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venerdì 29 gennaio 2016

Il Virus Zika e la sovrappopolazione

IL 26 gennaio 2016 L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso l'allarme: il virus Zika si sta diffondendo in maniera esplosiva. L'epidemia, iniziata nel maggio 2015 riguarda ormai 21 paesi delle Americhe con casi in aumento anche in Europa ed Africa. Si ritiene che il virus sia originario della foresta di Zika, in Uganda, da cui prende il nome e che abbia interessato in origine popolazioni di scimmie. Da allora si sa che ha provocato piccole epidemie sporadiche in alcune regioni africane e del sudest asiatico. Invece in Brasile, per motivi ancora oscuri, subito dopo il suo arrivo avrebbe contagiato un milione e mezzo di persone. Non esiste ancora alcun vaccino. Sembra che il virus, nel caso infetti donne in gravidanza, possa causare microcefalia o morte del feto. In Brasile in quattro mesi ci sono stati ben 3500 casi di microcefalia. I ricercatori hanno trovato il virus nei feti con microcefalia morti in utero o poco dopo la nascita. Il virus che in origine veniva trasmesso solo dalla Aedes Aegypti (che trasmette anche il virus della Dengue e Chikungunya ) viene purtroppo trasmesso ora anche dalla zanzara tigre che è molto più diffusa. Quali sono le cause della diffusione di questo virus che probabilmente per secoli era confinato alle popolazioni di scimmie delle foreste africane? La risposta è semplice, anche se nessuno lo dice: l'esplosione demografica umana che ha portato alla distruzione delle foreste, alla convivenza stretta con le popolazioni di scimmie che albergavano il virus e alla mobilità mondiale delle persone portatrici del virus. E' così accaduto che il virus avesse facile presa su individui completamente privi di difese immunitarie verso una malattia che in precedenza era relegata a foreste inabitate e lontane decine di migliaia di chilometri. Siamo in presenza di un altro effetto epidemico dovuto alla eccessiva crescita della popolazione umana a discapito dell'ambiente naturale e dell'habitat di altre specie. Margaret Chan, la direttrice generale dell'Oms, si è detta preoccupata del fatto che il virus si sia diffuso così velocemente : sono tra i tre e i quattro milioni le persone che potrebbero essere contagiate, secondo gli esperti dell’Oms. La preoccupazione riguarda anche l’imminenza delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, in programma nell’estate del 2016. Insieme all'aumento dei casi di Dengue, Chikungunya, Febbre Gialla, Poliomielite, Tbc resistente alla terapia, e la recente epidemia di Ebola, anche il virus Zika fa parte della nuova situazione delle epidemie ed endemie successive alla accelerazione dell'esplosione demografica della specie umana degli ultimi decenni e che già in precedenza si era evidenziata con la diffusione dell'Hiv.

mercoledì 13 gennaio 2016

Allarme dei demografi: in Italia culle vuote

Dal sito di Repubblica:
"E' solo una soglia psicologica, ma averla superata in negativo rappresenta comunque l'ennesima spia dei problemi demografici italiani. Nel 2015, stando alle stime sui dati Istat, nel nostro Paese saranno nati per la prima volta meno di 500mila bambini. Si tratta di un nuovo record negativo, non si era mai arrivati così in basso. Salvo incrementi inaspettati e difficilmente ipotizzati negli ultimi mesi dell'anno scorso, per i quali i dati non sono ancora disponibili, le nascite dovrebbero fermarsi sotto le 490mila, contro le 509mila dell'anno precedente. Dopo l'impennata delle morti rispetto al 2014, ecco un altro dato dell'istituto di statistica che fa preoccupare gli esperti. Nei primi otto mesi dell'anno appena concluso, in Italia sono nati 319mila bambini, stando ai dati preliminari pubblicati sul suo sito dall'Istat, e la proiezione racconta di un nuovo calo, ormai il settimo consecutivo per il nostro Paese. Il dato avrà "conseguenze nefaste sull'invecchiamento della popolazione e sull'economia. Un paese con pochi giovani ha una domanda debole e un'economia stagnante e rischia di precipitare nella spirale senza uscita della "stagnazione secolare"", afferma sul sito specializzato Neodemos il demografo Marcantonio Caltabiano, dell'Università di Messina. Mancano ancora dati più dettagliati, ma dalle prime stime pare essere confermata la frenata della spinta alla natalità da parte degli immigrati. Il mese nel quale è stato registrato il maggiore calo tra il 2015 e il 2014 è gennaio. I nati sono passati da 44.969 a 41.862. Se si considera che nello stesso mese c'è stato un picco anche di decessi (65.301 contro 59.171 del 2014), si è avuto un cosiddetto "saldo naturale" di -23.439, superiore di circa 10mila unità rispetto al già negativo anno precedente. Il tutto in 30 giorni. I numeri sul calo delle nascite che continuano a scendere preoccupano i demografi. Dalla Regioni intanto arrivano conferme ai dati preliminari dell'Istat. Andando ad osservare le schede di dimissione ospedaliera, Emilia Romagna e Toscana, ad esempio, hanno osservato un calo delle nascite compreso tra il 3 e il 5%, quindi in linea con il dato nazionale. Riguardo alle cause, ci sono più fattori. Intanto lo stesso invecchiamento della popolazione ha ridotto il numero di donne giovani, tra quelle in età fertile, rendendo le gravidanze più difficili. E' un dato sociale ormai acclarato, inoltre, quello secondo cui le coppie aspettano a fare i figli per vari motivi, legati tra l'altro anche all'instabilità economica e quindi alla crisi, ma non soltanto."
Dunque l'Italia va verso lo spopolamento: dai 509.000 nati nel 2014 si scende ai 490.000 del 2015. Subito si alzano le grida di preti, demografi ufficiali e soprattutto degli economisti e degli industriali - tra cui i costruttori e i cementificatori- (oltre che delle banche e dei poteri finanziari). Dove andremo a finire? In un anno sono scesi di 19.000 i futuri consumatori che, moltiplicato per venti anni (il tempo di una generazione) fanno quasi 400.000 consumatori di meno. Si venderanno meno auto, meno litri di benzina, meno abiti, meno carne, insomma ci sarà una minor richiesta di beni commerciali. Si costruiranno meno case, meno strade, meno scuole, meno capannoni, meno discariche. Addirittura potrebbero perdere di valore le proprietà immobiliari. Ci saranno meno viaggiatori, meno autocarri che viaggiano, meno viaggi aerei, meno treni, meno navi che portano passeggeri, merci o petrolio. E...orrore...si consumerà meno carbone, meno petrolio, meno elettricità, meno gas, meno plastica, meno fertilizzanti, meno chimica, meno acidi, meno alcali, meno pesticidi, meno ortofosforici, meno alcool, meno solventi, meno medicinali, meno liquami, meno percolati, meno diossine ecc. Un vero disastro. Ci saranno meno fumi, meno emissioni di gas tossici, meno particolati PM10 e PM 2,5, meno immissione di CO2 in atmosfera. Potrebbe persino arrestarsi il surriscaldamento dell'atmosfera terrestre se il calo delle nascite fosse esteso ad altri paesi! Bisogna intervenire, bisogna riportare i bebè a crescere di numero, le culle a riempirsi, le mamme a figliare e rientrare in famiglia invece di dedicarsi al lavoro o allo studio. Come dicono Renzi e Casini, la destra e la sinistra (Grillo compreso) bisogna dare incentivi a fare figli. Più figli per tutti. Eppure l'Italia non decresce demograficamente, nessuno se ne accorge di questo calo di nascite. L'Istat dice che la popolazione assomma nel 2015 a 61 milioni di abitanti e che negli ultimi venti anni è in costante ascesa. Nell'anno scorso saranno pure diminuiti di 19.000 le nascite ma sono arrivati ufficialmente 180.000 stranieri extracomunitari censiti ( che in realtà sono almeno il doppio) più quelli comunitari dall'est europa. Dunque la popolazione continua a salire e i pianti dei demografi sono più delle scenografie da commedia all'italiana che reali preoccupazioni basate su fatti concreti. Evidentemente si punta agli incentivi alle nascite per stimolare ulteriore domanda di consumi e si spera nell'arrivo di altre centinaia di migliaia di consumatori. Tutto questa attività in favore di un aumento della popolazione italiana viene portata aventi fregandosene ampiamente del fatto che il territorio italiano è già saturo di popolazione (201 abitanti per kmq- più alta della media europea),che è cementificato per una percentuale tra le più alte del pianeta, con tassi di inquinamento ai primi posti nel mondo, con una urbanizzazione che sta erodendo giorno per giorno suolo all'agricoltura e alla vegetazione naturale con una forte deforestazione. Il territorio italiano è tra i più antropizzati al mondo con la scomparsa pressoché completa di territorio vergine. Per non parlare delle coste italiane che hanno un tasso di edificazione tra i più alti per di più con una qualità edilizia tra le più scadenti rispetto ad altri paesi europei. Il problema è che a livello politico e amministrativo non esistono voci in dissenso rispetto a questa follia pro-natalista. A parlare rimangono solo loro: preti, finanzieri, industriali e costruttori. Tutti a cospargersi il capo di cenere per le culle vuote ma in realtà a preoccuparsi per ben altri vuoti: quelli delle chiese e dei portafogli.

mercoledì 6 gennaio 2016

La rivincita di Marx: l'ecosocialismo

L'economista Daniel Tanuro, autore del volume "L’impossibile capitalismo verde. Il riscaldamento climatico e le ragioni dell’eco-socialismo" (Alegre, Roma 2011, pp. 224, € 16,00) prova a rivalutare il marxismo in chiave ecologista. L'autore critica Latouche e l'economia della decrescita che demonizzano lo sviluppo tecnologico e propugnano un puro ritorno ad una economia agricola e a fonti di energia esclusivamente rinnovabili. La critica ai consumi da parte dei fautori della decrescita è esclusivamente culturale e non prevede alcun progetto politicamente realizzabile di società. Latouche sembra anche credere che una strategia di decrescita sia compatibile con un capitalismo che veda solo una ridefinizione delle priorità. Ma questa impostazione non può condurre a nulla perché le logiche del sistema capitalistico portano a massimizzare la produzione e a ripercorrere le vecchie strade dello sviluppo non appena si allentano i controlli, fenomeno inevitabile in società che si vogliono ancora presentare come libere e democratiche.
L’impossibile capitalismo verde
Di fatto, l’allarme globale sul riscaldamento del pianeta giunge dopo due secoli di massiccio sviluppo capitalistico dell’economia. Secondo Tanuro, e del resto si tratta di un fatto abbastanza evidente a chiunque voglia considerare seriamente la questione, le ragioni del “sovraconsumo” di materia e di energia che caratterizzano le società capitaliste avanzate e quelle emergenti vanno ricercate nella sovrapproduzione, cui il sistema è costretto in virtù del suo ossequio a determinate leggi. Il capitalismo consiste nella produzione generalizzata di valori di scambio, altrimenti detti merci. L’astrazione del valore di scambio, che, spinta alle estreme conseguenze, si esprime nel denaro, è in questo sistema lo scopo e la misura di tutto. La legge del valore genera tre caratteristiche ben precise del modo di produzione capitalistico, che cozzano frontalmente con l’esigenza di regolare razionalmente e in maniera non nociva per chi verrà dopo di noi gli scambi fra esseri umani e ambiente: “[…] la produzione per il profitto, la tendenza all’accumulazione e la concorrenza tra capitali (che si manifesta anche nella rivalità fra Stati)”. Il capitalismo non è nemmeno concepibile senza una rincorsa continua all’accumulazione e alla sovrapproduzione di merci, ed è precisamente questa sua caratteristica a renderlo un nemico giurato dell’ecosistema: la rincorsa del profitto grazie alla tecnologia implica inevitabilmente quantità sempre crescenti di merci, che si mettono in circolazione alla ricerca di una domanda solvibile. Certo, il progresso tecnologico può, in una certa misura, portare ad una riduzione della quantità di energia e materia necessarie a produrre una data unità di Pil (cioè ad una diminuzione dell’“intensità energetica” del sistema), ma questa diminuzione viene presto compensata dall’aumento del volume della produzione. Nel campo del consumo, si parla di un “effetto rimbalzo”: le lampadine a risparmio energetico consumano di meno, ma proprio per questo vengono tenute accese più a lungo, aumentando così il consumo complessivo di energia. Tuttavia, sostiene giustamente Tanuro, il fenomeno ha la sua origine nel campo della produzione. L’unico modo che il sistema ha per ridurre, di tanto in tanto, la pressione che esercita sull’ambiente sono le sue periodiche crisi di sovrapproduzione. Ma queste, com’è ben noto, comportano miseria sociale, sperpero di ricchezze e aumento delle disuguaglianze. Alla legge del valore non sfuggono neanche le tecnologie verdi (incluse le energie rinnovabili) e i tanti stratagemmi messi in opera dalla comunità internazionale, nel quadro del protocollo di Kyoto, per contrastare il riscaldamento climatico senza uscire da una logica capitalistica e di mercato, ovvero per ottenere un’impossibile quadratura del cerchio. L’effetto fotovoltaico è stato scoperto dal fisico francese Edmond Becquerel nel 1839, eppure lo sviluppo di questa tecnologia è pesantemente in ritardo rispetto a quelle che ne sarebbero le potenzialità. Bruciare carbone, gas naturale e petrolio costa molto meno, mentre il nucleare risulta favorito perché ha un interesse anche militare. Inoltre i combustibili fossili e l’uranio costituiscono un’energia di stock, della quale gli investitori possono impossessarsi costituendo un monopolio e quindi una sorta di rendita. Il sole, al contrario, è diffuso su tutta la superficie terrestre. Quanto al mercato delle emissioni e a simili stratagemmi, non è possibile, in questa sede, seguire nel dettaglio l’analisi che l’autore fa della loro totale inefficacia sul piano del loro fine dichiarato, ovvero quello di ridurre la concentrazione di gas serra nell’atmosfera; basterà dire che essa è strettamente connessa al predominio del fattore quantitativo (il valore) su quello qualitativo: il mercato delle emissioni, proprio perché è un mercato, si basa solo su considerazioni quantitative, mentre non tiene nella dovuta considerazione gli elementi qualitativi indispensabili a pilotare la transizione energetica.
Ecosocialismo o barbarie
E allora? Se né la critica dell’ipertrofia dei consumi del mondo sviluppato, né il puro e semplice affidamento alle logiche capitalistiche di mercato costituiscono una risposta adeguata alla crisi ecologica e al problema del riscaldamento climatico, sorge spontanea la domanda: che fare? Come evitare di “sprofondare nell’abisso”, secondo le parole usate dal segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon? La risposta è abbastanza semplice, purché la si voglia ascoltare. Se l’iperconsumo è dovuto a iperproduzione, e se quest’ultima è a sua volta intimamente connessa con le leggi capitalistiche del profitto e dell’accumulazione, ne consegue che sono quelle leggi a dover essere messe in discussione. Si tratta cioè di sottrarre la sfera della produzione e del consumo alla legge del valore, cosa che necessita la chiamata in causa dell’idea di una trasformazione socialista della società. Marx, sostiene Tanuro, è molto più “eco” di quanto non pensi la maggior parte dei marxisti. La nozione chiave per dare una risposta efficace ai problemi ambientali è quella di “metabolismo sociale”, cioè di “regolazione razionale degli scambi uomo/natura”, espressa con estrema chiarezza dal filosofo di Treviri nel terzo libro del Capitale. Nel quadro di una discussione del problema dell’impoverimento dei suoli determinato dall’urbanizzazione capitalistica, Marx arriva, in linea con le teorizzazioni ambientaliste più avanzate di oggi, a porre il problema generale dello scambio di materia fra il genere umano e l’ambiente: “La libertà […] può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa” [2]. Nel passo appena citato, per “libertà” Marx intende la possibilità che l’essere umano ha di affrancarsi dal lavoro materiale. Questa viene esplicitamente condizionata alla “regolazione razionale” degli scambi fra l’uomo stesso e la natura. “Razionale”, per Marx, e anche per noi, ha qui evidentemente il doppio significato di “in linea con i progressi della scienza e della tecnica” e di “assennato”, “ragionevole”, tale cioè da non pregiudicare il futuro della natura stessa né quello, in essa, dell’essere umano. Tutto ciò, sembra chiaramente alludere all’idea, propria dell’ambientalismo più serio e consapevole, che il progresso tecnologico non è qualcosa da incensare o da demonizzare a seconda dei casi, ma semplicemente da svincolare dalla legge del valore, per metterlo al servizio dello sviluppo (che non è sinonimo di crescita economica) del genere umano nel rispetto dei limiti naturali. È senz’altro un grande merito dei teorici della decrescita quello di aver evidenziato tali limiti, contro l’idea, espressa a suo tempo da George Bush Jr. e condivisa per ovvi motivi dall’establishment economico e finanziario globale, secondo cui “la crescita non è la causa dei problemi ambientali, essa ne è la soluzione”. Ma il problema non può essere risolto se, dal lato del consumo, non ci si sposta a considerare quello della produzione, optando per una coerente visione anticapitalista. Attenzione, però. La consapevolezza ecologica di Marx compare solo qua e là (sia pure in maniera molto chiara) nelle sue opere, e si accompagna ad un’altra visione, ad essa antitetica, di tipo più “produttivistico”. Questa entra in gioco se, dal problema dei suoli e dell’agricoltura, ci si sposta ad osservare il modo in cui Marx considera le fonti energetiche, omettendo cioè di fare una distinzione fra quelle di stock (ad es. il carbone) e quelle di flusso (ad es. il legno). Le prime sono esauribili, le seconde no. In sostanza, accanto ad uno schema ciclico evolutivo (quello, molto moderno, che Marx mostra di preferire quando considera la questione dei suoli) sembra coesistere uno schema lineare (risorsa>utilizzo>rifiuto) che è poi quello dell’economia classica. La questione energetica, secondo Tanuro, costituisce un vero e proprio “cavallo di Troia” nell’ecologia di Marx, ed è alla base del produttivismo e dell’ottimismo tecnologico dei marxismi, che infatti sono stati colti impreparati dall’esplodere del problema ambientale oramai quarant’anni fa. In buona sostanza, l’alternativa socialista è l’unica possibile, ma va esplicitamente ridefinita in senso ecologico. Provocatoriamente, Tanuro sostiene che non si tratta di “comprendere l’ecologia nel socialismo, ma di integrare il socialismo all’ecologia”. In termini marxisti, ciò significa che, oltre all’ostacolo del profitto, c’è da rimuovere anche quello dell’accumulazione, ovvero della tendenza del sistema alla crescita economica illimitata e al crescente consumo di risorse. Per venire definitivamente alle prese con la crisi ecologica, non è sufficiente sottrarre l’economia e la produzione alla dittatura del profitto: bisogna anche rivedere tutta una serie di consumi, collettivi e individuali, per diminuire considerevolmente la quantità di energia necessaria a far marciare il sistema. Ciò è particolarmente evidente nel caso del riscaldamento globale, e l’autore lo dimostra con dovizia di argomentazioni tecniche. Da questo punto di vista, i sostenitori della decrescita hanno tutte le ragioni, pur non rendendosi conto che i problemi da loro posti sono risolvibili solo in una prospettiva socialista e anticapitalista. Inutile dire che, quando Tanuro delinea tale prospettiva, non ha in mente l’esperienza storica dello stalinismo, che anzi critica aspramente da un punto di vista politico, economico e ambientale, ma quella, tutta da costruire, di una forma di organizzazione umana che individui nei “produttori associati”, ovvero nell’economia pianificata in stretto rapporto dialettico con il controllo operaio della produzione, i “regolatori razionali” della società e della natura che verrà.