamento ma una novita' tecnologica: la bomba atomica. Hiroshima segno' la fine del vecchio mondo dei conflitti tra stati. Inizio'allora la divisione del mondo in zone di influenza, il nuovo paradigma politico-economico, tra mondo libero e comunismo (in realtà' tra i possessori della bomba e le rispettive visioni del mondo). Il successivo cambio epocale fu determinato dallo sviluppo del mercato globale (un cambiamento economico e politico sostenuto in gran parte dal rinnovamento tecnologico: telecomunicazioni, web, trasporti ecc.). In base a quanto avvenuto in passato il nuovo paradigma che verra' determinato dal cambiamento climatico non sarà'dunque deciso dalle conferenze dell'Onu, ma sarà' la conseguenza o di eventi catastrofici o di innovazioni tecnologiche. Se arriveranno prima gli eventi climatici e ambientali violenti ci sarà' un forzoso adeguamento dell'economia e un ricorso alle energie rinnovabili disponibili imposta dalle circostanze. La decrescita non sarà' guidata dai teorici alla Larouche ma dalla crisi economica conseguente alle nuove condizioni del pianeta. Se invece arriverà' prima l'Iter in costruzione a Cadarache e l'innesco della fusione, il cambiamento di paradigma assumerà' il significato di una svolta energetica con l'abbandono dei combustibili fossili e l'utilizzo di nuova energia da fusione senza emissioni. La nuova economia carbon-free ma con crescita economica guiderà' il riassetto politico del pianeta cui seguiranno cambiamenti culturali e il rapporto tra uomo e ambiente. Proprio in questi giorni la Cina ha comunicato il raggiungimento dei cento milioni di gradi del plasma di protoni nel suo reattore sperimentale, una temperatura vicina a permettere l'innesco della fusione. La sfida continua e non saranno certo gli esperti dell'Onu ha decidere modi e tempi del cambiamento.