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sabato 24 maggio 2014

Il dibattito sul fallimento del movimento ambientalista


Nella foto: l'ambientalista "pentito" Patrick Moore


Il movimento ambientalista è fallito. Dice Jacopo Simonetta in un bell’articolo sull’argomento pubblicato su www.malthusday.blogspot.it: “Le associazioni storiche sopravvivono, i partiti “verdi” scompaiono, i pochi limiti legali e morali faticosamente posti alla distruzione del pianeta vengono man mano rimossi senza pudori”.
I motivi del fallimento sono al centro di un dibattito che non interessa i singoli movimenti ma riguarda una discussione globale sul futuro del pianeta. Sull’ultimo numero delle Scienze c’è un’intervista interessante a Patrick Moore, cofondatore di Greenpeace e ambientalista pentito (“ragionevole” come si definisce lui). Patrick, che ai tempi era un capellone vestito country, oggi si è tagliato i capelli (radi) e veste normale, un cambiamento che esprime molte cose. 
Ce l’ha con  Greenpeace e con tutti gli ambientalisti, dice che le posizioni ideologiche preconcette hanno rovinato il movimento e fa due esempi: la battaglia sul cloro e quella contro il Golden Rice. Greenpeace, poiché la diossina contiene cloro, aveva messo al bando questo elemento facendo lotte per vietarne l’uso anche quando era utile come nella disinfezione di piscine e dell’acqua potabile o nella sintesi di antibiotici (tra l’altro anche il semplice sale da cucina contiene cloro).
” Gli ambientalisti”  -dice Patrick- “puntano ad emozionare le persone per stimolarle a muoversi ed agire, ma ricorrono a  bugie e a mezze verità, e  non  dati scientifici, questo è un loro limite”. 
Prima scelgono, per lo più soluzioni approssimative e semplificate, poi giustificano. Guardiamo ad esempio, e qui siamo al secondo tema amato da Patrick, al problema degli Ogm. Perché gli ambientalisti non comprendono l’importanza del Golden Rice (una varietà di riso arricchita per via genetica di protovitamina A)? Greenpeace si batte da anni contro questa varietà, spaventa le madri, arriva a dire che il Golden Rice provoca il cancro ai loro bambini. Greenpeace distrugge addirittura i campi, impedisce i trial, dice che il Golden Rice è il male. Patrick afferma invece con durezza che Greenpeace sta portando avanti, in questo modo, un crimine contro l’umanità. Migliorare una pianta geneticamente significa cercare caratteri agronomici a noi utili (maggiore produzione, resistenze alle malattie). Da 10.000 anni noi miglioriamo le piante e per farlo spostiamo geni e dunque modifichiamo tratti consistenti del genoma con incroci ed innesti. Oggi l’uso del Dna ricombinante ha semplificato e migliorato molto la tecnica. Ma  si è diffusa la paura immotivata, anche per l’azione a tamburo battente degli ambientalisti, al di là delle evidenze scientifiche. In Italia nemmeno è possibile sperimentare in campo. Eppure milioni di bambini, in alcune zone depresse,soffrono della malnutrizione da deficienza della vitamina A. Oltre alla morte, un risultato di questa deficienza è la cecità. Si contano da 250.000 a 500.000 casi di cecità irreversibile ogni anno. La maggior parte di queste persone vive in baraccopoli urbane, che spesso hanno una razione di riso al giorno. Per gli oppositori delle piante Ogm senza se e senza ma, il Golden Rice potrebbe essere un duro colpo: se passa il riso modificato poi far accettare le altre varietà sarebbe un gioco da ragazzi. “E infatti – continua Patrick Moore- per impedirlo Greenpeace spaventa le persone e distrugge i campi  di prova.” Come per il cambiamento climatico: Moore si dice favorevole al nucleare per fermare la produzione di anidride carbonica; lui, che ha fondato Greenpeace.

Nel dibattito sul fallimento ambientalista in cui è intervenuto con il suo interessante articolo, Simonetta individua un errore di fondo che ha portato al fallimento: l’ideologia del progresso. “Sia il capitalismo che il socialismo perseguono infatti il progresso indefinito della società. A mio parere, era invece proprio l’archetipo del progresso che avrebbe dovuto essere messo in discussione”.
Sebbene accenni al problema demografico, Simonetta ritiene che gli ambientalisti avrebbero dovuto puntare a bloccare il progresso economico che è alla origine del progresso tecnologico. Qui Simonetta si rivela essere nella corrente ideologica dei critici della modernità intesa come rivoluzione tecnologica. “Frenare la crescita economica avrebbe infatti comportato la probabilità di un parallelo rallentamento del progresso tecnologico”.  Identifica nel simbolo del Leviatano di Hobbes il concetto globalizzante  della trasformazione tecnica del mondo che sta divorando l’ambiente naturale.
Credo tuttavia che le critiche di Simonetta al movimento ambientalista non vadano alla sostanza del problema. Una critica all’illuminismo che ne metta in discussione l’idea di progresso può essere pericolosa e fuorviante. Come sanno i miei lettori ritengo che non è il progresso tecnologico il nemico, ma l’uso che se ne fa. Alla base della crisi globale dell’ambiente c’è l’ideologia antropocentrica che vede nell’uomo il padrone assoluto del pianeta. Come tale, Homo utilizza la tecnologia come mezzo per trasformare l’ambiente secondo quelli che ritiene i propri bisogni, senza considerazione per la natura e tutte le altre specie. La tecnologia può essere mezzo di distruzione, ma può essere anche mezzo per ridurre l’impatto ambientale della presenza umana. L’uomo ha perso il controllo razionale del mezzo tecnologico, che si è autonomizzato. Ora la tecnica funziona in maniera impazzita non solo per soddisfare i desideri dell’uomo, ma addirittura per generarli ed indirizzarli. L’apparato tecnologico che gestisce il mondo è frutto della stessa visione antropocentrica ed è incentrato su una volontà di potenza umana priva di limiti. Ma la tecnologia è in sé un mezzo, e come tale può ritornare a essere gestita per la convivenza tra uomo e ambiente secondo una visione equilibrata (vedi “Il principio di Responsabilità” di Hans Jonas). La tecnologia può inquinare, ma può anche ridurre l’inquinamento e preservare la Terra.   Un esempio sono le nuove tecnologie per produrre energia e ridurre  le emissioni di carbonio in atmosfera. Le tecnologie di smaltimento e trasformazione degli inquinanti. I nuovi materiali eco-compatibili. Un altro esempio è la pillola anticoncezionale, prodotto tecnologico che riduce l’impatto numerico della nostra specie sulla Terra.
Ritengo che le scelte  che gli ambientalisti hanno davanti devono essere incentrate su una nuova concezione dell’uomo. 
Se analizziamo i motivi del fallimento, dobbiamo guardare ad un modello di poco precedente all’ambientalismo: quello del comunismo. Il comunismo non è fallito tanto sull’economia o nel campo della geo-politica. Il comunismo è fallito sull’uomo e sull’idea di uomo che ne era alla base. Il marxismo mirava ad assicurare il progresso dell'uomo fino a cambiarne la sostanza spirituale e materiale e creare un nuovo tipo di uomo senza differenziazioni di classe economica. Per quello scopo si era prefisso la distruzione della classe borghese nei paesi in cui avesse assunto il potere. Compito che riuscì a svolgere in maniera egregia. Ma fallì nella creazione dell’ “uomo nuovo”, come il marxismo definiva l’archetipo del nuovo cittadino dello Stato egualitario. Ne è scaturita la perdita dei valori tradizionali della cultura e della società che la classe borghese rappresentava, e l’emergere di una classe di burocrati grigi o peggio di arrampicatori sociali privi di scrupoli e accecati dal desiderio sfrenato di beni e di denaro inteso come valore assoluto. Come dimostra l’esempio della Russia contemporanea, che  non è nata dal nulla, ma da settanta anni di marxismo-leninismo. E la storia della Cina contemporanea ha confermato. 
Così è sull’idea dell’uomo che il movimento ambientalista si gioca il futuro, se ancora ne avrà uno. Copernico docet. Se l’uomo rimarrà il padrone assoluto del Cosmo e rimarrà l’imbarazzato silenzio degli ecologisti  sulla necessità di un controllo demografico dell’eccessiva crescita della nostra specie , non vedo vie di uscita. Ma se al centro rimettiamo la Terra e le sue infinite specie, e cerchiamo un nuovo paradigma di convivenza e di cura tra l’uomo e il pianeta, forse è possibile sperare ancora.

giovedì 8 maggio 2014

Conto alla rovescia





Come sonnambuli camminiamo tutti su questa bomba che ci sta esplodendo addosso, proprio durante l’arco della nostra vita. Eppure i grandi intellettuali, i potenti, le classi dirigenti, i politici, tutti parlano d’altro, volgono lo sguardo altrove, anzi girano nel vuoto gli occhi che non vogliono vedere, come ciechi. Il pianeta ci sta bruciando tra le mani, con una orrenda fiammata che consuma e carbonizza tutto…in un tempo incredibilmente breve; ma quello che fa più male è l’assoluto silenzio di chi dovrebbe parlare, anzi gridare, finché c’è un briciolo, una parvenza seppur minima di speranza di salvezza.

E’ per questo che considero il libro di Alan Weisman “Conto alla Rovescia” (Einaudi) (vedi foto in alto) un libro importante. Weisman è un grande giornalista e chi pensa di trovare in questo libro i soliti discorsi generici sulla sovrappopolazione, le solite denunce vaghe e inconcludenti sbaglia di grosso. Questo è un libro documentato, scritto con resoconti effettuati dall’autore recandosi direttamente nei luoghi,  riferendo analisi documentate, precise, ricche di informazioni, con interviste e racconti raccolti dai diretti interessati. Già la copertina esprime chiaramente l’intento del libro, e sopra il titolo è riportata la sintesi della tragedia in atto: l’esplosione della specie Homo da uno a sette miliardi di individui in un periodo di tempo di poche, pochissime generazioni. Nel 2050 saremo 10 miliardi: sarà la fine se non faremo subito qualcosa.
Weisman racconta gli albori della contraccezione negli Stati Uniti come i tentativi e le lotte portate avanti da Margaret Ranger nell’ambito della liberazione della donna. I primi interventi sulla contraccezione e il controllo demografico in Costa Rica e in altri paesi del centro america. Vengono riferiti dall’autore i primi tentativi di introdurre programmi di pianificazione familiare favoriti negli anni 60 dall’invenzione della pillola anticoncezionale. Ci ricorda la reazione della Chiesa in particolare con l’enciclica Humanae Vitae da parte di Paolo VI con l’intento, rivelatosi per fortuna tardivo, di bloccarne la diffusione. Nel 1968 la pillola era ormai ovunque. Nel 1969, un anno dopo la pubblicazione del libro “The Population Bomb” da parte di Paul Ehrlich, lo stesso Ehrlich insieme a John Holdren replicava sulla rivista “Bio Science” a un’obiezione che veniva mossa di frequente al libro: che la tecnologia moderna avrebbe risolto la penuria di cibo, acqua ed energia  previste nel caso  la popolazione fosse cresciuta ancora. Holdren aveva riferito una proiezione matematica del tonnellaggio allarmante di fertilizzanti sintetici che sarebbe occorso a tempo indefinito per sfamare un’umanità in eterna espansione, e delle inevitabili conseguenze chimiche. Si accennava anche, per la prima volta, al fatto che l’anidride carbonica nell’atmosfera era aumentata del dieci per cento dall’inizio del secolo. Lui ed Ehrlich calcolavano che, in meno di un secolo, la Terra sarebbe andata incontro a cambiamenti climatici drastici, se non catastrofici.
Weisman ci parla poi dei principali paesi interessati dal problema demografico, riferendo le distruzioni delle foreste e la devastazione ambientale  in Uganda, Congo, Kenia, Tanzania, Nigeria e in altri paesi Africani in seguito all’esplosione demografica incontrollata, con le terribili conseguenze della diffusione dell’Aids e di altre gravi malattie infettive. Riferisce del disastro ambientale da eccesso demografico in Cina, nelle Filippine, in India; ma ci mostra anche i tentativi di arginare il problema da parte dei governi (con discreti successi come in Cina e nelle Filippine), ed anche da parte di organizzazioni dedicate alla pianificazione familiare che si stanno sempre più diffondendo come nelle Filippine e in India, spesso combattendo contro i fautori della crescita demografica come le organizzazioni religiose o i partiti nazionalisti, con ripercussioni positive sulla situazione economica e sulla qualità della vita delle popolazioni. Particolarmente interessanti sono alcuni casi come quello dello stato indiano del Kerala che è riuscito ad ottenere, fin dagli anni Settanta, il tasso di natalità più basso del paese, in stupefacente controtendenza rispetto al 1947: allora, la sua crescita demografica era la più alta nell’India. Dice la poetessa Sugathakumari : “Animali, uccelli, api e fiori obbediscono alle leggi della natura. Una sola creatura le ha infrante. Ho quasi l’impressione che il mondo sarebbe un posto migliore senza di noi”. Grazie ad un programma di pianificazione familiare intrapreso dal governo , si cominciò a distribuire gratuitamente   la pillola, appena comparsa sul mercato, e a sottolineare  che era più facile dare un’istruzione ai figli se erano meno. Si offrivano modeste somme di denaro a chiunque si facesse vasectomizzare o chiudere le tube. L’adesione alla pianificazione familiare si legò direttamente all’alfabetizzazione femminile. Alla fine degli anni Novanta, il Kerala era il primo posto, non solo in India ma in tutta l’Asia meridionale, ad aver raggiunto il tasso di natalità ottimale per l’equilibrio demografico.
Purtroppo non tutta l’India ha seguito l’esempio del Kerala, e se il futuro sarà come quello che si prospetta a Mumbai (21 milioni di abitanti censiti, altri non conosciuti) con il più denso ammasso di umanità in quello che presto sarà il paese più popoloso del pianeta, si andrà incontro ad uno scenario da incubo.
Proprio come sta accadendo in Pakistan, dove i tassi di natalità elevati stanno portando ad una espansione caotica delle grandi città come Karachi -triste esempio delle megalopoli che  stanno crescendo in tutto il mondo- , alla distruzione pressoché totale delle foreste (ormai solo il 5 % del territorio pakistano è ancora alberato, mentre pochi decenni fa era al 70 %), allo sbancamento dei fiumi per ricavarne sabbia da adibire a materiale di costruzione mescolandola con il cemento. Ora il Pakistan, una potenza nucleare con alti tassi di natalità, scoppia di gente destinata alla fame, se non interviene qualche miracolo a riempirne i bacini idrici ormai allo stremo. Anche Israele e India, altre potenze nucleari, hanno poca acqua e una popolazione in crescita.

In Europa le cose non vanno meglio. Uno dei paesi più a rischio è l’Inghilterra che si sente di anno in anno più compressa, i suoi bacini idrici sono ormai al minimo e con la prospettiva di quindici milioni di abitanti in più per la metà del secolo. Londra è al collasso ambientale con un aumento di 500 mila persone dal 2000 e  ne aspetta un altro milione entro il 2020. I processi di immigrazione e gli elevati tassi di natalità tra gli immigrati sono all'origine dell'esplosione. La campagna inglese è sotto stress e la cementificazione avanza ovunque. Si prevede che il Regno Unito conterà nel 2033 ben 72 milioni di abitanti (e gli Stati Uniti  400 milioni). Dice Aubrey Manning dell’OptimumPopulation Trust:”Credere che la crescita demografica possa protrarsi all’infinito è assurdo. E’ l’idea che in qualche modo ci spetti il diritto di continuare così, ad espanderci come specie e a distruggere tutto. Viviamo sull’Isola Che Non C’è, se crediamo che la Terra non smetterà di provvedere a noi. Quanto alle decisioni, dov’è il portavoce degli oranghi?”. Peccato che tutti i partecipanti alle conferenze dell’OPT sono white. Non si vedono in particolare i musulmani.

 Ma chi pensasse che il libro di Weisman sia semplicemente catastrofista, sbaglierebbe. Ci sono anche molte buone notizie, come quelle ad esempio che in molti paesi dell’Africa e dell’Asia si stanno organizzando molte associazioni per la Programmazione Familiare, composte per lo più da persone locali, molto coraggiose e determinate visto la cultura dominante e la violenza con cui tanti integralisti e nazionalisti  difendono i loro punti di vista. L’esempio più incoraggiante ci viene da dove meno ce lo aspetteremmo. Dodici anni dopo la morte dell’imam Khomeini, il ministro iraniano della Salute avrebbe ricevuto il premio Popolazione delle Nazioni Unite per l’approccio più illuminato e vincente alla pianificazione   familiare che il mondo avesse mai visto. Come era stato possibile? A differenza della Cina dove si era ricorsi alla costrizione governativa,  tutto in Iran era avvenuto su base volontaria. Racconta la dottoressa Shamshiri: “Usavamo i cavalli. Medici e chirurghi, team universitari…caricavamo l’attrezzatura su qualche cavallo e battevamo tutti i villaggi, anche i più microscopici”. Le brigate a cavallo formate dalla dottoressa Hourieh Shamshiri e da altre ginecologhe e ostetriche si spingevano fin negli angoli più remoti del paese, dove mettevano gratuitamente a disposizione di qualunque iraniano qualunque genere di controllo delle nascite, dai preservativi alla chirurgia passando per la pillola. Con il programma di pianificazione familiare l’usanza di far sposare le bambine venne respinta da gran parte della popolazione, e l’età media di una sposa salì a 22 anni: le donne rimandavano il matrimonio e la maternità alla fine degli studi. Alla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo del Cairo, nel 1994, i numeri dell’Iran erano talmente incredibili che l’Unfpa mandò i suoi demografi a controllare le cifre che Abbasi-Shavazi e i suoi colleghi stavano raccogliendo; i risultati furono identici. Come era stato possibile questo risultato  in un paese musulmano e su base volontaria? Non c’era stata alcuna coercizione, aveva spiegato la dottoressa Shamshiri. L’unica richiesta  era che tutte le coppie frequentassero un corso prematrimoniale, tenuto nelle moschee o nei consultori dove si facevano gli esami del sangue prima delle nozze. Ai corsi si insegnava educazione sessuale e contraccezione e si metteva l’accento sui vantaggi di avere meno figli da sfamare, vestire, mandare a scuola. L’unico disincentivo statale era stata l’eliminazione dei sussidi per generi alimentari ed altre merci per ogni bambino nato dopo i primi tre, come era prima. Nel 2000, il tasso totale di natalità in Iran raggiunse l’equilibrio demografico-  2,1 figli per donna- un anno più in fretta della politica obbligatoria e coercitiva del figlio unico in Cina. Nel 2012 era sceso a 1,7. L’Iran era diventato uno dei più grandi produttori mondiali di preservativi. Purtroppo nel 2006 l’integralista Ahmadinejad proclamò che il programma di pianificazione familiare non era islamico. Nel 2009 in seguito ad elezioni ritenute truccate Ahmadinejad fu rieletto. Centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne, invasero le vie delle città in segno di protesta. La rivoluzione delle associazioni per i programmi di pianificazione familiare  e per la liberazione delle donne aveva dato i suoi frutti. Purtroppo le manifestazioni furono violentemente represse con almeno settanta morti e centinaia di arresti. Si sta tentando di riportare indietro l’Iran e il contrasto alla pianificazione familiare è uno dei punti cardine dei conservatori filo integralisti. Ma la cultura della liberazione della donna e del controllo demografico è forte e ormai consolidata. E in Iran si sta anche affermando una cultura ambientalista che combatte l’inquinamento e la devastazione ambientale, ed il futuro fa ben sperare.

  Gli economisti ecologici occidentali hanno rimuginato per decenni su un’economia che garantisse il benessere facendo però a meno della crescita, soprattutto a partire dalla pubblicazione del “Rapporto  sui limiti dello sviluppo” e dell’opera di Paul e Anne Ehrlich. Secondo Herman Daly della University of Maryland, decano dell’economia di stato stazionario, è semplicemente la legge dei rendimenti marginali: se si producono troppi beni, non sono più beni. “Abbiamo allora una crescita antieconomica, che produce mali più in fretta dei beni e ci impoverisce, invece di arricchirci –ha scritto Daly, ex capo economista della Banca Mondiale- Una volta superata la scala ottimale, la crescita diventa stupida a breve termine e insostenibile a lungo termine”. “Né la superficie né la massa della Terra crescono”, ricorda continuamente Daly. Sulla Terra, input e output hanno sempre avuto corsi e ricorsi, si sono sempre trasformati gli uni negli altri. Il meccanismo si è inceppato quando una specie, la nostra, ha cominciato a pretendere beni più abbondanti e a replicarsi in maniera esplosiva. Soltanto con il rientro demografico della nostra specie sarà possibile, se mai ci riusciremo, a salvare la Terra e a permetterci una economia che ci dia benessere e allo stesso tempo sia sostenibile per il pianeta.

giovedì 1 maggio 2014

Sovrappopolazione e governo: in gioco la libertà




La libertà è incompatibile con la sovrappopolazione.
Nel suo recente articolo su Popolazione e Governo scritto insieme a John Harte, Paul R. Ehrlich ci fa notare una contraddizione nelle politiche della nuova destra liberale: i partiti liberali desiderano un governo più leggero e senza burocrazia, però auspicano allo stesso tempo la crescita della popolazione (con politiche di incentivazione al numero di figli) e l’aumento del Pil e degli scambi commerciali. Ehrlich fa giustamente notare che l’aumento della dimensione della popolazione come motore della crescita porta ad un inevitabile aumento del peso e della complessità del governo e ai numeri della sua burocrazia.
L’importanza di tale analisi è sottolineata dal classico lavoro di Joseph Tainter “Il crollo delle società complesse”, in cui l’autore valuta le molte ragioni che sono state proposte per spiegare il motivo per cui le civiltà collassano. Tainter attribuisce una causa primaria ai rendimenti marginali decrescenti sullo sforzo che queste società compiono per gestire la crescente complessità. Ad esempio lo sforzo per mobilitarsi e mantenere le difese contro aggressori esterni, lo sforzo per nutrire e fornire altri servizi e risorse alla popolazione crescente, e lo sforzo per mantenere l’ordine interno e la giustizia. Tutti questi maggiori sforzi , in presenza di crescita demografica, si rivelano sempre più inefficaci ad assicurare il supporto necessario ad una civiltà avanzata per espandersi ulteriormente.
Scrive Ehrlich: “ Pensiamo che sia estremamente probabile che il rapporto tra numero di abitanti e la complessità del governo è fortemente non lineare, in maniera che al crescere della popolazione, il tempo per evitare il collasso si riduce molto rapidamente. Purtroppo non esistono studi scientifici qualificati (o almeno non siamo stati in grado di trovarli) che documentino il rapporto tra dimensione della popolazione e la complessità del governo, il suo peso in termini di strutture burocratiche necessarie, il suo costo, la sua invasività in tutti gli aspetti della vita dei cittadini.” 
Eppure le prove di questo rapporto esistono, sia per quel che riguarda le società antiche che per quelle recenti. Se vediamo per esempio come erano organizzate le società primitive di 5000 anni fa vediamo, dallo studio delle sistemi idraulici di irrigazione che usavano, che al crescere della popolazione crescevano le richieste e la complessità di questi sistemi idraulici che, a loro volta, richiedevano lo sviluppo di estese burocrazie per la loro gestione.
Guardando a tempi più recenti esistono un numero enorme di campi da investigare per gli scienziati sociali. Ovviamente ci sono molte resistenze, specialmente di ordine politico a tali studi: riferire i problemi della politica alle oggettive dimensioni demografiche della popolazione non risponde ai parametri in voga attualmente nelle scienze sociali, tarati unicamente in termini politici di destra-sinistra o di giustizia-ingiustizia. Nessuna delle scuole economiche e sociali classiche  ha mai considerato i dati oggettivi ambientali, ecologici, naturali, di risorse disponibili in base alla dimensioni demografiche delle popolazioni. Queste sono ancora oggi –in presenza di una crisi ambientale planetaria- idee a cui si oppone strenua resistenza da parte degli ambienti accademici ufficiali.
Le variabili interessanti legate ad un aumento della scala di governo che potrebbero essere confrontate con la crescita della popolazione sono molte; ecco un breve e sommario elenco:
-Bilanci militari annuali
-Costo annuo del funzionamento del governo
-Numero di dipendenti pubblici
-Totale del gettito fiscale annuo
-Costo annuo di polizia,pompieri, agenzie di controllo, carceri, droga e alcool, mantenimento della legge
-Numero di agenzie governative e numero di addetti
-Dimensioni della popolazione carceraria
-Controllo del territorio, discariche, rifiuti, smaltimenti
-Megalopoli, costi sociali, ambientali, cementificazione
-Sanità, rete di ospedali, estensione capillare dei supporti sanitari.

Un’altra questione importante è come valutare la complessità e disfunzionalità dei governi col crescere del numero della popolazione. Ecco alcuni esempi:
-Numero di comitati governativi necessari per approvare determinati tipi di legislazione
-Numero di passaggi e di tempo necessario per processi, audizioni, consultazioni, conciliazioni di posizioni diverse, ecc.
-Numero dei procedimenti e varie tappe necessarie, tempo occorrente ecc., per l’assunzione di personale nel settore pubblico e privato
-Tempo e complessità delle procedure giuridiche, contenziosi, trattati, contratti
-Complessità degli aspetti formali richiesti ( moduli fiscali, codici, regolamenti, gestione dei conflitti ecc.)
-Indice di Gini: descrive l’aumento delle disuguaglianze con l’aumentare della complessità del governo e della legislazione.
-Numero di casi non risolti dalla giustizia ordinaria o trattati in maniera inadeguata, in presenza di alta densità demografica (in Italia abbiamo gli esempi di mafia e camorra in aree del sud con popolazione numerosa)
-Misure di intrusione nella vita privata delle persone da parte del governo, dei suoi organi, ma anche da parte di organizzazioni sociali (sindacati, partiti, centri sociali ecc.) e di forme di pressione sociale sulla libertà individuale

Tutti questi parametri e molti altri che proporranno gli studiosi, dovrebbero essere valutati in riferimento almeno a due tipi di società con diverse misure di popolazione e di consumo: ad esempio paesi con basso numero di popolazione e basse vendite di beni e paesi con alta densità demografica e alte vendite.
Siamo certi che tali studi indicheranno un rapporto stretto tra crescita della popolazione e dei consumi con l’aumentare della dimensione e della complessità del governo. I meccanismi con cui si genera la complessità sono molteplici e richiedono analisi di grafici, di feedback, rapporti euristici. Certamente entrano in gioco i sistemi di comunicazione, sia materiali che immateriali come la rete. L’analisi di rete potrebbe rivelare che un numero crescente di nodi di rete (persone, comunità, server, ecc.) comporta una crescita lineare della complessità dei collegamenti di rete se il provisioning dei bisogni deve essere rispettato. Il numero dei collegamenti in genere cresce con il quadrato del numero dei centri collegati. Se applichiamo questi principi alle città, vediamo che con l’aumento dimensionale della popolazione cresce il flusso materiale e di informazioni in maniera esponenziale, fino ad aversi una crescita della complessità sproporzionata per mantenere la stabilità del sistema e un accesso equo e crescente alle infrastrutture, oltre al dover assicurare il mantenimento del cibo, acqua, prodotti farmaceutici, servizi di sicurezza, controlli, gestione del territorio, impatti ambientali, rifiuti, smaltimenti ecc.
Poiché tutti questi sistemi collegati alla crescita demografica non sono sistemi isolati autonomi, ma esistono inseriti in un contesto ambientale in cui gioca un ruolo essenziale il livello di risorse, dobbiamo tener presente il dato   che siamo in un contesto generalizzato di esaurimento delle risorse. Ed anche dove le risorse attualmente non mancano, le curve di disponibilità sono tutte in esaurimento o comunque al picco e in via di declino. Tutte queste società sovrappopolate funzionano e funzioneranno sempre più in futuro con risorse marginali e in un contesto di declino di disponibilità. Il governo, in questa situazione, deve espandersi per aumentare i controlli che assicurino la gestione equa di risorse minori, deve aumentare i regolamenti, la tassazione, aumentare i prezzi, gestire i conflitti crescenti e le situazioni di pericolo sempre più frequenti. In presenza di rendimenti marginali decrescenti il governo si deve espandere per mantenere i controlli sulla situazione sempre più precaria. Quali saranno i conflitti che si accentueranno di più, quelli interni tra la popolazione o quelli tra le nazioni per l’accaparramento delle risorse? O entrambi? Per la maggiore densità di popolazione si accentueranno le lotte per la terra, per l’uso del territorio, la localizzazione delle discariche, gli alloggi, le politiche di consiglio scolastico, la suddivisione dei profitti sempre più scarsi, la fruizione dell'acqua, dell'energia, e i conflitti chiederanno una maggiore regolamentazione e l’intervento di governo e di polizia. C’è un inevitabile aumento della disuguaglianza che si verifica quando le persone di capacità economica variabile competono per le opportunità sempre più limitate. I governi hanno così la necessità di aumentare le burocrazie per gestire gli squilibri sociali ed economici. Maggiori burocrazie e spese sono inoltre richiesti nei paesi soggetti a crescenti flussi di immigrati o di rifugiati ambientali. Si creano burocrazie apposite che gestiscono e lucrano sulle migrazioni. L’industria della sovrappopolazione come un cancro toglie risorse all’organismo sano per alimentare la malattia demografica. Il numero dei problemi è quasi infinito e stupisce che gli studiosi non abbiamo ancora dedicato sufficiente attenzione a questi problemi, chiusi ancora nei temi e nelle analisi dei secoli scorsi sulla divisioni economiche tra imprenditori e lavoratori, colonialismo-decolonialismo, giustizia e ingiustizia ecc. tutti temi avulsi dal contesto contemporaneo perché inseriti ormai in una crisi più vasta e di fondo: quello tra gli eccessi della specie umana e il pianeta.
La sovrappopolazione incide anche più direttamente a livello politico. Con l’aumentare della popolazione e l’esplodere dei conflitti i governi divengono più controversi ed inefficaci, la stabilità politica diminuisce. Inoltre, come previsto dei fondatori anti-federalisti del governo degli Stati Uniti, i rappresentanti diventano meno rappresentativi con la crescita della popolazione. Man mano che avanza il multiculturalismo e le differenze, e aumenta il numero complessivo dei richiedenti diritti,  è sempre più difficile arrivare ad una sintesi condivisa delle politiche di governo. Per assicurare la pace sociale si potrebbe rendere necessario allentare le regole della democrazia fino ad arrivare a governi autoritari. L’esperimento democratico nei paesi arabi è fallito anche per le forti dinamiche di crescita demografica che hanno portato a situazioni estreme non gestibili con metodi legalitari. Anche gli esempi dei grandi paesi sovrappopolati come Cina e India non sono molto confortanti sulla democrazia e sulla libertà delle persone. La gestione di tali numeri di popolazione non consente democrazie come quelle che esistono in Norvegia o in Svezia, paesi con numero di popolazione ancora compatibile con l’ambiente originario e le risorse locali.
E’ tempo di valutare e rendere pubblici i legami tra la dimensione della crescita della popolazione umana e la dimensione della crescita e della disfunzione delle strutture di governo necessarie per tentare di mantenere la pace, la giustizia, e il benessere per le nostre popolazioni.

(Tratto, con alcune modifiche, da “If You Think Governments Are Too Large: Shrink Populationdi John Harte and Paul R. Ehrlich)