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martedì 26 gennaio 2021

La società opulenta totalitaria

L' economia mondiale si basa su un modello sviluppato per primi dagli Usa negli anni 50 del secolo scorso: l'economia basata sulla produzione e sul suo costante aumento. Tale economia fu descritta lucidamente in quegli anni da un testo rimasto centrale per comprendere i cambiamenti dell'economia e della societa che avrebbe portato alla globalizzazione dei mercati.
Eravamo da pochi anni nel dopoguerra quando usci il libro di John Kenneth Galbraith su La Societa' opulenta (titolo originale The Affluent Society -1958). Quando nel finire 1954, fa notare Galbraith, i repubblicani dichiararono al Congresso americano, che quello era stato il secondo miglior anno della storia, essi non si riferivano ad un reale cambiamento della qualita della vita o ad un miglioramento spirituale: si riferivano invece alla produzione materiale dei beni, quello era infatti l'anno della seconda piu alta produzione nella storia americana. Il primo anno migliore della storia era stato il 1953 con un pil di 364 miliardi di dollari, il 1954 il secondo, con un pil di 360 miliardi. Sull'importanza della produzione industriale non c'erano divergenze tra democratici e repubblicani, di destra e di sinistra, bianchi o di colore, cattolici e protestanti.La produzione diveniva cosi il paradigma, la regola aurea del progresso della societa moderna intorno a cui tutto il resto gira, compresa la cultura e i valori etici.
Un concetto centrale introdotto dall'autore è quello di mentalità convenzionale. La mentalita' convenzionale da' piu' importanza alla produzione di beni di consumo (industria privata) e meno importanza ai servizi: strade, pubblica sicurezza, sanita', istruzione, difesa, ecc. Attraverso la mentalità convenzionale si crea uno degli elementi che assicurano l'implementazione costante della produzione: la produzione crea bisogni attivamente attraverso la pubblicita', e passivamente attraverso l'emulazione. Non e' possibile affermare che un piu' elevato livello di produzione assicuri il benessere meglio di quanto possa fare un livello di produzione piu' modesto: l'effetto della dipendenza e' il rapporto intercorrente fra i bisogni ed il processo di produzione destinato a soddisfarli. I bisogni, secondo Keynes, possono essere assoluti o relativi: i primi sono bisogni di sopravvivenza, possono essere soddisfatti e per essi il problema economico puo' essere risolto; i secondi, invece, sono insaziabili: piu' elevato e' il livello generale, piu' essi sono intensi. Ne deriva che i bisogni dell'uomo non cessano di essere urgenti; la capacita' di produzione dipende dalla capacita' di persuasione. L'istruzione e' un'arma a doppio taglio; la stimolazione della domanda con la pubblicita' e l'emulazione e' decrescente al crescere dell'istruzione, mentre e' crescente la stimolazione di desideri piu' esoterici: musica, arti figurative, interessi scientifici e letterari, in parte anche i viaggi.La manipolazione delle coscienze ai fini del mercato e la creazione della mentalità convenzionale non deve essere coercitiva secondo i vecchi canoni repressivi, in quanto la coercizione non può coesistere con la libertà di mercato. La manipolazione deve essere formativa, permeante, in questo senso la società opulenta deve controllare la scuola e i mezzi di informazione, il tempo libero, gli spettacoli, e, oggi, la rete.
Di fronte al nuovo totem della produzione, e al nuovo mito della merce come misura della società umana, finiscono tutti gli ismi della storia, le grandi idee sul progresso, la costruzione di nuove realtà spirituali o l'idea che una società di eguali avrebbe assicurato la pace e la prosperità. Banalmente il futuro sarebbe stato l'epoca in cui la produzione avrebbe toccato vette più elevate.
In un passaggio che ai tempi del libro poteva definirsi profetico, Galbraith dice che il nuovo indirizzo economico tende ad aumentare la disponibilita' di lavoro, grazie a natalita' ed immigrazioni. La sovrappopolazione è dunque un elemento essenziale al funzionamento della società moderna basata sulla produzione di beni. Funzionale alla società opulenta è lo sviluppo delle megalopoli come nuova forma di convivenza di grandi masse nel segno del consumo. Secondo la nuova economia nulla sta al di sopra della produzione, neanche la scienza. Gli scienziati godono di un discreto prestigio, dice l'autore di The Affluent society, ma per essere veramente utili noi pretendiamo che essi siano al servizio del miglioramento della produzione.La scienza non deve essere al servizio del progresso umano, ma al servizio della produzione dei beni. Sono gli anni in cui tutto diviene produzione in serie, come Ford aveva insegnato con la produzione nella catene di montaggio delle auto qualche decennio prima. "Ci si oppone con irragionevole avversione a ogni invenzione o principio che si crede interferisca o possa ostacolare una produzione quantitativamente migliore, proprio come la persona religiosa reagisce contro la bestemmia o il guerrafondaio contro il pacifismo". Chi si oppone alla produzione dei beni e al suo corollario: il mercato globale che assicura la crescita costante del prodotto, e' fuori del paradiso terrestre e subisce metaforicamente la condanna al rogo dell'eresia. C'erano le basi del pensiero unico mercatista che si sarebbe definitivamente imposto del XXI secolo, la mentalita' convenzionale come la definisce Galbraith. Gli anni in cui esce il libro sono anche gli anni in cui si comincia a comprendere che l'importanza della produzione supera il vecchio concetto dello stato nazionale: sentiamo continuamente dire che il livello di vita a cui sono giunti gli americani e' la "meraviglia del mondo", e nella mentalita convenzionale questa e' la giustificazione della nostra civilta' e anche della nostra esistenza. Comincia la globalizzazione dei mercati e della produzione.
Ora, fa notare Galbraith, i beni sono abbondanti. Negli stati Uniti sono piu le persone che muoiono per aver troppo cibo di quelle che muoiono per averne troppo poco. Mentre una volta si pensava che la popolazione premesse sulla disponibilita' delle risorse alimentari e di consumo, ora e' l'abbondanza di queste che pesa sulla popolazione. Tutti gli umani del pianeta debbono essere liberi di accedere al prodotto: la produzione non si puo interrompere per nessun motivo, il paradigma ne prevede la crescita costante insieme al numero dei consumatori. le persone stesse divengono così, da soggetti quale erano, oggetti della moltiplicazione produttiva in quanto funzionali all'aumento del prodotto complessivo. Il concetto di produzione perde il rapporto prevalente con quello di necessità. Il prodotto spesso è in se inutile o ha una utilità marginale. Il suo valore non è la sua effettiva utilità a coprire una esigenza. Il valore del prodotto è nel prodotto stesso. Nasce la società dell'opulenza in cui il lusso è uno status sociale. Dice Galbraith: "Nessuno puo' sostenere seriamente che l'acciaio che serve ad allungare di quattro o cinque piedi le carrozzerie delle nostre automobili a scopo esclusivamente estetico o per sfoggio di potenza, sia veramente necessario. Per molte donne e anche per qualche uomo, il vestiario ha cessato di avere una funzione protettiva, ed e' diventato, come il piumaggio di certi uccelli, un mezzo che serve solo ad attrarre persone dell'altro sesso ". Questi prodotti non sono necessari, ma rispondono ad una legge fondamentale: determinano dei bisogni indotti nella popolazione. Con l'aiuto della pubblicita e dei modelli diffusi dai media, si instilla nella popolazione la convinzione che il miglioramento della propria esistenza consista nell'aumento dei consumi e nella moltiplicazione del possesso di merci. Tutto questo contribuisce alla crescita della produzione, la produzione di merci diviene inarrestabile fornendo il benessere generale, che consiste ormai su un solo parametro: il consumo. Sono gli anni in cui nascono le grandi catene di supermercati e le multinazionali della produzione. "Tuttavia il problema della produzione continua ad essere al centro delle nostre preoccupazioni. Non si tende a considerare la produzione come una cosa naturale e scontata, come si fa per il sole e l'acqua: essa continua , invece, a costituire una misura dei pregi e del progresso della nostra civilta'".Il filosofo Umberto Galimberti vede in questa prevalenza del paradigma della produzione uno degli aspetti che sono alla base del nichilismo della societa contemporanea. La produzione in continua crescita presuppone che la merce prodotta sia presto buttata via, in un sistema unidirezionale che prevede l'annientamento della merce passando per il suo consumo. La nullificazione del prodotto e la sua trasformazione in rifiuto e' costitutivo della societa globale dei consumatori. Il riutilizzo del prodotto è una eresia per la società dell'abbondanza.
Lo stato perde i confini e alla vecchia sovranita' nazionale subentrano le nuove sovranita' sovranazionali, le grandi istituzioni finanziarie e le multinazionali della produzione. La produzione, perso ogni rapporto con i luoghi, si sposta come una merce tra le altre: le grandi fabbriche serializzate divengono globali. Gli organismi che regolano i commerci globali acquisiscono rilevanza strategica. Si importa crescita demografica dove manca, ricorrendo ai paesi con alta natalita', affinche il ciclo di produzione e consumo non si stabilizzi ma cresca continuamente, come richiedono gli interessi finanziari globali. Tutte le idee convenzionali sullo Stato e sulla nazionalita' vengono spazzate via dall'idea del consumatore unico. Soros subentra a Marx, Adam Smith e Keynes.
Robespierre, quando era a capo del tribunale di salute pubblica, aveva detto esplicitamente che bisognava eliminare le teste pensanti che si opponevano ai nuovi ideali morali dei rivoluzionari, basate sui diritti dell'uomo e l'uguaglianza. Era per i diritti degli uomini, diceva il capo dei giacobini, che migliaia di teste venivano mozzate. Oggi quei diritti, distrutte tutte le visioni spirituali dell'uomo, sono i diritti della produzione e dei consumatori. I nuovi giacobini sono i padroni della rete. Chi si oppone alla crescita della produzione e dei consumatori e al mercato glbale va silenziato ed eliminato dalla rete, magari nel nome dei diritti umani. Il nuovo autoritarismo è soft ma pervasivo: negli Stati uniti non e rappresentato tanto dalle grida di Trump e il suo decisionismo naif, che sembrano al contrario una semplice reazione sconclusionata all'imposizione del pensiero unico globale, quanto dall'establishment mediatico del politically correct. In europa ad esempio questo sistema di pensiero unico e' alla base delle istituzioni sovranazionali,dei media e dei social, del potere finanziario e produttivo internazionale. Una decisione a Bruxelles può decidere del futuro e del benessere di intere popolazioni in luoghi distanti. Mentre negli stati nazionali i poteri di controllo delle idee erano rappresentati dal governo locale, nel globalismo i poteri sono piu distanti e mediati. Le grandi istituzioni economiche, le banche centrali, le agenzie di rating e le concentrazioni finaziarie determinano le idee consentite e quelle non consentite favorendo la circolazione delle prime e proibendo le seconde con la demonizzazione mediatica. Chi e fuori del paradigma subisce la dannazione dei media e dei social. Andare contro il pensiero unico comporta l'esclusione da una serie di benefici e facilitazioni che nel mondo globalizzato sono irrinunciabili. L'esprimere idee non adeguate al pensiero unico da parte di dirigenti e governi significa bloccare l'economia di un paese, l'esclusione effettiva dalle decisioni internazionali, la bannerizzazione dai media, la condanna etica dell'apparato che controlla la formazione delle opinioni e la vita sociale. Poiche i vizi vanno sempre ammantati di virtu, al tempo della societa opulenta globalizzata le repressioni delle idee non uniformi vanno giustificate con la necessita di rispettare i diritti umani. Non i diritti del singolo individuo con una storia ed a una terra di origine, ma i diritti di una persona neutra, globale, senza identità: in una parola i diritti del consumatore globale. Al posto della storia individuale, ed in futuro anche del nome e del cognome, c'è un codice a barre, simbolo del consumatore globale.

mercoledì 6 gennaio 2021

Attenborough: L'ecologia degli ottimisti

Nel suo ultimo libro "La vita sul nostro pianeta" (Ed. Piemme) il grande naturalista e divulgatore David Attenborough passa in rassegna i gravi problemi ambientali ed ecologici che mettono in pericolo la vita sul pianeta terra. Sulla causa di tutte le distruzioni, da quella delle foreste pluviali,alla scomparsa della biodiversità e delle specie viventi, non ci possono essere dubbi. La causa è una sola: la presenza e la crescita spropositata di Homo sapiens. A Homo è ormai da tutti gli studiosi attribuita una nuova era planetaria: l'Antropocene, caratterizzata dal progressivo depauperamento delle risorse naturali e inquinamento ambientale, in particolare l'innalzamento del carbonio libero in atmosfera e il conseguente aumento delle temperature. Davanti ai nostri occhi, per lo più indifferenti, si consumano gli spaventosi disastri ambientali e biologici dovuti alla crescita del cancro umano: la scomparsa progressiva delle foreste e degli habitat selvaggi per specie avviate all'estinzione come gli Orango asiatici o i Gorilla Africani, l'abbattimento della vegetazione naturale in favore delle monoculture ad uso commerciale (cereali per umani o soia e altri vegetali per il bestiame da carne e allevamento) o del cemento metropolitano. Attenborough non si nasconde il problema principale: la spaventosa crescita demografica umana dell'ultimo secolo. Riporto parte di uno dei capitoli conclusivi:
"Quando sono nato, c'erano meno di due miliardi di persone sul pianeta: oggi ce ne sono quasi quattro volte di più. La popolazione mondiale continua a crescere, e secondo le attuali proiezioni delle Nazioni Unite, entro il 2100 sulla Terra ci saranno tra 9,4 e 12,7 miliardi di persone. In natura, le popolazioni di animali e piante in ogni habitat rimangono di dimensioni approssimativamente stabili nel tempo, in equilibrio con il resto della comunità. Se sono troppi, ogni individuo farà più fatica a ottenere ciò di cui ha bisogno, per cui alcuni moriranno o si sposteranno altrove. Se sono troppo pochi, le risorse saranno più che sufficienti per tutti.Così si riprodurranno bene e la specie raggiungerà ancora una volta il suo pieno potenziale.Aumentando o diminuendo leggermente, la popolazione di ogni specie oscilla intorno a un numero che l'habitat può sostenere. Questo numero - la capacità che un ambiente ha di sostentare una particolare specie- rappresenta l'essenza stessa dell'equilibrio della natura. Qual è la capacità portante della Terra verso noi umani? ...A quanto pare riusciamo sempre a inventare o scoprire nuovi modi di sfruttare l'ambiente e trarne sostentamento, almeno per quel che riguarda l'essenziale - cibo, alloggio, acqua-, per sempre più persone. Anzi, la verità è ancora più impressionante. Ci procuriamo senza sforzo molto più dell'essenziale - scuole, negozi, divertimenti, istituzioni pubbliche-, anche se la nostra popolazione continua a crescere a una velocità straordinaria. Non c'è niente che possa fermarci? La catastrofe che si staverificando intorno a noi suggerisce di si. La perdita di biodiversità, il cambiamento climatico, la pressione sui nove limiti planetari, tutto indica che ci stiamo avvicinando alla soglia...I demografi parlano di transizione demografica che, sul modello del Giappone, si spera possa avvenire anche per il resto del mondo. Tra i primi anni Cinquanta e i primi anni Settanta ci fu in Giappone un boom economico: le città si espansero rapidamente, i redditi aumentarono, l'istruzione migliorò e le aspirazioni crebbero. Tuttavia, durante quel periodo, il tasso di natalità diminuì improvvisamente. Nel 1975 la famiglia media giapponese aveva solo due figli. Molti aspetti della vita erano migliorati, ma erano anche più costosi. C'erano meno spazio, meno soldi e meno tempo per allevare i bambini, e meno incentivi per le famiglie numerose perché la mortalità infantile era calata con i miglioramenti nella dieta e nelle cure sanitarie. Nel 2000 la popolazione del Giappone era di 126 milioni, ed è così ancora oggi. Si è quindi stabilizzata. Il Giappone è nella quarta fase: sia il tasso di natalità sia quello di mortalità sono bassi, il che significa che si annullano a vicenda e la popolazione rimane stazionaria. E' possibile tracciare una simile transizione nella popolazione del mondo intero. Ma quando succederà alla popolazione mondiale ciò che è successo al Giappone? Sarà un momento storico, il giorno che gli studiosi delle popolazioni, i demografi, definiscono picco umano, quando la nostra popolazione smetterà di crescere per la prima volta dall'avvento dell'agricoltura, diecimila anni fa. Ma ci vorrà molto tempo: in primo luogo, la dimensione della famiglia deve scendere abbastanza da consentirci di raggiungere il picco infantile, il punto in cui il numero di bambini sulla Terra smette di aumentare. Dopodiché dovremo aspettare che la generazione di bambini più numerosa di sempre attraversi i venti e i trent'anni -quando avranno dei figli- perché la popolazione cominci a stabilizzarsi. In sostanza, soltanto quando avremo le famiglie meno numerose di sempre, la nostra popolazione smetterà di aumentare...Possiamo in qualche modo incoraggiare la popolazione a raggiungere il picco più in fretta? La Cina pensava di aver trovato la risposta nel 1980, quando mise in atto la politica del figlio unico. A parte le questioni morali, la difficoltà di metterla in pratica e le perturbazioni sociali e culturali a essa associate, ci sono poche prove che tale approccio funzioni più efficacemente dello sviluppo economico. Sembra che il modo migliore per stabilizzare la popolazione sia sostenere le nazioni che cercano di accelerare la loro transizione demografica. Sostenere quelli che vogliono risollevarsi dalla povertà, dotarsi di strutture sanitarie, sistemi educativi, trasporti migliori e sicurezza energetica, diventare attraenti per gli investitori. Tra tutti questi progressi sociali, uno in particolare contribuisce a ridurre in modo significativo le dimensioni medie delle famiglie: l'emancipazione femminile. Ovunque le donne abbiano diritto di voto, accesso ai gradi più alti dell'istruzione, ovunque siano indipendenti e non sottoposte al controllo degli uomini, ovunque possano disporre di una buona assistenza sanitaria e dei mezzi di contraccezione, ovunque siano libere di scegliere il proprio lavoro e di seguire le proprie aspirazioni, il tasso di natalità diminuisce. Il motivo è semplice: l'empowerment porta alla libertà di scelta e , quando la vita offre più opzioni alle donne, la loro scelta è spesso quella di avere meno figli. Le ricerche del Wittengenstein Centre, con sede in Austria, hanno dimostrato che uno sforzo internazionale per innalzare gli standard di istruzione mondiali cambierebbe il corso della crescita della popolazione umana. Politici e industriali sono però preoccupati di un calo delle nascite. L'odierna ossessione per la crescita costante del PIL induce i politici a chiedere più bambini per avere più lavoratori futuri e piu consumatori, o ai pensionati di tornare al lavoro per alleggerire il carico fiscale sulla classe media. Queste preoccupazioni hanno portato alcuni a suggerire, come per il Giappone, che si dovrebbe essere in grado di introdurre robot e intelligenza artificiale per aiutare l'economia. Se ci spostassimo verso una economia mondiale meno dipendente dalla crescita si potrebbe trovare un equilibrio sostenibile , con un minor numero di persone in una società più matura e sicura. L'inevitabile aumento della popolazione umana, che continuerà ancora per molti anni, rende ancora più critiche le decisioni di oggi, prima che sia troppo tardi. " (La vita sul nostro pianeta: pagg. 172-182).
Per quanto siano apprezzabili e condivisibili le denunce di Attenborough in questo suo ultimo libro , mi sembra che difettino di alcune analisi sul modello esplosivo assunto dalla crescita umana nell'ultimo secolo. Da ciò deriva un certo ottimismo, per cui se lasciamo andare le cose come stanno andando, magari correggendo un po' la disuguaglianza di ricchezza e puntando su una energia basata sempre di più sulle rinnovabili, la situazione si aggiusterà da sola. La crescita economica e sociale delle aree più sviluppate comporta in effetti una riduzione della natalità, ma il fenomeno rimane circoscritto a poche aree e il sistema antropico complessivo non sembra tornare indietro da una crescita numerica che ogni anno aggiunge circa 90 milioni di umani alla popolazione planetaria. Ancora vaste aree del pianeta sono soggette ad una crescita demografica eccessiva che innesca fenomeni di devastazione ambientale locale, deforestazione, cementificazione, inquinamento e, con l'emigrazione, aumento di popolazione in aree già sviluppate e cementificate in modo estremo.Il fallimento ormai pluridecennale delle varie conferenze internazionali di porre un freno all'aumento del carbonio atmosferico è una conferma che per ora ogni ottimismo è ingiustificato. Le megalopoli, che Attenborough considera utili per ottimizzare la convivenza di milioni di persone in spazi ristretti con economie di scala, sono anche megastrutture antropiche che tendono ad aumentare i consumi, ad espandersi con la cementificazione nel territorio circostante, ad inquinare con rifiuti e prodotti chimici. Fungono inoltre da attrattori consentendo alle aree meno sviluppate, che di per sé non avrebbero risorse, di sostenere alti tassi di natalità con la prospettiva dell'inurbamento con la migrazione verso megalopoli che sono anche poli di produzione e consumo. La redistribuzione solidale inoltre perde molto delle sue capacità di migliorare istruzione e sanità se viene impiegata per i bisogni primari dovuti ad alti tassi di crescita demografica, come fanno molti paesi cosiddetti arretrati che sperperano risorse in nazionalismi, guerre, crescita demografica e necessità elementari (oltre che in corruzione). Non basta dunque sedersi ed aspettare i magnifici effetti dello sviluppo come sottintendono gli ecologisti dell'ottimismo. Senza politiche attive mirate al calo della natalità, non ci saranno prospettive né del picco demografico di Homo, né di decrescite dei consumi, né di riduzione del riscaldamento planetario da carbonio. Incombe inoltre un conflitto irresolvibile con questi tassi di crescita di popolazione: le crescenti richieste di energia di una popolazione in forte espansione non si conciliano con la dinamica assai lenta e costosa della produzione energetica da rinnovabili. La sostenibilità dei due termini conflittuali è tutta da dimostrare.