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domenica 30 settembre 2012

REPORT SUL CONVEGNO CONTRO LE RINNOVABILI DEL 29 SETTEMBRE




 Non ho mai creduto alle rinnovabili. Il pannello solare esiste da sessant’anni, è stato più volte migliorato, con soluzioni tecnologiche sempre più efficaci, eppure rimane un semplice ausilio energetico. Va bene per riscaldare l’acqua della fattoria o del condominio, per dare un poco di elettricità da usare sul posto. Ma nessun paese al mondo può basare la sua economia sul pannello solare, e infatti in sessant’anni nessuno lo ha fatto. Lo stesso vale per le torri eoliche, che vanno col vento: ora c’è ora non c’è e comunque la resa è poca. Non vi sono sistemi di stoccaggio di energia affidabili, e la rete di distribuzione andrebbe ridisegnata e rinnovata abolendo le reti centralizzate a favore di una rete diffusa e informatizzata  che costa tantissimo (rispetto alla resa). Inoltre i sistemi delle rinnovabili si basano su centraline e su elettrodotti reticolari su tutto il territorio, a stretto contatto con gli abitanti,  che inquinano l’ambiente con alti tassi di onde elettromagnetiche. 

Questo, dicevo, è stata sempre la mia convinzione. Ma quello che ho imparato ieri al Convegno del Comitato Nazionale contro le rinnovabili nelle Aree Verdi, tenutosi a Torre Alfina (Viterbo) è stato scioccante: non solo ha confermato tutto quello che credevo, ma ha aperto uno spaccato sugli interessi  che girano intorno alla cosidetta  Green Economy, alla devastazione ambientale e del paesaggio che comportano, agli effetti gravissimi sulla salute e sulla serenità della popolazione. In particolare per quel che riguarda gli impianti industriali, quelli molto estesi a cui è richiesta una produzione di energia elevata, veri eco-mostri distruttori di ogni rapporto tra uomo e natura e dell’agricoltura. Molti agricoltori hanno dovuto abbandonare la lavorazione nelle campagne vicine agli impianti di “Green Economy”, e molto toccante è stato il racconto fatto da alcuni di loro al Convegno. Gli effetti sulla fauna sia diretti, come per gli uccelli, sia indiretti per la devastazione degli ecosistemi è impressionante. Non si può chiaramente neanche  immaginare che si possa sostituire la quota di energia ora prodotta da petrolio, gas e carbone con queste cose qui. Sia perché il Bel Paese diverrebbe un’enorme distesa di quegli eco-mostri (che occuperebbero tutte le campagne, le coste  e pure le montagne), sia perché non si avrebbe l’ energia nella quantità, nella intensità e nei tempi che è necessario avere per la sua utilizzabilità effettiva. E’ una verità che, finalmente, è certificata anche da riviste quotate in ambito scientifico, come dimostra l’ultimo numero di “Le Scienze” ancora in edicola questo mese.

Ma veniamo ad una breve cronaca del Convegno.
Il convegno comincia con un po’ di ritardo. Nadia Bartoli , Presidente e Fondatrice del Comitato Nazionale contro Fotovoltaico ed Eolico nelle Aree Verdi, introduce richiamando brevemente le finalità del Comitato Nazionale   che conta ormai 8500 iscritti; lei personalmente non si dice contraria in assoluto: le rinnovabili andrebbero bene sui tetti di edifici, su aree industriali, e per autoconsumo locale. Ma trasformare le aree verdi residue del nostro paese per farle divenire “parchi” eolici o fotovoltaici significa destinare alla distruzione l’ambiente naturale e il paesaggio italiano. Ricorda quello che le è successo personalmente, che è il motivo che l’ha spinta a fondare il Comitato. Acquistato un casale nei luoghi amati fin dall’infanzia, dove il paesaggio di verdi colline intorno erano per lei punto di riferimento, di identificazione e di amore per la natura, si è vista costruire praticamente a pochi metri dal proprio giardino, un enorme campo fotovoltaico con pannelli di silicio e metallo che hanno devastato il paesaggio, le hanno tolto la vista che tanto aveva amato, e hanno deprezzato la casa fino a renderla invendibile. Il riverbero dei pannelli disturba i vicini, e di frequente –come documentato in un video- i pannelli prendono fuoco incendiando tutto l’impianto e la vegetazione residua. Accenna alla devastazione che ha riguardato il lago di Bolsena dove, nei pressi di Piansano, è stato costruito un grande impianto eolico con le torri visibili da tutte le coste intorno al lago.
Modera il Convegno Oreste Rutigliano, consigliere Nazionale di Italia Nostra: riferisce brevemente sulle iniziative di Italia nostra contro gli impianti industriali eolici e fotovoltaici. Anche lui dice che le rinnovabili sono utili per l’autoconsumo di famiglie e comunità locali, non su scala industriale. Definisce Italia nostra l’unica associazione ambientalista che si oppone all’industria dell’eolico e fotovoltaico. Dopo la presidente e il moderatore interviene il biologo Sandro Andreucci che parla sull’impatto delle onde elettromagnetiche, prodotte dagli impianti delle rinnovabili, sui sistemi biologici. Nel nostro paese il livello elettromagnetico medio misurato nel 2006 era 700 volte superiore a quello misurato nel 1976. La centrale fotovoltaica produce un campo elettromagnetico ben superiore ai 20 volts/metro soglia oltre la quale sono dimostrati effetti biologici. Gli effetti negativi si concentrano in particolare sul sistema immunitario, i cui squilibri si ritiene siano alla base dell’aumento di incidenza di malattie invalidanti come la sclerosi multipla, le malattie autoimmuni, la maggiore suscettibilità alle infezioni. Inoltre sono sempre più evidenti gli effetti cancerogeni delle radiazioni elettromegnetiche ed esistono studi ormai avanzati sull’aumento di incidenza di leucemie e altre neoplasie in abitanti nelle vicinanze di sorgenti elettromagnetiche. Sono stati dimostrati anche effetti sulla psiche in particolare l’ansia e l’insonnia. L’impianto fotovoltaico è all’origine di alterazioni biologiche anche negli animali dove si riscontra diminuzione di fertilità, aumento di mortalità e alterazioni biologiche  e comportamentali.
Terzo relatore il dottor Iacoviello, presidente del Comitato Ambiente, Paesaggio, Salute e Sicurezza,  il quale in un ampio intervento descrive l’impatto veramente impressionante del fotovoltaico e dell’eolico dul territorio. Descrive le implicazioni legali e amministrative legate agli impianti che configurano vere e proprie truffe ai danni dei cittadini. Riferisce in proposito a quel che avviene riguardo alla classificazione acustica della zona (“zonizzazione acustica”) con l’arrivo delle costruzioni della “green economy”: appena impiantato l’eolico la zona viene immediatamente riclassificata da zona verde di campagna a zona industriale e automaticamente si alzano le tolleranze (da 30 decibel a centinaia di db). Ma il rumore acustico, peraltro un ronzio estremamente fastidioso e disturbante, non è il solo. Viene riportato anche l’effetto dei cosidetti “infrasuoni” che consistono in vibrazioni con frequenza inferiore a quella del suono, le quali sono particolarmente in grado di alterare la percezione, la sensibilità, procurando alla lunga un senso di stordimento, incapacità a concentrarsi, cefalea, vertigini, ansietà e insonnia. Molto disturbo reca anche l’ombreggiamento dovuto alle torri (spesso alte anche un centinaio di metri) e alle pale rotanti che provocano alternanza di luce e ombra con alterazioni visive. Accenna soltanto all’effetto distruttivo sull’aviofauna e su altre specie su cui verrà riferito in seguito da un altro relatore. Non meno devastanti delle torri sono le opere per l’accesso ai “parchi” eolici che richiedono chilometri e chilometri di strade di accesso , scavi, sbancamenti, sopraelevazioni, terrapieni. Nel sito della torre si deve fare una buca di decine di metri di lato e di profondità che deve poi essere riempita di calcestruzzo. Una volta fatti gli impianti, smantellarli è impossibile e comunque molto costoso. Si giunge al ridicolo quando le ditte costruttrici e le amministrazioni compiacenti parlano delle strade di accesso agli impianti come di “piste ciclabili”. Domina il politically correct. Vi è il problema poi delle centraline di raccolta dell’energia e degli elettrodotti che si trovano in vicinanza di centri abitati con alto inquinamento elettromagnetico. Il dottor Iacoviello riferisce poi delle vere e proprie truffe amministrative con certificazioni non veritiere che spesso sono dietro alle license di costruzione di questi impianti. Si approvano infatti progetti eolici su cartografie false: il territorio interessato viene spesso rappresentato con carte vecchie, prive di costruzioni recenti, con classificazioni alterate, non figuranti come ZPS (zone di protezione speciale). Viene portato l’esempio di ciò che è avvenuto a Piansano o in Basilicata. Iacoviello conclude ricordando che è in atto una speculazione industriale dietro la copertura tranquillizzante del termine  “Green Economy”, speculazione che distrugge il territorio, i campi agricoli, la salute degli abitanti, e arricchisce spesso le mafie. A questo proposito viene portato l’esempio di un grande parco eolico, richiedente milioni di euro di investimenti,  la cui impresa costruttrice risultava intestata ad un pregiudicato di Caserta ufficialmente nullatenente. Accenna poi ai progetti in cui viene minimizzato l’impatto ambientale con “foto a testa bassa” fatte con lo scopo di far risultare bassissimo l’impatto ambientale in realtà devastante. Ma oltre l’impatto estetico vi sono casi di pericolosità degli impianti (foto di pale rotte, scagliate a distanza, rotori incendiati, blocchi di ghiaccio scagliati a decine di metri dall’impianto,ecc.).
Prende la parola Vincenzo Ferri, naturalista, che dice per prima cosa che bisogna smetterla con il chiamare “parchi” eolici o fotovoltaici questi ecomostri, si tratta di un nome-truffa. Si fa una domanda: l’agricoltore che lavora in un campo eolico o nei pressi di uno fotovoltaico quante radiazioni elettromagnetiche riceve? Sempre più questi impianti riguardano aree protette come le ZPS e le SIC ( siti di importanza comunitaria). Nel 2000 sono apparse le prime torri tripala. Oggi si stimano in 7500 gli impianti esistenti, di cui solo 2000 funzionano realmente. Mancano i collegamenti con la rete elettrica e gli elettrodotti. Nasce il sospetto che la maggior parte degli impianti sia servita a riciclare denaro e non per entrare in funzione. Si assiste già ad alcuni impianti abbandonati che stanno come opere metafisiche in un paesaggio surreale, e a nessuno importa di togliere l’impianto inutile, sia per le spese richieste che per la difficoltà dell’impresa (in particolare per le torri, le grandi basi in cemento, gli elettrodotti ecc.). Il dottor Ferri riferisce poi dell’azione devastante delle pale sulla fauna aviaria. Mostra una serie di foto con uccelli spiaccicati dalle pale, ma la maggior parte sono pipistrelli che in ragione di 10 a 1 prevalgono sugli uccelli (cornacchie, tordi, ma anche aquile, falchi ecc.). All’inizio gli impianti a pale erano montati su tralicci ma oggi sono vietati: gli uccelli vi si installavano e le loro deiezioni richiamavano animali e insetti alla base e ulteriore fauna aviaria con alterazione di tutto l’equilibrio faunistico della zona. Per finire riassume così lo stato dell’eolico: inconsistenza energetica: poco vento e basse energie prodotte. Disastro paesaggistico e faunistico.
Il successivo relatore è l’agricoltore Piero Romanelli (testimonianza della 1° vittima) che lavora i campi al confine tra la Toscana e l’ Emilia Romagna. E’ un intervento forte, passionale, che colpisce tutti. Si definisce vittima dell’eolico. Cacciato da Legambiente perché non in linea con il “partito” (risate nella sala). Nella zona interessata in cui si trovavano i suoi campi era stata cambiata prima la determinazione acustica da parte del comune e per invogliare i residenti avevano promesso anche la riduzione della bolletta della luce (cosa mai avvenuta).  L’impianto fu costruito.  Il rumore è pazzesco e si sente anche a 1 chilometro e duecento metri di distanza. "Devo lavorare con le cuffie, ma il rumore penetra lo stesso, ti entra nel cervello. Sentivo la testa pesante, avevo spesso mal di testa e malessere. Un giorno sono svenuto e, portato al Pronto Soccorso, è stata diagnosticata “Wind Turbin Sindrome. E’ una patologia caratterizzata da tremori, tachicardia, vertigini, senso di pressione alle orecchie, ansia, insonnia, malesseri. Vado a cercare un’altra casa a 5 chilometri di distanza. Ho iniziato una causa legale che è ancora in corso. Mi sono stati offerti soldi che ho rifiutato. Quello che è peggio non è il rumore, ma le vibrazioni, gli infrasuoni. Sapete quanto è la resa dell’impianto? Il 2,5 % di energia, bassissima. Intorno nella stessa zona stanno consumando terreno agricolo per costruire impianti di fotovoltaico a terra. Un altro disastro".
Poi è la volta della 2° vittima, Carmine Mastropaolo di Campobasso. "Dopo anni di sacrifici mi ero comprato una casa in campagna, la mia unica casa. Hanno fatto una specie di blitz e in men che non si dica hanno impiantato intorno alla mia proprietà  un “parco” -ma meglio dire campo-  fotovoltaico che era progettato all’inizio da 3 MW poi scesi a 1 MW. Alle mie rimostranze sono stato minacciato di adire alle vie legali. Siccome si va contro il Totem della “Green Economy” si ha torto per definizione. I primi inpianti di pannelli stanno a 20 metri dalla porta di casa e hanno posto una cabina a 60 metri. Mi hanno offerto denaro per stare buono. Il paesaggio intorno alla mia casa era meraviglioso, colline verdi, alberi rigogliosi: hanno distrutto tutto, il paesaggio non è più riconoscibile. Quelli del paese non ci tengono, non gliene frega niente, non c’è stata reazione alcuna. Gli esperti del paesaggio e per l’impatto ambientale hanno dato parere positivo! Vieni accusato di non volere i posti di lavoro, di intralciare l’interesse pubblico (ma si tratta di interesse pubblico o privato?).  Dormire vicino all’  “Inverter” non fa bene, abbiamo cominciato a presentare danni da elettromagnetismo, mal di testa, stanchezza. Mia figlia si è ammalata ed è stata fatta diagnosi di cardiopatia da streptococco".
E’ la volta di Michele Petraroia, consigliere regionale del Molise
Il Molise è la regione con il più alto numero di pale eoliche rispetto al territorio. Imprese e autorità locali non si fermano di fronte al paesaggio, alle aree di alto valore archeologico e di interesse culturale. Riferisce a questo proposito il caso del sito archeologico di Sepino (Molise), l’antica Altilia-Saepinum –prima roccaforte dei Sanniti e poi cittadina romana- classificata SCUDO BLU INTERNAZIONALE dal 2010 -  (ICBS International Commitee of the Blue Shield), fondato nel 1996, prende il nome dal simbolo specificato nella Convenzione de L’Aja (1954) a protezione dei Beni Culturali, per la difesa dei quali vengono promosse azioni di protezione, prevenzione e sicurezza in tutte le situazioni rischiose, come i conflitti armati e le calamità naturali-. Sono 9 anni che si combatte contro un’impresa che vuol mettere su pale eoliche alte 130 metri, le più alte mai costruite in Italia sul sito di Sepino. Poiché in origine del progetto un sovrintendente ai beni culturali ha dato parere positivo, l’impresa in questione ha vinto tutti i ricorsi e ha avuto ragione ben 4 volte al Consiglio di Stato. Sono 136 le associazioni locali   che si oppongono al progetto. Ma la legge normativa 94 sull’interesse pubblico consente l’esproprio forzoso. Poiché ad un certo punto è intervenuto un funzionario del Ministero dei Beni Culturali che voleva bloccare la costruzione dell’impianto, l’impresa gli ha richiesto un risarcimento danni di 20 milioni di euro. Purtroppo spesso in Italia si danno, da parte dei poteri locali, autorizzazioni senza il parere della sovrintendenza. Con sentenza del 17 maggio 2012, per un progetto di costruzione di impianti rinnovabili in un’area protetta per la presenza di tratturi, sono nulle le autorizzazioni delle regioni se non c’è il parere positivo della sovrintendenza (sentenza n. 033009 del Consiglio di Stato). L’impresa costruttrice è di proprietà di un dipendente della provincia di Caserta che risulta senza altri redditi. I terreni vengono brutalmente espropriati agli agricoltori, che spesso vivono della terra su cui lavorano, anche solo per la viabilità di accesso e di collegamento degli impianti. In seguito al massiccio deturpamento del paesaggio perfino la regione Molise ha deciso linee guida restrittive per l’edificazione di nuovi impianti (ad esempio norme per le distanze minime da abitazioni, aree protette ecc.) ma la Corte Costituzionale le ha bocciate. Le istituzioni sono pre-orientate a favore della cosidetta Green Economy. Anche per le ZPS e le SIC ora si può fare riferimento solo a leggi nazionali ed europee, che sono tutte a favore della Green Economy. Purtroppo i punti per contrastare questa violenza impositiva delle istituzioni sono pochi, come la distanza minima o il concetto di aree non idonee. La rete di interesse a favore delle rinnovabili è potente e consistente per una elevata quantità di denari in gioco ed è difficile per i singoli o le comunità di cittadini reggere alle pressioni. Per  fortuna un funzionario dello Stato, Gino Famiglietti, della sovrintendenza ai beni culturali, con i suoi veti e pareri ha salvato il Molise da una devastazione generale: se i programmi di Green Economy fossero andati avanti senza contrasti tutte le aree verdi del Molise sarebbero state distrutte o rovinate; in alcuni casi hanno buttato giù alberi secolari, devastato aree agricole produttive, paesaggi incontaminati da secoli. Per impiantarvi campi fotovoltaici, pale eoliche giganti, elettrodotti, colate di cemento, svasamenti di terra, strade di accesso e collegamento, centraline, ecc. E’ necessario, necessario, terminare  incentivi sballati, erronei, e selezionare i finanziamenti evitando una terminologia superata e distruggendo modelli economici compatibili. Non si può più parlare di pubblica utilità per interessi ben determinati e tutt’altro che pubblici. Per l’esproprio forzoso si ricorre ancora alla legge n.1773 del 1933 sugli espropri. La legislazione deve essere ricondotta dall’interesse pubblico a quella che effettivamente si tratta: Impresa Privata. Un consiglio ai cittadini che, riuniti in comitati, cercano di opporsi ricorrendo alle commissioni per l’impatto ambientale e alle sovraintendenze: indicare sempre alternative come microimpianti, bioedilizia, risparmio energetico, geotermia ecc. "Purtroppo devo anche denunciare un fatto: le imprese costruttrici degli impianti della cosidetta green economy hanno i loro tecnici che lavorano DENTRO i comuni, le regioni, perfino a palazzo Chigi presso i funzionari della Presidenza del Consiglio". Influenzano così direttamente le decisioni prese, facendosi schermo del politically correct, dell’energia rinnovabile equa e sostenibile…
Dopo il pranzo nel pomeriggio sono intervenuti altri relatori tra cui Daniele Cavilli: come le cosidette energie “alternative” trasformano (e cancellano) le identità culturali.
Vittorio Fagioli, Presidente della CISA (Comitato Interregionale Salvaguardia Alfina). Giorgio Barassi: illustrazione dei paesaggi prima e dopo l’installazione di impianti eolici.
Avv. Fausto Ceruli: aspetti di legislazione, sentenze, giustizia su rinnovabili e ambiente.

A conclusione si può dire che è ormai coscienza sempre più diffusa che la cosidetta Green Economy esprime spesso interessi economici di imprese a volte legate a poteri finanziari e a volte a poteri locali o infine a poteri di cosca, che si fanno schermo dell’interesse pubblico e del movimento culturale e politico a favore delle energie alternative. Nella realtà si tratta di una appropriazione per lo più ingiustificata di denaro pubblico e della messa in opera di impianti devastanti per l’ambiente e il paesaggio del nostro paese, sempre più povero di aree verdi. La presenza di torri eoliche, di elettrodotti, di sterminate coperture di pannelli di silicio, e dei rumori e degli effetti connessi, lungi dall’inserirsi armonicamente, toglie l’anima alla terra e al paesaggio. Nel corso del dibattito si è riferita la vicenda di una signora veneta che, trasferitasi dalla città rumorosa e inquinata, in campagna per vivere una vita più serena e a contatto della natura, aveva visto le terre intorno alla sua casa devastate da torri eoliche: non solo il danno economico, visto che recatasi ad una agenzia per rivendere la fattoria si è vista rispondere che il valore si era quasi azzerato. Ma soprattutto  il danno morale di una perdita di identità e senso: “non sono venuta in campagna per trovarvi inquinamento acustico, elettromagnetico, e devastazione ambientale. Cercavo la pace ho trovato l’inferno”.

sabato 29 settembre 2012

Cementificazione e Agricoltura




  1. Riporto la seguente lettera dell'agronomo Giuseppe Sarracino a proposito del continuo e sempre più rapido  consumo di territorio agricolo in Italia
    Siamo ancora in tempo ?
    Il rapporto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali “ Costruire il futuro difendere l’agricoltura dalla cementificazione” presentato il 24 luglio pone con forza una riflessione su quanto sta accadendo in Italia da decenni.
    Dati impressionanti rilevano ancora una volta, le cattive politiche di pianificazione e di programmazione che hanno prodotto una forte perdita di superficie agricola e i cui effetti stanno provocando danni all’ ambiente, al paesaggio e alla produzione agricola, mettendo in serio pericolo la sicurezza alimentare della popolazione italiana.
    Tra il 1971 e il 2010 si è avuta una diminuzione di superficie agricola utilizzata (S.A.U.) di 5 milioni di ettari, pari al territorio occupato dalla Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna.
    Le cause che maggiormente incidono sulla perdita di superficie agricola sono da attribuirsi essenzialmente a due fenomeni: il continuo abbandono dei terreni, e l’impermeabilizzazione del suolo. Quest’ultimo fenomeno ogni giorno interessa 100 ettari di suolo, provocando danni irreversibili in genere ai terreni migliori ( aree pianeggianti ).
    Dal 1970 la S.A.U. è diminuita del 28% interessando soprattutto quelle superfici coltivate a seminativi (-26%) e prati permanenti (-34) vale a dire i prodotti di base dell’alimentazione degli italiani quali: pane, pasta, riso, carne, verdure, latte e tutto questo è avvenuto mentre si registra un aumento della popolazione. La continua perdita di terreno agricolo condurrà il nostro Paese a dipendere sempre di più dall’estero per l’approvvigionamento alimentare. Il Trattato di Roma del 1957, art. 33, poneva l’obiettivo prioritario di “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari” ai propri cittadini, raggiunto dopo anni, oggi è messo in serio pericolo tanto che l’insufficienza della produzione agricola possa condurre l’Italia a dover dipendere per la sua alimentazione da paesi esteri! Il rapporto presentato, allarga la sua analisi non solo ai prodotti alimentari ma all’insieme dei prodotti colturali quali: alimentari, fibre tessili, biocarburanti, evidenziando come il nostro paese consumi più di quanto il proprio suolo agricolo è in grado di produrre. Ciò è dovuto al forte “ deficit di suolo agricolo” infatti, l’Italia, è il terzo Paese nell’Unione per deficit di suolo agricolo e il quinto nel mondo. Ciò vuol dire che abbiamo appena 12 milioni di ettari a fronte di 61 milioni di ettari necessari per coprire i consumi della popolazione in termini di cibo, fibre tessili e biocarburanti. Quali sono quindi le conseguenze di un deficit di 49 milioni di ettari di suolo?
    La dipendenza alimentare dell’Italia potrebbe divenire una variabile delle dinamiche economiche, demografiche, sociali e geopolitiche dei paesi produttori di risorse alimentari che nel breve periodo avrà una forte influenza sui prezzi dei prodotti e nel medio lungo-periodo potrà accrescere il rischio di scarsità alimentare. Da una stima fatta dell’European Commission nel 2011, è stato calcolato che nel 2050, cioè tra trentasette anni, la domanda dei prodotti agricoli su scala mondiale crescerà del 70% mettendo sottopressione i sistemi ambientali agro-alimentare. Possiamo ancora permetterci di non difendere i nostri suoli, e in modo particolare quelli più produttivi, dai processi di cementificazione che da anni avvengono su tutto il territorio nazionale?
    Infatti i fattori che maggiormente provocano la sottrazione di suolo agricolo in Italia, sono essenzialmente due: l’abbandono delle terre e la cementificazione. Quest’ultimo incide notevolmente sulla minore produzione agricola poichè interessa i terreni fertili e posti in pianura, nonché quelli limitrofi alle città ricche di infrastrutture e di facile accesso. La cementificazione o impermeabilizzazione dei suoli, non è altro che il risultato delle più scellerate politiche di pianificazione del territorio fatte da anni in Italia. Essa denota la mancanza culturale attribuendo all’ambiente e all’agricoltura uno scarso valore.
    Dal 1950 a oggi la popolazione è cresciuta del 28% mentre la cementificazione del 166%, che in termini di superficie vuol dire aver coperto, un territorio grande quanto la Calabria. In Italia in 15 anni dal 1995 al 2009 i comuni hanno rilasciato complessivamente permessi per costruire 3,8 milioni di metri cubi, una urbanizzazione che in molte realtà italiane ha significato cementificare l’intera città.
    Senza volere approfondire gli effetti che la continua sottrazione di suolo ha sull’ambiente, sia in termini di alterazione del paesaggio che di compromissione dell’ecosistema, occorre sottolineare quanto denunciato dal rapporto del Ministero dell’agricoltura ovvero la continua sottrazione di suolo la quale sta creando seri problemi alle produzioni agricole minacciando la sicurezza alimentare della nostra popolazione. E’ un tema per certi aspetti inedito nel panorama culturale del nostro bel Paese, che richiede la più totale attenzione da parte delle forze politiche, istituzionali e dei cittadini per evitare di trovarsi a dipendere per il proprio fabbisogno alimentazione da paesi di altri Continenti.
    Il disegno di Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo presentato dal Ministro dell’agricoltura, rappresenta un atto di notevole importanza: esso pone fine ad un uso incontrollato del terreno da parte dei comuni, determinando “ l’estensione massima di superficie agricola edificabile sul territorio nazionale ”. Si tratta di una legge di grande valore storico in quanto a ogni comune sarà posto un limite massimo di utilizzo di suolo per funzioni diverse da quelle agricole. Siamo ancora in tempo ?
    Giuseppe Sarracino
    Agronomo
    Dal sito www.salviamoilpaesaggio.it

venerdì 28 settembre 2012

Domani 29 settembre il Convegno contro le "rinnovabili"

                             (Il borgo di Torre Alfina)

Ricordo agli interessati che domani 29 settembre si terrà il Convegno a Torre Alfina (frazione di  Acquapendente-Vt) organizzato dal Comitato Nazionale contro Fotovoltaico ed Eolico nelle Aree Verdi. Il convegno si terrà con inizio alle 9,30 presso l'Albergo Nuovo Castello.  La riunione  è finalizzata a denunciare le speculazioni  che vengono portate avanti dietro il paravento delle cosidette energie rinnovabili e per opporsi alle deturpazioni del paesaggio italiano cui stiamo assistendo con l'installazione di impianti in aree verdi di alto valore paesaggistico. 

lunedì 24 settembre 2012

IL REATTORE A FUSIONE FREDDA- LENR DEL PROF. MILEY OTTIENE IL BREVETTO NEGLI USA






La notizia è ufficiale: per la prima volta un reattore LENR (a cosidetta “fusione fredda”) ha ottenuto un brevetto negli Usa. Si tratta del reattore sviluppato da George Miley , Professore emerito di Ingegneria nucleare ed elettronica all’Università dell’Illinois- Usa ( Us Patent Office: Patent n° 8227020  del 24 luglio scorso). Non si conoscono ancora le implicazioni che comporta questo brevetto, ma si tratta certamente di una buona notizia per il Professor Miley e le LENR. Sembra che il brevetto ottenuto da Miley citi una serie di possibili applicazioni della tecnologia (gli studi sono stati condotti in collaborazione con la Nasa per lo sviluppo di sistemi di produzione di energia per le navicelle spaziali). L’aspetto affascinante del lavoro di Miley è che egli è in grado di generare calore senza riscaldare il dispositivo con resistenza elettrica. Miley ha iniziato un’impresa commerciale a Champaign (Illinois) all’inizio di quest’anno, chiamata Lenuco, con l’intento di passare in tempi -si spera brevi- alla produzione dei nuovi reattori.

Dalle pubblicazioni reperibili sul sito dell’Università dell’Illinois si possono ricavare alcune caratteristiche del nuovo reattore LENR. L’apparecchio ha alcune somiglianze con l’E-Cat di Rossi, ma ci sono importanti differenze riguardanti le nanoparticelle contenenti   Palladio e per la composizione e la costruzione della cella. L’apparecchio utilizza gas di Deuterio (ma può essere impiegato anche idrogeno) che viene messo a contatto con fitte nanoparticelle di Palladio, producendo 1479 J di calore, ben al di sopra del massimo esotermico di 690 J che si otterrebbero da ogni possibile e concepibile reazione chimica. Il guadagno di energia è virtualmente illimitato a causa della potenza di ingresso trascurabile del carico di gas. E’ stato  misurato nelle prove un Cop  di 70 dopo 4 ore di funzionamento (Cop iniziale, dopo pochi minuti dall’accensione,  di 7).
Le nanoparticelle sono fabbricate da studenti della Unità  di laboratorio di ricerca sui materiali dell’Università dell’Illinois. In uno dei primi esperimenti riportati il carico di 60 psi di gas D2 ha causato l'aumento di temperatura da ca. 20 oC a ca. 50 oC. L'ulteriore aumento di temperatura da ca. 50 oC a ca. 140 oC si è verificato durante lo scarico del gas (nessuna quantità di energia, sia termica che elettrica,è stata immessa dall'esterno). 
Alcuni prodotti di reazione sono leggermente radioattivi quale He4 prodotto dalla reazione D-D e il decadimento beta produce  possibili raggi gamma, ma con il loro corto raggio, la radiazione da entrambi i prodotti può facilmente essere contenuta senza necessità di dispendiosi sistemi di isolamento.
L’apparecchio attuale è ancora ingombrante e di un certo peso, ma sono in studio sistemi di miniaturizzazione che consentano di sfruttare l'enorme energia rilasciata dalla reazione Lenr in un sistema estremamente compatto e con la possibilità di produrre energia per lungo tempo.
Il caricamento del gas nelle nanoparticelle consente al reattore di lavorare a temperature elevate  e quindi di assicurare un buon coefficiente di conversione tra energia termica ed elettrica.


(Dai siti : www.lpi.usra.edu ;   www.lenr-coldfusion.com)

sabato 22 settembre 2012

DALLA CINA UN NUOVO PERICOLO PER IL MONDO




Da notizie di stampa si apprende che nel prossimo Congresso del Partito Comunista Cinese che si terrà a ottobre del 2012 a Pechino (ma qualcuno parla di slittamento di qualche mese per difficoltà interne di leadership), è all'ordine del giorno la proposta di revocare la legge cinese del "figlio unico".  Si tratterebbe di una vera tragedia per il pianeta. La legge che ha imposto il figlio unico in Cina, in vigore da più di trent'anni,  ha infatti determinato secondo stime attendibili una popolazione attuale di circa 500 milioni di cinesi in meno rispetto a quella che si sarebbe prodotta senza la legge, il che significa un minor impatto ambientale della popolazione umana della Terra con minor immissione di CO2 nell'atmosfera, minor cementificazione e devastazione ambientale, minor emigrazione verso i paesi occidentali, minor distorsione dei mercati con minor mano d'opera a prezzi bassissimi, minori polluzioni di tossici ambientali ecc. Purtroppo si sentono, anche nei media occidentali, commenti che plaudono alla probabile decisione del PCC di revocare la legge. Rai news ad esempio ha commentato: in Cina si sente la necessità di più bambini e si comincia a guardare alla famiglia numerosa come ad un diritto...
Ciò dimostra in primo luogo la difficoltà che la cultura di salvaguardia del pianeta ha ad affermarsi, anche da noi in occidente e presso un pubblico intellettualmente dotato. La verità è del tutto diversa da quella che traspare dai midia del politically correct: la fine della politica del figlio unico in un paese di un miliardo e mezzo di abitanti  significa una futura prossima esplosione demografica che porterà in pochi anni la Cina a due miliardi di persone con la conseguente necessità di aumento della produzione, del consumo di energia (cioè carbone, gas e petrolio come sta già avvenendo), dei consumi, della cementificazione e della emigrazione verso altri paesi. Tutto questo in un pianeta dove gli scienziati prevedono prossime catastrofi per lo scioglimento dei poli, per il riscaldamento globale, per l'effetto serra da combustione di idrocarburi, per l'aumento di fumi e particolati e sostanze tossiche immesse nell'ambiente, per l'esaurimento delle fonti idriche, per il consumo di altre risorse in via di esaurimento,  ecc.
Segnali drammatici per il problema sovrappopolazione provengono anche da altre regioni della Terra, in particolare dall'Africa dove è prevista l'esplosione demografica più devastante nei prossimi decenni: da settecento milioni a due miliardi di abitanti. Qui il disastro è collegato al ritardo economico, al mancato sviluppo, all'assenza di politiche sanitarie e di igiene della gravidanza, alla totale assenza di cultura ambientale e di controllo demografico, complici le religioni nataliste come quella islamica e quelle cristiane che si stanno diffondendo in tutto il continente (anche per l'assenza di una cultura laica in grado di tenere testa a quella religiosa). L'Europa e l'Occidente hanno in questo caso una grave responsabilità  perché con la fine del colonialismo si sono ritirate dal continente con il senso di colpa  e lasciando libero spazio agli integralismi. L'Occidente si è limitato alla politica dell'aiuto fine a se stesso (politica dei "sacchi di farina") senza avere la lungimiranza e la capacità di iniziare e guidare in Africa un processo di sviluppo culturale e scientifico in grado di contrastare i facili messaggi degli integralismi religiosi.
Il rischio che il Congresso del PCC interrompa uno dei pochi esperimenti demografici che hanno avuto successo negli scorsi decenni (quello indiano è stato quasi un fallimento), espone il pianeta Terra ad una accelerazione verso il collasso ambientale globale; sarebbe necessario una pressione politica e culturale verso la Cina che però nessuno sembra in grado di attuare.

venerdì 21 settembre 2012

CHI SPECULA SULLO SCIOGLIMENTO DEL POLO NORD




 Il Polo Nord si sta sciogliendo ad un ritmo sempre più accelerato. Se prima c'erano dei dubbi oggi non ci sono più. Non si tratta di cicli che si ripetono: la situazione è senza precedenti. Le foto satellitari, gli studi diretti sui ghiacci parlano chiaro: il Polo ha gli anni contati. Il Polo Nord è fondamentale per il pianeta, è l'elemento refrigeratore che rende il clima temperato, che assicura le stagioni, che regola le correnti aeree e marine favorendo la vita e l'ambiente che la rende possibile. Il ghiaccio marino è un “coperchio lucido” sulla parte superiore del Mar Glaciale Artico che riflette la maggior parte della luce solare e la rigetta verso lo spazio. Quando si scioglie, in mare aumenta anche la quantità di calore assorbito dalle acque, che a loro volta, in un circolo vizioso, riscaldano l’atmosfera sovrastante.
Per fermare il riscaldamento non basterebbe più ridurre gradualmente le immissioni da parte dell'uomo di CO2 nell'atmosfera: i tempi sarebbero troppo lunghi e già il protocollo di Kyoto, il tentativo più serio delle nazioni per ridurre la combustione di idrocarburi, è fallito. Gli scienziati stanno pensando a soluzioni sempre più strane e pericolose. Alcuni propongono di riversare ferro negli oceani –secondo quanto pubblicato in un articolo su “Nature”- in maniera da far sviluppare il plancton che favorisce l’assorbimento in mare dell’anidride carbonica. Ma c’è anche chi propone di costruire dei grandi generatori di vapore da immettere nell’atmosfera per favorire l’effetto filtro sui raggi solari da parte delle particelle di acqua micronizzate. “Le Scienze” riporta la proposta di alcuni scienziati di sparare ad alta quota nell’atmosfera tramite aerei cisterna enormi quantità di solfuro dimetile che ha la proprietà di addensare vapore e favorire la formazione di nubi, con lo scopo di schermare i raggi solari e rinfrescare il pianeta. Purtroppo nessuno o ben pochi  affrontano il problema alla radice e ammettono la realtà: il riscaldamento globale e l’effetto serra dipendono dall’enorme numero di individui della specie Homo Sapiens che consuma ad un ritmo sempre più rapido le risorse del pianeta. Sette miliardi di umani, avviati a divenire presto 10 miliardi, immettono ogni anno trilioni di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera. E invece di bloccare la combustione di idrocarburi, tutti dico tutti -compresi gli ambientalisti e i movimenti verdi-, si danno da fare per aumentare l’estrazione di energia da petrolio, gas e carbone. 

Ma oltre al danno c’è anche la beffa. Giordano Mancini nel suo sito GenitronSviluppo.com descrive in un articolo gli interessi economici e geostrategici che ruotano intorno allo scioglimento del Polo Nord. Sembra incredibile ma è così: molti, tra cui le multinazionali del petrolio, sperano nella fine del Polo per avere accesso alle risorse petrolifere e di gas che nasconde. Quindi chi è responsabile della fine dei ghiacci artici è anche chi spera –irresponsabilmente- di avvantaggiarsene, fregandosene del destino della Terra e delle specie viventi. Senza contare la cecità di governi che ancora ragionano in termini di potere strategico in un mondo che sta morendo. Riporto di seguito l’articolo.




Il progressivo scioglimento dei ghiacci del polo nord risveglia il virus della guerra fredda e accelera la militarizzazione del Circolo Polare Artico. 
(di Giordano Mancini)
Lo scioglimento dei ghiacci del polo nord, con il record del 2007, sta risvegliando gli appetiti delle nazioni che si affacciano sul circolo polare artico. Si calcola che sotto i mari del grande nord ci sia circa il 25% delle riserve mondiali di idrocarburi; poi comincia a diventare possibile andare a pescare in zone ricchissime di pesce e ancora quasi intatte. Infine si stanno aprendo in maniera stabile nuove rotte commerciali molto importanti, ovvero il cosiddetto “passaggio a nordovest”, fra gli arcipelaghi polari di Canada ed Alaska, ed il “passaggio a nordest” a nord della Russia. Il primo è particolarmente importante perché modifica gli equilibri strategici rendendo meno importante il canale di Panama controllato dagli USA.
Russia

I primi “movimenti” per mettere il cappello sulle risorse del Polo nord li fece la Russia nel 2007. A conclusione di una missione scientifica un sommergibile russo ha posto sui fondali artici, a 4.261 metri di profondità, una bandiera della Federazione Russa, contenuta in un cilindro di titanio. La rompighiaccio atomica Rossya ha spianato la strada ai ricercatori e ai loro sommergibili. La missione voleva trovare le prove per dimostrare che la dorsale Lomonosov – una catena montuosa sottomarina che attraversa la regione polare – è un’estensione del territorio russo continentale. In base alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del mare, in questo modo diventerebbero russe 460mila miglia quadrate di fondale artico. Da allora ci sono state numerose esercitazioni militari aereonavali complesse nell’artico e la Russia ha ripreso a pattugliarne i cieli con i bombardieri Tupolev-95 e ad inviare sotto la calotta i propri sottomarini, proprio come durante la guerra fredda.
Norvegia e… Italia
Naturalmente tutti gli altri non sono rimasti a guardare. Il 1° agosto 2009 la Difesa norvegese spostava il suo comando operativo da Stavanger portandolo molto più a nord, nei pressi di Bodo. In questo modo potrà meglio seguire le questioni militari inerenti la disputa con i russi nel mare di Barents, attorno alle isole Svalbard. In quell’area ha forti interessi economici anche l’Italia, che con Eninorge sta tentando di acquisire la società Artic Gas (già facente parte del gruppo russo Jucos). Lo scopo è quello di gestire gli importanti giacimenti di gas naturale presenti nell’artico occidentale russo.
Al momento le attività nel mare di Barents riguardano le esplorazioni per la stima del potenziale minerario del grande giacimento denominato Goliath, situato a circa 80 km a nord di Hammerfest. Fin dal 2000 Eninorge sta sviluppando un progetto che porterà allo sviluppo di nuove tecnologie per arrivare a produrre 150.000 barili di petrolio al giorno equivalenti, attraverso le fasi di shipment a terra e la reiniezione di gas naturale nel giacimento. Una cosa molto complicata lavorando a bassissime temperature con una profondità di 370 metri di acqua e poi 1.800 metri di roccia. Ci vorrà una piattaforma speciale ancorata con dei cavi. (vi ricorda qualcosa??).
Stati Uniti e Canada

Tornando alle questioni militari, gli USA che si affacciano sul Circolo Polare Artico grazie all’Alaska, hanno rafforzato il loro dispositivo militare. In Alaska ci sono sempre state basi con i radar di primo avvistamento, perché in caso di attacco portato con missili e/o bombardieri nucleari, ovviamente sarebbero passati sull’Artico, che è la via più breve. Però adesso sono state realizzate esercitazioni aereonavali congiunte, con il Canada in particolare.
Gli USA hanno varie basi nel territorio dell’alleato, in particolare nelle isole di Ellesmere e di Baffin. Il Canada, fra le altre cose, ha avviato la costruzione di 8 unità navali rompighiaccio armate della classe “Polar”. Ognuna sarà lunga 100 metri e dislocherà 6000 tonnellate. Ottawa ha annunciato la costruzione di una nuova base dell’esercito a Risolute Bay sull’isola di Cornwallis a 600 km dal Polo e un nuovo porto per il rifornimento delle unità navali militari a Naniskiv. Infine sta trasformando il suo strumento militare per renderlo più agile e pronto alla risposta, su modello di quello USA. Questi ultimi hanno anche una grande base aereonavale a Thule, in Groenlandia. E questo ci porta a parlare dell’ultimo attore di questa nuova corsa agli armamenti nell’artico: la Danimarca. Si ritiene che, all’attuale ritmo di scioglimento, a breve la Groenlandia, terra a sovranità danese, risulterà per una buona metà libera dai ghiacci. Questo porterà ad un aumento dell’importanza della Danimarca in seno alla comunità europea e anche ad un aumento delle responsabilità militari.
La Danimarca e il Trattato di Llulissat

Copenhagen ha convocato nel 2008 a Llulissat gli stati artici, con il fine politico di inviare un messaggio alle popolazioni locali ed al mondo che tutti i soggetti coinvolti si comporteranno in maniera responsabile quando ci sarà da decidere sul futuro del Mare Glaciale. Con la dichiarazione di Llulissat tutti i firmatari si sono obbligati a risolvere le controversie attraverso la negoziazione, nella speranza di un definitivo abbandono dei miti della “Gara per il Polo Nord”. E la speranza è l’ultima a morire, ma intanto anche la Danimarca fa la sua parte nella militarizzazione dell’Artico.
Non si deve pensare che la costruzione di nuove unità navali o di nuove basi, o la frequente intercettazione da parte degli F16 statunitensi o scandinavi di TU-95 russi, sia il preludio di una prossima guerra per l’Artico. Nessuno dei contendenti ha l’interesse a portare all’estremo il conflitto, perché la “ricompensa” non pagherebbe i costi e lo sforzo e le guerre si fanno sempre per interesse. Però si vede da questi fatti come la mentalità degli stati non cambia affatto e come il vizio di predare le risorse di Madre Terra sia ancora ben presente a oriente come a occidente. Le nazioni dell’Artico, tramite le armi, fanno capire che ci sono e che sono disponibili ed in grado di difendere militarmente i loro interessi.
Un tempo qualcuno scrisse: “L’aratro solca la terra e il fucile lo difende!”. Oggi si potrebbe scrivere: “La piattaforma estrae il petrolio ed il rompighiaccio armato lo difende!”.


mercoledì 19 settembre 2012

IL "NI" DEL GIAPPONE AL NUCLEARE




Il governo giapponese avrebbe detto una specie di no al nucleare, che però è un ni, cioè un mezzo si. In che senso? Nel senso che la chiusura definitiva dei reattori nucleari attualmente in opera (tutti di vecchia generazione) è prevista nel 2040, cioè tra 30 anni. In pratica il nucleare di vecchio tipo continuerà tranquillamente a funzionare in Giappone, ed infatti le centrali che erano state fermate per i controlli di sicurezza dopo Fukushima stanno tutte riprendendo gradualmente  a funzionare. A giugno scorso sono stati riattivati i due reattori della centrale di Oiko. Che ha voluto dire allora il primo ministro Yoshohiko Noda con la dichiarazione del 14 settembre? Semplicemente che non si progetteranno nuove centrali di vecchio tipo (due sono già in costruzione e andranno avanti come previsto). Nei prossimi 30 anni ci sarà tutto il tempo per riaprire il discorso quando saranno pronte le nuove centrali di terza e quarta generazione, tra cui quelle al Torio già in fase pre-operativa. Non dimentichiamo che il Giappone è in prima linea nello studio di queste nuove centrali, su cui è uno dei primi investitori al mondo insieme a Stati Uniti, Cina e Brasile. Senza contare che le prime centrali a fusione calda (vedi il progetto ITER cui anche il Giappone sta dando un contributo sostanziale) saranno pronte per la commercializzazione proprio intorno al 2040, esattamente quando  il paese ha deciso di spegnere le ultime centrali nucleari tradizionali. Il Giappone quindi, di fatto, non farà a meno del 30 % di quota di energia prodotta con il nucleare, come fanno finta di credere i cosidetti ambientalisti, solo prende atto che è necessario, anche per le pressioni della pubblica opinione orientata dai media in maggioranza antinuclearisti -le elezioni sono previste tra un anno-, sospendere il   programma nucleare vigente prima di Fukushima.  Purtroppo sia la decisione del Giappone sia quella della Germania, che ha deciso di fermare gradualmente i suoi reattori fino al 2022, portano acqua al mulino dei produttori di combustibili fossili. L’eliminazione del nucleare di vecchio tipo in questi due paesi , seppur graduale, non potrà che rafforzare la domanda di gas e petrolio (e carbone) per lungo tempo, non essendo in grado le rinnovabili di assicurarsi  quote di mercato più rilevanti e sufficienti a sostituire il nucleare. Non v’è dubbio che a Mosca Gazprom e il Presidente Putin abbiano celebrato la decisione tedesca e giapponese. 

lunedì 17 settembre 2012

"LE SCIENZE" AMMETTE IL FALLIMENTO DELLE RINNOVABILI

Anche sugli organi ufficiali della scienza mainstream  si nutrono dubbi sulle cosidette energie rinnovabili, anzi nel suo editoriale di settembre 2012 il direttore della rivista "Le Scienze" ammette candidamente che ..."le rinnovabili come eolico e solare non sono in sé una soluzione plausibile al problema di sostituire i combustibili fossili nella produzione di energia (...) e che saranno ancora i fossili a farla da padroni e la porta per limitare il riscaldamento globale a 2 gradi Celsius entro il 2100 si sta chiudendo". A rafforzare l'editoriale del Direttore, "Le Scienze" di questo mese pubblica anche un documentato articolo di Vaclav Smil  distinguished professor all'Università di Manitoba, dal significativo titolo: "Energia: l'illusione delle soluzioni facili",  nel quale senza giri di parole, il professore ammette il fallimento delle energie rinnovabili, l'aumento costante di consumo di carbone e petrolio, le aspettative eccessive su eolico e fotoelettrico. "Le risorse che queste forniscono sono limitate, troppo disperse o difficili da catturare e impediscono loro di diventare attori economici significativi nei prossimi decenni". Se non è una campana a morto è molto di più: un funerale.
"Le dimensioni della trasformazione richiesta, la sua durata, la capacità di generazione dei nuovi impianti, le enormi richieste infrastrutturali derivanti dalla densità di energia intrinsecamente bassa delle rinnovabili e la loro immutabile aleatorietà"... Praticamente è una aperta e chiara sconfessione di quello che verdi e ambientalisti ortodossi vanno ripetendo come un mantra: " le rinnovabili ci salveranno". Anche il direttore di Le Scienze Cattaneo prende atto che le rinnovabili si stanno dimostrando inconcludenti e inefficaci per fermare il consumo di fossili, ma non da una soluzione alternativa. Ricorre al solito pannicello caldo: "la migliore opzione per le nazioni avanzate è limitare i propri consumi energetici". Che è come dire che non c'è niente da fare. Nessuno convincerà i trecento milioni di nordamericani o il miliardo e mezzo di cinesi ad andare in bicicletta e mangiarsi frumento abbrustolito. Ormai agli specchietti solari e ai mulini a vento ci credono solo i produttori (ben foraggiati da denaro pubblico) e i politici in cerca di pubblicità con la demagogia delle favolette.

Riporto qui di seguito l'Editoriale di "Le Scienze" di settembre 2012


L'energia di domani


L'editoriale di Marco Cattaneo


Lo scorso anno, a pochi mesi dall'incidente ai reattori di Fukushima Daiichi causato dal devastante tsunami che ha colpito il Giappone l'11 marzo, ci siamo presentati al referendum contro il ritorno del nucleare civile con il nostro solito spirito guascone da derby calcistico: rinnovabili contro nucleare, buoni contro cattivi. Complice un'informazione ingannevole e schierata per lo più sulla base di pregiudizi ideologici anziché su dati realistici. Allo stesso modo, l'euforia per il trionfo referendario ha fatto credere a troppi ottimisti che l'era dell'energia pulita fosse già iniziata.

La cruda verità  -  come spiega Vaclav Smil, uno dei massimi esperti mondiali di questioni energetiche, a p. 44  -  è che c'è poco da stare allegri: né il nucleare né le rinnovabili come eolico e solare sono in sé una soluzione plausibile al problema di sostituire i combustibili fossili nella produzione di energia. Peggio, una soluzione a breve termine  -  e parliamo dei prossimi decenni  -  non è nemmeno immaginabile. Un po' per i limiti intrinseci di molte fonti alternative (il nucleare non è modulabile, le rinnovabili sono intermittenti), un po' per questioni di costi e infrastrutture di distribuzione.

Petrolio, gas e carbone rappresentano ancora l'80 per cento abbondante del consumo di energia primaria nel mondo. E nel decennio 2000-2010 quasi metà dell'aumento dei consumi ha trovato una risposta nel vecchio, sporco, adorato carbone. Infine, per dare l'ultima pennellata a un quadro piuttosto fosco, nel solo 2011 il consumo globale di petrolio è aumentato dell'1 per cento, quello di gas naturale del 2,1 e quello di carbone del 6,6. E il futuro non si prospetta più roseo, se è vero che il rapporto dell'International Energy Agency (IEA) presentato il 29 maggio scorso si intitolava Golden Rules for a Golden Age of Gas, "Regole auree per un'età dell'oro del gas".

Secondo le previsioni dell'IEA e delle maggiori società private del settore energetico, la domanda di energia crescerà del 10 per cento per decennio fino a metà del XXI secolo. E saranno ancora i fossili a farla da padroni. In questo scenario, il World Energy Outlook 2011 si concludeva con un monito inequivocabile: sebbene siano stati fatti timidi passi nella giusta direzione, la porta per limitare il riscaldamento globale a 2 gradi Celsius entro il 2100 si sta chiudendo.

Al momento, sottolinea Smil, la migliore opzione per le nazioni avanzate è limitare i propri consumi energetici. Che non significa rinunciare al proprio stile di vita, ma usare tecnologie ormai affidabili per aumentare l'efficienza delle nostre attività. Un europeo oggi consuma quasi il triplo dell'energia di un cinese o di un brasiliano e un americano più di cinque volte. Sarà difficile chiedere alle nazioni emergenti di fare la propria parte nello sforzo di contenere il cambiamento climatico, se continueremo a dimostrare di non essere in grado di fare la nostra...

venerdì 14 settembre 2012

LORIS ROSSI: ROTTAMARE L’ITALIA DEL DOPOGUERRA






"In Italia bisogna rottamare la spazzatura edilizia post-bellica, senza qualità, interesse storico ed efficienza antisismica. Si tratta di circa quaranta milioni di vani, costruiti tra il 1945 e il 1972-75, che non solo non sono meritevoli di conservazione, ma che andrebbero distrutti quanto prima". E' l'opinione di Aldo Loris Rossi (in foto), urbanista e ordinario di Progettazione architettonica e ambientale all'Università Federico II di Napoli, da sempre sostenitore di politiche di riqualificazione geo-architettonica e paesaggistica delle città italiane. "Le nostre città - continua Loris Rossi - sono oggi in una condizione di ristagno. Questo non ha riscontro negli altri paesi industrializzati dove il rinnovo urbano è una prassi corrente". Le ragioni di tale ristagno sono molteplici ma nascono da una matrice comune: i guasti prodotti, a partire dal secondo dopoguerra a oggi, dalla sovraurbanizzazione, dall’edilizia ad alto rischio di stabilità e dall’abusivismo.

"Dal dopoguerra a oggi si è realizzata la più grande espansione edilizia della storia d'Italia - spiega Loris Rossi - Nonostante la popolazione sia sostanzialmente stabile (ma qui il professore non   considera l’incremento immigratorio di circa dieci milioni di persone negli ultimi 15-20 anni -n.d.r.-) da un quindicennio si è continuato a costruire residenze. Se nel 1945 si registravano 35 milioni di vani residenziali, oggi, assommano a circa 120 milioni; cioè, in quasi 60 anni sono stati edificati circa 85 milioni di vani, quasi due volte e mezzo quelli prebellici ereditati dopo 30 secoli di vita delle città italiane.
 E la cosa più grave è che l’edilizia degli anni ’40, ’50 e ’60 non è antisismica, è stata costruita nell’emergenza e senza garanzie di stabilità, con esempi periodici di collassi improvvisi. Le prime leggi severe sull'edilizia antisismica, infatti, risalgono agli inizi degli anni '70.Inoltre si tratta di edilizia di pessima qualità costruttiva, fatta con materiali scadenti (nel sud il cemento è prodotto spesso da imprese della mafia), con progetti dozzinali o addirittura, nel caso dell’abusivismo, senza.  Si è calcolato che la spazzatura edilizia è fatta di circa 40 milioni di vani. Per disfarcene, l'Ordine nazionale degli architetti aveva lanciato nel 2000 una grande iniziativa: realizzare il fascicolo di fabbricato, fare cioè la radiografia dell'edificio, una sorta di check-up per valutarne lo stato di salute. Se infatti analizziamo l'edilizia post bellica scopriremo che, se non sono antisismici, questi edifici sono a rischio. Il fascicolo di fabbricato è stato istituito dal Comune di Roma e dalla Regione Campania, salvo poi essere dichiarato illegittimo".
Il Tar Lazio prima e il Consiglio di Stato poi, con sentenza 1305 del 28 marzo 2008, infatti, hanno dichiarato il fascicolo del Comune di Roma contrario alla Legge Regionale del Lazio 31/2002 e al principio di ragionevolezza, perché richiedeva indagini urbanistiche, catastali, geologiche e ambientali troppo complesse per i proprietari. Dello stesso avviso la Corte Costituzionale per il “libretto di sicurezza della casa” previsto dalla Regione Campania.

Se dunque un terzo del patrimonio edilizio italiano è a rischio, quali sono i pericoli ai quali si va incontro? "Il cemento armato - continua Loris Rossi - non dura in eterno, quindi, dopo 25-30 anni la resistenza si riduce progressivamente. Personalmente ho assistito alla demolizione di edilizia post-bellica degli anni '40 e '50 e ho notato che dentro il cemento non c'era più il ferro. In pratica il cemento non era più armato, ma 'disarmato'. C'erano solo buchi arrugginiti, addirittura in alcuni casi abbiamo trovato reti di pollaio e filo spinato invece delle barre di acciaio previste dalla normative vigenti. Inoltre, se si usano materiali scadenti e non si rispetta il dettato delle leggi sull'edilizia antisismica, anche le case in cemento armato possono cedere, com'è successo in Abruzzo. Prima che questa edilizia ci cada addosso, le istituzioni dovrebbero muoversi in tre direzioni: salvaguardia integrale dei centri storici e delle aree agricole - beni unici e irriproducibili - e rottamazione con incentivi di quella edilizia postbellica non antisismica e priva di qualità. Ridurre la politica urbanistica a un aumento delle cubature, alla concessione della sopraelevazione o della stanzetta, come nella prima versione del "piano casa" del governo Berlusconi, è un grosso errore: bisogna invece aprire una prospettiva più ampia per rinnovare l'armatura urbana italiana e rimettere in moto l'economia delle città".
(Da articoli di Liquida e Kataweb).

Al  World Urban Forum 2012, svoltosi a Napoli questo settembre Loris Rossi , riferendosi alla Campania ma con un discorso valido per l’intero paese, ha fatto di nuovo appello alla ''rottamazione della spazzatura edilizia post-bellica'' e a un nuovo sviluppo urbano attraverso “ una rifondazione dell’armatura urbana", una diversa pianificazione territoriale che ridisegni un nuovo rapporto tra demografia e paesaggio in grado di restituire all’Italia quella bellezza e quella vivibilità per cui era famosa  anni addietro. Intervenendo nel dibattito l’assessore regionale all’urbanistica Tagliatatela ha aggiunto che bisogna pianificare a “volumetria zero”, quindi senza consumo di nuovo territorio, e che è possibile, attraverso la compensazione ambientale, abbattere per ricostruire, delocalizzare ciò che di brutto è stato realizzato, o collocato in posti ambientali. Basta pensare alle coste della Campania o della Calabria e della Sicilia, completamente cementificate fin –spesso- sulla spiaggia. Si pensi ai danni al turismo e quindi ad un settore centrale della nostra economia che ciò ha comportato. Si tratta di un’impresa, quella auspicata da Loris Rossi, di certo imponente e che richiede l’uso di ingenti risorse, ma in grado di rimettere in moto l’economia e l’occupazione sia nel settore edilizio sia, in seguito, in quello del turismo, restituendo al paese paesaggi, città più belle e vivibili, civiltà e identità culturale. E’ un’opera che può essere programmata e attuata senza fretta, man mano che si disporrà delle risorse necessarie. L’importante è avere un criterio e un progetto operativo coerente che consenta di rottamare la spazzatura edilizia di settanta anni di pessima gestione del territorio e di dare una svolta alla sostenibilità ambientale. Altro che ponte sullo stretto, si pensi all’enorme opera di riqualificazione delle coste, delle periferie urbane, delle zone pedemontane, delle aree paesaggistiche attualmente distrutte da spazzatura edilizia e capannoni. C’è lavoro per decenni e allo stesso tempo sviluppo economico sostenibile in termini ambientali. Le zone vrdi residue in Italia e le coste andrebbero inoltre tutelate, in maniera definitiva,con la creazione di aree in edificabili e senza deroghe, come i parchi nazionali gestiti dallo Stato e soggetti al massimo controllo. Assicurando la eventuale necessità di maggiori cubature con la demolizione e ricostruzione in aree già edificate, il restauro dei centri storici e delle periferie recuperabili. Anche i criteri dei materiali edilizi da utilizzare andrebbero rivisti nell’ottica della sostenibilità. Sarebbero così da incentivare le ricostruzioni in materiali quali le pietre nelle varietà dei luoghi interessati, quali il legno, il vetro, l’uso di isolanti naturali quali le sabbie, materiali organici come il sughero, materiali a bvasso impatto ambientale,  ecc. Il tutto nella prospettiva di creare edifici gradevoi alla vista, meglio isolati, più confortevoli, ed anche più duraturi rispetto al cemento.
Un discorso a parte meritano le grandi città come Roma e Milano che hanno visto dal dopoguerra un processo di urbanizzazione intenso e sregolato che ha distrutto il territorio intorno alla città e dato luogo a quartieri invivibili e ingestibili di edilizia spaventosa, degradata, senza infrastrutture e servizi adeguati. Qui il progetto del Professor Loris Rossi di demolizione e ricostruzione secondo criteri di buona edilizia e di sostenibilità potrebbe essere integrato anche da soluzioni che per l’Italia appaiono “coraggiose” ma che nel mondo e nei paesi ad alto tasso di civiltà sono la norma. Ad esempio la necessità di risparmiare territorio verde potrebbe essere assicurata con zone ben individuate dove costruire in altezza che consenta di dare risposta abitativa  a migliaia di famiglie evitando al contempo di  distruggere  territorio verde o addirittura permettendo il recupero a verde di territori attualmente cementificati in modo massiccio con edilizia di bassa o bassissima qualità. Anche Roma e Milano potrebbero vedere così, in certi quartieri non ovviamente al ridosso del centro storico, la costruzione di grattacieli progettati da studi qualificati, circondati da aree verdi, forniti di tutte le risorse della tecnologia costruttiva e di sostenibilità( produzione di energia fotovoltaica, isolamento termico, risparmio energetico, sicurezza dal terremoti, ecc.) e comfort abitativo. Anche l’edilizia popolare, se adeguatamente sostenuta dal pubblico, può assumere questi contenuti innovativi, con grande risparmio di territorio, miglior impatto ambientale e paesaggistico, minor consumo di energia e migliore qualità di vita per decine di migliaia di persone.  
Purtroppo la stabilizzazione della popolazione, nonostante le prefiche che piangono ogni giorno sui bassi tassi di natalità in Italia, nel nostro paese non è un obiettivo vicino. Il forte tasso di immigrazione è destinato a durare e ad aggravarsi. Se la natalità nel mondo non decresce, le stime prevedono in Europa 220 milioni di immigrati per i prossimi 50 anni. Senza contare i tassi di natalità che in alcuni paesi stanno riaumentando, come in Francia e Inghilterra.  Se continuiamo a costruire come si fa attualmente,  il Bel Paese è destinato a diventare un lontano ricordo.
E' urgente una legislazione nazionale che istituisca aree verdi esenti da costruzioni e dalla speculazione edilizia, togliendone il controllo dalle troppe istituzioni locali. Tutte le aree verdi del paese con un alto valore paesaggistico dovrebbero essere immediatamente tutelate (da subito!) con l'istituzione per legge di queste aree protette dal cemento. Ormai è rimasto poco tempo e il cemento avanza.