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venerdì 27 maggio 2011

UN PENSIERO RADICALE

Un pensiero radicale non nel senso pannelliano, ma che va alla radice. E’ l’unico che ci può salvare. Se continuiamo a considerare il mondo come lo sfondo dei nostri bisogni egoistici non c’è scampo.
La sovrappopolazione si è andata sviluppando negli ultimi due-tre secoli, anche se è esplosa in maniera fragorosa negli ultimi cento anni. Il fenomeno sovrappopolazione è quindi contemporaneo allo sviluppo della scienza e della tecnica moderna. C’è tra i due fenomeni una connessione non casuale: cos’è che li lega? Indubbiamente lo strapotere dell’uomo sul mondo non ha riguardato ciò che l’uomo è. Lo strapotere è determinato non dal pensare autentico dell’uomo, ma dalla affermazione della tecnica: è uno strapotere fatto di numeri, impossessamento, trasformazione. E’ quello strapotere che si esprime nella prevalenza senza limiti del numero di umani, nell’antropizzazione, nella produzione fine a se stessa. Ma c’è anche dell’altro: la tecnica è necessaria alla sovrappopolazione ma questa è necessaria alla tecnica. Tra il mondo contemporaneo e la tecnica c’è dunque una connessione forte, una identificazione. L’uomo si è consegnato alla tecnica divenendone un semplice ingranaggio. La grande macchina che ci domina vuole miliardi e miliardi di umani, anzi i messaggi più o meno subliminali che il progresso tecnico e scientifico ripete ossessivamente è che la scienza troverà sempre maggiori risorse per numeri di umani sempre maggiori.
Il mio non è un discorso contro la scienza e la tecnica. Nessuno vuole un ritorno al medioevo, tranne alcune frange di ambientalisti che non hanno capito che la tecnica per l’uomo è un destino, e non una scelta da prendere o lasciare. Le decrescite felici
( dell’economia e giammai della demografia) lasciamole agli utopisti. Il mio è un discorso che riguarda la necessità di un pensiero più radicale che giunga a riconsiderare l’essenza dell’uomo. Un pensiero che esperisca il tentativo “ di ripensare l’uomo con una definizione diversa da quella di essere autonomo” (Raphael Zagury-Orly). Un pensiero che faccia un passo indietro e sia capace di comprendere che quell’autonomia in cui il pensiero metafisico occidentale ci ha condotto a credere non c’è, è un folle errore. La religione ha intuito questo concetto di fondo quando dice che l’uomo non ha scelto ma è stato scelto (“il popolo eletto” dice la Bibbia). La tecnica ci da l’illusione di scegliere in piena autonomia, in realtà ne dipendiamo inesorabilmente. Questo il compito del pensiero: ricollocarci all’interno di un legame che ci restituisca il valore delle cose, della natura, l’appartenenza al pianeta. Un pensiero che ci faccia guardare al destino della tecnica in maniera da non esserne posseduti. Starvi di fronte con consapevolezza per poterlo fronteggiare. Ci sono alcuni poeti, alcuni uomini sensibili, alcuni filosofi, a volte delle persone semplicemente più consapevoli che ci hanno richiamato ad un ascolto delle cose. Qualcuno ha parlato di senso del sacro da ritrovare con accenti di nostalgia per un qualcosa di perduto. Non nel senso di un soprannaturale che va rigettato in quanto niente, ma nel senso proprio di una realtà che ci sta davanti ma non è stata mai da noi sufficientemente compresa.
L’incontro tra uomo e tecnica è un destino. La tecnica con cui l’uomo crede di dominare il mondo ha in se un destino di trasformazione e produzione che riguarda tutto, uomini e cose. Tirarci fuori dalla trasformazione e dalla produzione insensata e senza limiti richiede un ri-pensare radicale.

martedì 17 maggio 2011

QUATTRO LEGGENDE DA SFATARE

La prima leggenda da sfatare è che chi parla di sovrappopolazione ha una posizione contraria ai valori della vita e dell’umanità. Nulla di più falso. Le politiche favorevoli alla denatalità non sono contro l’uomo, tendono invece a rispettarlo per quello che è: una parte della natura. Non vanno contro l’umanità ma contro un certo concetto di umanità: quella di uomo come padrone assoluto del pianeta di cui può fare quello che vuole distruggendo la natura, senza alcun riguardo alle altre specie viventi.Con facili ironie i critici del concetto di sovrappopolazione ci accusano di voler “eliminare” qualche miliardo di persone. Tragicamente sono invece loro i fautori delle vere e proprie stragi determinate dalle carestie, dalle epidemie (tra cui l’AIDS e la SARS) dalle guerre e dalle migrazioni, tutti effetti dell’eccesso demografico.
L’effetto delle ideologie che tendono a favorire la crescita demografica non è quello di valorizzare la vita dell’uomo, ma all’opposto tendono a vedere gli uomini come semplici numeri: secondo costoro infatti più alto è il numero degli uomini, più valore ha l’umanità. Con questo modo di vedere si sono creati i disastri della sovrappopolazione che abbiamo sotto gli occhi: megalopoli invivibili, degrado urbano e paesaggistico, inquinamento chimico del pianeta, gas serra e surriscaldamento del globo, fame, epidemie, migrazioni di intere popolazioni, guerre, conflitti per l’acqua e le risorse energetiche. Essere passati in 100 anni da uno a sette miliardi di umani non ha valorizzato la vita dell’uomo, al contrario l’ha degradata.

La seconda leggenda è che un maggior numero di uomini significa più lavoro e più ricchezza. Questa è una credenza assolutamente falsa: le aree del pianeta con i più alti tassi di natalità sono anche quelle più arretrate dal punto di vista economico e ambientale. Le nazioni dell’Africa, alcune regioni dell’India, aree del sudamerica caratterizzate da alti tassi di crescita demografica hanno difficoltà a svilupparsi e sono costrette a concentrare nel cibo e nelle necessità sanitarie per la popolazione sovrabbondante quelle risorse che altrimenti potrebbero essere destinate allo sviluppo industriale, tecnologico e culturale in grado di determinare una crescita economica e sociale. L’impetuoso sviluppo di alcune aree dell’Asia di questi ultimi anni è stato dovuto in misura fondamentale alla riduzione della pressione demografica e al contemporaneo maggior afflusso di risorse sullo sviluppo tecnologico e sociale.

Una terza leggenda da sfatare è che quando qualcuno parla di sovrappopolazione vi sia in lui un fondo di razzismo. Tale sospetto sorge dal fatto che le popolazioni che attualmente sono in forte crescita demografica riguardano l’Africa, il Medioriente e altre aree sottosviluppate del globo. Il discorso sulla sovrappopolazione non ha assolutamente nulla del razzismo: esso deriva dalla sensibilità verso il valore fondamentale costituito dal pianeta e da tutte le specie viventi che lo abitano. Il rifiuto non riguarda alcune razze ma un modo di concepire l’uomo, quello che lo vede come un animale egoista che sfrutta senza limiti il pianeta come fosse una sua proprietà assoluta. La denatalità non è un mezzo per controllare certe popolazioni, ma un modus vivendi di rispetto di tutta la specie umana verso l’intero pianeta.

L’ultima leggenda è che le persone che parlano di sovrappopolazione siano egoiste e che non vogliono aiutare gli altri per difendere il proprio “giardino”. I critici della sovrappopolazione raggiungono qui l’acme della mistificazione. Coloro che combattono l’eccessiva crescita demografica della specie umana sono all’opposto dell’egoismo, infatti condannano il vero egoismo: quello antropocentrico che ha portato la nostra specie ad occupare massivamente il pianeta devastando il territorio, avvelenando le acque e l’aria, distruggendo la vegetazione, eliminando gli ambienti di vita di tante altre specie animali e determinandone direttamente o per via indiretta l’estinzione. Quale interesse individuale ha colui che combatte il fenomeno della sovrappopolazione? Le politiche di denatalità sviluppano i loro effetti su archi temporali molto lunghi: prima di avere un effetto misurabile sull’ambiente la riduzione della pressione demografica ha bisogno di almeno 50 anni. Un mondo più vivibile e adatto ad una vita più umana si potrà raggiungere solo tra circa un secolo. Dunque la visione che è alla base della lotta alla sovrappopolazione non riguarda i nostri piccoli interessi di bottega, riguarda invece una concezione del mondo che fuoriesce dalla meschinità del nostro presente per rivolgersi ad un senso più grande da dare alla vita.

mercoledì 11 maggio 2011

Il pianeta Terra è l'unico che abbiamo.

Il pianeta Terra è l'unico che abbiamo, non c'è un altro mondo alla nostra portata, né ci sono aldilà a cui riservare un'altra possibilità. Questa nostra vita è l'unica possibilità. Abbiamo solo questa terra, questa bellezza, questi paesaggi, questi fiumi, questi monti, questi mari. Non ce ne sono altri, non ne avremo altri. Non c'è un'altra vita, abbiamo solo la nostra breve vita di uomini. Non roviniamo con la nostra avidità e arroganza questo mondo, questa bellezza, questo uomo.
Ascoltiamo Ordet, la parola primordiale. Essa è nel vento che soffia tra le foreste alla sera. Ascoltiamo il lungo acuto canto del sole che tramonta sul mare. Col nostro strepito di uomini vuoti rompiamo l'armonia della natura. Costruiamo orribili strutture grigie che ci inchiodano alla finitezza come brandelli morti senza senso. Vergognamoci di violare la bellezza, fosse solo di un paesaggio, della riva di un lago. Smettiamo di riversare nubi tossiche nel cielo e veleni chimici nelle acque. Smettiamo di fare rumore, l'infinita serie di inutili suoni, rombi di motori, turbine trapani e fracassi. Fermiamoci ad ascoltare il silenzio. La bellezza è l'unico ponte che si apre sull'infinito, è apparsa per frenare l'intollerabilità del male dell'uomo. L'uomo non può cancellare tutto, l'uomo non è tutto. Se vuole essere tutto non sarà nulla.

lunedì 9 maggio 2011

Migrazioni clandestine dall’Africa: i mass media fingono di ignorare che è una bomba demografica

• Categorie: Migrazioni, Sovrappopolazione
In un articolo su repubblica.it, dal titolo “La sindrome dell’assedio”, Ilvo Diamanti parla di immigrazione (clandestina, aggiungiamo noi) e fà un paragone fra i muri caduti – quello di Berlino prima e ora quello del Mediterraneo – rapportandolo alle nostre paure di italiani e di europei verso gli “stranieri”. Un paragone suggestivo ma che non regge ad un esame appena più approfondito e che dimostra l’enorme ritardo di analisi che abbiamo nel Mondo Occidentale su questo gravissimo problema dell’immigrazione clandestina, non solo da parte di studiosi (pur attenti) come Ilvo Diamanti ma soprattutto da parte delle nostre cosiddette classi dirigenti.

Il paragone fra l’immigrazione dall’Europa dell’Est, prima, e quella clandestina dall’Africa – adesso – è improponibile per diverse ragioni, ma c’è un elemento che determina differenze abissali fra i due tipi di migrazione: il fatto che l’Africa, a differenza dell’Europa dell’Est, è un continente non solo poverissimo ma ampiamente sovrappopolato e che ha avuto negli ultimi 50 anni una crescita demografica “s p a v e n t o s a” e incontrollata. Tanto è vero che, se si esaminano le cifre delle popolazioni interessate, i flussi migratori dall’Europa Orientale appaiono come bazzecole di fronte alla “bomba demografica” africana.

Vediamo qualche dato, tratto dall’Istituto pubblico nordamericano U.S. Census Bureau. L’Europa dell’Est (esclusa la Russia) aveva mezzo secolo fa una popolazione complessiva di 132 milioni di abitanti. Oggi gli stessi Paesi, a distanza di due generazioni, contano 152 milioni di abitanti. Se prendiamo invece l’Africa del Nord (Egitto, Libia, Marocco, Algeria, Tunisia) vediamo che la sua popolazione complessiva si è triplicata, nello stesso arco di due generazioni, passando da 56 a ben 167 milioni di abitanti e in territorio dove non c’è – a differenza dell’Europa Orientale – abbastanza terreno agricolo per sostentarli. Quindi, eccesso di popolazione, miseria e fame sono state le cause scatenanti delle rivolte in Nordafrica, dove – in seguito alla velocissima crescita demografica – il 60% degli abitanti ha meno di 29 anni d’età. Ma, ci chiediamo, perché tanti commentatori e studiosi autorevoli (compreso Ilvo Diamanti) non mettono mai nel dovuto rilievo questi aspetti? Forse perché i poteri contrari al controllo demografico (economici, politici, religiosi) incutono timore reverenziale?

Non parliamo poi del resto dell’Africa, che preme da Sud con la sua crescita incontrollata di popolazione come la lava di un vulcano che può esplodere da un momento all’altro. La cosiddetta Africa subshariana, infatti, aveva mezzo secolo fa 224 milioni di abitanti mentre oggi ne conta la bellezza di 870 milioni, nonostante venga regolarmente decimata dalle malattie e dalla fame. E sono in parecchi a chiedersi – almeno i più onesti intellettualmente, non offuscati da ideologie politiche o religiose – come facciano a sfamarsi.

In totale, dunque, la popolazione dell’intero continente africano è passata da 278 milioni, nel 1959, all’attuale miliardo e 39 milioni. Se non si pone subito un freno alla crescita demografica africana, a metà di questo secolo gli abitanti del “Continente nero” aumenteranno fino alla spaventosa cifra di 2 miliardi e 100 milioni di persone (proiezioni U.S. Census Bureau).

Questi soli dati bastano a spiegare le profonde preoccupazioni e le angosce manifestate dalle popolazioni europee, e a smascherare la malafede e l’incapacità delle loro classi dirigenti, siano esse economiche, politiche o religiose. Che non attuano l’unica politica ragionevole oggi possibile: e cioè chiedere ai Paesi africani un controllo demografico certo, in cambio degli aiuti finanziari e di sviluppo.

(tratto da Politicambiente.it del 30-03-2011)

ACQUA – L’eccesso di popolazione è una causa primaria della sua scarsità

• Categorie: Acqua, Sovrappopolazione
Il problema delle risorse idriche è planetario ma nessuno – nelle centinaia di articoli di stampa dedicati alla Giornata mondiale dell’acqua promossa dall’ONU (marzo 2011) – ha parlato di una questione vitale, che il semplice buon senso dovrebbe portare alla ribalta: il rapporto tra la crescente sovrappopolazione e le sempre più insufficienti risorse idriche del pianeta. E basterebbero le sole cifre a definirne la gravità, perché in alcune regioni del mondo la scarsità dell’acqua potrebbe diventare fonte di instabilità politica ed economica, oltre che causa di sofferenze, malattie e morte.
Infatti quasi il 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali comuni a due o più Paesi: l’India e il Bangladesh devono entrambi contare, ad esempio, sull’acqua del Gange mentre il Messico e gli USA si disputano sul fiume Colorado. E qui le nude cifre definiscono chiaramente il problema, perché l’India aveva mezzo secolo fa 436 milioni di abitanti (fonte: Census bureau of USA) mentre nel 2009 ne contava quasi il triplo, ossia 1 miliardo e 157 milioni; e il Bangladesh aveva mezzo secolo fa 53 milioni di abitanti, i quali nel 2009 erano anch’essi triplicati salendo a 156 milioni. Il che vuol dire che la densità di individui per chilometro quadrato è passata, negli ultimi 50 anni in India, da 146,9 a ben 389; e nel Bangladesh, nel medesimo periodo, la densità è letteralmente esplosa, passando da 410 a 1.199 esseri umani per chilometro quadrato. Ma questi dati nessuno li pubblicizza, perché di fronte ad essi non si potrebbe non ammettere che la prima causa della scarsità d’acqua – così come di altre risorse ambientali – è proprio la sovrappopolazione.
Un altro esempio delle incertezze e delle tensioni che devono affrontare i Paesi con una rapida crescita demografica e con risorse idriche molto limitate, è quello dell’Egitto. Qui 79 milioni di persone dipendono quasi esclusivamente dalle acque del Nilo, ma le origini di questo grande fiume non si trovano all’interno dei confini del Paese perché l’85% di esso è generato dalle piogge in Etiopia e poi il fiume scorre con il nome di Nilo Azzurro nel Sudan prima di entrare nei confini dell’Egitto. La parte restante dipende dal sistema idrico del Nilo Bianco, che ha le sue sorgenti in Tanzania, al lago Vittoria, e si congiunge con il Nilo Azzurro nei pressi di Khartoum. In definitiva, il fiume più lungo del mondo deve rifornire otto nazioni, prima di giungere in Egitto, un Paese che mezzo secolo fa riteneva sufficienti per il suo fabbisogno poco più di 55 miliardi di metri cubi d’acqua. Mentre ora non gli sono sufficienti neppure 70 miliardi di metri cubi.

Anche in questo caso le cifre parlano da sole. L’Egitto aveva nel 1959 appena 26 milioni di abitanti, che oggi sono più che triplicati. Il Sudan contava, sempre mezzo secolo fa, una popolazione di 10 milioni di individui, che nel 2009 erano più che quadruplicati. Lo stesso dicasi della Tanzania, che nel 1959 contava 10 milioni di abitanti e oggi ne ha ben 41 milioni. E si potrebbe andare avanti così fino all’esaurimento dei dati, che mostrano tutti lo stesso andamento.
Per avere una visione generale e più ampia, esaminiamo infine l’andamento demografico delle grandi aree del mondo (sempre su dati del Census bureau of USA) dove più acuto è il problema dell’acqua. L’Africa sub-sahariana aveva, mezzo secolo fa, una popolazione complessiva di 224 milioni di persone, che oggi è salita a ben 850 milioni. L’Africa del Nord, nel 1959, aveva un totale di abitanti pari a 54 milioni di individui, che oggi sono diventati 164 milioni. Parimenti, il Medio Oriente aveva, sempre mezzo secolo fa, 56 milioni di abitanti in totale, che oggi sono saliti a ben 218 milioni. E infine l’Asia (escluso il medio Oriente) aveva complessivamente, nel 1959, un numero di abitanti pari a 1 miliardo e 610 milioni, che oggi sono aumentati alla considerevole cifra di 3 miliardi e 825 milioni.
Nel frattempo le risorse idriche sono rimaste più o meno invariate. Perché si continua a ignorare il problema della sovrappopolazione? Per il semplice fatto che quasi tutti i settori della classe dirigente mondiale sono interessati a strumentalizzare la questione: i Paesi in via di sviluppo fanno dell’esplosione demografica un potente fattore di pressione, se non di ricatto, verso i Paesi sviluppati; le più diffuse religioni monoteiste – ma in particolare quella cattolica, a partire dal “papa medievale” Giovanni Paolo II - difendono acriticamente la “sacralità della vita”, anche se ciò dovesse portare a un disastro planetario; i più rozzi e avidi settori dell’economia vedono il tutto come un’occasione per aumentare i loro profitti, senza minimamente preoccuparsi delle conseguenze.
E su tutto questo le più recenti previsioni dell’Onu: la popolazione mondiale è destinata crescere fino a quasi 10 miliardi di persone entro il 2050, epoca in cui la domanda di acqua dolce aumenterà di 64 miliardi di metri cubi ogni anno. Da dove saranno ricavati? E’ un drammatico mistero.
(tratto da Politicambiente.it del 30-03-2011)

domenica 8 maggio 2011

La Chiesa e l'Islam: due cani da guardia del boom demografico

Africa e Medio Oriente sono le due aree mondiali che vedono la maggiore crescita demografica con tassi di natalità che porteranno al raddoppio della popolazione (per l'Africa si parla di triplicazione) entro la fine del secolo. Sono le aree dove domina il dogmatismo religioso sotto forma di Islam e di chiese cristiane. Ambedue le religioni predicano la prolificità e vietano l'uso di pratiche di controllo della natalità. L'Islam con intenti non solo puramente valoriali ma anche di imperialismo religioso vedendo nella moltiplicazione e migrazione dei musulmani un mezzo di occupazione e conversione delle terre degli infedeli. Motivi ideologico-religiosi sono alla base della visione del mondo cattolica e cristiana in generale che considera una benedizione la natalità nel rispetto di quanto affermato da Cristo: "andate e moltiplicatevi". L'uomo al centro del mondo, questo il veleno ideologico che domina sia l'Islam che il cristianesimo: l'uomo specchio e immagine terrena del dio unico creatore e padrone dell'universo. Oggi, nell'età della scienza e della tecnica, la potenza messa a disposizione di questo piccolo dio della Terra, ha creato un vero e proprio mostro biblico, un Behemot che sta divorando il pianeta lasciando solo scorie, immondizia, veleni e cemento.

sabato 7 maggio 2011

Le parole che non sentirete mai dai verdi italiani

Sovrappopolazione, eccesso demografico, crescita demografica fuori controllo, controllo delle nascite, riduzione demografica, decrescita demografica,antropocentrismo e via di questo passo. Queste sono parole vietate. Vietate nel lessico dei verdi nostrani, i quali ci vogliono convincere che il disastro ambientale non ha nulla a che vedere con il boom demografico dell'ultimo secolo che ha portato la popolazione mondiale da uno a sette miliardi in soli cento anni. Per arrivare a un miliardo di umani in precedenza c'erano voluti tre milioni di anni. Tutto questo per i verdi non esiste, per risanare il mondo basta mettere i pannelli solari sui tetti e mandare le auto ad elettricità. Non esistono le megalopoli invivibili, non esistono le nubi di smog su Asia e aree sovrappopolate, non esistono le migrazioni dovute ad eccessi di natalità in rapporto alle risorse locali. Le migrazioni per i verdi sono semplici richieste di giustizia distributiva delle risorse. Una vera bestemmia contro le aree verdi residue del pianeta.