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lunedì 31 ottobre 2011

Sette miliardi!

Oggi si raggiungono i sette miliardi di esemplari di H.Sapiens. Sono molti di più, almeno 500.000.000 di umani in più di quello che dicono, ma facciamo finta che sia vero. E' un giorno di lutto, non solo per noi, ma per il pianeta terra complessivamente. Il mondo e' in pericolo, tutti noi siamo in pericolo. Ma, come le tre scimmiette, il potere ufficiale tace, non sente, non vede. Sono ciechi gli intellettuali, cieche le istituzioni. Qualche imbecille predica che "oddio la specie si sta estinguendo, si figlia di meno, non ci sono giovani, la famiglia ecc.". La chiesa vieta i preservativi e la pillola. Ma il mondo muore, sta morendo per troppi figli, per pochi preservativi, poche pillole. Sette miliardi, e la cosa passa quasi in silenzio. Anzi qualcuno si rallegra, ne e' felice. Filippine e India si contendono la primogenitura. Molti mandano gli auguri al settemiliardesimo. Anche tanti ecologisti approvano, viva i sette miliardi. Basteranno un po' di pannelli solari, un po' più di biciclette e...potremo arrivare anche a dieci, venti miliardi...
Oggi e' un giorno di lutto.

domenica 30 ottobre 2011

2050: QUALE MONDO CI ATTENDE?





Il 2050 non è lontano, si avvicina sempre di più. La percezione del tempo e' soggettiva, e l'accelerazione della vita contemporanea da luogo ad una compressione spazio-temporale che non ha precedenti. Il 2050 ci riguarda, ci coinvolge perché ci siamo dentro, culturalmente dentro. Non è solo il tempo a restringersi. Per secoli il mondo è stato uno spazio immenso in cui le culture e le popolazioni si confrontavano da spazi enormi, con aree della Terra ancora inesplorate, fonti di immaginazione e senso di avventura. Tutto questo oggi è profondamente cambiato. Il mondo è sempre più piccolo, ogni processo locale diviene immagine, viene virtualizzato e globalizzato in pochi secondi, gli spostamenti sono sempre più rapidi, la percezione stessa del mondo è da villaggio globale. Tutto il pianeta è interessato da un cambiamento uniformante, vero ossimoro linguistico e filosofico, attraverso cui traspare il tessuto metallico della uniformità tecnica. Non ci sono più spazi immuni, terre selvagge, la Terra non ha più misteri, la fantasia e l'immaginazione sono finite nelle fiction fatte a tavolino. La tecnica divora letteralmente ogni cultura e i significati delle cose e dei fenomeni perdono le sfaccettature. Un fenomeno o rientra nella scienza o non esiste tout court. Persino i nostri vissuti intellettuali si tramutano in virtualità, e la sensibilità o i sentimenti sono sommersi da immagini continuamente cangianti che non permettono di dare un senso a quei vissuti. Tra noi e il 2050 ci sono 40 anni e, a differenza dei nostri padri che credevano nel futuro e nella modernità, noi non sappiamo dove va il mondo. Il mondo di oggi è estremamente più piccolo rispetto a quello di cento o duecento anni fa, ma è molto più incomprensibile. Il 2050 lo sentiamo vicino ma non sappiamo vederlo, immaginarlo. C'è un termine che definisce questo vuoto culturale: post-moderno, il moderno non c'è più, c'è solo un dopo che non si sa dove porti.
Ma c'è un dato: ogni anno che passa il pianeta si accresce di 75 milioni di abitanti. Se i tassi di natalità rimangono quelli attuali, nel 2050 sulla Terra ci saranno 10,5 miliardi di abitanti. l’Africa raddoppierà la sua popolazione attuale arrivando a quella data a più di 2 miliardi, l'Asia sarà a 5,3 miliardi, l'Europa rimarrà stabile come nascite ma peserà la variabile del fenomeno immigratorio. Il mondo sovrappopolato subirà cambiamenti epocali: l'Europa e l'America del nord perderanno il ruolo egemone in economia e politica, potere e ricchezza si sposteranno in Asia, le tensioni sociali per disagio economico e disoccupazione aumenteranno, si assisterà all'inurbamento di grandi masse, specie nei paesi poveri, in enormi megalopoli come Mumbai, Nuova Delhi, Città del Messico, Shangai e Calcutta con i problemi di inquinamento ambientale, di criminalità, di stress e conflitti sociali collegati a tali mostri demografici. Ma ci sono altri fattori in gioco: quanto peseranno le grandi migrazioni in atto? Queste hanno attualmente motivazioni economiche, ma in futuro saranno sempre più rilevanti fattori ambientali: migrazioni scatenate dall’aumento di eventi meteorologici estremi (come gli uragani), siccità e degrado del suolo, o aumento del livello del mare con conseguente erosione e inondazione della costa. Una minaccia, questa, che riguarda chi vive nelle aree costiere densamente popolate (dove si trova il 60% delle 39 maggiori metropoli) e le nazioni di isole e atolli minacciati di finire sommersi come Maldive, Tuvalu, Vanuatu. All'Onu si stima che da qui al 2050 si abbiano circa 200 milioni di migranti, ma qualcuno parla di cifre fino a un miliardo. Le aree di emigrazione saranno l' Africa, paesi del medio-oriente, India, Cina, Filippine, Sud America. Si accentueranno i conflitti etnici e religiosi, la competizione per le risorse (in particolare l'acqua). La sovrappopolazione dei paesi poveri avrà purtroppo un impatto ambientale devastante, infatti mentre nei paesi sviluppati falliscono le politiche di risparmio energetico e si tenta con scarso successo di indirizzare la produzione verso un basso impatto ambientale, nei paesi arretrati la necessità di reperire cibo e risorse per far fronte alla forte crescita demografica, porterà -come sta avvenendo in India- a moltiplicare soprattutto il consumo di quei beni, come cibo o manufatti di prima necessità, che richiedono un alto contenuto di materia prima impiegata e di energia.

 Ricordiamoci che il protocollo di Kyoto è fallito, ed è fallito miseramente come risulta dagli ultimi report sulle emissioni dei paesi interessati e sui mancati finanziamenti (v. Corriere della Sera del 29-10-2011). In questo quadro disastroso non mancano i fautori della crescita demografica, perché c'è sempre chi balla sul Titanic. Tre studiosi dell’Onu, George Martine, José Miguel Guzman e Daniel Schensul, ritengono che negli ultimi vent’anni il tasso di crescita della popolazione mondiale sia aumentato percentualmente meno della produzione di cibo. Il problema secondo costoro è nella ineguaglianza produttiva e di risorse tra le varie aree del pianeta. Sulla base di tali studi e secondo stime Fao, migliorando la distribuzione delle risorse si può arrivare senza "problemi" alimentari ad una Terra con 20 miliardi di abitanti. Costoro continuano a non capire che, oltre i calcoli matematici tra cibo e umani, c'è anche il tipo di pianeta che si prepara. Una vita infernale in mezzo a polveri, pulviscolo, tossici ambientali, con esseri umani ristretti in megalopoli invivibili e stressanti, una specie di Bladerunner senza androidi e con solo umani, che vita sarebbe?.I ben pasciuti e remunerati burocrati della Fao auspicano un mondo sovrappopolato, inquinato, pieno di conflitti e paurosamente senza prospettive.
Ma tornando ai problemi materiali, c'è anche la limitazione di altre risorse oltre quelle alimentari. Oggi si consumano 90 milioni di barili di petrolio al giorno (senza contare gas, carbone, nucleare e altri combustibili), e nel 2030 le stime dell'Agenzia generale dell'energia parlano di 120 milioni di barili al giorno. Quanto dureranno i giacimenti e le riserve di petrolio? Quante polveri sottili e gas serra immessi nell'atmosfera comporterà questo spaventoso consumo quotidiano portato avanti per decenni? Uno studioso dello Stockholm Environment Institute, Johan Rockström afferma che ci sono altri limiti invalicabili: per esempio l’impiego della terra per fini agricoli che, secondo i suoi calcoli, non potrà superare il 15% delle terre emerse e libere dai ghiacci. Andare oltre questa percentuale significherebbe impoverire altre risorse fondamentali, come le foreste, necessarie a controllare il livello di anidride carbonica in atmosfera. Oggi lo sfruttamento delle terre libere dai ghiacci è intorno al 12 %. Anche migliorando i concimi e i metodi di coltura ci avviamo a saturare le possibilità agricole del pianeta. Senza contare gli effetti dell'uso massiccio di fertilizzanti e dello sfruttamento dei terreni. La maggior parte dei paesi affamati sono tropicali, e produrre più cibo ai tropici non è facile. Non bisogna lasciarsi ingannare dalle foreste pluviali lussureggianti. Eccetto che nei suoli vulcanici (come a Giava) o nelle zone soggette a inondazioni (come alcune parti dell'Amazzonia), i suoli sotto le foreste pluviali sono generalmente sottili e poveri. Gli elementi nutritivi della foresta sono in gran parte immagazzinati nella vegetazione non nel suolo; quindi, quando la foresta viene abbattuta - come auspicano a tavolino i folli fautori della crescita demografica- una parte sostanziale degli elementi nutritivi se ne va con essa, e quelli che rimangono nel suolo sono portati via dalle intense piogge tropicali. L'esperienza ha mostrato che un'agricoltura permanente in queste aree è un'illusione. Per l'acqua, spiega Rockström, non potremo andare oltre a un consumo di 4.000 km3 l’anno, e ai ritmi attuali di consumo per raggiungere quel livello non manca molto. Ma portare all'estremo lo sfruttamento delle risorse naturali, anche essendo ottimisti su nuove fonti energetiche e sul progresso tecnologico, non porterà ad un mondo migliore. Se siamo su questo pianeta non è solo per figliare, riprodurci, uniformare tutto sotto la patina della tecnica e del cemento. Se vogliamo che l'alba sia ancora l'alba, che i paesaggi ci commuovano, che la cima delle montagne ci ispiri spiritualità e il mare ci faccia sentire esseri liberi, dobbiamo cominciare adesso a lavorare perché il 2050 non sia l'incubo a cui ci stiamo avviando.

venerdì 28 ottobre 2011

E-cat, rivoluzione energetica?



Oggi 28 ottobre nuovo test a Bologna alla presenza dell'acquirente privato e dell'Associated Press. Si tratta della macchina da 1 megawatt. Se funziona, ci sono nuove prospettive per un'energia pulita a prezzo basso. Una occasione per il pianeta, se utilizzata insieme ad un programma di controllo demografico che porti ad una riduzione dell'eccesso di popolazione. Energia pulita e riduzione della crescita demografica: troppo ottimismo?

PS: un primo report del giornalista Mats Lewan all'indirizzo: http://www.nyteknik.se/nyheter/energi_miljo/energi/article3303682.ece

mercoledì 26 ottobre 2011

Perché l'Italia frana quando piove



di Antonio Cederna

Un'Italia che frana e si sbriciola non appena piove per due giorni di fila, ecco l'immagine che subito viene a imporre alla nostra attenzione il problema di fondo e il più trascurato della politica italiana: la difesa dell'ambiente, la sicurezza del suolo, la pianificazione urbanistica. I disastri arrivano ormai a ritmo accelerato: e tutti dovremmo aver capito che ben poco essi hanno di "naturale", poiché la loro causa prima sta nell'incuria, nell'ignavia, nel disprezzo che i governi da decenni dimostrano per la stessa sopravvivenza fisica del fu giardino d'Europa e per l'incolumità dei suoi abitanti.
I "miracoli economici", i boom edilizi, industriali e autostradali, sono avvenuti tutti al di fuori di qualsiasi programmazione di autentico e lungimirante interesse generale: abbiamo sistematicamente trascurato di realizzare tutta l'armatura dei servizi pubblici e delle attrezzature collettive (dalle scuole agli impianti di depurazione, dalle riserve naturali ai piani di bacino idrografico, dal verde pubblico ai trasporti collettivi, dal rimboschimento alla difesa dei litorali ecc.), indispensabili alle esigenze di vita della popolazione in un'epoca di sempre più veloci trasformazioni economiche e sociali.
La nostra classe di governo si è rifiutata di provvedere ad alcune leggi essenziali, da quella per la difesa della natura a quella per i parchi, a quella, fondamentale, urbanistica...Siamo un paese che conta alcuni catastrofici primati alla rovescia: solo lo 0,6 % del territorio destinato a parco nazionale, il 60 per cento dei boschi esistenti degradato e incapace di esercitare la minima azione regolatrice del flusso delle acque, solo un metro quadrato di verde pubblico per abitante, il minor tasso di rimboschimento (per il quale siamo al decimo posto in Europa), la più alta percentuale di incendi boschivi (30.000 ettari l'anno), cinque milioni di ettari (che rappresentano un sesto dell'Italia) sottoposti ad erosione, che provoca circa trecento miliardi di danni l'anno all'agricoltura. Abbiamo lasciato costruire case e industrie fin nelle aree golenali dei fiuni, continuiamo a sconvolgere ogni equilibrio naturale con impianti idroelettrici, abbiamo prosciugato paludi che sono la valvola di sfogo dei fiumi, abbiamo lottizzato la penisola e abbiamo costruito migliaia di chilometri di autostrade irridendo alle opinioni espresse dai naturalisti.
Gli eventi franosi sono due-tremila all'anno, con un morto ogni otto giorni: i geologi del servizio di Stato sono cinque, uno ogni dieci milioni di abitanti (mentre nel Ghana sono uno ogni settantamila). Sarebbe davvero strano che l'Italia non andasse periodicamente sott'acqua. Gli interventi pubblici sono saltuari, sono frammentari, non coordinati... Nel 1970 la commissione interministeriale De Marchi ha calcolato che per la difesa idraulica del suolo italiano occorrono 5.300 miliardi di lire nel prossimo trentennio. Ecco il costo dell'imprevidenza, i conti sbagliati della nostra economia, che ha puntato tutto sul tornaconto immediato e sul rpofitto. Fino a che la difesa della natura e del suolo non diventerà la base della pianificazione del territorio, fino a che questo non sarà considerato patrimonio comune (anziché res nullius, come è stato finora), continueremo a contare le morti e le distruzioni. Ma intanto questa Italia sempre pronta a non fare le cose indispensabili, ha stanziato la settimana scorsa altri cinquecento miliardi di lire per costruire nuove autostrade.

Nota del curatore del Blog: questo articolo sembra scritto questa mattina, invece è un articolo di Antonio Cederna scritto nel lontano Gennaio del 1973! POVERA ITALIA

La decrescita della popolazione è parte della soluzione

MADALEINE WELD: FEMMINISMO E SOVRAPPOPOLAZIONE

LA CONFERENZA DELLE NAZIONI UNITE SULLA POPOLAZIONE: ULTIMA OCCASIONE O OCCASIONE PERDUTA?
PRESENTAZIONE DI MADALEINE WELD*
ALL’UNITED NATIONS ASSOCIATION IN CANADA,
AND GLOBAL POPULATION CONCERNS-OTTAWA
SULLA POSSIBILITÀ DI ATTUARE LE DECISIONI DELLA CONFERENZA DEL CAIRO 1994.

Quand’ero ragazzina, ricordo che mia nonna, nata in Europa nel 1880, mi raccontò di avere visto arrestare delle suffragette che dimostravano. Mia nonna sembrava pensare che queste suffragette fossero un gruppo di squinternate che si davano a comportamenti indecorosi. In un’altra occasione, mia nonna mi raccontò un fatto avvenuto poco dopo il suo matrimonio. Suo marito era fuori città e lei si era trovata senza soldi. Perciò andò in banca per prendere del denaro dal suo conto, ma scoprì che non poteva farlo, perché aveva bisogno del permesso del marito per prendere dei soldi che lei stessa aveva portato in dote! E poiché egli era fuori città, non c’era niente da fare. La sua voce era tremante per l’indignazione quando mi raccontò questa storia.
Mi parve piuttosto strano che mia nonna non vedesse la connessione tra questi due episodi e mi accorsi che questo tipo di connessione sfuggiva all’attenzione di molte persone. Per molto tempo le parole “Non sono una femminista, ma...” mi parevano come delle bandiere sventolate davanti a un toro. Per me significavano: “non ho il coraggio di riconoscere il mio debito verso le femministe, che hanno sfidato l’ingiustizia del significato insito nella definizione di ‘femminista’, tuttavia usufruirò sicuramente di tutti i vantaggi che le femministe hanno ottenuto per me attraverso le loro azioni coraggiose.”
Forse fui sin dalla più giovane età un campione dei diritti della donna, perché dovevo lavare i piatti io e non mio fratello.
Per fortuna, per via dei nostri frequenti viaggi, ero cosciente che i problemi delle donne erano universali. Nell’estate rovente del Pakistan, mi chiedevo come le donne potessero sopportare questi burka neri che le coprivano interamente. In Svizzera, dove frequentai le scuole pubbliche, fui sorpresa nel sentire che il diritto di voto delle donne fosse oggetto di così animata discussione. Nel 1970 esistevano ancora in Europa delle persone che dibattevano se fosse giusto dare il voto alle donne! Incredibile! Per quanto non abbia seguito quelli che si chiamano “women’s studies” sono sempre stata interessata all’argomento e fui rincuorata dallo sviluppo di un movimento femminile internazionale. Pensavo che, lavorando insieme per i loro diritti, le donne avrebbero potuto aiutare a costruire un mondo migliore.
Di recente però, leggendo certa letteratura femminile, mi sono sorpresa a pensare : “Non sono femminista!”. Non lo sono se essere femminista significa pensare alla maniera di certe donne che si auto-definiscono femministe... In questa presentazione, mi dedicherò soltanto alla prospettiva femminista sulla popolazione.
Secondo me, è ovvio che il mondo ha un serio problema demografico. Questo mio punto di vista è condiviso dalla vasta maggioranza degli scienziati di ogni paese, che hanno dedicato la loro attenzione a questo problema. L’Union of Concerned Scientists ha prodotto un rapporto, sottoscritto da circa duemila scienziati, inclusi molti scienziati viventi insigniti del Premio Nobel, che sottolinea come il problema della popolazione sia uno dei problemi più gravi che l’umanità deve affrontare. Durante la Conferenza sulla Popolazione che si tenne in New Delhi nel 1993, i rappresentanti di 56 accademie scientifiche premevano per l’attuazione di una politica di “zero population growth” da istituire immediatamente. Se persino la commissione scientifica consultiva del Vaticano proclamava in un comunicato, proprio prima della Conferenza Internazionale sulla Popolazione e Sviluppo, che bisognava contenere le nascite per evitare un problema altrimenti insolubile, questo voleva dire che il pericolo era reale.
Ma le femministe non sono d’accordo. Forse non dovrei dire “le femministe” perché il movimento delle donne non è monolitico e non esiste certamente un solo punto di vista sul problema della popolazione. Ma esiste un punto di vista che sembra predominare, o, almeno, essere preminente e questo punto di vista non è che raramente criticato. E’ quindi possibile per un “outsider”, che non sia impegnato come me sul problema, dire che sussiste l’impressione che questo sia il punto di vista femminista. Da questo punto di vista, ogni tentativo deliberato di ridurre il tasso di fertilità è errato. I metodi sicuri e l’aborto devono essere consentiti, ma le preoccupazioni riguardo all’aumento demografico sono viste come intrinsecamente opposte all’avanzamento dei diritti femminili.
Persone o enti che si interessano al problema della popolazione sono etichettati come “istituzioni contrarie alla popolazione” e le loro motivazioni sono considerate sospette. Le compagnie farmaceutiche sono sospettate di influenzare le politiche dei governi del sud del mondo e le priorità e il comportamento di chi si occupa di salute delle donne .
Mi sembra che, quando si sviluppa una certa linea politica intorno ad un problema, lo scopo di tale disegno dovrebbe essere giudicato secondo i risultati che si possono ottenere, basandosi sulla realtà e sulle risorse esistenti.
Credo sinceramente che le richieste femministe a favore della salute delle donne, di quella delle madri e dei bambini, non potranno mai essere soddisfatte, considerando la mancanza di risorse, se prima non si risolve il problema della popolazione. Eppure le femministe negano che il fattore “popolazione” sia quello che mette in pericolo la salute delle donne. Insistono affinché tutti i contraccettivi abbiano un fattore di rischio assolutamente zero. Chiedono che TUTTI i contraccettivi proteggano anche dall’Aids. Sostengono, evidentemente per principio, che i contraccettivi dovrebbero essere idonei per tutti, su scala mondiale: circa 370 gruppi di donne stanno cercando di ostacolare la ricerca su dei vaccini anti-fertilità, vaccini con un enorme potenziale di soddisfare il bisogno non soddisfatto di centinaia di milioni di donne di controllare la propria fertilità. La loro opposizione è fondata sul fatto che i governi potrebbero usare tali vaccini su donne povere, senza il loro consenso.
Ho partecipato ad un incontro a Ottawa nel giugno scorso, organizzato da un nutrito gruppo di donne. A questo incontro partecipava una coalizione femminile internazionale che mirava a fermare la ricerca su questi vaccini anti-concezionali. Una donna si alzò e chiese perché mai esistessero dei contraccettivi fatti per donne del terzo mondo (o sviluppati per questo tipo di mercato) diversi da quelli indirizzati alle donne dei paesi più ricchi.
Penso che la risposta sia ovvia. Le realtà di vita e i bisogni delle donne del terzo mondo sono diversi da quelli delle donne delle nazioni industrializzate. La maggior parte di queste ultime hanno almeno delle capacità di base di leggere e scrivere, mentre la maggior parte dei miliardi di analfabeti esistenti vive nel mondo in via di sviluppo e i due terzi di loro sono donne. Prendere nota dei giorni della settimana è facile, per una donna istruita, ma non per chi non lo è. Inoltre, la pillola, che è molto diffusa nel mondo industriale, è piuttosto cara e può essere sequestrata da un marito che non coopera. La possibilità di disporre di una più grande varietà di contraccettivi è semplice realismo, non è pregiudizio contro le donne povere. Ovviamente, tali contraccettivi non sono egualmente adatti a qualsiasi tipo di donna.
Ma perché dovrebbe essere sbagliato fornire dei contraccettivi specifici alle donne del terzo mondo? Almeno 350 milioni di loro vorrebbero avere qualche forma di controllo sul numero dei figli ma non hanno accesso a nessun metodo moderno. Chiedere un contraccettivo che sia totalmente privo di rischio è irrealistico, perché nessuna medicina o apparecchio sanitario è senza rischio.
Il rischio di prodotti che sono il risultato di ricerca e di controllo è nullo in confronto al rischio che affrontano le donne nel terzo mondo, a causa della gravidanza. Un terzo di tutte le malattie femminili nel terzo mondo è connesso a gravidanza, parto, aborto, HIV e infezioni dell’utero e della vagina. Globalmente, un quarto di tutte le gravidanze finiscono con l’aborto e, in quei paesi dove esso è proibito, le conseguenze per la salute femminile sono pesanti.
Negli ultimi 20 anni, la popolazione è aumentata di 1,7 miliardi di persone. In questo periodo il numero di esseri umani che vivono in povertà è aumentato proporzionalmente del 30%, mentre il numero di donne povere è cresciuto del 50%. Che le femministe lo riconoscano oppure no, esiste una correlazione tra l’enorme aumento della popolazione e l’aumento della povertà femminile. La maggior parte degli 1.3 miliardi di persone che vivono in estrema povertà sono donne. La scarsità di risorse è anche all’origine di conflitti etnici che mettono le donne, come vittime civili, in pericolo di dover lasciare il proprio paese o di subire violenze sessuali. Almeno 850 donne e bambini ogni mese sono uccisi o mutilati dall’esplosione di mine. Il numero di rifugiati è cresciuto di 10 volte negli ultimi decenni e l’80% di essi sono donne e bambini. Oltre ai 23 milioni di rifugiati tradizionali (coloro che fuggono a guerre etniche, oppressione politica o persecuzione religiosa), esistono anche 25 milioni di rifugiati ambientali e il loro numero è destinato a raddoppiare dopo il 2010.
Le femministe che si oppongono ad ogni azione di contenimento demografico, pensando che costituisca una violazione dei diritti della donna, non devono convivere con la miseria e la violenza a cui l’aumento della popolazione contribuisce maggiormente. Molte sembrano avere un pregiudizio anti-scientifico e rifiutano semplicemente di riconoscere l’evidenza scientifica del ruolo che l’aumento della popolazione ha nei problemi globali, sociali e politici. Quindi fanno delle richieste assurde e così rifiutano di trovare le soluzioni che, per quanto imperfette, potrebbero rappresentare dei veri benefici per molte donne povere. Esse sono, in altre parole, mosse da ideologia.
E’ innegabile che certi programmi di controllo della popolazione, nel passato, sono stati malamente concepiti e non erano conformi ai bisogni femminili. E’ anche vero, però, che questi programmi, pur con i loro difetti, hanno portato sollievo alle vite di molte donne e delle loro famiglie. Poiché oggi i governi possono fare di più, usando l’istruzione e la persuasione, si riduce il rischio che essi debbano usare, un domani, dei mezzi draconiani come quelli cinesi. I governi devono preoccuparsi dei problemi delle risorse e della disoccupazione e non è sbagliato che si impegnino a incoraggiare i cittadini a limitare la dimensione delle loro famiglie per adeguarsi a usufruire delle risorse esistenti. L’alternativa alla dittatura e alla coercizione governativa non è la libertà della donna, ma potrebbe essere un inferno di conflitti e carestie.
La verità è che abbiamo già oltrepassato quel punto della crisi da sovrappopolazione, oltre il quale non esistono delle alternative dolci. Abbiamo già riprovato la coercizione nella situazione cinese, ma, se la Cina non avesse istituito la politica di un solo figlio, non ci sarebbero stati più carenza di cibo, più disoccupazione e più conflitti? Forse il Ruanda, e non l’Utopia, sarebbe da considerare l’alternativa alla Cina. Il governo del Ruanda non si era occupato della limitazione del tasso di natalità, che, in quel paese, è uno dei più alti nel mondo. La forma di coercizione attuata in Ruanda è risultata ancor più pericolosa di quella cinese, e sta verificandosi, in modo più o meno attenuato, in altre parti dell’Africa. Piuttosto che negare la realtà della crisi della popolazione globale, le femministe dovrebbero incoraggiare i loro governi ad occuparsi di questo problema al più presto, mentre ancora abbiamo la possibilità di utilizzare l’istruzione e la persuasione.
(Trad. Maria Luisa Cohen)
• Madaleine Weld, B. Sc, M.C., Ph.D, è stato un membro del Population Institute of Canada sin dalla fondazione nel 1992 e ne è Presidente dal
1995. Lavora come un biologo all’Health Canada. Oltre al PIC, Madaleine è un membro da lunga data ed ex direttore dell ‘Associazione
Umanista del Canada, membro della Canadian Association of Club of Rome, ed ex direttore del Planned Parenthood di Ottawa. Si è a lungo occupata dei problemi della popolazione ed è frequentemente autrice di scritti e di interventi pubblici sull’argomento.
(president@populationinstituteofcanada.ca)
TRATTO DAL SITO DELL’ ASSOCIAZIONE RIENTRODOLCE

martedì 25 ottobre 2011

LA FOTO STORICA DELLA NOSTRA TERRA


Per i dettagli cliccare sulla foto.

Qualcuno la ricorderà questa foto storica. E’ una delle foto scattate dagli astronauti della missione Apollo 8 nel 1968, mentre circumnavigavano la luna. E’ storica non perché appartiene al passato; è storica perché ha cambiato radicalmente la nostra concezione del mondo e, allo stesso tempo ci ha restituito a noi stessi. Si, perché quella cosa lì, sospesa nello spaziotempo, non è un pianeta qualsiasi, ma è il nostro pianeta, siamo noi, proprio noi. Siamo noi che siamo appesi nel vuoto, sperduti in un freddo abisso senza fondo. Siamo appesi a quella palla che chiamiamo Terra e viviamo solo perché ci ha quel sottilissimo velo, appena percepibile, che è l’atmosfera. Viviamo solo perché è riscaldata da una stella distante appena centoquarantanovemilionicinquecentonovantasettemilaottocentosettanta chilometri.
Intorno non ci sono civiltà che ci attendono felici di darci un aiuto, intorno abbiamo pianeti fatti di roccia o di gas solforosi assolutamente deserti. La stella più vicina , dopo il sole, è Alfa Centauri e dista quattro anni luce e mezzo, e non ha pianeti intorno. Siamo sospesi nel nulla e quella palla lì è la nostra unica possibilità. Non ne abbiamo altre. Solo un animale idiota può credere di essere il padrone assoluto di questo pianeta e credere di poterci fare quello che vuole.
Quel suolo che si vede in primo piano, sotto il cielo nero che contiene il nostro mondo, è la superficie della Luna. E’ un suolo senza vita, freddo, fatto di rocce e polvere. E’ un monito freddo, silenzioso ma terribile a chi si crede padrone assoluto.
L’abbiamo già ridotta male la Terra: i mari sono inquinati, il cielo offuscato da pulviscolo e gas serra. La superficie terrestre è sempre più ricoperta da una patina che dall’alto appare grigia: sono le nostre città e le costruzioni di cemento, triste e uniforme prodotto dell’attività della specie umana. Sette miliardi di umani lavorano notte e giorno a distruggere quello che una volta era un pianeta di incomparabile bellezza con le terre emerse coperte di foreste e di verde e i mari di un azzurro brillante.
Eppure ci dobbiamo fermare. Da quando gli uomini hanno visto questa foto qualcosa è cambiato, qualcuno ha cominciato a capire. La maggioranza continua come prima senza occhi e senza cervello a fare il padrone della terra delle piante e degli animali. Ma sempre più sono quelli che comprendono che bisogna fermarsi per ricominciare una vita diversa. Se quella cosa lì scoppia, muore sotto i gas, diviene come Venere o Marte, per noi è finita per sempre. Ma anche se non scoppia e rimane lì come un pianeta devastato da qualche decina di miliardi di inquinatori e cementificatori, che senso avrebbe la vita che contiene? Avvelenare tutto per continuare a nascere: un non senso . Ernst Junger faceva appello a radicarci nella Terra, a trovare lì le radici che diano un senso a tutto, noi compresi. Questa foto ci aiuta a riappropriarci della Terra, a ritrovarvi le nostre radici.

UN'ALTRA FOTO DELLA TERRA VISTA DALLA LUNA DA PARTE DELLA SONDA ORBITER (SENZA ASTRONAUTI A BORDO) NEL 1966:

lunedì 24 ottobre 2011

sabato 22 ottobre 2011

LO SPETTACOLO DELLA MORTE DI GHEDDAFI E' UMANO. LE BESTIE NON NE SAREBBERO CAPACI






L'esibizione dell'uccisione del dittatore, del corpo martoriato, le grida di giubilo, le sparatorie di festeggiamento, la tortura della vittima, prima del colpo finale. L'oscenità delle risa, dei volti atteggiati al godimento della vendetta. Il tutto senza processo, senza legge, senza ragione: pura violenza, idolatria della violenza. Il nome di dio, del loro dio, gridato e ringraziato per la barbarie commessa. Il sangue sul volto come quello di Cristo sul Golgota. Questa blasfema somiglianza tra la passione di Cristo e quella di Gheddafi è la cosa che colpisce e lascia interdetti, ammutoliti. Tutto questo è umano, troppo umano. Tutto questo è proprio dell'uomo, solo dell'uomo. Nessun animale, nessuna bestia si comporta così. L'uomo è davvero l'animale più crudele. Questa non è una giustificazione del dittatore assassino, anche lui era uomo, uomo tra i peggiori e come tale ha ucciso senza pietà. Ma questo tripudio della vendetta è l'essenza dell'umanità perché appartiene solo a questo animale di straordinaria crudeltà. Appena viene meno lo Stato, la forza della legge, viene fuori la ferocia che è in noi. Oppure è lo Stato stesso che uccide in un delirio di potenza. Tutti ricordiamo Sebrenica, il Ruanda, la Cambogia, Auschwitz, piazzale Loreto. In un tempo in cui i midia dominano le coscienze, la spettacolarizzazione mediatica fatta in questi giorni del massacro del dittatore è ugualmente ributtante. Che bisogno c'era di riempire tv e giornali del volto insanguinato, della passione e morte del rais? La soddisfazione che trapela sui volti di alcuni giornalisti è stomachevole. Giustamente Pierluigi Battista sul Corriere ha richiamato tutti al rispetto della morte. Cerchiamo di somigliare agli animali, di avere almeno la loro dignità.

giovedì 20 ottobre 2011

EIBL-EIBESFELDT: GLI EFFETTI BIOLOGICI E COMPORTAMENTALI DELLA SOVRAPPOPOLAZIONE






"Uno degli effetti della densità di popolazione è una diminuzione della fertilità, come si può osservare quando un luogo è sovrappopolato. Vi è, per esempio, un tenebrionide (Tribolium confusum) che, in caso di alta densità della popolazione, divora le proprie uova. Abbiamo già ricordato vari esempi di influsso reciproco, per via feromonale, fra i componenti del gruppo. Nei mammiferi la sovrappopolazione porta a uno stress che provoca infine un crollo della popolazione, molto prima che si possano notare effettive carenze di cibo. Nel 1916, quattro o cinque individui di cervi sika (Cervus hippon) furono lasciati liberi sull'isoletta di James (centoquattordici ettari) distante ventisei chilometri da Cambridge (Maryland); nel 1955, gli animali, tutti sani, erano diventati trecento. Nel 1958 ne morì circa la metà, sebbene vi fosse cibo sufficiente, e negli anni seguenti la popolazione si ridusse fino a circa ottanta individui. Gli animali visitati negli anni del declino presentavano alterazioni istologiche delle ghiandole surrenali, fatto che lascia presumere che il crollo fosse stato causato unicamente dallo stress dovuto alla sovrappopolazione (J.J. Christian, 1959, 1963).
I fenomeni di stress causati dalla densità di popolazione sono stati osservati ed esaminati accuratamente nelle tupaie (Tupaia belangeri) (H. Autrum e D. von Holst, 1968; D. von Holst 1969, 1975). Essi portano ad un rallentamento della crescita nei giovani e ad alterazioni rilevanti del comportamento e della fisiologia negli adulti. Nella femmina le ghiandole mammarie cessano di funzionare bene e inoltre la ghiandola sternale non secerne più alcun umore, per cui l'animale non può più contrassegnare con esso i propri piccoli, come suo solito. Senza questa protezione dovuta alla marcatura odorosa, i piccoli vengono divorati dalla madre e da altri coabitanti della gabbia (cronismo). Nel caso di uno stress maggiore, poi, le femmine giungono a non partorire più i piccoli, e il loro comportamento subisce una mascolinizzazione, in quanto esse montano conspecifici. Nei giovani maschi viene ritardato il descensus testiculorum, e negli adulti i testicoli si ritraggono addirittura nella cavità addominale. Lo stress è dovuto principalmente all'aggressività degli abitanti della gabbia (effetto di dominazione) , ma,anche a prescindere dall'aggressività, vi contribuisce inoltre il numero di individui che si trovano raggruppati. In questo caso sono le marcature odorose dei conspecifici del medesimo sesso all'origine del disturbo (effetto di densità). Lo stress provoca una attivazione del sistema nervoso simpatico e della corteccia surrenale. Sotto stress, le tupaie rizzano i peli della coda; se si esprime in percentuale la frequenza di questa azione (RPC), rispetto alla frequenza totale di attività in dodici ore o in un giorno, si può misurare il grado di stress a cui l'animale è soggetto. I valori RPC e le altre manifestazioni già trattate dipendono in modo evidente dalla densità della popolazione, come è chiarito dalla figura 15.89 (nel testo originario). Tutto questo porta a un punto in cui gli animali cessano di moltiplicarsi (D. von Holst, 1969).
Questo effetto sociopsichico si osserva pure allorché, dopo una lotta, si instaura una relazione di dominazione, anche se il perdente non subisce più alcun disturbo. All'interno della famiglia si ha soprattutto tolleranza. I giovani leccano spesso insieme la saliva dalla bocca materna -un rituale che rafforza i legami, certo derivato dall'azione di imboccare la prole-, e per dormire si ammucchiano fra loro e con la madre. Se una femmina diventa sessualmente matura, il valore RPC della madre s'innalza rapidamente e altrettanto accade al padre, quando matura un giovane maschio. L'attivazione del sistema nervoso simpatico e delle surrenali rappresenta una reazione adattativa dell'organismo a un disturbo acuto atteso, per esempio nella lotta e nella fuga. La midollare del surrene produce adrenalina e noradrenalina, la corteccia i corticoidi, con l'effetto di un battito cardiaco più frequente e più forte e di un aumento della pressione sanguigna; aumenta l'afflusso di sangue alla muscolatura scheletrica, diminuisce invece per la cute, il tratto digerente, i reni; il fegato libera zucchero nel flusso sanguigno; vengono inibite sia la formazione di costituenti corporei sia l'attività delle ghiandole sessuali. L'animale è in tal modo più preparato a misurarsi con i nemici, ma questa attivazione totale del sistema può diventare dannosa, se la presenza continua e stressante di un conspecifico porta a un'eccitazione costante: il compagno di specie diventa allora una fonte tale di disturbo che l'animale può persino giungere alla morte, soprattutto per blocco renale...Nei sottomessi -passivi- il sistema adrenocorticale permane fortemente attivato. Gli animali perdono rapidamente di peso, si ammalano e muoiono di lì a poco. D.von Holst (1985 b) paragona il loro stato a quello della depressione umana...
Se si tiene un gruppo di ratti in uno spazio limitato e si offre loro cibo sufficiente, gli animali si moltiplicano fino a raggiungere una determinata densità, dopo di che sviluppano un comportamento abnorme: non si prendono più adeguata cura dei piccoli e non costruiscono più bene i nidi; di conseguenza, la mortalità infantile aumenta fino al punto che non si ha più alcun incremento di popolazione, anche se in teoria lo spazio a loro disposizione sarebbe stato sufficiente per un numero superiore di individui, e così pure il cibo. Gli animali si disturbano a vicenda in quanto vengono continuamente a contatto, limitando così la reciproca sfera di libertà (J. Calhoun, 1962). F. Frank (1953) ha trovato condizioni analoghe tra i topi campagnoli. Quando il cibo è fornito in abbondanza, gli animali si riproducono fino a superare la densità ottimale. Come conseguenza delle continue liti tra loro, a poco a poco si manifestano i più svariati disturbi, anche di origine endocrina, che alla fine portano gli animali alla morte. Nelle estati in cui il cibo è abbondante i lemming si riproducono senza alcun freno; la carenza di cibo li spinge infine a migrazioni in massa, che per la maggior parte degli animali terminano con la morte. In questo caso mancano i dispositivi per la limitazione delle nascite. In certi casi, però, il comportamento sociale si è arricchito di adattamenti atti a impedire la sovrappopolazione di un territorio. V.C. Wynne-Edwards (1962) ha spiegato questo fenomeno sulla base della selezione di gruppo. I sociobiologi però, servendosi di modelli matematici, dimostrano che sarebbero sufficienti la selezione a livello individuale e quella familiare (selezione individuale e selezione di parentela). Ciò non esclude che vi sia anche una selezione a livello di gruppo... In molti mammiferi difettano i meccanismi che, rendendo possibile una riduzione del tasso di natalità in rapporto alla densità, impediscano lo sfacelo del sistema sociale; è una circostanza che riguarda in particolare anche l'uomo, come sottolineano H. Autrum (1966), E.T. Hall (1966), Th. Schultze-Westrum (1967)e D. von Holst (1974). " Il nostro futuro" scrive Autrum " è minacciato non dal pericolo della fame, ma dal pericolo che le strutture sociali che sostengono e danno ordine alla nostra società si disgreghino a seguito della sovrappopolazione"."

(Irenaus Eibl-Eibesfeldt: I Fondamenti dell'Etologia -il comportamento degli animali e dell'uomo- pag.588-592. Adelphi 1995).

Commento del curatore del Blog:
Le parole di Eibl-Eibesfeldt (allievo di Konrad Lorenz ) sono di quelle che ci illuminano sull'uomo, sui suoi comportamenti, sulla sua organizzazione sociale. Sono importanti perché ci riportano ad un verità che non va mai dimenticata e la cui dimenticanza, anzi, è alla base di tanti disastri contemporanei, primo fra tutti la distruzione del pianeta Terra da parte della specie Homo. Questa verità cui ci richiama Eibl-Eibesfeldt è che l'uomo è un animale, nel senso che appartiene al regno animale, e che la struttura dei suoi comportamenti si ritrova spesso negli animali. La cosa fa inorridire qualcuno? Beh, scenda dal piedistallo e si renda conto che è un animale come gli altri, e che la sua vita dipende dalla salute della biosfera come tutti gli altri animali. Il brano riportato sopra è tra i più affascinanti, da esso si possono capire tante cose. Vi è ad esempio una spiegazione etologica alla caduta della prolificità negli individui che vivono in territori sovrappopolati. C'è la spiegazione di come lo stress da alta densità di popolazione porti a malattie che oggi sono sempre più diffuse come quelle cardiovascolari, l'ipertensione, l'infarto, e quelle psichiche come la depressione. C'è la spiegazione di come la sovrappopolazione sia una delle cause della aggressività intraspecifica e di come, mediata da motivazioni storiche, politiche,culturali e religiose, sia spesso anche alla base sia di criminalità e di violenza legata a lotte civili, sia di guerre per il controllo e il dominio del territorio. Certo, nell'uomo subentrano fattori complessi di natura culturale ma alla fine gli elementi alla base dei comportamenti, spogliati dalle sovrastrutture, rimangono di tipo animale. La scarsa fecondità delle popolazioni occidentali ha certamente a che fare con l'alta densità di individui che insistono sulle stesso territorio, allo stress conseguente che agisce sui sistemi biologici, alle strutture comportamentali che tale stato determina. Basti pensare a come l'aborto e la sua giustificazione sociale nella nostra società somigli a certi comportamenti anti-prole di alcuni mammiferi in stato di sovrappopolazione. Oppure a come l'accettazione sempre più diffusa della omosessualità possa rientrare in questa visione. La liberalizzazione dei rapporti omosessuali che noi consideriamo una conquista della democrazia, della libertà e dei diritti umani, ha probabilmente motivazioni assai più prosaiche. Il manifestarsi di comportamenti  e modificazioni del corpo nel senso della omosessualità è molto più collegato alla appartenenza al mondo animale e alle conseguenze della sovrappopolazione della nostra specie di quanto noi crediamo. Esso è infatti un comportamento che finalisticamente tende a ridurre i tassi di natalità in una popolazione ad alta densità demografica ed alti livelli di stress collegato.   Anche i costumi della donna hanno determinazioni etologiche, come ad esempio il comportamento mascolino, la libertà sessuale non finalizzata alla procreazione, il diverso ruolo sociale, tutte manifestazioni tipiche della vita nelle moderne megalopoli. Quello che colpisce è che, mentre negli animali i comportamenti che tendono a compensare squilibri come la sovrappopolazione, alla fine hanno successo, nell'uomo ciò non avviene. Finché le società umane erano legate al territorio, ai fattori locali, le compensazioni etologiche hanno funzionato. Ma la tecnica ha generato trasporti rapidi, globalizzazione tecnologica, rapida migrazione di masse umane e di merci, diffusione istantanea di conoscenze e di aspettative, economia e finanza mondiale, e tanti altri fenomeni contemporanei. la tecnologia non accompagnata da un adeguata presa di coscienza della responsabilità che questa comporta, ha generato quell'eccesso demografico senza più alcun limite che sta portando il pianeta al destino di distruzione verso cui stiamo correndo.

mercoledì 19 ottobre 2011

LA FINE RIDICOLA DEI VERDI ITALIANI



Il movimento dei verdi in Italia è fallito. Neanche in Europa i verdi hanno avuto l'importanza politica che, in base alla situazione oggettiva ambientale, ci si sarebbe aspettato. Perché questo fallimento? Lasciamo stare il pietoso tentativo degli ecologisti italiani di riciclare il pensiero marxista ricollocandolo a spintoni nell'ambientalismo contemporaneo, i motivi sono più di fondo. Il fatto è che quella verde è una aporia politica e filosofica. Contestano il degrado ambientale senza individuarne la vera origine. Le terapie che propongono cercano di correggere gli effetti, non le cause. In questa ottica si fanno paladini degli impianti solari, dell'uso di filtri ai fumi di scarico, di raccolte di rifiuti differenziate sempre più complesse e inapplicate. Si sono specializzati nei divieti: no ad autostrade, no a inceneritori, no a centrali nucleari, no al carbone, no al petrolio, no tav, no no no. Si sono condannati all'impotenza e al ridicolo, perché la devastazione ambientale continua tranquillamente il suo corso, e né gli specchietti solari né i divieti dei verdi hanno sortito un qualche effetto. Ogni giorno l'Italia, l'Europa e il mondo continuano a bruciare migliaia di tonnellate di petrolio e carbone, alla salute dei verdi. Le discariche se ne aprono e se ne chiudono come nel gioco delle tre carte, ma ormai la monnezza tracima nelle periferie delle città, e le facce dei verdi nostrani parlano più chiaro di qualunque discorso: "non sappiamo che fare". I verdi hanno fallito perché non hanno voluto vedere la verità che sta davanti ai nostri occhi: il mondo è devastato dalla sovrappopolazione della specie homo. I verdi non parlano mai di sovrappopolazione e di controllo demografico perché hanno un idolo. E' lo stesso idolo che è all'origine delle catastrofi ambientali: si chiama antropocentrismo. L'ideologia dei verdi è la stessa ideologia di chi brutalizza l'ambiente naturale: ecco il perché del loro fallimento. Che cos'è l'antropocentrismo? E' il sistema tolemaico in cui l'uomo è al centro dell'Universo. Secondo questo sistema la natura, gli animali, le piante, il mare, le campagne, le foreste, tutto, tutto il mondo anzi tutto l'universo esiste per l'uomo e per soddisfare le sue esigenze. Ciò che la filosofia e la politica dovrebbero fare è la rivoluzione di Copernico: scalzare l'uomo dal centro e metterci la Natura, l'ecosistema, la biosfera, tutte cose di cui l'uomo è parte, ed anzi l'uomo esiste perché esiste la natura.
Ma i verdi sono ancora in pieno sistema tolemaico, e per questo sono condannati a fare i giardinieri: a mettere i fiorellini e le aiuole in mezzo alla cementificazione e alla devastazione ambientale. Non saranno gli specchietti solari a salvarci (ed anzi loro stessi si stanno accorgendo che quegli specchietti vanno bene per le allodole...). I verdi-giardinieri restano così alla superficie, coprendo con un panno (verde) il cadavere maleodorante di un mondo sempre più devastato ed invivibile per l'eccesso della popolazione umana. I verdi-giardinieri pensano ad impedire la costruzione di un tunnel, ma non si preoccupano dei tassi di natalità quasi a due cifre di alcune aree del pianeta, dell'inurbamento in megalopoli, dei diritti assoluti dell'uomo in una natura senza diritti. I diritti dell'uomo sono divenuti i diritti di un io metafisico che non ha limiti, diritti assoluti. E, come ogni diritto assoluto, sono diritti totalitari. L'antropocentrismo dei verdi non è solo un errore logico e culturale, tutt'altro. E' un errore maledettamente materiale e concreto che sta mettendo in pericolo il pianeta e il senso stesso della vita di noi uomini.

lunedì 17 ottobre 2011

UN NUOVO KILLER NELLE GRANDI CITTA'





Si chiama PM 10 (La sigla PM10 identifica materiale presente nell'atmosfera in forma di particelle microscopiche, il cui diametro aerodinamico è uguale o inferiore a 10 µm). E' dovuto ad un fatto semplice semplice: la vita in spazi ristretti di milioni di persone. Poiché la vita moderna comporta l'uso di veicoli a motore, carburanti, combustibili di ogni tipo, inceneritori, attività industriali, prodotti chimici, bitumatura delle strade, vernici, materiali termoisolanti ecc. la concentrazione di numeri enorme di persone porta inevitabilmente alla produzione ed immissione nell'ambiente del particolato PM 10. Questo particolato, misto a particelle di vapore e gas, viene continuamente inalato da noi cittadini, si deposita sulla pelle, sui capelli, sui vestiti. Chiunque la sera, dopo una giornata di lavoro in città, può sentire un senso di irritazione delle cavità nasali e un'oppressione al petto, gli occhi che bruciano e la bocca amara: è l'effetto del PM10. I polmoni ne vengono letteralmente impregnati, poi le microparticelle passano in circolo. I danni che provocano sul sistema cardiocircolatorio sono riassunti in articoli pubblicati da riviste scientifiche internazionali (di cui qualcuno pubblicato su questo blog). La maggiore incidenza di ictus ed infarto nei centri sovraffollati delle metropoli è documentata. Recenti ricerche hanno anche dimostrato come queste polveri siano implicate in malattie neurodegenerative come l'Alzhaimer ed il Parkinson. Nei malati di Alzhaimer e di Parkinson si sono trovati nelle aree celebrali degenerate dei granulomi che, analizzati al microscopio, avevano al centro microparticelle PM10; (Environmental Health Perspectives: "Glutamatergic Neurons in Rodent Models Respond to Nanoscale Particulate Urban Air Pollutants in Vivo and in Vitro". N.119 Jul 2011). Riguardo al polmone già si conoscevano i rapporti tra polveri sottili e l'asma e la broncopatia cronica ostruttiva (BPCO). Ma sono emersi sempre nuovi elementi sulla cancerogenicità delle PM10. Nonostante tutte le campagne contro il fumo, che hanno determinato in molti paesi un calo della percentuale di fumatori, il cancro al polmone è in continua crescita. Oggi è la prima causa di morte per tumori sia negli uomini che nelle donne. Perché calando i fumatori il cancro al polmone non cala, anzi aumenta? La causa, ancora una volta, è nelle PM10 e nel numero sempre più grande di persone che la sovrappopolazione del pianeta spinge a vivere nelle grandi città (l'inurbamento massiccio è un fenomeno mondiale, soprattutto nei paesi con alti tassi di natalità).
In attesa di riportare il mondo ad un rapporto sostenibile tra uomo e natura, non possiamo che indossare le mascherine antiparticolato quando ci inoltriamo nel traffico cittadino.

venerdì 14 ottobre 2011

SOVRAPPOPOLAZIONE E REALTA' VIRTUALE




Gli eccessi demografici rispetto alle risorse del territorio furono controllati per migliaia di anni dalle carestie o dalle grandi epidemie come quelle di peste nel mondo antico. Poi la scienza medica mise a disposizione le vaccinazioni e nuovi potenti farmaci per controllare le malattie infettive. Le nuove tecniche di produzione di cibo e merci, le scoperte scientifiche e la tecnologia hanno determinato l'esplosione demografica senza limiti che caratterizza il mondo moderno. Questo vantaggio dell'uomo rispetto a tutte le altre specie, che avrebbe dovuto essere gestito con saggezza, ha generato un pericolo mortale di distruzione del pianeta. L' ambiente artificiale che la tecnica ha creato si sta delineando davanti ai nostri occhi: eccesso demografico, megalopoli in cui vive ormai la maggior parte della popolazione umana, la cementificazione diffusa delle terre emerse, la scomparsa sempre più rapida di specie animali e vegetali, l'uso industriale delle acque con inquinamento chimico e inaridimento dei suoli, l'uniformizzazione del paesaggio, la distruzione delle foreste, il cambiamento climatico, la globalizzazione economica e culturale basata sulla virtualità. Le aree del pianeta che ancora conservano ambienti naturali incontaminati sono sotto attacco da parte del turismo di massa e sono esposte al pericolo di scomparire. Le megalopoli e il territorio metropolitano si estendono sempre più e rappresentano il destino cui il mondo è avviato.Le masse umane vivono come polli in batteria, in spazi ristretti e stratificati in edifici multipiano, stressati da ritmi di lavoro e mobilità sempre più intensi e uniformi. I cittadini vivono così senza o con poco verde, per lo più chiusi in ambienti insalubri,intossicati da gas e particolato, costretti dal poco tempo libero e da una propaganda continua a nutrirsi degli stessi cibi, a consumare le stesse merci, a uniformare la propria vita secondo schemi dettati dalla produzione industriale e dalle lobby finanziarie, e dalla cultura rappresentata dai gestori della virtualità. Nessuno di noi fa più scelte realmente personali e meditate, siamo tutti eterodiretti dalla grande macchina che gestisce il mondo virtuale. La trasformazione culturale è uno dei cambiamenti più radicali a cui siamo sottoposti senza quasi accorgersene come se fossimo anestetizzati. Mentre i valori, i miti, i racconti della tradizione che avevano regolato per secoli la cultura della società contadina, avevano mantenuto un rapporto con l'ambiente originario dando senso di appartenenza e identità, i nuovi messaggi della cultura delle megalopoli sono completamente virtuali, basati su un mondo virtuale creato dal nulla e diffuso dai nuovi midia tecnologici che lo fanno apparire reale. L'illusione di una realtà fittizia di un mondo inesistente ci riguarda tutti. Il senso di estraneamento ci rimane, non riusciamo più ad identificare noi stessi con una storia reale e sentita, ma il tambureggiante ripetersi dei messaggi virtuali ci frastorna la mente e ci toglie lucidità. Il film Matrix esprime perfettamente la virtualità assoluta di questo nuovo mondo culturale basato su una vita illusoria, del tutto mentale, mentre i polli umani sono immersi comatosi nel brodo della tecnica, privi di mondo e di natura. Questa vita artificiale è fonte di stress e nuove patologie: le cardiopatie, la depressione, l'inquinamento con le patologie respiratorie e degenerative, l'obesità dovuta alla soddisfazione alimentare quale sostituto di quella esistenziale irraggiungibile. Il cancro sempre più diffuso è metafora di una ribellione e impazzimento cellulare quale risposta allo stravolgimento ambientale. Le grandi masse umane per essere mantenute in questo stato, necessitano di un'alta produzione industriale e richiedono l'organizzazione obbligata della vita sociale in megalopoli. Non è possibile un mondo sovrappopolato senza megalopoli e senza produzione massificata. E' errato credere che l'inquinamento sia dovuto banalmente a problemi di ordine sociale o economico. Il capitalismo e il socialismo sono storicamente entrambi basati sull'industrializzazione, sul consumo tecnologico e sulla produzione di massa, ed entrambi hanno storicamente generato, in presenza di sovrappopolazione, società altamente inquinanti. Produzione industriale e megalopoli sono legate non alla politica o all'economia, ma alla tecnica quale potenza che ormai domina la nostra vita e ad una visione del mondo in cui l'uomo è padrone assoluto e la natura puro oggetto a disposizione delle sue esigenze (antropocentrismo).
In presenza di sette miliardi di umani è pura utopia sperare in una riorganizzazione non inquinante della produzione e della società, così come in un ritorno alla produzione artigianale e ad una economia contadina. Il mondo che conosciamo è un mondo avviato alla distruzione. Con l'ulteriore sviluppo tecnologico e una migliore organizzazione politica si potranno diminuire produzione e immissione di inquinanti e sostanze nocive, ma la produzione seriale e la massificazione culturale delle megalopoli sono vie senza ritorno, veri Minotauri che attendono i nostri figli e l'umanità futura. A meno di una riconsiderazione di fondo del rapporto tra uomo e natura e una correzione della visione totalitaria che è alla base della sovrappopolazione umana.

lunedì 10 ottobre 2011

DOSSIER DELLA CEI: IN ITALIA POCHE NASCITE!



Dice la Conferenza episcopale italiana che "nel 2050 in Italia ci sarà un crollo della popolazione in età lavorativa unico al mondo". In base ai dati elaborati da due demografi, Giancarlo Blangiardo (Milano Bicocca) e Antonio Golini (Roma Sapienza) la Cei denuncia "il lento suicidio demografico italiano". Le cause sono riconducibili, secondo la Cei, alle politiche economiche degli ultimi decenni, che non hanno aiutato la famiglia. Infine i vescovi denunciano l'insufficienza della immigrazione a ripianare il calo demografico , anche perché -secondo loro- gli immigrati si integrano talmente bene che fanno poi pochi figli.
Che dire? C'è veramente poco da dire. Un solo dato basti a denunciare la mistificazione della Cei: l'Italia non è mai stata così popolata come oggi, nonostante che già dagli anni 70 i vescovi denunciassero i cosidetti pericoli delle poche nascite. In Italia siamo 60 milioni, un numero mai raggiunto in passato, con una densità abitativa mai vista. L'Italia è un paese letteralmente distrutto dalla sovrappopolazione, le coste sono cementificate, le campagne sempre più sottratte all'agricoltura ed edificate, l'aria è irrespirabile nei centri abitati sempre più estesi. Aumentano i tossici immessi nell'ambiente, nelle acque e nell'atmosfera. Discariche e liquami sono ormai il paesaggio consueto del nostro paese e i ricordi degli anziani ci dimostrano che in una generazione il paese è cambiato fino a divenire irriconoscibile. Ma nonostante questo, i sacerdoti del dio antropomorfo continuano a voler trasformare il mondo in un carnaio. I sacerdoti del dio antropomorfo non amano la natura, le montagne, le foreste, le acque cristalline, i paesaggi incontaminati. Per loro la natura e gli animali sono roba a disposizione della voracità dei figli del dio antropomorfo. Per loro il mondo è discarica e si santifica solo con la riproduzione industriale della specie homo. Che cos'è questo se non il più volgare dei materialismi, perché vogliono corpi, corpi, corpi, solo corpi umani? Che si stia perdendo la spiritualità, ogni spiritualità, a costoro non frega niente. Il loro è il vero nichilismo contemporaneo, perché questa distruzione della natura è una distruzione del mondo, di ogni cosa, di ogni specie animale e vegetale, ma è anche una distruzione dell'uomo come essere vivente inscindibilmente legato alla natura. Il regno di dio che auspicano è un incubo: un regno avvelenato perché l'uomo -con infinita superbia- è stato posto davanti a tutto facendone un demone distruttore. E' lo stesso nichilismo che il cattolicesimo rivela nella propria idolatria necrofila: l'adorazione dei morti che lo contraddistingue corrisponde al desiderio di un mondo morto nella natura, un mondo invivibile.

lunedì 3 ottobre 2011

VAJONT


9 ottobre 1963, ore 22,39, un terribile boato come un immane urlo disumano, un rombo violento, fece tremare la valle e il paese di Longarone. Un'onda gigantesca di 250 milioni di metri cubi d'acqua, si abbatté sulla valle nel buio della notte. La natura si era rivoltata all'uomo e aveva parlato, anzi gridato come una bestia ferita per l'offesa e lo stupro subito da parte dell'arroganza dell'uomo. La diga, quella enorme mostruosa struttura di cemento aveva alterato un equilibrio di milioni di anni, tappando come un orribile involucro la valle del Diavolo e scatenato le forze ctonie del monte Toc. Una frana gigantesca con un fronte lungo chilometri quella notte si staccò d'un colpo dal fianco del monte precipitando nel lago, un lago reso artificialmente troppo profondo, per questioni di esigenze di produzione elettrica. Così una quantità di acqua spaventosa s'era trovata sospesa a quote molto elevate su una valle abitata. Ci furono duemila morti, di molti non si ritrovò nemmeno il corpo. Eppure la natura aveva mandato tanti segnali. Squarci sui fianchi del monte, frane, piccoli terremoti, un ribollire delle acque del lago. Tutto inutile se l'uomo non vuole ascoltare. Gli ingegneri e i geologi dell'Enel non se la sentirono di fermare la diga, né di far evacuare la popolazione quando ormai era evidente l'imminenza del disastro. L'Italia aveva bisogno di energia, era in atto un boom economico e demografico che aveva sete d'energia e quella diga serviva maledettamente. Fu la più grave catastrofe del dopoguerra, causata dall'uomo. Una giustizia sfuggente e tardiva non rese quello che era dovuto a vittime e parenti. Ma la cosa più grave è che la lezione non è servita. La macchina umana continua con i paraocchi la sua corsa folle. Lo stupro e la devastazione della natura continua come se la natura non esistesse e non ci parlasse ogni momento. Continuiamo a non ascoltare. Eppure parlano i cambiamenti climatici, il buco dell'ozono, il diffondersi della coltre di gas serra e delle polveri sottili, l'inquinamento delle acque di fiumi e mari, l'esaurirsi della falde acquifere. Parlano il diffondersi di nuove epidemie, delle malattie degenerative e da stress, delle malattie respiratorie, del cancro. Per allungare la vita e per nutrire un numero sempre più alto di esseri umani si deve ricorrere alla produzione ed immissione nell'ambiente di quantità gigantesche di prodotti chimici e farmaceutici. Gli aerei sfrecciano sempre più numerosi immettendo nel cielo i fumi della combustione del cherosene. I mari sono sempre più trafficati da navi che portano merci e petrolio. E' tutto un proliferare di polluzioni e sversamenti nell'aria e nelle acque. Nessuno ascolta la natura, gli scricchiolii che vengono dalla montagna.

sabato 1 ottobre 2011

L'importanza di una fede (per un mondo migliore)

Nel mondo vince chi ha una fede, chi crede in qualcosa. Noi occidentali non crediamo più a niente. C'è una stanchezza del pensiero che si vede soprattutto nei giovani. Dopo l'ultima guerra c'era la fede prima nella ricostruzione e poi nel progresso sociale. I giovani si davano da fare per migliorare le condizioni economiche proprie e del proprio paese. Nelle campagne c'era il miraggio della città, si era pronti a sacrificarsi e a partire per terre lontane. Oggi è tutto finito. Nel progresso non si crede più. Il comunismo e il socialismo sono crollati. La fede religiosa è svanita, e il dio antropomorfo del vecchio e nuovo testamento ha lasciato il posto ad un piccolo dio minore: l'io inteso come soggetto assoluto di diritti e di volontà senza limiti. Gli effetti sono di fronte a tutti: consumismo, competizione, stress, egoismo. L'eccesso di potenza consentito dalla tecnica ha dato l'illusione al piccolo dio di dominare il mondo, di impossessarsi del pianeta per realizzare i suoi desideri. Il pensiero unico della soggettività ha portato ad un mondo sovrappopolato e inquinato in cui ciò che conta è umano, sempre umano, troppo umano. Ma la fede nel futuro è svanita. Non ci sono più chiese o templi. Reggono ancora le moschee, ma per quanto? La fede nel futuro ha lasciato il posto al presente, al bruciare tutto qui e ora, a consumare tutto subito. Il mondo è una discarica, l'aria è irrespirabile, le città invivibili, la velocità è la cifra di tutto. Le campagne, quelle rimaste, sono sfondi delle autostrade utili a rendere gradevole il viaggio ma già assediate dal cemento. Edifici e capannoni stanno rendendo tutti i paesi uguali, uniformi. Le persone non credono più ad un al di là, né al passato o al futuro. Tutto è presente, tutto è acquisto, tutto è consumo, tutto è scarto. Al posto delle chiese, vuote, ci sono i supermercati, pieni. I cartelloni della pubblicità hanno preso il posto delle icone sacre del passato. Gli eroi contemporanei sono quelli virtuali dei midia, eroi virtuali ma senza virtù. "Soltanto un dio ci può salvare" diceva il filosofo, solo ritrovare una fede ci può restituire un futuro. Ma non una fede in un dio antropomorfo. Non sentiamo bisogno di un dio quando al suo posto c'è un io che vuole tutto. Eppure un senso del divino c'è ed è intorno a noi. Dobbiamo fermarci e ascoltare, guardare con occhi diversi quello che abbiamo trascurato. Dobbiamo ritrovare la natura e ritornarci a dialogare con rispetto e con senso di appartenenza ad un destino comune. Una fede in un mondo migliore è possibile.