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lunedì 7 dicembre 2020

Uno spettro s'aggira per l'Europa

Uno spettro s'aggira per l'Europa: e' il fantasma dello spopolamento. Sui giornali, da parte dei governi, nei media, dagli scienziati ai demografi è tutto un gridare al grave pericolo del deserto europeo. Capofila dello spopolamento planetario, complice il Covid e il suo aumento della mortalità, è l'Italia. "Covid e crisi demografica: popolazione italiana presto sotto quota 60 milioni" sbatte il titolo in prima pagina il Messaggero. "Il calo delle nascite mette in pericolo il diritto alla maternità" grida su La Stampa Laura Sabbadini. A riferire il punto di vista delle istituzioni è Giancarlo Bangiardo, presidente dell’Istat: «Siamo di fronte ad un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d’Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918, un secolo fa, un’epoca segnata dalla Grande Guerra e dai successivi drammatici effetti dell’epidemia di `spagnola». Il Foglio lancia l'allarme: entro il 2050 l'Italia si trasformerà in un "ospizio a cielo aperto". L'Istat addirittura si spinge fino alla previsione di un dato che, a opinione generale, sarebbe drammatico, catastrofico: in Italia 53,8 milioni di abitanti al 2065. Come sarà possibile, frignano tutti, sostenere un così tragico dato demografico per il nostro povero paese? Non più 60 ma solo 54 milioni di abitanti in Italia tra mezzo secolo! Tutti siamo depressi e preoccupati dal dato drammatico e inaspettato. Che ne sarà del nostro povero paese, delle sue bellezze naturali private di cemento, discariche, edifici e capannoni, che ne sarà delle coste private di quel magnifico tappeto grigio-cemento di abitazioni costruite sulla spiaggia, che ne sarà dei laghi e dei fiumi senza più barche, senza scarichi miasmatici, e con i ponti e moli deserti. Che ne sarà dei monti innevati deprivati dei milioni di sciatori, degli impianti di risalita arrugginiti, dei tunnel montani derelitti, dei casermoni per turisti sulle cime e al posto degli squallidi boschi. Che ci stanno a fare, in fondo, quelle inutili valli verdi? Dei bei condomini per famiglie numerose ad alta -come si dice- densità abitativa è il loro destino ottimale. E che dire delle città ridotte a ricoveri per vecchi? Quelle periferie, una volta, magnificamente sovrappopolate da umani accatastati in alveari, grigi palazzi di cemento o squallide casupole da bidonville? Ambienti perfetti per l'opera di preti e cooperatori solidali da centri sociali. Con la decrescita demografica potrebbero perdere il loro allure umanoide da allevamento di polli.
6 milioni di abitanti in meno tra 50 anni è un dato da gettare nello sconforto...i produttori di auto, i costruttori, i cementificatori, e da spingere al suicidio i padroni delle fabbriche di pannolini e biberon. A chi venderemo i barattoli Nestlè? E poi il diritto alla maternità! Come faranno le povere mamme senza pargoli attaccati al seno, o i papà e i nonni privi delle compagnia di bimbi paffuti e ben nutriti da latti in polvere ed omogeneizzati? Non è etico uno spreco di tanti futuri consumatori e inquinatori. In quale mondo orribile e denatalizzato vivremo? E i parchi giochi con i cavallini di legno abbandonati? E poi, su tutto, il rischio che aumentino animali selvatici e bestie nei luoghi derelitti dall'uomo: imperverseranno cinghiali e orsi, daini e gazzelle e altre simili belve in territori restituiti al verde e alle cristalline acque di ruscelli privati di tossici e prodotti chimici non più scaricati da fabbriche ahimé senza produzione: un disastro inenarrabile! E le bronchiti croniche? Che fine faranno le bronchiti croniche? Senza più i fumi di particolato P 2,5 e P 10, inesorabilmente ridotto per tanta diminuzione di popolazione e di consumi? Già abbiamo visto gli effetti drammatici del Covid sull'aria delle città e delle campagne. Perfino in Val Padana l'aria è divenuta respirabile, per lo stop al traffico e alle produzioni industriali. E il minor traffico aereo con le tonnellate di cherosene non bruciato? Così la gente, nonostante il covid, tossisce di meno e forse alla lunga potrebbe diminuire la morbilità e la mortalità. Le case farmaceutiche sono comprensibilmente preoccupate.
La preoccupazione sconfina poi nella disperazione quando si pensa agli immigrati. Da Repubblica al Corriere, dai politici buonisti ai dirigenti delle cooperative di accoglienza, dai trafficanti alle Ong, è tutto un gridare allarmi, un avvertire del pericolo di desertificazione per mancanza di immigrati. "Si sta esaurendo anche l’effetto positivo determinato in questi anni dall'arrivo in massa dagli stranieri" scrive costernata La Stampa. Anche duecentomila arrivi all'anno sembrano pochi. "Il numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese è in calo (-8,6%)" si lamenta il Sole 24 ore. Neanche più il richiamo degli appelli del Papa bastano a smuovere i pigri africani e gli asiatici. Gli arrivi diminuiscono! disperano i preti per mancanza di futuri fedeli e industriali, burocrati europei e Lagarde in persona a nome delle istituzioni finanziarie per il livello dei consumi che potrebbe scendere. Ma c'è un altro problema, un altro disastro dietro l'indebolirsi della immigrazione massiva: "gli immigrati, una volta che diventino avvezzi alle nostre consuetudini, riducono anch’essi la natalità", scrive costernato il Corriere come fosse l'annuncio di una nuova Sars. Se così stanno le cose, come faranno le degradate periferie delle grandi città italiane, a trasformarsi nelle nuove Brazzaville o Kinshasa? Il disegno di avere pezzi d'Africa o di Bangla Desh alla periferia di Roma e di Milano sembra compromesso. Potrà quel che resta della campagna romana (assai poco in verità...) sopportare la mancata trasformazione in bidonville? La più grande discarica d'Europa, quella di Malagrotta, rischia di perdere milioni di tonnellate di rifiuti riversate ogni anno da una così vasta e variegata popolazione. I miasmi da essa prodotti, un misto di sterco e acido solforico, che appestano l'aria di interi quartieri di Roma, potrebbero ridursi insieme all'avanzare del deserto.
Il coro degli asini è univoco. Tra tanti ragli non una sola voce si è alzata per affermare che forse la lenta,troppo lenta, lentissima diminuzione della popolazione e della pressione antropica sul territorio e sulla natura del nostro paese, potrebbe essere un fatto positivo per l'ambiente, per il suolo verde, per gli animali, e persino per la popolazione degli Homo restituiti ad un senso. Prevale ancora il conformismo dell'uomo al centro dell'universo e del crescete e moltiplicatevi. Le teste bianche degli anziani fanno paura. Gli anziani comprano poche merci, consumano meno, cambiano meno l'auto, hanno meno esigenze di spesa rispetto ad una popolazione in crescita. E poi non lavorano. Richiedono meno energia, producono meno inquinanti. Sono troppo saggi, hanno troppo buon senso. I vecchi spesso amano gli animali, si accompagnano ad un cane. Magari si dilettano ad ammirare un paesaggio, a passeggiare in montagna. E non a costruirci un condominio di 12 piani.

sabato 5 dicembre 2020

L'era delle catastrofi

Eravamo tutti in attesa della catastrofe climatica dovuta al riscaldamento globale, e invece la catastrofe è arrivata dalla biologia. Un virus aggressivo e mortale ha saltato dalla sua specie ospite al più vasto serbatoio biologico disponibile: gli otto miliardi di umani. Sono passati cento anni dalla precedente catastrofe biologica della spagnola. Nell'ultimo secolo c'erano state anche altri eventi catastrofici: due conflitti mondiali avevano devastato l'umanità producendo milioni di morti e la distruzione di intere nazioni. Nel dopoguerra seguì un periodo di ottimismo e di speranza: sembrava che guerre, epidemie e carestie potessero essere controllate dallo sviluppo economico. Ma si trattava di speranze basate su un modello sbagliato: il modello antropocentrico che vedeva nell'uomo e nella sua riproduzione illimitata il fine ultimo dello sviluppo. L'assurdità del modello antropocentrico è sempre più evidente nella cronaca contemporanea. Sempre nuovi pericoli si affacciano con il generale inquinamento chimico, la modificazione fisica dell'atmosfera, l'accumulo dei rifiuti, l'esaurimento delle risorse, la distruzione delle riserve naturali. Quest'ultimo fenomeno comporta il prodursi di sempre più frequenti pericoli biologici dovuti alla devastazione degli ambienti originari di vita di altre specie e alla antropizzazione di territori vergini in passato riservato a tante varietà di specie animali e vegetali. L'esaurirsi delle risorse tra cui l'acqua e quelle energetiche sono rischi sempre più concreti.
Con il crescere della popolazione e del livello tecnico-industriale si assiste inoltre ad una distorsione della presenza antropica che non ha precedenti. In passato le popolazioni umane occupavano diffusamente il territorio, con campagne coltivate e aree destinate al pascolo, piccoli borghi abitati e con centri cittadini medio-piccoli. Oggi la crescita della popolazione umana si struttura su megacentri fortemente antropizzati, le megalopoli, che si estendono sui territori come un cancro consumando suolo verde e producendo tossici, fumi, inquinamemto chimico e rifiuti. Questi megacentri sono anche sistemi di consumo massificato e di produzione che distorcono la crescita economica imponendo una continua crescita del PIL, pena il collasso dell'intero sistema. Nessuna decrescita è possibile in presenza di uno sviluppo basato sulle megalopoli. L'epoca che si apre, anzi che si è aperta da più di un secolo, è dunque un'era di catastrofi annunciate e realizzate e destinate ad aumentare di frequenza e gravità se non si riuscirà a fermare la crescita esplosiva della popolazione degli Homo. Questa, anziché essere controllata come auspicavano alcuni timidi tentativi del passato (vedi Cina e India), non è ancora percepita come merita e il pericolo è tuttora generalmente sottovalutato. Al contrario il processo di antropizzazione del pianeta è favorito dai processi migratori incontrollati che hanno rotto quell'equilibrio prima rappresentato dalla pressione tra crescita demografica e disponibilità limitata delle risorse locali. Anche questo sistema di controllo con il feedback tra popolazione e risorse è crollato con la diffusione antropica globalizzata.Le migrazioni di massa hanno contribuito a mantenere alti i tassi di natalità rompendo il rapporto tra popolazione e luogo di residenza. L'alta natalità è semplicemente bilanciata dalla forte migrazione, come era avvenuto nel nostro paese nella prima metà del '900.
Le epidemie hanno sempre costituito un sistema di controllo delle popolazioni locali: ad una crescita eccessiva di una specie in un determinato territorio seguiva infatti il diffondersi di malattie diffusive che tendevano a ridurre la natalità e ad aumentare la mortalità. Come esempi possiamo ricordare la peste che si diffuse in Europa intorno alla metà del XIV secolo, conseguenza della forte crescita demografica dei due secoli precedenti e dell'aumento degli scambi commerciali e umani. O le gravi epidemie di vaiolo che afflissero l'Europa nel XVII e XVIII secolo in coincidenza con la crescita demografica e il crescente fenomeno dell'inurbamento. Lo sviluppo tecnologico, il miglioramento dei trasporti, della produzione agricola e industriale, hanno tuttavia rotto ogni schema di omeostasi delle popolazione in rapporto ai luoghi e alle risorse. Così i tre pilasti dell'omeostasi biologica ambientale: la fame, le guerre e le epidemie, sono venuti meno negli ultimi due secoli con il diffondersi della industrializzazione e della tecnica.
Il meccanismo di autocorrezione e omeostatasi terrestre che tende ad assicurare la presenza della diversità biologica e il funzionamento dei sistemi naturali, non è venuto meno, ma si è semplicemente trasformato producendo effetti riequilibranti su scala globale. Il riscaldamento climatico e il Covid 19 sono due esempi di questa nuova era che è cominciata un secolo fa e che si prepara ad agire con altri eventi catastrofici su scala globale. Ciò che colpisce è la sordità e la cecità degli esperti e delle organizzazioni sia statali che internazionali. Nessuno sembra rendersi conto dell'origine del pericolo. Tutti vanno a proporre rimedi agli effetti finali: riduzione del consumo di idrocarburi, sistema di smaltimento differenziato dei rifiuti, minore utilizzo di plastiche ed altri inquinanti ecc. Ma nessuno si pone il problema di come tutti i fenomeni cui assistiamo abbiano origine dalla crescita mostruosa della popolazione umana e dal sistema di vita centrato sul prodotto di quella crescita: il sistema delle megalopoli e dei consumi di massa.