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domenica 31 luglio 2011

Rischio cemento per il Parco del Trasimeno


Uno dei patrimoni ambientali più belli d'Italia, il Parco del lago Trasimeno, e' a rischio di cementificazione. La gestione del Parco, istituito nel 1991, vede troppi protagonisti con interessi spesso divergenti:la Regione Umbria, il comune di Perugia, i vari comuni del territorio (Passignano, Castiglione del Lago, Tuoro, ecc.). Inoltre la pluralità di leggi,direttive, piani territoriali, regolamenti ecc. non ha giovato alla salute del Parco ed ha accentuato l'incoerenza e la caoticita degli interventi, facilitando così l'edificazione e l'antropizzazione delle coste e dei territori circostanti. Si vedono così numerosi cantieri e orribili villette a schiera dozzinali sorgere dovunque, in particolare intorno ai centri di Tuoro, Castiglione del Lago, Passignano,Sant'Arcangelo, Monte del Lago. Intorno a San Feliciano si e' proceduto ad una edificazione a lotti che ha devastato le colline intorno, un patrimonio da conservare per gli spettacolari tramonti sul lago e i dolci declivi coperti di ulivi.Quello che doveva essere un gioiello del Parco si e' così trasformato in un sito degradato, dove sono spuntate villette edificate senza alcun criterio e senza alcuna pianificazione: non a caso il sito viene denominato "Case Sparse". Se il Parco non serve a proteggere e conservare queste aree di immenso valore paesaggistico e ambientale, a cosa serve? Sciagurata fu la scelta di costruire la ferrovia e la superstrada Perugia-Bettolle praticamente a pochi metri dalla sponda del lago. Non meno devastanti sull'ambiente lacustre sono i numerosi capannoni, fabbriche, zone industriali, discariche, centri commerciali sorti come funghi nei territori circostanti le sponde del lago. Inoltre l'intensa utilizzazione di fertilizzanti per l'agricoltura e di prodotti chimici industriali hanno fortemente inquinato le acque del lago che hanno scarso ricambio per mancanza di affluenti e scarsita' di sorgenti. In particolare i nitrati e i residui della zootecnia hanno determinato eutrofizzazione, crescita di alghe, produzione di schiume e un'alterazione profonda del biosistema.L'habitat, le piante, la biodiversità delle sponde del lago sono state profondamente alterate dalla antropizzazione negli ultimi decenni e l'aumento della densità abitativa continua senza soste. Sarebbe auspicabile una unificazione delle competenze sul Parco, sotraendolo cosi agli interventi scoordinati e in fin dei conti senza controllo, eventualmente con la creazione di una Authority specificamente dedicata. Salviamo il Parco del Trasimeno, o almeno quello che resta di uno dei luoghi un tempo più suggestivi d'Italia.

sabato 23 luglio 2011

LA FOTO DELL'ITALIA NOTTURNA

Per ingrandire la foto cliccarci sopra con il mouse

Si resta allibiti. E' la foto satellitare dell'Italia notturna con le mille luci della edificazione e dell'attività umana. E' la foto di una malattia del pianeta, di una tragedia ambientale. Questo paese, l'Italia, è un paese malato, e la malattia ha un nome preciso: pressione antropica eccessiva, sovrappopolazione. Nel 1911 il Bel Paese aveva 36.921.000 abitanti, nel 1961 eravamo 50.624.000, oggi invece siamo in 60.380.912 ( dati Istat). In un secolo la popolazione è quasi raddoppiata. In cinquant'anni è aumentata di dieci milioni, cioè come se sul territorio dello stivale si fossero istallate in mezzo secolo ben 10 città di un milione di abitanti. E questo in un paese, l'Italia, dove continuamente c'è chi si lamenta che non nasce più nessuno, che c'è la crisi delle nascite, che rischiamo l'invecchiamento del paese, che i giovani non ci sono più, che manca chi ci paga le pensioni, che si va verso lo spopolamento di paesi e città, e via frignando. Sono gli stessi che predicano la necessità di aprire le frontiere ad una immigrazione ancora più massiccia, senza controllo. E' la foto di una catastrofe! Nonostante il calo di numero medio dei figli delle famiglie italiane, il paese non è per niente spopolato, al contrario ha un numero di umani che non si è mai visto: più di 60 milioni, e per di più in un paese con ampi tratti di territorio occupato da montagne inabitabili in maniera intensiva (le aree scure nella foto in alto). Ciò significa che tutte le pianure sono ormai edificate e cementificate. Si prega di osservare nella foto, tra l'altro di alcuni anni fa, la sistematica illuminazione- cioè cementificazione- della costa dello Stivale e delle isole. Quella che un tempo era la magnifica costa italiana, con i suoi paesaggi di un mare azzurro, con i tramonti marini, con le tipiche pinete fin sulle spiagge, è completamente sparita ed oggi è praticamente tutta occupata dal cemento. Nulla si salva in questa distruzione sistematica. Però ci sono ancora Preti e Demagoghi che ci vengono a dire che ci sono poche nascite, che le famiglie abbisognano di incentivi per prolificare di più, ancora e ancora... E dove li mettiamo i nuovi arrivati? Mistero! Guardiamo la foto dell'Italia notturna, ci sono rimaste solo un po' di montagne. Si potrebbe provare a costruire i grattacieli in alta montagna, i costruttori sono già pronti.

domenica 17 luglio 2011

La Distruzione di Roma (seconda parte)

Dal 1970 al 1980: La fine dall’Agro Romano.

«Non v’è su tutta la terra spettacolo che uguagli in ricchezza di emozioni quello che la
Campagna Romana presenta
» (George Byron).

«Bella era quella muta, deserta campagna romana, sparsa dei ruderi degli antichi templi e,
nell’ineffabile pace diffusa intorno, ardente dell’oro di fiori gialli o accesa dalla bragia rovente dei
papaveri selvatici
» (Nikolaj V. Gogol).


Un decennio. Tutto è avvenuto in un decennio. Sparite, cancellate per sempre, per sempre, le vigne cariche d’uva delle ottobrate. Sparite la pianura e le colline verdi d’alberi, di piante d’olivo e di frutta, di grano. Sparite le mandrie di bovini, sparite le trasparenze, i pantani, le giuncaie, le ninfee, le nebbie tra la vegetazione, i boschi di lecci e castagni, i tramonti di un rosso sfumato nel rosa, gli antichi fontanili, le fonti circondate dall'ombra di alberi maestosi, i campi interrotti da antiche rovine…Tutto sostituito da una immane colata di cemento e asfalto, tutto coperto da muri sbrecciati, da piloni incompiuti, da manufatti degradati, uno squallore diffuso. Quello che si vede è un grido che lacera l'animo, un'offesa all'essenza dell'uomo, qualcosa che procura un dolore indicibile che nessuna parola scritta può riprodurre: conviene andare a vedere, constatare con i propri occhi. Non tutto è avvenuto in quel decennio, la devastazione è antica: già nell’ottocento l’attività umana aveva alterato il paesaggio, poi il suo contributo l’aveva dato il Fascismo con le bonifiche, con l’edificazione di ferrovie, strade asfaltate, nuovi centri abitati e intere nuove città. Nel dopoguerra c'erano state le prime baraccopoli, le prime prove di abusivismo a tappeto. Ma nel decennio ’70-’80 avvenne la sparizione irrevocabile, irrecuperabile da cui mai si potrà tornare indietro. Non è solo sparita fisicamente la campagna romana, ne è sparita l’anima millenaria.
Sono sorte dal nulla intere città tutte abusive , tragicamente, perché espressione di una natura umana infelice. Hanno nomi che suonano strani: Montespaccato, Guidonia, Ciampino, Finocchio, Morena, Torre Maura, Rustica, Corcolle, Labaro. Sgraziati come se riflettessero nei nomi l'estetica mostruosa. Abusive ma poi legalizzate da tante scandalose incomprensibili sanatorie. Siamo il paese del cattolicesimo: prima pecchi ma poi vieni perdonato e assolto. Un invito ad aggirare la legge, ogni legge. Non riesco ad abituarmi. Ogni volta che per lavoro torno nella periferia est di Roma, quella che guarda verso i colli che da Tivoli arrivano ai laghi vulcanici di Albano, sorge in me l’indignazione e la rivolta. Indignazione e rivolta nel vedere come, nel silenzio di tutti (con l'unica notevole eccezione di Antonio Cederna), si sia proceduto in appena un decennio dal 1970 al 1980, al saccheggio sistematico, regolare, minuzioso, metro per metro, di uno dei tesori assoluti ambientali dell’umanità: l’agro romano. Un saccheggio meticoloso, parcellare, fatto di migliaia, decine di migliaia di squallide costruzioni ad 1, 2 o più piani, del tutto abusive, illegali, al di fuori di ogni programmazione, di ogni piano regolatore (peraltro inesistente). Qui non si parla di grandi imprese, di multinazionali edilizie, di grandi speculatori, qui si parla di meschinerie da poveracci, di furto sistematico su di un cadavere, perché qui lo Stato, il Comune, le istituzioni sono quello che appare dallo scempio: un cadavere putrefatto su cui possono pascolare tutti, dai cani agli avvoltoi. Si vedono così orribili palazzine, grige, scrostate, rustiche, di materiali poveri, di tufo già sbreccolato, case, casette, casematte tutte con il loro bel terreno intorno perché lo squallore si desse almeno una tinta verdognola. Terreno recintato in sfregio ad ogni legge e regolamento, lasciando al Pubblico (chi è costui?) un misero e striminzito passaggio nominato dal Comune trombonescamente “via” con tanto di nome di qualche personaggio pescato chissà dove e chissà perché. E’ sempre la solita sottintesa regola italica: "prima viene ciò che è mio e de’ famija, poi viè er pubblico”. Tipica mentalità italiana. Le vie, chiamiamole pietosamente così, non hanno regola e, quando va bene, danno luogo ad un labirinto inestricabile. Molte volte finiscono invece nel nulla, contro un muro (abusivo anche quello) , contro un’inferriata, una rete di recinzione di altra proprietà, di altra costruzione abusiva. E’ così che l’ignaro e imprudente viandante, l’ingenuo automobilista che si avventura nel dedalo di vie e viette cieche o con squallidi sbocchi in ulteriori degradi, si ritrova perso a dover ripercorrere a ritroso in retromarcia (perché non fu previsto neanche apposito slargo per rigirarsi con l’auto) verso un tentativo di ritorno alla civiltà. Piange il cuore a vedere, tra calcinacci, pacchi di residuati edili, sacchi di spazzatura, copertoni bruciati e ferraglie, qualche pianta di vite o qualche albero di frutta, qualche papavero, miseri resti di quella che ancora alcuni decenni fa era una delle più belle campagne d’Europa, cantata da poeti, impreziosita dai monumenti dell’Appia antica, ammirata, dipinta e descritta da artisti e scrittori di ogni tempo. Ora solo cemento, asfalto diroccato, buche, fogne a cielo aperto, casupole, reti di recinzione, pali, transenne, cancelli rugginosi, cartelloni, muracci, ed ogni traccia possibile di una presenza umana miserabile perché eccessiva, sregolata, illegale,violenta se non fisicamente certo nell’anima. Persino gli storici acquedotti romani sono stati circondati dai tuguri abusivi, persino il Parco dell'Appia antica con i suoi monumenti patrimonio della cultura ha vaste aree edificate massivamente di casupole nate vecchie, già sbreccate appena costruite (Antonio Cederna ha scritto su questo libri e articoli di denuncia da tutti ignorati). Nel frattempo, nello stesso tempo, con un accanimento crudele verso luoghi un tempo meravigliosi, continuava in tutta la periferia romana l'altro tipo di edificazione di quartieri-mostro in quegli anni, edificazione che con sottile ironia potremmo definire "regolare" rispetto a quella caotica e abusiva. Il Nuovo Salario, il Portuense, l'Appio e il Nuovo Tuscolano, Laurentino, Corviale, Cassio, Bufalotta, Castel Giubileo e tutti gli altri incubi sorti sotto il crisma della legalità fatta di carte (...e della relativa corruzione) ma in reatà lacerata e stuprata nella sostanza dai soliti noti, i soliti grandi o medi costruttori-distruttori che sono sempre stati la mafia di Roma, insieme alla sua criminale casta politica.
Chi ha permesso tutto questo? CHI HA PERMESSO TUTTO QUESTO?
Ho chiesto, come sul luogo di un delitto, qua e là a poveri abitanti di questi luoghi d’inferno (si, poveri, anche se abusivi e illegali, comunque poveri perché loro hanno fatto quello che gli è stato concesso di fare senza alternative), ho chiesto, dicevo, l’anno di costruzione degli orribili manufatti.1968, 1970, 1972, 1975, 1978-1981. Mi sono andato a rivedere i sindaci di Roma di quegli anni, per capire, cercare di capire: Americo Petrucci, Rinaldo Santini, Clelio Darida, Carlo Giulio Argan, Petroselli… I governi nazionali: Dc, centrosinistra, Psi, compromesso storico con il Pci (si, veramente storico!). Chi, come, perché fu permesso tutto questo scempio senza pari, almeno in Europa? Chi ha distrutto Roma, chi ha devastato la campagna romana in questa maniera immonda? Dove era la giustizia, dove i giudici che dovevano sorvegliare? Dove s'erano nascosti gli amministratori? Il marziano di Flaiano non capirebbe, io da italiano capisco; non mi do pace, ma capisco. Siamo in Italia, siamo a Roma. Siamo negli anni della Dc, del terrorismo, della illegalità diffusa. Questo è il paese della mafia, del pensiero mafioso che si fa potere pubblico e privato.
Pare che alla facoltà di Architettura dell’Università di Roma, qualche esimio Professore difenda lo scempio in nome di una mal compresa “democrazia”. Si parla di “stato di necessità”, di esigenze popolari inderogabili, di diritto alla casa. Classico esempio di metafisica dei diritti. Si calpesta il Diritto in nome dei diritti: italiano tipicamente italiano. L'affermazione dei diritti, da parte di costoro, ha sempre una dimenticanza: quella dei doveri, doveri che sono alla base di quei diritti. Gli architetti “democratici” hanno persino elaborato una teoria estetica adeguata a giustificare il misfatto: parlano di “stratificazione sociale e urbanistica”. Secondo tale teoria la città, stratificatasi nella illegalità e nel degrado paesaggistico in questo modo abominevole, sarebbe più vera e viva, più vissuta secondo i canoni popolari, rispetto alla città progettata nelle regole e secondo un disegno più razionale. Siamo qui alla pura estetica stercoracea! Secondo questa logica qualunque discarica abusiva, qualunque tugurio edificato in spregio alle regole dovrebbe essere dichiarato monumento nazionale in quanto frutto della vita vera del popolo. Si, sono d’accordo. Conserviamo l’Appio-Tuscolano, conserviamo tutta la periferia romana degradata ad est, sud, ovest e nord della città e dichiariamolo monumento nazionale: a perenne memento di come una città e la natura magnifica che la circondava possa essere distrutta e devastata per sempre dalla infinita stupidità e arroganza degli uomini.

sabato 16 luglio 2011

LA DENATALITA' UN PROBLEMA? NO, E' UN VANTAGGIO!


Preti, Filosofi, Ideologi, Umanitari con l'erre moscia ripetono continuamente la litania che ...povera Europa va verso la fine, l'Italia è malata, l'Occidente invecchia, i giovani sono sempre di meno, ecc. insomma il male assoluto del mondo sviluppato secondo costoro sarebbe la denatalità. La tesi non solo è falsa ma anche pericolosa perché la salvezza del pianeta è legata in maniera inscindibile proprio alla denatalità. Soltanto un numero fortemente minore di umani permetterà di rallentare e rendere sostenibile l'immissione di CO2 nell'atmosfera, di fermare l'inquinamento chimico, la polluzione di particolato, l'esaurimento delle risorse idriche, la deforestazione, la scomparsa delle specie animali e vegetali, la conflittualità e le guerre, le epidemie come l'HIV (dovuto ad eccesso di nascite), la Sars, la encefalopatia spongiforme ecc. Inoltre la denatalità è fondamentale per restituire un rapporto tra uomo e pianeta che ridia un senso alla vita. Preti e antropoegoici ribattono che la denatalità porta ad una società di vecchi, con stagnazione economica e senza sviluppo. E' esattamente il contrario: i casi più eclatanti di sviluppo economico in Asia sono venuti proprio da quei paesi che hanno avviato politiche di denatalità come Singapore, Corea e la Cina stessa, permettendo così di liberare risorse per gli investimenti. L' economia liberale è l'unica compatibile con la denatalità ed anzi la rafforza (come la storia di Europa e Stati Uniti dimostra) in quanto scoraggia la prolificità delle coppie per l'alto costo dei figli, per l'indirizzo dei risparmi verso i consumi, per la maggior libertà e dignità della donna. Il liberalismo è il miglior contrasto a integralismi religiosi e nazionalismi ideologici, elementi che spingono ad alti tassi di natalità. Per constatare la fine di un regime in un dato paese basta solo vedere il tasso di natalità: più questo scende più il regime cede il passo al liberalismo, e la Cina ne è la conferma. Il poderoso sviluppo economico cinese, pur con tutte le contraddizioni di un periodo di transizione, sta portando a cambiamenti strutturali non solo economici ma anche politici e tecnologici con una maggiore consapevolezza di popolazioni ed individui, prodotti più ecocompatibili e con politiche di protezione ambientale impensabili nel regime precedente (il regime è solo formalmente mantenuto, di fatto l'economia cinese attuale è liberista assai più che in Europa). La storia dell'invecchiamento e dei danni conseguenti che agitano i natalisti a proposito della decrescita demografica è falsa e strumentale . L'assistenza agli anziani è occasione di lavoro e occupazione, non necessita di organizzazioni ampie e dispendiose ma snelle e a costi sostenibili. Se la società si riorganizza favorendo ruoli più attivi per gli anziani, essi stabilizzano la società, possono partecipare al sistema educativo, hanno il patrimonio dell'esperienza. Tanto più oggi che la tecnologia permette di far fronte con successo a molti problemi connessi con l'aumento dell'età media. Bisogna considerare che anche con un alto tasso di natalità gli anziani sarebbero ugualmente molto numerosi e rischierebbero minore attenzione sociale. Le società con bassa natalità possono mantenere un buon sviluppo economico indirizzando le risorse verso il miglioramento tecnologico della produzione, di cui si può ridurre la quantità a vantaggio della qualità, con riflessi positivi su stile di vita e rapporto con la natura. E poi, che è tutta questa paura, agitata dai tromboni natalisti, che la bassa natalità porti allo spopolamento? L'Europa della bassa natalità non solo non si sta spopolando ma, al contrario -complice l'immigrazione- ha aumentato la popolazione. L'Italia, con uno dei tassi demografici di natalità più bassi, è cresciuta in densità e numero di abitanti e oggi siamo più di 60 milioni, una pressione demografica spropositata per le risorse naturali di questo povero paese in preda alle ideologie dei demagoghi e alle fissazioni dei natalisti.

martedì 12 luglio 2011

1950-2011 La Distruzione di Roma (prima parte)



Dal dopoguerra al 1970.

Secondo la scienza semiotica è possibile studiare la conformazione esteriore di un oggetto, la simbologia che lo sottende, il suo senso, e da questo studio interpretare il pensiero che ne è alla base e all’origine. Così vedendo e studiando l’espansione urbanistica di Roma a partire dal dopoguerra, analizzandone i singoli elementi, la conformazione dei manufatti, i suoi costituenti materiali, la loro rispondenza a regole e leggi, la loro valenza economica e sociale, è possibile risalire non solo alla politica, all’economia, agli ideali che hanno sostenuto quella urbanizzazione, ma al pensiero degli uomini che vi hanno dato luogo. Un pensiero che si esprime in pochi concetti: svalutazione del territorio, rapina, corruzione, impotenza politica, mancanza di cultura di governo, sopraffazione, violenza. L’urbanizzazione di Roma, avvenuta come è noto a cominciare dal dopoguerra in seguito ad un intenso flusso immigratorio di lavoratori e impiegati meridionali protrattosi poi anche negli anni 60 e 70, ad una grave carenza di abitazioni e in mancanza di un vero piano regolatore, si può distinguere in quella legale e in quella illegale. Per capire l'entità del fenomeno e la carenza di abitazioni si deve considerare che la città alla fine degli anni 30 aveva circa mezzo milione di abitanti. In pochi decenni quindi si è assistito ad un aumento vertiginoso della popolazione, in pratica quasi un milione di persone in più. Le costruzioni abusive e al di fuori di ogni regola nel territorio di Roma sono di tale entità da avere pochi altri esempi simili al mondo, con l’eccezione del comune e della provincia di Napoli. Lo scempio senza pari è frutto di una mentalità, di una cultura della illegalità perfino degli stessi legislatori, della corruzione, della mancanza di scrupoli, della imbecillità di un’intera classe dirigente, di amministratori, di imprenditori. Al fenomeno immigratorio si poteva far fronte con una programmazione lungimirante regolata da leggi semplici ed efficienti con attenzione alle necessità della gente e altrattanta alla qualità edilizia e al rispetto del territorio. Invece si procedette lasciando fare a corruzione e illegalità, con un misto di demagogia popolare e di trombonismo politico e di incapacità a programmare e regolare il fenomeno. Ma veniamo alla edificazione legale. Numerose leggi di quegli anni, dietro copertura della necessità sociale, avevano avallato deroghe a piani regolatori o inesistenti o evanescenti. L’unico Piano Regolatore faticosamente approvato, dopo il lavoro di innumerevoli commissioni, nel 1962 e vanificato dopo il 1965 per contrasti, deroghe, cambiamenti e ripensamenti, non riuscì neppure ad impedire l’edificazione criminale e scandalosa del parco storico e paesaggistico dell’Appia. Quelle poche leggi di regole edilizie esistenti non erano rispettate e nessuno le attuava. I controlli non esistevano o erano pilotati. Gli edifici erano di una miseria progettistica e economicità realizzativa da sbalordire solo a vederli, figurarsi ad abitarvi. Il pauperismo da mentecatti con cui furono ideati dai committenti pubblici e privati era da comica: non furono previsti garage condominiali in quanto i garage erano considerati elementi di lusso e quindi appartenenti ad una visione "borghese" dell'edilizia. Il risultato fu che i casermoni, circondati da vie strettissime perennemente intasate di auto in sosta, erano doppiamente invivibili dentro e fuori, sia dai proletari che dai borghesi. Anche nella Roma umbertina di fine ‘800 e di inizio ‘900 si costruiva con la corruzione, ma almeno c’era ancora un minimo di dignità a cui architetti e costruttori si attenevano, dignità ancora oggi visibile nei palazzi di qualità che rendono Prati e Piazza Mazzini un quartiere accettabile. La dignità e ogni senso di vergogna furono abbandonati nel dopoguerra. Dagli anni 1950 al 1970 si sono edificati numerosi quartieri dell’orrore: il nuovo salario, nomentano, la zona della cassia-trionfale, il tiburtino, l’appio-tuscolano, il prenestino-casilino e tutte le altre degradate periferie romane edificate in quegli anni. Tutte le zone sono state edificate in economia povera, con materiali scadenti, senza alcun criterio estetico o di valorizzazione ambientale, con l’uso massiccio di cemento, di materiali tossici (eternit, catrami ecc.), con una viabilità ridotta al minimo sia in ampiezza che in numero per meglio sfruttare commercialmente i terreni con una edificazione massiva. Qui si rivela una concezione che vede il territorio (il territorio di Roma !) come un mero oggetto, anzi come un mero oggetto di rapina. Un elemento di quegli anni che assurge a simbolo dello sprezzo del territorio e di un pur minimo criterio estetico ambientale fu la costruzione della famigerata strada a forte scorrimento “sopraelevata” che corre tra gli edifici nel quartiere tiburtino-san giovanni, resa famosa dai film di Fantozzi. Basta passeggiare nelle vie del quartiere tiburtino appena fuori dal Verano e da Portonaccio per rendersi conto che stiamo parlando di un vero e proprio disastro ambientale, sociale e culturale. L’idea di città, la concezione valoriale dell’idea di città che avevano le classi dominanti a Roma negli anni ’50-’60 è quella che appare osservando gli orribili manufatti-dormitorio del tiburtino terzo. Come si fa con Auschwitz ci si portino i ragazzi delle scuole, così come ci vadano coloro che vogliono fare i politici, o gli studenti di architettura: quei casermoni esprimono meglio di tanti discorsi il concetto di come un pensiero sbagliato può distruggere il pianeta e dar luogo ad un incubo materializzato. Questo disastro fu concepito con un rispetto minimo ma formale delle leggi edilizie allora vigenti, tra l’altro con numerosi interventi di edilizia sociale pubblica di infima qualità. L’orrore estetico si accompagna nel caso della periferia romana, all’orrore morale. La tecnica criminale con cui ci si arricchiva illegalmente con l'edificazione massiva a scapito di contadini e piccoli possidenti ingenui e ignari delle capacità criminali di pubblici amministratori era la seguente: i terreni agricoli venivano acquistati a quattro soldi da costruttori criminali o dagli stessi politici corrotti, spesso taglieggiando e minacciando i proprietari con lo spettro dell'esproprio, poi con opportune varianti al piano regolatore i terreni agricoli venivano fatti divenire edificabili. A questo punto si procedeva all’edificazione massiva dei terreni o si rivendevano a prezzo decuplicato arricchendo così speculatori, costruttori e amministratori e lasciando i contadini e vecchi proprietari con le pive nel sacco. Ma un danno ancora peggiore avvenne negli anni 1970-1980. Questo decennio può avere, per quel che riguarda la città di Roma e del suo territorio, un unico tragico titolo: la distruzione dell’Agro Romano.

venerdì 8 luglio 2011

Verso il vegetarianesimo

E' ormai imperativo: lo stop alla infinita arroganza umana passa per la scelta del vegetarianesimo. Lo dice Umberto Veronesi, persona sensibile e illuminata. Magnifici sono gli articoli di Susanna Tamaro sulla crudeltà degli uomini. Gli scritti di Ceronetti ci richiamano filosoficamente alla essenza della vita: il rispetto per la natura e per gli animali. I vegetariani sono sempre di più in tutto il mondo. Non è un imperativo ideologico. Non è necessario smettere di mangiare carne ora e per sempre ed in maniera rigorosa. Ciò che conta nel vegetarianesimo è il richiamo di fondo al rispetto della natura, al rispetto di tutti gli esseri viventi (anche degli uomini). Nella civiltà contadina si mangiava carne, ma gli animali crescevano insieme alle persone che vivevano in case in cui la stalla era posta al pianterreno. Il mangiar carne era un lusso raro e se ne percepiva il valore. Gli animali avevano un valore, una considerazione diversa. Nessuno vuole far credere che il mondo contadino era un idillio. Ma c'era un rapporto che oggi si è perso divenendo una sopraffazione che si riverbera in una società sovrappopolata, sovralimentata, in cui la cifra di fondo è l'eccesso e lo spreco efferato. Oggi gli animali vengono allevati industrialmente, al chiuso per la maggior parte del tempo, alimentati con mangimi di origine animale addizionati di additivi chimici, imbottiti di ormoni per produrre più peso e più denaro, e la morte per macellazione è un'impresa industriale. I campi di sterminio nazisti sono solo una pallida imitazione di quello che avviene in questi campi di morte. L'immane sofferenza degli animali ce la ritroviamo a tavola e ci intossica la vita. Ci intossica moralmente e fisicamente. Moralmente perché ci instilla indifferenza verso la sorte di esseri viventi che, specialmente per quel che riguarda i mammiferi, sono vicini geneticamente e dal punto di vista evolutivo alla nostra specie. Fisicamente perché ci condanna alla voracità, al sovrappeso, al colesterolo, alla gotta, e ad ogni sorta di malattie metaboliche della società opulenta. Lo spettacolo di masse di persone che si affollano nei supermercati intorno ai banconi della carne richiama quello della voracità di frotte di topi intorno al formaggio. Non esiste spettacolo più osceno e disgustoso di questo: umani che, già obesi e aterosclerotici, frugano vogliosi i resti gelati e incellofanati della sofferenza di creature innocenti, alla ricerca di ulteriore soddisfazione della propria libido di morte. Dunque fermiamoci. Cerchiamo di ritrovare un limite, di tornare ad un rispetto del mondo e di noi stessi. La carne degli animali ridivenga il lusso concesso con parsimonia. O meglio si scelga una vita più salutare che riduca i consumi inutili, privilegi il cibo vegetale o solo i prodotti indiretti della coabitazione tra uomini e animali (uova, latte, formaggi). Che ci porti ad un rapporto diverso con l'esistenza degli altri esseri viventi e con il pianeta. Al primo posto di questo diverso rapporto è ristabilire un equilibrio quantitativo tra umani e gli altri animali e le piante. Un Si gigantesco alle politiche di denatalità e di decrescita demografica, contro gli ideologismi e i dogmi di tutte le "chiese" sia religiose che laiche. Poi un modo diverso di vedere il mondo che ci restituisca i luoghi nel loro valore originario con i suoi abitanti umani, animali e vegetali. Per l'uomo ciò significa un modo diverso di pensare, più profondo e meditato, meno legato alla oggettualità, cioè al considerare le cose, i luoghi, gli esseri viventi come oggetti di cui disporre senza limiti. Questo è vegetarianesimo.

domenica 3 luglio 2011

"Foreste" di Robert Harrison


Questo libro è di quelli che raddrizzano, illuminano, purificano,convertono alla verità della Mente. E' un testo filosofico che ti fa appartare dal volgo ignobile distruttore, in qualunque luogo, proprio come in una grande, incontaminata per miracolo, foresta. Il mio triste secolo non ne ha risparmiata nessuna, e dov'era la Città ha seminato selve di grattacieli e giungle d'asfalto, e la storia della perdita delle foreste è parallela e indisgiungibile dalla storia della perdita dell'uomo conquistatore. Ai distruttori di foreste dobbiamo l'evocazione di Némesis e la moltiplicazione spaventosa di moltitudini accecate (oggi abbiamo sette miliardi di geofagi accaniti attorno a quest'osso spolpato Terra che chiamano crescita la loro privazione di vita vera) che tra XIX e XX hanno creato un mondo invivibile, e le foreste con le loro divinità e i loro incantesimi non sono più che materia per la monoindustria del disfacimento.
Leggete Foreste di Robert Harrison: vi farà vergognare e vi renderà, forse, meno passivi, meno predabili dalle forze del Male.
(Da: Guido Ceronetti, Ti saluto mio secolo crudele, Einaudi).