Un pensiero radicale non nel senso pannelliano, ma che va alla radice. E’ l’unico che ci può salvare. Se continuiamo a considerare il mondo come lo sfondo dei nostri bisogni egoistici non c’è scampo.
La sovrappopolazione si è andata sviluppando negli ultimi due-tre secoli, anche se è esplosa in maniera fragorosa negli ultimi cento anni. Il fenomeno sovrappopolazione è quindi contemporaneo allo sviluppo della scienza e della tecnica moderna. C’è tra i due fenomeni una connessione non casuale: cos’è che li lega? Indubbiamente lo strapotere dell’uomo sul mondo non ha riguardato ciò che l’uomo è. Lo strapotere è determinato non dal pensare autentico dell’uomo, ma dalla affermazione della tecnica: è uno strapotere fatto di numeri, impossessamento, trasformazione. E’ quello strapotere che si esprime nella prevalenza senza limiti del numero di umani, nell’antropizzazione, nella produzione fine a se stessa. Ma c’è anche dell’altro: la tecnica è necessaria alla sovrappopolazione ma questa è necessaria alla tecnica. Tra il mondo contemporaneo e la tecnica c’è dunque una connessione forte, una identificazione. L’uomo si è consegnato alla tecnica divenendone un semplice ingranaggio. La grande macchina che ci domina vuole miliardi e miliardi di umani, anzi i messaggi più o meno subliminali che il progresso tecnico e scientifico ripete ossessivamente è che la scienza troverà sempre maggiori risorse per numeri di umani sempre maggiori.
Il mio non è un discorso contro la scienza e la tecnica. Nessuno vuole un ritorno al medioevo, tranne alcune frange di ambientalisti che non hanno capito che la tecnica per l’uomo è un destino, e non una scelta da prendere o lasciare. Le decrescite felici
( dell’economia e giammai della demografia) lasciamole agli utopisti. Il mio è un discorso che riguarda la necessità di un pensiero più radicale che giunga a riconsiderare l’essenza dell’uomo. Un pensiero che esperisca il tentativo “ di ripensare l’uomo con una definizione diversa da quella di essere autonomo” (Raphael Zagury-Orly). Un pensiero che faccia un passo indietro e sia capace di comprendere che quell’autonomia in cui il pensiero metafisico occidentale ci ha condotto a credere non c’è, è un folle errore. La religione ha intuito questo concetto di fondo quando dice che l’uomo non ha scelto ma è stato scelto (“il popolo eletto” dice la Bibbia). La tecnica ci da l’illusione di scegliere in piena autonomia, in realtà ne dipendiamo inesorabilmente. Questo il compito del pensiero: ricollocarci all’interno di un legame che ci restituisca il valore delle cose, della natura, l’appartenenza al pianeta. Un pensiero che ci faccia guardare al destino della tecnica in maniera da non esserne posseduti. Starvi di fronte con consapevolezza per poterlo fronteggiare. Ci sono alcuni poeti, alcuni uomini sensibili, alcuni filosofi, a volte delle persone semplicemente più consapevoli che ci hanno richiamato ad un ascolto delle cose. Qualcuno ha parlato di senso del sacro da ritrovare con accenti di nostalgia per un qualcosa di perduto. Non nel senso di un soprannaturale che va rigettato in quanto niente, ma nel senso proprio di una realtà che ci sta davanti ma non è stata mai da noi sufficientemente compresa.
L’incontro tra uomo e tecnica è un destino. La tecnica con cui l’uomo crede di dominare il mondo ha in se un destino di trasformazione e produzione che riguarda tutto, uomini e cose. Tirarci fuori dalla trasformazione e dalla produzione insensata e senza limiti richiede un ri-pensare radicale.
Certamente il rapporto dell'umanità con la tecnica (non ovviamente con la scienza, che è solo conoscenza) va ripensato e controllato. Non lo dice solo il buon senso, lo dice soprattutto la onnipresente legge dell'Entropia, che tutti in teoria hanno studiato a scuola (2° legge della termondinamica) ma pochi sanno applicare in modo corretto alle vicende umane.
RispondiEliminaOgni volta che viene applicata una tecnica aumenta l'entropia del sistema terra.
Quindi bisogna andarci piano, molto piano: usare la tecnica al livello minimo indispensabile, riducendo di pari passo la popolazione mondiale.
Ma da questo orecchio, ahimè, non ci sente nessuno.
Concordo con la limitazione dell'uso della tecnica. In fondo il pensiero radicale di cui parlo è proprio un ripensare quell'uso di quella tecnica che sta cambiando il mondo rendendo, con il suo pensiero numerante, l'uomo un numero come gli altri. Una produzione seriale che tutto uniformizza.
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