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domenica 25 dicembre 2022

Si alla fusione

Sul pianeta terra ci sono rinnovabili da centinaia di milioni di anni. Sono le piante ,che catturano la luce solare e la trasformano in costituenti strutturali (cellulose, la scorza degli alberi, fibre vegetali) o in idrocarburi ( zuccheri, resine) i quali vanno poi a costituire le riserve energetiche degli organismi viventi (piante e animali ). Anche i venti e le correnti marine, o l’energia dei corsi d’acqua fa parte dei cicli che assicurano il buon funzionamento della biosfera, il che consente alle specie di sopravvivere e di assicurare là variabilità delle forme di vita e l’equilibrio dell’intero sistema biologico e ambientale. Da alcune decine di anni gli umani stanno cercando di sostituire rinnovabili artificiali a quelle naturali. Questo, a differenza di quello che credono gli ambientalisti, non è senza prezzo, un prezzo che paga la terra è il suo sistema biologico. La distruzione di ampie superfici verdi e la loro sostituzione con distese di pannelli fotovoltaici, lo sfruttamento dei venti e delle acque con sistemi altamente impattanti sull’ambiente fisico e sulle specie viventi, comportano una violenta alterazione dei sistemi naturali che ha conseguenze devastanti sulla biosfera. Mentre le rinnovabili naturali come le piante, catturano la gran parte del carbonio libero in atmosfera , le rinnovabili artificiali non catturano carbonio e non entrano quindi nel ciclo di fissazione di esso nelle strutture viventi: con i sistemi artificiali creati dall'uomo viene meno quindi un elemento centrale della biosfera e della biodiversità, che si basa sul ciclo naturale di fissazione del carbonio. A ciò si aggiunga che le quantità di energie ricavabili dai pannelli fotovoltaici e dalle torri eoliche sono limitate, e non esistono tuttora sistemi di accumulo che consentano una continuità energetica adatta a tutte le necessità di otto miliardi di umani. I quantitativi di energia necessari a certe produzioni, si pensi alle acciaierie e agli altiforni, comporterebbero una tale distruzione di ambienti naturali, per installare pannelli solari, torri eoliche, bacini idroelettrici ecc. che qualsiasi altra fonte di energia avrebbe un costo ambientale più sostenibile. L'estrazione dei minerali, del silicio, delle terre rare, necessari alla costruzione dei sistemi ad energia rinnovabile è inoltre fortemente impattante. Di fatti gli stessi Verdi sono quelli che, pur predicando a favore delle rinnovabili, si oppongono quando queste vanno a modificare e devastare gli ambienti e i paesaggi che li riguardano ( not in MyNimby…).Le rinnovabili hammo dimostrato, in concreto, il loro totale fallimento nell'attuale crisi dei prezzi degli idrocarburi: nessun paese al mondo è stato in grado di sostituire il gas , il petrolio o il nucleare con le rinnovabili. Durante la crisi è molto indicativo il veloce ritorno al carbone come principale fonte di energia, come ad esempio è accaduto di recente in Germania e , da tempo, accade in Cina ed India. Lo stesso avviene nei paesi in via di sviluppo, dove l’economia viene implementata ai fini dello sviluppo solo con energia da idrocarburi, per lo più del tipo a maggiori emissioni (carbone e petrolio). La continua crescita della popolazione mondiale non fa che sostenere l’aumento altrettanto continuo del consumo da fonti fossili, tanto che le statistiche elaborate dall’ASPO certificano un consumo di idrocarburi nel 2022 in quantità senza precedenti, al di là delle chiacchiere inconsistenti e del tutto avulse dalla realtà delle varie conferenze Cop dedicate alla illusoria frenata sulle emissioni.
Per questi motivi è una buona notizia la comunicazione dell’amministrazione americana sull’avvenuta fusione a bilancio energetico positivo nell’esperimento del Lawrence Livermore National Laboratory , in cui sono stati concentrati numerosi potenti laser su minuscoli contenitori di deuterio e trizio. Dagli stessi partecipanti all'esperimento viene consigliata cautela: l'utilizzo pratico della fusione è di la da venire e richiederà ancora decenni. Intanto prosegue la costruzione del grande prototipo a confinamento magnetico del plasma di Caradache in Francia, insieme alla progettazione e realizzazione di nuovi modelli su scala più ridotta, in cui il plasma di protoni viene isolato con sistemi di campi magnetici a geometria variabile: uno di questi ultimi prototipi è in via di realizzazione in Italia al Cern di Frascati. La Cina sta assumendo, al riguardo, un ruolo di primo piano, in particolare nei reattori a fusione piccoli e pratici che possano servire localmente dove è necessario e diffusi su larga scala. Gli esperti parlano di un periodo di transizione per arrivare alla fusione commerciale di circa trent'anni, durante i quali gas, petrolio, nucleare a fissione e rinnovabili potranno assicurare le quantità di energia necessarie.
Dice Federico Rampini nel suo ultimo libro sul problema energetico: " La fusione nucleare e' un sogno che la scienza insegue fin dagli anni Cinquanta. L'amministratore dell'Eni pensa che stavolta le probabilita' di successo siano incoraggianti, sente che una svolta e' vicina. Considera enormi i benefici per l'ordine globale: il mondo non sarebbe piu diviso tra chi ha e chi non ha accesso a risorse rare, che siano il petrolio o il gas o i minerali per le batterie dell'auto elettrica. L'acqua pesante ce l'hanno tutti. Le centrali sarebbero piccole (senza consumo di suolo verde o distruzione di paesaggio). L'elettrificazione low cost diventerebbe accessibile perfino alle zone piu povere dell'Africa, dove per centinaia di milioni di persone la corrente e' ancora un lusso. Avremmo centrali piccole, diffuse, alla portata di chi finora e' dipendente dalle materie prime altrui" (Federico Rampini: Il lungo Inverno. Pag. 80. 2022 Mondadori. )
Ma le conseguenze del salto tecnologico della fusione non sarebbero solo economiche. Lo sviluppo porterebbe, come accaduto in occidente, ad una riduzione spontanea dei tassi di natalita' anche nelle aree dove, per la mancanza di risorse, l'unica risorsa e' la prole. Non sarebbero piu necessarie le migrazioni epocali per cause economiche, e si ridurrebbero anche quelle generate da guerre e carestie. Lo sviluppo tecnologico sarebbe diffuso a tutte le aree del pianeta, anche a quelle oggi arretrate economicamente e socialmente: si aprirebbero nuove opportunità in cui il numero di popolazione non servirebbe più per dare sostegno economico in economie arretrate, ma diverrebbe un problema per gli alti costi della crescita dei figli, come accade in occidente. Le necessità generate dallo sviluppo tecnologico sottrarrebbe risorse che oggi vanno alla crescita della popolazione sotto forma di assistenza e alimentazione. Le tradizioni delle famiglie numerose, come in certe zone dell'Africa e dell'India verrebbero meno spontaneamente, per banali motivi economici, e non per imposizioni di legge che, nella maggior parte dei casi, hanno dimostrato di non funzionare. Le politiche di potenza e le guerre basate sulla competizione per le risorse, avrebbero meno influenza sulla geopolitica globale e potrebbero essere meglio controllate da istituzioni sovranazionali. Le grandi distorsioni geopolitiche generate dalla diversa disponibilità di gas e petrolio delle varie nazioni, di cui abbiamo ai nostri giorni un clamoroso esempio nella guerra in Ucraina, scomparirebbero o perderebbero di importanza. A difendere il vecchio mondo resterebbero solo le forze politiche che hanno scelto la via della scarsita' e delle decrescita economica ( ma assolutamente non demografica!) : i verdi e i loro sodali. Tanto più impraticabile in quanto la decrescita dei consumi e dell'economia dovrebbe essere imposta da uno stato che non potrebbe non essere autoritario e antidemocratico, come la storia insegna. Un mondo che esiste solo nella loro testa e in quella dei creatori dello spot pubblicitario sul "mulino bianco". Un modo di vedere utopico che ci porterebbe dritti alla distruzione ambientale e alla morte dela pianeta devastato dal cancro della crescita umana.

sabato 19 novembre 2022

Otto miliardi

Mentre la Cop 27 che si e' tenuta in Egitto la settimana scorsa andava incontro al suo ennesimo fallimento, senza che nessuno dei partecipanti abbia mai accennato al boom demografico, l'Onu ha comunicato che il pianeta ha raggiunto e superato gli 8 miliardi di umani. La cosa sorprendente e' che i 7 miliardi erano stati raggiunti soltanto 12 anni fa. Un miliardo di umani in piu in cosi breve tempo significa una cosa sola:l'esplosione demografica degli ultimi decenni e' in piena salute e continua senza limiti e senza dare tregua al pianeta. Tutti i nuovi nati saranno futuri consumatori, sia se rimarranno nel paese di nascita sia se emigreranno in aree economicamente sviluppate. Tacere sul fenomeno demografico e' la strategia sia dei verdi che dei governi piu o meno autoritari e corrotti che amministrano le aree del pianeta con alta natalita', che non fanno nulla contro il boom demografico, anzi ne approfittano per politiche di potenza e per lucrare sul fenomeno tramite l'emigrazione e i rientri delle rendite. Lo stallo demografico da tanti ritenuto prossimo, non si vede ancora e non se ne hanno tracce. Si puo dire che la famosa transizione demografica e' come l'araba fenice " che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa". Di fatto la specie umana prosegue la sua crescita cancerosa, di cui le migrazioni rappresentano le metastasi, una crescita che sta soffocando la biosfera, distruggendo l'ecosistema, cioe' la base della vita e della varieta' delle specie viventi. L'antropocentrismo dominante e' preoccupato del cosidetto riscaldamento climatico o dell'inquinamento ambientale solo per le ripercussioni sulle popolazioni umane e per la sopravvivenza e i diritti della sola specie umana. Di fronte ai diritti di Homo passano in secondo piano la fine delle specie animali e vegetali, come ad esempio l'Elefante africano, il rinoceronte di cui restano poche migliaia di esemplari, la tigre delle indie e tante altre rare specie viventi, finora miracolosamente sopravvissute al cancro umano. Eppure questa e' di gran lunga la prima emergenza planetaria, tutte le altre seguono. Il riscaldamento climatico, l'immissione di carbonio in atmosfera, l'inquinamenti da altri gas e sostanze quali i nitrati e i solfuri, da particolati, da prodotti chimici, da pesticidi, da plastiche ecc. non e' legato a particolari civilta' o a sistemi economici come il libero mercato e il capitalismo, ma semplicemente al numero di abitanti perche' nel mondo globalizzato ogni esemplare di homo e' un produttore - consumatore, sia esso americano, indiano, cinese o africano, sia esso stanziale o migrante. Piu alto e' il numero degli homo piu alta e' la produzione di merci, il commercio, ,le eiezioni di gas e sostanze inquinanti, piu alta la crescita di rifiuti e discariche. Non nego la necessita di ridurre i consumi e il consumo di idrocarburi, nego che la cosa abbia una qualche rilevanza senza la riduzione della natalita' umana e la decrescita demografica. Finora non e'stato ancora inventato un uomo non consumatore e non produttore, anche se persiste nella mente degli ecologisti mainstream l'utopia dell'Homo abstinens, contemplativo, sostenibile, che vive di assistenza statale e bonus, senza emissioni, appiedato o al massimo fornito di bicicletta, mangiatore di insetti e piantatore d'alberi. Nella realta' Homo e' un grande emettitore, inquinatore, vorace consumatore di energia, estrattore ed utilizzatore di acqua, deforestatore, cementificatore e costruttore, mobile e mobilizzabile con i mezzi piu' inquinanti come aerei, navi, auto, treni, porti, ferrovie, gallerie, aeroporti, rampe, funivie, seggiovie, piloni ed altre amenita' ecologicamente insostenibili e incompatibili. L'unica possibilita' di salvezza e' il controllo demografico, non esistono altre vie o scorciatoie. Intanto i verdi del politically correct continuano a strepitare contro i consumi della societa occidentale, proprio mentre milioni di persone dall'asia e dall'africa cercano in tutti i modi di divenire consumatori occidentali violando ogni limite e confine e traversando mari ed oceani (come in Australia ed in America). Anche le popolazioni che restano nei paesi poveri, cercano lo sviluppo secondo un modello occidentale d'annata, basato su consumi energetici e produzione, consumi e cementificazione. Oggi il paese piu inquinante non e' piu un paese dell'occidente capitalistico, il maggiore emettitore di carbonio, produttore di rifiuti e inquinamento planetario e' l'antioccidentale Repubblica Popoplare Cinese, guidata dal Partito Comunista e abitata da un miliardo e mezzo di umani. Con il raggiungimento del "traguardo" degli otto miliardi cade il velo di maia dei movimenti verdi. Il loro silenzio e' una accusa alla loro fede ambientalista, un'auto condanna alla marginalita' e alla irrilevanza in questa cruciale fase di storia del pianeta. A volte l'incomprensione dei verdi riguardo al vero problema del pianeta sfocia nella stupidita', come quando , con somma irresponsabilita' e cecita', affermano che per l'uomo c'e' ancora tanto spazio da occupare sulla Terra.

martedì 26 luglio 2022

Riscaldamento: non solo l'uomo

Riporto questo articolo di Monica Panetto dell'Università di Padova sulla posizione critica del professor Scafetta della Duke University,sulle posizioni dell'IPCC a proposito del riscaldamento climatico. Rispetto alla divulgazione ormai totale dei media sulla causa antropica come causa unica e principale del riscaldamento, ritengo utile valutare le posizioni che offrono prospettive diverse. Le lobby che sostengono le cause antropiche, guarda caso ridotte alla sola emissione di carbonio da idrocarburi, sono sospette, tanto più sospette quanto più rifiutano ogni discussione e criminalizzano chi la pensa diversamente. In particolare queste lobby, supportate dai verdi ormai politicamente schierati a favore dei paesi in via di sviluppo e contro l'occidente, negano e silenziano ogni discorso sulla pressione eccessiva sul pianeta di otto miliardi di Homo, e riportano ogni problema ad una unica causa: il sistema del libero mercato e e dei consumi di idrocarburi, invocando una redistribuzione delle risorse che non prevede la "pace demografica" da parte dei paesi emergenti. Il sistema capitalistico, pronto ad adeguarsi al nuovo credo, si sta rapidamente trasformando per assicurare i nuovi prodotti e i nuovi consumi necessari alla economia senza carbonio. Allo stesso tempo le nuove potenze economiche emergenti: Cina, India e presto l'Africa, premono sullo sfruttamento di ogni tipo di energia, dal carbone al nucleare, dal gas al petrolio per assumere il ruolo che fu dell'occidente. La Cina, principale produttore delle cosiddette rinnovabili, e altri paesi asiatici vendono il prodotto a Europa e Usa, utilizzandolo solo marginalmente in casa propria (vista la scarsa efficienza e gli alti costi). Gli stessi paesi emergenti utilizzano il boom demografico come strategia di questo nuovo ruolo, mentre l'occidente affonda e con esso il pianeta, ridotto a discarica di Homo.
"RISCALDAMENTO GLOBALE: L'UOMO COLPEVOLE SOLO A META'"
Secondo l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) le emissioni globali di gas serra sono in aumento a un ritmo doppio rispetto a dieci anni fa e la temperatura media continua a crescere rispetto ai livelli pre-industriali. In tutto questo l’uomo avrebbe causato più del 90% del riscaldamento globale sin dal 1900 e praticamente il 100% dal 1970. Da qui tutta una serie di politiche di intervento che vanno dalla riduzione delle emissioni di gas serra ad azioni di riforestazione, dal ricorso alle energie rinnovabili a una gestione più sostenibile delle città. Eppure, a fronte di questa situazione, c’è chi sostiene che gli scenari di previsione dell’Ipcc non siano del tutto corretti perché basati su modelli climatici che considerano solo in minima parte le variabili naturali accanto al contributo antropico. Di conseguenza anche le responsabilità attribuite all’uomo sarebbero state sovrastimate. A esserne convinto è Nicola Scafetta, docente alla Duke University in North Carolina, che ha esposto i suoi studi nei giorni scorsi a Padova.
“Il clima è influenzato certamente dal fattore antropico, ma anche da fattori naturali che possono essere interni alla terra, come nel caso dei vulcani, e astronomici. La critica che io muovo all’Ipcc è di non sapere modellare bene la componente astronomica del clima. I modelli dell’Ipcc parlano solo di irradianza solare che, tra l’altro, si ritiene dia un contributo esiguo ai cambiamenti climatici e ignorano altri aspetti”. Il sole, ad esempio, non emette solo luce, ma anche un forte campo magnetico. Questo influenza i raggi cosmici che a loro volta incidono sulla nuvolosità e quindi sulla quantità di luce che raggiunge la superficie terrestre con conseguenti ripercussioni anche sul clima. E non vengono presi in considerazione nemmeno gli effetti lunari: accanto alle maree giornaliere esistono infatti cicli molto più lunghi che influiscono sugli oceani e sul trasferimento di calore dall’equatore ai poli. Producendo anche in questo caso cambiamenti climatici.
Scafetta aggiunge che i modelli dell’Ipcc si basano dal 2001 su una ricostruzione della temperatura globale degli ultimi 1000 anni, conosciuta come hockey stick, elaborata da Michael E. Mann nel 1998 su cui tuttavia sono stati avanzati dei dubbi. Secondo lo studio, il pianeta sarebbe stato caratterizzato da una temperatura costante prima del 1900 e successivamente da un riscaldamento anomalo. Il risultato tuttavia è in contrasto con quanto sostenuto da storici e geologi, secondo i quali i primi secoli del millennio dovevano essere piuttosto caldi, al contrario dei secoli dal 1400 al 1800, ritenuti invece molto freddi e conosciuti come la “piccola era glaciale”. In effetti già dal 2004-2005 l’hockey stick comincia a essere criticato. Tra gli altri Anders Moberg e Fredrik Charpentier Ljungqvist propongono ricostruzioni alternative del clima. E anche Scafetta dà il proprio contributo.
“Negli ultimi 400.000 anni – spiega – si sono alternati sul nostro pianeta periodi caldi e periodi freddi di cui i modelli dell’Ipcc non riescono a dare conto”. E continua: “Se la temperatura presenta cicli periodici naturali, l’unica spiegazione ragionevole è che il sistema climatico sia modulato da cicli astronomici”. Le oscillazioni naturali del clima sarebbero dunque sincronizzate con oscillazioni astronomiche, cioè con oscillazioni del sistema solare indotte dal movimento dei pianeti. Sole, luna e pianeti sono caratterizzati da numerosi cicli a diverse scale temporali: di 11 e 12 anni quelli del sole e di 18,6 e 8,85 anni i cicli maggiori della luna. Giove ha un periodo orbitale di circa 12 anni e Saturno di 30 anni cui se ne aggiungono altri tre: i dieci anni dell’opposizione dei due pianeti, i 20 della congiunzione e i 60 anni necessari per essere allineati con la Terra attorno al sole. Scafetta avrebbe individuato, ad esempio, una corrispondenza ciclica di 60 anni nei periodi 1880-1940 e 1940-2000, durante i quali le temperature hanno dimostrato un andamento simile. Consentendo anche di fare previsioni per il futuro.
Gli studi del docente della Duke University aprono dunque scenari differenti rispetto a quelli proposti dall’Ipcc. “Secondo i miei calcoli l’uomo contribuisce al riscaldamento globale per circa il 50% e non per il 100% come vorrebbe l’Ipcc. L’altra metà può essere attribuita a oscillazioni astronomiche”. E continua: “Se non si è in grado di modellare la componente del clima condizionata dai fenomeni astronomici, non si può nemmeno quantificare con esattezza la componente antropica”. Anche le previsioni relative alla temperatura per il prossimo secolo si discostano da quanto sostenuto finora. Sembra infatti che fino agli anni 2030-2040 si assisterà a una stasi o addirittura a un raffreddamento. “I modelli dell’Ipcc stanno fallendo – argomenta Scafetta – Anche se la quantità di anidride carbonica è aumentata molto, dal 2000 la temperatura è rimasta costante. E sebbene l’Ipcc lo riconosca e ammetta che i modelli climatici utilizzati stanno presentando dei problemi, utilizza poi quegli stessi modelli per le previsioni climatiche del ventunesimo secolo”.
Monica Panetto

mercoledì 6 luglio 2022

La bufala riscaldamento

(La recente conferenza di unificazione tra sinistra e verdi)
Mi convinco sempre di più che la storia del riscaldamento climatico sia una colossale bufala dietro cui ci sono interessi costituiti potenti. Troppo potente il bombardamento mediatico sulla gente, troppo uniforme il messaggio, troppo violenta la espulsione dal contesto civile di chi pone dei dubbi. L'allineamento dei governi al fideismo sul global warming è impressionante, pressoché totale, ma i comportamenti poi sono molto differenti dai declami. La Cina è il primo produttore al mondo di rinnovabili, ma sono anche il primo consumatore al mondo di carbone e petrolio. Anche sul merito del riscaldamento non ci sono certezze. I dati che vengono diffusi sono per lo più manipolazioni, come dimostra in numerose pubblicazioni e convegni il geologo e metereologo Prestininzi dell'Università di Roma, con i suoi studi sulla rilevazione delle temperature degli ultimi secoli o come afferma il più importante climatologo italiano a livello internazionale, Franco Prodi: “Nessuna ricerca scientifica stabilisce una relazione certa tra le attività dell'uomo ed il riscaldamento globale. Perciò, dire che siamo noi i responsabili dei cambiamenti climatici è scientificamente infondato ". Le oscillazioni del clima ci sono sempre state, Carlo Rubbia in un noto discorso al Senato ricordò quelle degli ultimi duemila anni, con punte di caldo ben più corpose di quelle attuali. Questo non significa che le emissioni di carbonio e l'inquinamento da combustibili non esista, esiste e contribuisce alla irrespirabilità dell'aria e al degrado chimico dei suoli e delle acque. Ma ogni discorso sul contenimento delle emissioni è inficiato dall'oblio e dal silenziamento del fattore popolazione, vero tabù dei movimenti verdi. Se il riscaldamento fosse una vera emergenza, il problema popolazione dovrebbe essere al primo posto. Eppure nessuno ne parla: né i governi, né le istituzioni, né gli studiosi del problema che accettano acriticamente il cambiamento climatico,, né tantomeno i movimenti politici che si richiamano alla difesa ambientale.
La storia del riscaldamento globale del resto è un ottimo argomento per permettere ai verdi di sopravvivere e di contare politicamente a livello mondiale, ma sono loro stessi a non crederci, per lo meno nei termini catastrofici che strombazzano su tutti i media. Se ci credessero veramente, la loro battaglia anticonsumista e per una economia della redistribuzione basate solo sulle rinnovabili, verrebbe messa in secondo ordine rispetto al primo fattore all'origine del disastro ambientale: la sovrappopolazione umana del pianeta terra. L'equazione di Ehrlich I = PxAxT mette al primo posto nell'Impatto sull'ambiente la popolazione umana. Ehrlich è molto chiaro al proposito: "L'immissione in atmosfera dei principali gas serra, anidride carbonica e metano, che possono modificare il clima e rovinare la produzione agricola, non è facile da correggere. La concentrazione atmosferica di questi gas è strettamente legata alle dimensioni della popolazione. Conseguentemente, non c'è nessun metodo pratico per ottenere la necessaria riduzione dell'emissione di questi gas senza un controllo demografico " (P. e A. Ehrlich: Un pianeta non basta 1991, pag.61).
Dunque i verdi tacciono sul fattore principale della immissione di gas serra, metre spingono l'acceleratore sul cambiamento politico ed economico: socialismo, carbon tax solo contro i paesi occidentali, redistribuzione a favore dei paesi emergenti e stop ai consumi dei paesi occidentali. Non si accenna minimamente ai tassi di natalità di alcuni paesi dell'Africa o dell'oriente, i quali determinano un accrescimento medio dei consumatori ed emettitori di carbonio sul pianeta di circa 90 milioni ogni anno. Chi è nato negli anni 50 del novecento è nato in un altro pianeta: allora c'erano due miliardi di umani, oggi ce ne sono otto. Tutto questo nel volgere di una sola generazione: una esplosione demografica mostruosa che non si era mai vista per nessuna altra specie sulla terra. Una esplosione che è la causa della scomparsa di migliaia di specie viventi ogni anno con perdita della biodiversità e di interi ambienti naturali. Ciascuno dei nuovi nati della specie Homo cerca benessere e consumi e tutti i discorsi alla Greta servono solo a punire gli occidentali del passato sviluppo. Anzi i movimenti tipo Friday for Future chiedono a gran voce che cinesi, indiani ed africani si allineino ai consumi dei paesi ricchi (o ex ricchi) e che vengano abolite le differenze economiche e sociali su tutto il pianeta. Il risultato pratico di tutto questo si può leggere consultando i grafici delle emissioni di carbonio in atmosfera: nonostante le varie conferenze basate sul nulla (COP nelle varie declinazioni geografiche- Kyoto, Parigi ecc.- e numeriche)e i pareri dei soloni dell'Onu, le emissioni crescono senza mai deflettere, conferenza dopo conferenza.
Cina, India, Pakistan, Africa, ecc. accelerano sui consumi ricorrendo al carbone, petrolio, nucleare ecc. e tutto quello che assicura energia a basso costo, badando al proprio tornaconto e profittando dello stallo occidentale. Nessuno dei paesi in questione adotta più politiche di contenimento demografico, complici gli interessi politici e le politiche di potenza regionale o globale. In questo scenario i verdi vengono a dirci che il futuro del pianeta dipende dallo stop ai consumi in Europa e in Usa (paesi in rapido declino economico, la fine di un mondo dove tra l'altro sono situati i paesi con regime democratico e liberale), ed alla adozione - ma solo da parte occidentale- di energie costose e poco efficienti come le pale eoliche o i pannelli solari. Sul primo fattore di Ehrilch, la popolazione planetaria, silenzio assoluto e chi osa soltanto accennarvi è condannato all'inferno politico, al rigetto morale e all'isolamento dal contesto "civile"del pensiero unico politically correct. Chi accenna al problema è attaccato e deriso, i dati scientifici pubblicati su riviste rigorose considerati carta straccia se non allineati alla nuova ideologia del cocomero verde. L'Antropocentrismo è verde, il pianeta può divenire immensa discarica e cimitero di tutte le altre specie viventi purché si pensi ai diritti di una sola specie: Homo. L'importante è l'uomo verde e progressista, il cocomero verde fuori e rosso dentro, come mostrato al termine della recente conferenza di unione politica tra sinistra e verdi.

domenica 5 giugno 2022

La distruzione verde del paesaggio italiano

Pare che il progetto stia per passare, con il beneplacido degli ambientalisti doc. Sette torri eoliche di 200 metri sulle colline tra Orvieto e Bolsena, uno dei paesaggi piu' belli e incontaminati d'Italia. Oltre all'inquinamento acustico dei rotori, al degrado dell'ambiente naturale che ospita specie aviarie e animali da tempo in pericolo, c'e' lo sfregio al paesaggio che neanche il piu' infame speculatore avrebbe osato realizzare. E' appena immaginabile lo sbancamento di terreno di alto valore naturalistico necessario all'impianto di queste torri, le colate di cemento, le strade di collegamento, gli elettrodotti e tutte le devastazioni ambientali per le strutture collegate. Ma i verdi sono entusiasti. Abbiamo l'energia pulita grazie alle rinnovabili. Davanti all'idolo delle rinnovabili, cosa vuoi che contino il Duomo di Orvieto o le verdi colline intorno al lago di Bolsena? Con la nuova energia si potranno realizzare nuovi condomini di dieci piani che vadano ad accrescere la gia' orrenda periferia di quella che un tempo Freud considerava una delle piu belle cittadine storiche del belpaese e ne aveva fatto uno dei suoi luoghi preferiti di vacanze. Antropos viene sempre per primo, dicono i verdi, avanti con i rotori.
Riporto l'articolo di un opinionista del Corriere che non ha nulla a che fare con l'ambientalismo ufficiale, per fortuna.
di E. Galli della Loggia
"Una multinazionale progetta di piazzare sette pale eoliche per la produzione elettrica — di duecento metri di altezza — sul crinale delle colline prospicienti il lago di Bolsena, tra Orvieto (con il suo miserabile duomo alto appena 50 metri) e Castel San Giorgio
In Italia è sempre così. C’è un’ emergenza, il tempo stringe, bisogna fare in fretta e allora avanti ad autorizzare e a permettere anche ciò che non potrebbe esserlo. Naturalmente per la gioia di chi ha qualche interesse in ballo e che così può farsi meglio gli affari propri. Con l’emergenza Covid ad esempio, bar e ristoranti sono stati a autorizzati a mettere qualche tavolo all’aperto senza pagare nulla per l’occupazione del suolo pubblico. Risultato: in cento città praticamente la metà dei posti macchina disponibili in centro sono stati mangiati dai dehors e dovunque i marciapiedi e perfino il centro delle piazze sono invasi quasi per intero dai tavolini. Se mai verrà il momento ci vorrà la Folgore per far tornare le cose come prima.
Nel caso di Orvieto oggi basterebbe invece molto meno. Basterebbe che il Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani desse uno sguardo al progetto delle «Rwe Renewables Italia» e dicesse un semplice no. Grazie questa volta all’emergenza Ucraina, infatti, e all’ulteriore allentamento delle regole del settore, la suddetta multinazionale progetta di piazzare a breve sette pale eoliche per la produzione elettrica — sette cosucce di duecento metri di altezza — sul crinale delle colline prospicienti il lago di Bolsena, tra Orvieto (con il suo miserabile duomo alto appena 50 metri) e il comune di Castel Giorgio. Rovinando così uno dei paesaggi più belli dell’Italia centrale e colpendone la vocazione turistica: con un progetto che tra l’altro potrebbe essere tranquillamente spostato in mezzo al mare. È mai possibile, mi chiedo, dovere stare ancora a ripetere queste cose? Da decenni essere costretti a battere e ribattere sempre le stesse cose perché in Italia lo Stato centrale e i suoi politici non sembrano accorgersi mai di nulla, muovendosi spontaneamente per primi in difesa del Paese che governano? Coraggio ministro Cingolani, ci dia l’illusione che con lei le cose vanno diversamente! ENERGIE ALTERNATIVE ORVIETO

mercoledì 11 maggio 2022

Verdi e popolazione: il muro non cade

Riporto questo articolo del Fatto Quotidiano perché esprime in maniera paradigmatica il pensiero del movimento verde (caduto nell’antropoegoismo assoluto) attraverso quelli che attualmente ne rappresentano esponenti di primo piano, come Fridays for Future e l’ecogiornalista inglese Monbiot. Le frasi estratte dal pensiero verde antropoegoico sono caratteristiche: non contano le specie viventi diverse da Homo ma solo i diritti di Homo. Il lento e sotterraneo movimento per i diritti degli animali e per un visione non antropocentrica, sembra ancora non scalfire il muro che separa gli ecologisti dalla presa di coscienza della principale criticità del pianeta: la sovrappopolazione umana. Nel pezzo vengono continuamente citati i diritti (di Homo), tra cui quello di figliare a piacimento. Si nega che la crescita demografica sia un problema, anzi:
“l’impatto globale di essa è molto più esiguo di quanto molti possano immaginare”.
“La crescita demografica non è, come molti sostengono, esponenziale. Anzi il tasso è in rapido calo”.
“Considerare i figli come un grave errore di cui vergognarsi…è piuttosto desolante, sintomo di una società vecchia e reazionaria”.
Poi si riportano le posizioni di George Monbiot, un giornalista ecologista che era partito bene in passato, contribuendo insieme ad altri (Wilson et al.)a fondare il concetto e la filosofia del Rewilding, cioè di una azione ecologica rivolta non solo a conservare le aree verdi e le specie a rischio, ma anche a reintrodurre il selvaggio, gli ambienti naturali, le specie tipiche, nelle varie zone da cui l’antropocentrismo le ha cacciate e restaurando le aree incontaminate stravolte dalla presenza umana. Purtroppo Monbiot è caduto anche lui nelle posizioni dei diritti di Homo e nell’antropocentrismo ideologico, dimenticandosi del mondo selvaggio. La giornalista del Fatto, riportandone l’evoluzione del pensiero, parte con la solita sparata dei cannoni con cui i verdi attaccano il pensiero dissenziente:
“…una vena più o meno razzista e colonialista nell’accusa che le nazioni ricche fanno alle nazioni povere (di fare troppi figli senza avere le risorse per mantenerli)”. Sono infatti le soscietà ricche quelle con la crescita demografica zero, ad essere più inquinanti, consumiste e ad avere impronte carboniche maggiori, commenta la giornalista.
A parte il fatto che a pensarla così non sono le nazioni ricche (molte multinazionali portano avanti il pensiero unico equosolidale...)ma ecologisti che non vogliono adeguarsi al politically correct ma pensare con la propria testa, questo modo di vedere nasconde una presunzione di verità e una omissione. La presunzione di verità è la seguente: un mondo più povero, con le risorse equamente distribuite, ma senza maggior produzione (e quindi più povero, per una legge matematica), sarebbe meno inquinante anche se sovrappopolato, rispetto ad un mondo più ricco con popolazione stabile o in decrescita. Un mondo più povero e popolato, al di là delle astrazioni ideologiche, è già presente oggi in alcune aree del pianeta: non mi risulta che siano le meno inquinate. Provare per credere: proprio in questo blog ho varie volte accennato a megalopoli sovrappopolate e con tecnologia arretrata per povertà di risorse economiche (come nel mio articolo su Karachi, o su certe megalopoli africane) ridotte a discariche gigantesche e fonti di inquinamento chimico, da particolato, da plastiche, da tossici , con aria irrespirabile e tassi di morbilità e mortalità elevati.
Veniamo all’omissione: si tace , rimuovendola da ogni argomentare, sul fatto che oggi i tassi di natalità non possono più essere considerati appartenenti a certe aree e non ad altre, della superficie terrestre. Quando si dice che i tassi di natalità, ad esempio, sono alti in Africa o in Bangla Desh, ma troppo bassi in Europa si dice una menzogna colpevolmente nascosta dai verdi antropoegoici. E’ vero infatti che la natalità è concentrata in certe aree, dove tra l’altro non vi sono risorse, ma poiché il mondo oggi è globalizzato, l’affermazione che la crescita demografica è riservata a certe zone è falsa. In passato, quando gli spostamenti di popolazione erano più rari e difficoltosi, le risorse locali (acqua, produzione agricola, alimentari, lavoro, sanità ecc.) fungevano da limitazione alla natalità. Oggi questo non costituisce più impedimento alle alte natalità, in quanto i nuovi nati, spesso ancora minorenni, si trasferiscono (o meglio vengono trasferiti con vere e proprie tratte…) nelle aree dove possono trovare risorse adeguate (Europa essenzialmente). La mobilità delle merci, ma in questi ultimi decenni soprattutto delle persone, è divenuta estremanente efficiente e diffusa (nonostante i frequenti incidenti, ma di questi i trafficanti non si preoccupano). Ciò significa che di chi nasce, ad esempio, in Nigeria, solo una parte rimarrà sul luogo, la stragrande maggioranza vivrà in Europa. (Ciònonostante la popolazione della Nigeria cresce a ritmi che la porterà ai 950 milioni a fine secolo. E stiamo parlando solo della Nigeria). E’ palesemente falso quindi che chi nasce in Nigeria inquinerà di meno: inquinerà con gli stessi tassi di tossicità chimica e fisica e le stesse emissioni di chi vive in Europa. A ciò si aggiunga che gli stessi Nigeriani aspirano ad aumentare i consumi e gli inquinanti, non volendo giustamente vivere da poveri e ricercando le vie brevi per lo sviluppo. La frase di Monbiot: “Poiché la crescita demografica riguarda soprattutto i più poveri del mondo, questi hanno un impatto sul pianeta molto più lieve rispetto ai ricchi e quindi la crescita demografica è molto inferiore a un terzo dell’aumento complessivo dei consumi” è quindi un insieme di falsità, un inganno senza se e senza ma. Monbiot tace poi miseramente sulla fine delle specie animali selvaggie africane dovuto alla crescita dell'agricoltura, delle città e delle infrastrutture. Un silenzio di tomba è il termine adeguato su una perdita irreparabile per il pianeta Terra. Altro che ritorno al selvaggio, come predicava Monbiot agli inizi della sua carriera ecologista...
Dopo di ché l’articolo vira sulle banalità: se si assicurano i diritti delle donne, se si da istruzione ed emancipazione a donne e bambini, la natalità cala bla bla bla direbbe Greta. (E’ evidente la contraddizione tra il dire che la natalità non conta in quanto contano i consumi dei ricchi, e poi auspicare il calo della natalità per diritti). Sono le posizioni dell’Onu, ma se non si interviene con politiche attive di controllo delle nascite la storia dell’ultimo secolo dimostra che i tassi sono molto lenti a calare, o non calano affatto. A volte la natalità è anzi aumentata con lo sviluppo economico e sociale. Se ad esempio per ragioni politiche o religiose, o per semplici tradizioni secolari,per nazionalismo, o come avviene oggi in certi paesi per interessi economici (rimesse ecc.), si perseguono l’aumento della popolazione e un alto numero di figli, lo sviluppo di economie più floride non arresta la crescita. Si consideri l’inerzia demografica delle popolazioni immigrate: la riduzione, pur presente in certi casi, è molto lenta e i tassi si mantengono alti soprattuto nelle culture poco disposte all’integrazione. C’è infine il discorso della campana demografica: le popolazioni in crescita sono molto giovani, e su una popolazione con alti numeri di giovani la base su cui si applicano le percentuali è più ampia. Alla lunga, anche se il tasso di natalità cala leggermente nelle percentuali, i numeri assoluti dei nuovi nati sono in crescita, pur in presenza di sviluppo economico e di diritti. Il finale di simili articoli sconfina a volte nel patetico e nel politically correct: " Perché i bambini lavorano nei paesi poveri? Perché gli adulti non hanno salari adeguati, perché le multinazionali (e quindi la colpa è sempre dell’occidente…) subappaltano ecc. ecc. Stendo un pietoso velo su questa congerie di corbellerie di cui è difficile fare anche un commento. Come se l’Africa, qualora mancassero le imprese occidentali, sarebbe in rigoglioso sviluppo. Sospetto che, semplicemente, sarebbe preda delle imprese di rapina cinesi, o, bene che vada, russe o indiane.
Come sempre i verdi sono ormai in pieno delirio antropocentrico e , parafrasando il filosofo, forse soltanto un Dio ci può salvare.
Articolo del Fatto Quotidiano (Autrice : Linda Maggiori)
Ogni volta che provo a parlare di stili di vita, che testimonio come si possono ridurre i consumi, che parlo di giustizia ecologica e globale, immancabilmente qualcuno mi attacca dicendomi: “Ipocrita, taci, tu vegana e senz’auto, inquini più di me che mangio tutti i giorni la bistecca e che vado sempre col Suv, perché hai fatto 4 figli”. Considerare i figli come un grave errore di cui vergognarsi, o un motivo per accusare e zittire una donna impegnata nell’ambiente, è piuttosto desolante, sintomo di una società vecchia e reazionaria. Non ho mai “sbandierato” questa scelta (la pianificazione familiare è un fatto privato). Mi accorgo però che sul concetto della sovrappopolazione tanti si aggrappano, forse per mettersi a posto la coscienza. Pochi figli (o zero figli) legittimano stili di vita inquinanti? Al contrario è colpa di chi fa più figli se il mondo va a rotoli? Una settimana fa i Fridays for Future Italia hanno sollevato questo tema, scatenando un vespaio. Hanno citato un articolo di Monbiot, giornalista del Guardian, che affermava (2020): “Non c’è dubbio che la crescita demografica sottoponga l’ambiente a uno stress. Ma l’impatto globale è molto più esiguo di quanto molti possano immaginare. La crescita demografica globale (annua) è oggi dell’1,05% e costituisce la metà del tasso di crescita massima, raggiunto nel 1963 (2,2%). In altre parole, la crescita demografica non è, come molti sostengono, esponenziale. Anzi, il tasso è in rapido calo. Di contro, fino alla pandemia, la crescita economica globale si era aggirata per diversi anni intorno al 3% e ci si aspettava che restasse stabile. In altre parole, la crescita era esponenziale. Poiché la crescita demografica riguarda soprattutto i più poveri del mondo, questi hanno un impatto sul pianeta molto più lieve rispetto ai ricchi e quindi la crescita demografica è molto inferiore a un terzo dell’aumento complessivo dei consumi”.
George Monbiot sottolineava una vena più o meno consapevolmente razzista e colonialista nell’accusa che le nazioni ricche fanno alle nazioni povere. Sono infatti le società ricche, quelle con crescita demografica zero, ad essere più inquinanti, consumiste e ad avere impronte carboniche maggiori. Prendiamo l’Italia, dove ci sono più morti che nati, dove il cemento avanza imperturbabile la sua corsa e le auto aumentano di anno in anno. Sempre meno persone, sempre più oggetti. Una società vecchia, sempre meno attenta ai bisogni delle nuove generazioni, e piuttosto cinica rispetto al futuro. In Italia i bambini sono 5 volte in meno delle auto (8 milioni contro 39 milioni), i diritti e lo spazio destinato ai bambini in città è sempre più esiguo. Nel Sud del mondo la sovrappopolazione è davvero un problema, ma è un problema soprattutto di diritti. Le donne dei paesi poveri hanno tanti figli non sempre per libera scelta, ma perché non hanno diritti, sono costrette in matrimoni forzati e precoci, hanno scarso accesso ai metodi contraccettivi, alle cure sanitarie, all’istruzione, i bambini sono braccia da lavoro, sfruttati nel lavoro minorile. Con programmi di emancipazione, salute e istruzione per donne e bambini, mettendo al bando lo sfruttamento del lavoro, la crescita demografica naturalmente rallenta.
Ma perché i bambini lavorano? Perché gli adulti non hanno salari adeguati, perché le multinazionali subappaltano chiudendo gli occhi sui diritti, perché noi occidentali abbiamo fame di continui vestiti, giocattoli, oggetti a prezzi stracciati. Solo dando maggiori diritti a donne e bambini si riuscirà a rallentare la crescita demografica nei paesi poveri. Al contempo il modello occidentale, consumista ed energivoro non può essere un modello da seguire per chi esce dalla povertà. E siamo noi i primi a dover dare il buon esempio, consumando meno. Il punto è tutto qua. Nel mondo ci sono quasi 2 miliardi di auto (concentrate soprattutto nel nord del mondo), qualcosa come 210 miliardi di animali allevati, (carne destinata per lo più a occidentali ipernutriti – e malati) e una marea di cibo sprecato. Il 5% dei 7 miliardi di attuali esseri umani usa il 25% delle risorse disponibili e il 20% della popolazione mondiale usa l’80% dell’energia. Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale toccherà i 9,8 miliardi nel 2050 per poi diminuire. Se tutti vorranno mangiare così tanta carne come mangiamo noi, se vorranno avere un’auto a testa come noi, cementificare, produrre rifiuti, sprecare cibo e comprare vestiti come facciamo noi, cosa diremo loro? “Noi sì, voi no, stateci a guardare e fate meno figli”? Oltre a garantire diritti, istruzione e salute nei paesi del Sud del mondo, dobbiamo ridurre la nostra impronta ecologica, per permettere a tutti gli abitanti del pianeta di raggiungere la stessa dignità e sobrietà. Non c’è pace senza giustizia ecologica.
Linda Maggiori

domenica 8 maggio 2022

Il mondo che si delinea dopo la guerra

Si temeva che le emissioni di carbonio portassero alla fine della civiltà nel giro di alcuni decenni. Ben più rapidamente l'emissione di stupidità da parte degli umani sta portando ad una crisi planetaria da cui non vedo vie di uscita. La guerra e, prima ancora la pandemia, ci stanno insegnando che sperare nelle risorse delle civiltà che si confrontano sulla terra è pura illusione. La globalizzazione si è rivelata per quel che era, un fatto commerciale per ridurre il costo del lavoro e implementare le produzioni su scala mondiale(senza più alcuna attenzione alla democrazia). In realtà, dietro le menzogne sull'economia globale, c'erano interessi di potere di paesi e governi ben determinati a fare solo i propri affari. La fine del lungo dopoguerra è ormai evidente dalla politica Usa degli ultimi presidenti, senza distinzione di partito. Molto illuminante è stato come l'america ha risposto alla aggressione russa dell'Ucraina: il presidente, un vecchio signore dell'establishment, invece di arrivare ad un compromesso onorevole con l'aggressore,come avrebbe fatto un quasiasi Kennedy o Nixon, ha cominciato ad inveire contro il nemico, ha escluso accordi fin da subito, infine si è limitato a inviare armi, lasciando la politica dell'occidente in balia dei singoli governi incapaci di dare una risposta unitaria. Dietro le parole inutili era possibile leggere questo pensiero: l'America non ha intenzione di sporcarsi le mani a migliaia di chilometri dai suoi confini, noi siamo qui, vedetevela voi. La crisi dell'Europa è evidente a tutti, e gli unici interlocutori della potenza nucleare russa sono stati la Cina ed Erdogan. L'europa è un circolo dopolavoro che fa continue riunioni senza concludere nulla. Manca di strumenti adeguati , non ha un esercito, ha una economia frammentata, e legislazioni completamente diverse nei singoli paesi. Anche nella pandemia abbiamo assistito allo spettacolo di una Europa incapace di coordinarsi, ed a una america che ha vaccinato solo una parte della popolazione. La sfiducia nella scienza è manifesta ovunque nella terra della sera, come chiamavano i greci la parte di mondo soggetta alla loro influenza. La scienza è nata in occidente ma la civiltà occidentale non trasmette più istruzione, la scuola ha perso i suoi riferimenti e i contenuti tecnici sono scadenti. Se fosse possibile stilare un indice di sviluppo tecnologico, al primo postro sarebbe la Cina. Le lingue parlate in europa sono tutte alla fine, l'inglese regge finchè ci si gestirà il commercio, ma presto arriverà il cinese o l'indiano. La vicenda delle vaccinazioni ha dimostrato che non c'è più una comunità con valori condivisi. Ancora alcuni decenni fa si seguivano le indicazioni degli scienziati senza discutere, oggi si fanno dibattiti per qualsiasi argomento. Il crollo culturale non è che il riflesso del crollo dell'ambiente, della biosfera, e di quella luce intellettuale che è oggi sostituita dal commercio e dalle vendite. In questo mondo mediatito sembra di assistere alla continua menzogna pubblicitaria, senza un senso di verità che guidi da qualche parte. Siamo tutti più soli, in un mondo di otto miliardi, chiusi in scatoloni di cemento, irrorati dal verbo consumistico, impoveriti di concetti e di parole, in preda a ciarlatani e a scienziati che parlano nel deserto di coscienze intellettuali, mescolando le loro voci in un osceno caleidoscopio. Non ci sono più cori gregoriani, ma coretti da pollaio. Nella tv russa hanno parlato, le nuove menti che orientano i popoli, di missili termonucleari lanciati su città come Londra o Berlino, o Parigi. Non sono stati neanche in grado di capire la follia e il paradosso che si nasconde diatro queste esibizioni. Questo nel bel mezzo di una guerra che rischia ogni momento di estendersi. Il discorso ecologico, al momento della crisi, non ha retto alla prova.I vari protocolli tipo Kyoto sono belli e seppelliti, e ogni paese si industria a bruciare petrolio, carbone e gas senza più alcuna remora. Sulle rinnovabili pongo pietoso velo, visto che la situazione ha fatto gettare la maschera a tutti: nessuno crede che siano di qualche importanza per superare la crisi. L'economia si avvia verso la stagnazione e l'inflazione, contemporaneamente. Dall'aumento vertiginoso dei prezzi dell'energia si salvano per il momento i paesi che usano il nucleare, ma ciò non basta all'economia mondiale. Nel frattempo si preparano scenari di fame e di migrazioni di massa visto la crescita demografica del nord Africa e dell'India. Migrare verso la crisi economica è pur sempre meglio che rimanere nella fame certa. E nessuno ancora azzarda a prporre politiche demografiche che facciano almeno ridurre il problema tra dieci o venti anni. Le emissioni di stupidità da parte di Homo non si fermano: paesi alla fame cercano di incrementare le nascite per pura politica di potenza o per la speranza di rientro economico delle rimesse degli emigrati. Si procede alla cieca...chi vivrà, vedrà.

giovedì 24 febbraio 2022

Considerazioni geopolitiche

Non c'è bisogno di essere esperti in geopolitica per trarre alcune conclusioni sulla guerra russo-ucraina. Lo spettacolo recente dell'Afganistan, del cosidetto esercito più potente del mondo (quello americano) che fugge letteralmente con aerei stracarichi all'ultimo istante davanti ad un esercito (più banda che esercito...) di straccioni impreparati e disorganizzati, non poteva che portare al via libera: la Russia si sta riprendendo l'Ucraina, la Cina a breve si riprenderà Taiwan.
Lo spettacolo dell'Occidente (la terra del tramonto) di fronte ai nuovi scenari è devastante. A fronte dell'alleato americano suonato e sotto KO, incapace perfino di reagire con dignità, c'è la figura meschina dell'Europa incapace di fare un comunicato unico che esprima un'idea. Lasciamo stare l'aspetto militare: dal secondo dopoguerra gli europei, ed in parte gli stessi americani, hanno disimparato di come si fa e si conduce una guerra. Quello che sanno fare è solo "polizia internazionale" o peace kiping che dir si voglia. Quando il Nobel Obama si rifiutò di bombardare in Libia il palazzo che ospitava qualche centinaio di terroristi (ed i loro capi) perché c'era il pericolo della presenza di alcuni civili nei dintorni, permettendo così ai terroristi di lasciare indisturbati il loro quartier generale e fare poi nelle settimane successive migliaia di morti civili innocenti tra massacri, esecuzioni e attentati, fu chiara a tutti la parabola di una potenza che non era più niente di rilevante sulla scena mondiale.
Di fronte all'invasione russa, il nostro ministro degli esteri Di Maio ha minacciato come ritorsione di non incontrare per un po' i governanti russi. Putin e Medvedev pare siano stati colti da una crisi di panico. Poi però si sono ripresi e hanno commemtato: "ma come, se viene qui solo per magiare ai ricevimenti...".
La politica energetica europea è poi l'esempio più eclatante della fine di un'epoca. Mentre avanzano sulle scenario geopolitico le nuove "sovranità" internazionali: la Russia, la Cina, l'Asia sud orientale e il Giappone, e si affaccia persino qualche nazione africana, l'Europa segue il destino che si è scelta. Da anni ha rinunciato alla sovranità energetica e optato per la dipendenza dal gas russo. Prima ha scelto di dipendere per respirare dal boccaglio russo, ora fa la voce grossa con chi gli da l'ossigeno. E' chiaro che quella che esce è una voce in falsetto, siamo in piena comicità di una tragicommedia. Un mare di pannelli cosiddetti solari funzionano solo in virtù di generosi finanziamenti che fanno apparire essenziale quello che essenziale non è, e migliaia di torri eoliche stanno sorgendo ovunque, devastando ambienti e paesaggi, in attesa di un vento che non arriva, e se arriva è vento di guerra mosso dalle bombe. A ciò si aggiunge l'irrilevanza politica: la capacità europea di influire sulla geopolitica è legata solo ai regali economici, al comprarsi la benevolenza. Ovviamente ognuno ne approfitta secondo i propri interessi: basti vedere la rapina del gas che in teoria sarebbe nei confini europei. La Turchia si sta prendendo tutti i pozzi di gas e carburanti nel mediterraneo orientale, e le trivelle egiziane e algerine sono già all'opera nei nostri mari. Un fallimento più grande di così era difficile immaginarlo per i demagoghi europei, seguaci della nuova religione verde con un dio dal nome ridicolo e impronunciabile: Rinnovabile. Anzi una novella trinità se si aggiungono Sostenibile ed Equosolidale.
Di questi tizi il lupo russo fa un boccone solo, e giustamente. Le sanzioni, l'unica arma spuntata che la terra del tramonto è in grado di porre in campo, fanno ridere chi, da un momento all'altro, può decidere di bloccare la nostra economia, il riscaldamento in inverno, l'aria condizionata in estate (di cui non sappiamo più fare a meno), le fabbriche, le città di una terra che è ormai terra di tutti e di nessuno. Basta un grido di Putin per far scappare tutti gli europei, con la coda bassa, sotto il padrone Usa, che però ha perso ogni capacità di padroneggiare chicchessia.
E ora prepariamoci a Taiwan...

giovedì 20 gennaio 2022

E se il riscaldamento da carbonio non ci fosse?

(La curva di Michel Mann)
Riporto il seguente intervento del Professor Prestininzi (maggio 2021) al Collegio degli Ingegneri di Padova e pubblicato su Meteoweb. Il professore sostiene che il riscaldamento atmosferico in atto, che non nega, non dipende dalla presenza di CO2 in eccesso, ma da cicli che sulla Terra sono sempre esistiti. Porta a dimostrazione dati scientifici e studi di esperti scienziati del clima, riportati su riviste internazionali. La denuncia dello scienziato è netta: dietro gli allarmismi sul clima c'è una strategia delle lobby dell'ecologismo mainstream con l'intento di far passare la loro politica: rinnovabili come sola fonte energetica consentita, redistribuzione delle risorse a danno dell'occidente (ma non della Cina), stop alla crescita economico-tecnologica, libera espansione numerica della nostra specie. Questa visione è infatti viziata da un dato di fondo: la rivoluzione verde dovrebbe avvenire senza mai toccare il tema della popolazione umana e dell'effetto antropico dovuto alla sovrappopolazione sulla catastrofe ecologica. La questione del riscaldamento da carbonio costituisce il leit motiv che permette ai Verdi di conquistare una rilevanza politica dietro una ideologia faziosa che esamina solo i dati che la supportano e silenzia tutti gli altri. Se guardiamo alle scelte delle istituzioni europee e quelle del presidente democratico americano, si tratta per ora di una strategia vincente che ha visto schierati in campo anche gli esperti Onu e che ha silenziato tutte le voci contrarie. La sopraffazione di chi denuncia la unilateralità di questa ideologia e il silenziamento dei dati scientifici, sono fatti che debbono aprire gli occhi oltre che il dibattito su temi che non possono essere monopolizzati dai soliti noti. La lotta politica e gli interessi di potere delle lobbies -comprese quelle cosidette ambientaliste- non possono sopraffare la libertà di pensiero basata sui dati oggettivi, come quello riguardante le cause reali dei cambiamenti climatici e le conseguenze della prevaricazione della nostra specie su tutte le altre.
"Il Collegio degli Ingegneri di Padova ha promosso il ciclo di conferenze dal titolo “Dialoghi sul Clima” per dare voce ai numerosi punti di vista su questo tema tanto dibattuto. L’obiettivo è promuovere un confronto su ampia scala e sui diversi aspetti del clima, ospitando esperti dei diversi settori al fine di acquisire un quadro complessivo fondato su basi scientifiche. Nell’appuntamento del 26 Maggio, è intervenuto il Prof. Alberto Prestininzi, Docente di Geologia applicata presso La Sapienza di Roma, che ha affrontato alcuni temi spesso trascurati nel dibattito nazionale: cosa emerge dalle conoscenze del passato? La storia geologica ed i suoi archivi possono aiutarci a decifrare il comportamento climatico del nostro pianeta? Ecco i contenuti principali dell’intervento del Prof. Prestininzi.
Sono oltre 40 anni che tv, giornali e media parlano di “catastrofi imminenti” riguardo al clima, “incutendo terrore misto a minacce e ritorsioni, mentre l’accademia non è più il luogo del confronto”. Inizia così l’intervento di Prestininzi, che cita come esempi i seguenti articoli di giornale:
• 1989 Repubblica, 2 novembre – Dieci anni per salvare la Terra, lo affermano gli scienziati
• 2007 Repubblica, 16 dicembre – Ambiente: due anni per salvare il mondo. Gli scienziati sono ormai tutti d’accordo
• 2007 Corriere della Sera, 5 maggio – Le Cure per guarire la Terra suggerite dagli scienziati: ci sono solo 8 anni di tempo
• 2008 Repubblica, Giugno – Entro l’estate Polo senza ghiaccio; Lo dicono gli scienziati
• 2013 Repubblica, 9 settembre – Dieci anni per salvare il pianeta. L’allarme degli scienziati dell’Onu. (dal Quinto Report IPCC).
“Come mai abbiamo trasferito questo tema dai luoghi deputati alla ricerca ad un dibattito-confronto politico-ideologico, gestito formalmente dal sistema di comunicazione?”, si chiede l’esperto. “DaI severo discorso fatto da J. Hansen al Congresso USA nel 1988, l’ONU ha assunto l’onere «di capire» fondando l’IPCC (presieduto sempre da economisti), al quale è stato affidato il compito «scientifico» di verificare gli effetti sul clima connessi alle emissioni di CO₂. Negli ultimi due decenni, gran parte dell’isteria sul riscaldamento globale – in seguito ri-etichettata “cambiamenti climatici” – si è basata sul cosiddetto grafico a “mazza da hockey” creato da Michael Mann (figura sotto il titolo). Il grafico è stato utilizzato dall’IPCC per rendere credibili i modelli previsionali. Ma questo grafico è una frode. Un algoritmo software creato dall’uomo e truccato per produrre una forma di bastone da hockey, indipendentemente dai dati reali. A Michael Mann non piaceva essere considerato un ciarlatano dagli scienziati critici, quindi li ha citati in giudizio per diffamazione. E alla fine di agosto 2019, una di quelle cause è stata conclusa dalla Corte Suprema della British Columbia, in Canada, che ha respinto la causa di Mann contro il Dr. Tim Ball. Ma c’è di più. Secondo Principia-Scientific, il tribunale non solo ha accolto la domanda di Ball per l’annullamento della causa pluriennale da nove milioni di dollari, ma ha anche compiuto il passo aggiuntivo garantendo a Ball di non pagare i costi legali. Si prevede che questo straordinario risultato provocherà gravi ripercussioni legali per il dottor Mann negli Stati Uniti e potrebbe rivelarsi fatale per le affermazioni scientifiche sul clima secondo cui le temperature moderne sono “senza precedenti”. Michael Mann si è rifiutato di consegnare i dati che ha utilizzato per costruire il grafico”, spiega Prestininzi, che è poi passato ad affrontare l’aspetto scientifico della questione clima. “Un gruppo internazionale di esperti ha studiato le carote di ghiaccio nell’Antartide, arrivando fino a 800.000 anni fa e ricostruendo le variazioni della CO₂, della temperatura e del metano nel tempo (figura seguente). Si nota che ci sono cicli grossomodo di 100.000 anni, che sono esattamente i cicli di Milankovic. Milankovic ha giustificato le vecchie glaciazioni con dei cicli che obbedivano a quella che era l’oscillazione dell’asse terrestre e quindi degli effetti del sole sulla Terra, producendo questi cicli periodici di 100.000 anni. Nei 100.000 anni, ci sono oscillazioni minime che hanno una grossa influenza e che noi possiamo misurare”, spiega Prestininzi.
Diminuendo la scala a 10.000 anni, attraverso dati veri ottenuti da fossili guida, usati per la datazione relativa delle rocce, l’esperto illustra l’esempio del clima in Europa nell’Olocene, evidenziando le grandi oscillazioni all’interno di questo periodo. “Il clima della Terra non è qualcosa di omogeneo: abbiamo un clima che caratterizza la parte all’estremo nord, un clima temperato, un clima che riguarda la zona equatoriale e così via. In ognuno di questi evidentemente ci sono condizioni differenti e quindi trovare le medie globali del clima per capire qual è il trend è una cosa molto molto difficile”, spiega Prestininzi.
L’esperto sottolinea come l’andamento del clima degli ultimi 10.000 anni “rispetta certe leggi che oggi andiamo via via dipanando perché esistono delle perfette correlazioni con questi cicli inferiori ai 100.000 anni e questi cicli trovano corrispondenza con l’attività solare”. Prestininzi evidenzia poi che dal grafico sull’andamento della CO₂, basato su dati reali, non emerge alcun tipo di correlazione con le oscillazioni della temperatura negli ultimi 10.000 anni.
L’intervento di Prestininzi si concentra poi su uno studio condotto da ricercatori italiani e pubblicato su Scientific Reports, dal titolo “Persistent warm Mediterranean surface waters during the Roman period”. Nello studio, i ricercatori hanno voluto misurare la temperatura superficiale del Mediterraneo in un certo tempo, utilizzando punti particolari come Mar Egeo, Mare di Sicilia, Mare di Minorca e Mare di Alboran (Stretto di Gibilterra). In questi punti, sono stati eseguiti dei carotaggi. I dati ottenuti sono poi stati confrontati con le oscillazioni del Nord Atlantico. È emerso che il cosiddetto periodo caldo romano è presente in tutte le valutazioni. Tutti questi dati dimostrano che si tratta di un “trend generale del pianeta”, spiega l’esperto. Nel caldo romano, “Annibale ha attraversato con gli elefanti le Alpi, che erano caratterizzate da una bassa presenza di neve, cosa che circa 100 anni dopo non avrebbe potuto fare a causa del seguente abbassamento della temperatura durante la Piccola Era Glaciale, durata fino al 1700. Poi inizia il trend in risalita del riscaldamento in cui oggi siamo immersi. Dallo studio è emerso che durante il periodo romano c’erano circa 2°C in più rispetto ad adesso”, aggiunge l’esperto.
Prestininzi parla poi del bacino dell’Amerasia, sotto i ghiacci dell’Artico. “Finora sono state condotte poche ricerche per la difficoltà di esplorare il fondale marino sotto la coltre di ghiacci dell’Artico. Da 10 anni, due grandi centri di ricerca, uno in Germania e uno negli Stati Uniti, stanno conducendo e pubblicando ricerche interessantissime che però non vengono assolutamente pubblicizzate. L’IPCC non ne parla. Gli studi stanno documentando una straordinaria attività vulcanica con emissioni idrotermali ad altissima temperatura lungo l’estremità della dorsale medio atlantica, lunga 1.600km, sotto i ghiacci del Mar Glaciale Artico. Questo idrotermalismo, ossia una circolazione di acque calde, va ad influenzare tutto il bacino”, spiega l’esperto, affrontando il tema del riscaldamento dell’Artico, tanto dibattuto quando si parla di riscaldamento globale.
Prestininzi poi parla delle proiezioni ufficiali fornite dall’IPCC riguardo l’innalzamento del livello del mare entro il 2030. Nel 1977, era stato previsto un innalzamento di 6 metri, nel 1985 era stato previsto un innalzamento di 1,4 metri. Nel 1990, si prevedeva un innalzamento di 0,3 metri, sceso a 0,2 nelle proiezioni del 1995 e a 0,17 nelle proiezioni del 2000. Nel 2013, infine, è stato previsto un innalzamento di 0,53-0,98 metri entro il 2100. Prestininzi sottolinea, invece, come negli ultimi anni il livello del mare abbia oscillato solo di pochi centimetri, sulla base di dati satellitari reali. A conclusione del suo intervento, l’esperto cita il Premio Nobel per la Fisica Ivar Giaever che ha definito il riscaldamento globale come “una nuova religione”: bisogna cioè accettare la tesi delle responsabilità umane come un dogma ed è proibito discuterne da un punto di vista scientifico.
" (Da Meteoweb.eu)

mercoledì 12 gennaio 2022

Un ecologista diverso

"Il rapporto tra Gaia e l'ambientalismo non e' mai stato facile. Mi sembra di considerare la politica ambientalista proprio come George Orwell guardava al socialismo dei suoi tempi.Il mio cuore e' con gli ambientalisti, ma vedo le loro buone intenzioni vanificate dall'incapacita' di comprendere che la difesa dei diritti dell'uomo da sola non basta. Se, distratti dalla preoccupazione per gli esseri umani, trascureremo di prenderci cura di tutte le altre forme di vita presenti sulla Terra, la nostra civilta' finira' per soffrirne, e noi patiremo con essa...Condivido il disincanto di Patrick Moore nei confronti dell'ambientalismo. Moore fu uno dei fondatori di Greenpeace, ma come me ha una visione orwelliana delle lobbies ambientaliste odierne." ( James Lovelock: Omaggio a Gaia. 2000, Bollati Boringhieri pag. 26)
L' idea di Gaia consiste nel considerare il pianeta terra un sistema olistico in cui numerosi feed back assicurano alcune condizioni favorevoli alla vita, come la temperatura, il ciclo del carbonio, la produzione di ossigeno, la funzione della vegetazione, degli insetti, degli animali in genere, la presenza elementi chimici e di acqua. Il sistema Terra è quasi un organismo vivente a cui partecipano sia gli elementi biologici che chimico-fisici, con i suoi diversi equilibri omeostatici. L'idea di Gaia dagli ambientalisti mainstream non è mai stata accolta ed il motivo è semplice: al centro dell'ideologia verde rimane l'uomo, i suoi diritti e i suoi interessi. Tipica di questo modo di pensare è la frase con cui si invoca la difesa della natura e degli animali: "per lasciare ai nostri discendenti (umani) un mondo migliore" (sic!)-. Il concetto di Gaia introduce una prospettiva diversa che vede la biosfera come un organismo unico, di cui l'uomo è una delle componenti dipendente dalle altre. Secondo l'ideologia dei Verdi permane l'idea cartesiana dell'uomo come sede dell'intelletto (res cogitans), mentre la natura non è che "res extensa", materia e materiali a completa disposizione di chi detiene il supremo potere dell'intelletto, meritevoli di protezione solo in quanto beni goduti dal padrone. La natura va si protetta, ma come dominio dell'uomo, e viene dopo le sue esigenze di giustizia sociale e fruizione dei beni. Che i sistemi naturali, a prescindere dalla presenza umana,siano sistemi olistici in grado di autoregolarsi e funzionare autonomamente è qualcosa che confligge in modo diretto con il credo cartesiano. Già Gregory Bateson aveva specificato nel suo "Verso una ecologia della mente" (1972) che i sistemi naturali sono sistemi complessi che mostrano di funzionare secondo regole che possiamo definire "intelligenti". L'intelligenza, a differenza di quel che ritengono i cartesiani, non è una realtà umana, ma appartiene alla natura nel suo complesso e ai vari sistemi che la compongono: l'intelligenza è diffusa.
Lovelock non nasce come ecologista, ma come scienziato e ricercatore applicato a problemi pratici. Questo gli ha dato una impostazione scientifica e non basata sulle posizioni politiche preconcette e pregiudiziali. Una delle sue grandi invenzioni è il gascromatografo a "cattura di elettroni" (1957). Questo strumento, abbastanza semplice nella sua realizzazione pratica ma geniale nella teoria basata su flussi di gas in un campo elettrico, gli permise di individuare numerose sostanze inquinanti presenti nell'atmosfera - anche se in quantità infinitesimali dell'ordine di una parte su svariati miliardi- ma capaci comunque di determinare effetti deleteri sulla salute umana e in quella della biosfera. Tra queste sostanze i fluorocarburi (capaci di distruggere lo strato protettivo di ozono della stratosfera), i nitrati, i dimetilsolfuri,i metilioduri cancerogeni, gli idrocarburi aromatici policiclici e tanti altri. Fu grazie alle sue ricerche e agli strumenti da lui sviluppati che Rachel Carson poté scrivere l'opera fondamentale che diede l'avvio al movimento ecologista: Silent Spring. In essa l'Autrice denunciava l'onnipresenza sulla Terra di veleni chimici generati dall'attività antropica. fu anche grazie ai dati di Lovelock che Paul Herlich scrisse gli effetti devastanti della sovrappopolazione umana nel suo libro "The Population Bomb". Ma subito il movimento verde abbandonò la strada dell'analisi oggettiva dei dati e scelse quella comoda dell'ideologia antropocentrica, in cui i diritti umani divengono assoluti e la colpa del degrado ambientale ricade solo sullo sviluppo economico e industriale. Una strada che nega nei numeri senza limiti della crescita di Homo anche la verità più banale degli effetti drammatici sull'ambiente.
Tra i verdi e Lovelock non c'è amore, anzi c'è un certo astio che sfocia a volte in odio. Reciproco. Il suo nome non viene mai pronunciato nelle varie conferenze e congressi ecologisti. Come avveniva ai tempi del politburo del PCUS, la sua immagine è scomparsa dalla foto di gruppo dei personaggi di riferimento del movimento. La disistima dell'inventore di Gaia nei confronti degli ambientalisti mainstream è totale: l'accusa più benevole è di ideologismo. Una ideologia rigida, totalitaria ed estremista che non ammette la critica scientifica difendendo posizioni più politiche che derivate dai dati oggettivi. Una ideologia che, dice Lovelock, è più dannosa di tante posizioni politiche contrapposte, perfino di quelle che difendono l'industrialismo. Una delle rigidità che Lovelock critica è quella che non riconosce il problema della sovrappopolazione della specie umana e attribuisce la presenza ubiquitaria dei veleni ambientali esclusivamente allo sviluppo industriale capitalistico: "Una delle varie ragioni per cui considero il movimento dei Verdi con un misto di irritazione e tenerezza è la loro ossessione per i prodotti delle industrie chimiche e nucleari. Per molti Verdi se una sostanza chimica come il metilioduro o il disolfuro di carbonio proviene da un oscuro, satanico stabilimento, è per sua natura l'incarnazione del male; viceversa, se proviene da alghe coltivate con metodi biologici o cresciute spontaneamente, allora deve essere per forza buona e sana. Per me, come scienziato, non fa alcuna differenza da dove essa provenga; il fatto essenziale è che se ne introduco troppa nel mio corpo, mi avveleno. La stricnina e il cianuro non sono meno velenosi se sono estratti da una pianta spontanea o coltivata secondo i dettami dell'agricoltura biologica; né la loro tossicità aumenta se sono il prodotto di una sintesi eseguita in laboratorio. Le sostanze più velenose in assoluto sono le tossine prodotte dai microrganismi e dalle piante: il botulino di certi batteri, la ricina del ricino e la falloidina dell'amanita falloide. Bruce Ames ha saggiamente osservato che nella nostra dieta normale, non importa se provenienti dall'agricoltura biologica o intensiva, i cancerogeni e i cocancerogeni naturali sono migliaia di volte più abbondanti, e altrettanto tossici, dei prodotti dell'industria chimica. Vorrei tanto che una buona volta i Verdi crescessero , e dimenticassero le semplicistiche bugie della loro gioventù. Quando si è giovani è naturale guardare con sospetto l'industria e il movente del profitto, ma nel momento in cui diventiamo noi stessi consumatori, contribuiamo tutti allo sfruttamento della Terra. Ognuno di noi - non meno delle industrie che soddisfano le nostre necessità e i nostri desideri- è responsabile dei danni che le sono inferti. Vorrei che un maggior numero dei Verdi guardasse in faccia il problema: come fare per nutrire, vestire e dare un tetto all'abbondante popolazione umana, senza contemporaneamente distruggere gli habitat delle altre creature che vivono sulla Terra?"
Ma ben presto i Verdi ebbero un altro argomento per condannare Lovelock. La teoria di Gaia non l'hanno mai digerita. Non tanto per il rifiuto di un certo finalismo nei meccanismi della natura che va contro l'impostazione cartesiana, o per il fatto che fa del pianeta un sistema olistico in grado di reagire ai cambiamenti e spesso di autocorreggere gli squilibri tra le varie componenti, togliendo all'uomo il suo ruolo dominante; quanto perché andava contro il modello riduzionista in voga tra i verdi che riportava il problema ambientale alla critica del modello economico del libero mercato e della produzione industriale quale causa unica del collasso. Togliere importanza alla politica e alla ideologia anti-industriale era troppo per un movimento nato con grandi visioni di rivoluzione sociale oltre che ambientale. I dati scientifici che mostravano gli effetti devastanti sul sistema Terra di una eccessiva crescita della specie umana a danno di tutte le altre non potevano essere accettati: venivano ignorati nei congressi ambientalisti e osteggiati coloro che osavano accennarvi. Carson ed Herlich erano stati messi da tempo nel dimenticatoio.
Quando James Lovelock introdusse il concetto di Gaia, molti scienziati arricciarono il naso e risposero con diffidenza. I più videro in Gaia una specie di mitologia religiosa o addirittura un sottoprodotto new Age. Ma nella teoria non vi era nulla, a parte il nome, che richiamasse mitologie. Tutti i dati venivano da rilevazioni scientifiche. Racconta Lovelock (siamo nella metà degli anni '60): "...pensai che in qualche modo fosse la vita a regolare il clima e la chimica della Terra (gli scienziati erano meravigliati dalla costanza della temperatura e della composizione dell'atmosfera pur in presenza di irraggiamento variabile e fenomeni di ossidazione tra i componenti). All'improvviso, nella mia mente emerse l'immagine della Terra come un organismo vivente in grado di regolare la propria temperatura e la propria chimica conservando uno stato stazionario soddisfacente." Quando due anni dopo (1967) Lovelock presentò la sua idea di un sistema terrestre autoregolante ad un convegno dell'American Astronautical Society, la relazione fu accolta con entusiasmo. La cosa non è sorprendente, commenta Lovelock, giacché gli ingegneri - e con essi i fisiologi- capiscono perfettamente il concetto di feedback e il funzionamento ad autoregolazione dei sistemi complessi. Meno ricettivi furono gli scienziati dell'ambiente e i biologi in successive comunicazioni e convegni. In particolare i biologi si scagliarono sul nome Gaia e sulla metafora di una Terra vivente come se la teoria li desse come dati di fatto. Era l'approccio olistico che non condividevano, soprattutto contrastava con l'idea di un uomo unico depositario dell'intelletto e del dominio, in un pianeta ridotto a materiale da sfruttare o trasformare a piacimento. La biologa Lynn Margulis, in controtendenza, arricchì le idee di Lovelock con la sua comprensione e conoscenza delle comunità microbiche, scrivendo un libro (Microcosmos) sulla interazione dei microbi con l'ambiente e l'uomo in linea con l'intuizione di Lovelock. Altri elementi fondamentali per Gaia sono i microrganismi marini e le alghe di cui abbondano i mari. Racconta lo scopritore di Gaia:
"Lungo i bordi dei continenti, i movimenti della terra e lo spostamento della sabbia e della ghiaia causato dalle correnti formano lagune che intrappolano l'acqua degli oceani. Nelle regioni più calde del mondo, queste lagune perdono per evaporazione più acqua di quanta ne acquistino grazie alle precipitazioni o all'acqua di mare proveniente dall'oceano. Di conseguenza, il sale originariamente presente nell'acqua si concentra fino a cristallizzare, formando quelli che i geologi chiamano depositi di evaporiti. Questo processo ha luogo dai tempi più remoti e i letti di evaporiti si trovano sotto i sedimenti in tutto il mondo. Essi formano immensi depositi di sale , come quello che si estende sotto l'Europa settentrionale a qualche centinaio di metri sotto la superficie. I tappeti algali si estendono sopra questi depositi di evaporite. Lynn Margulis e io speculavamo sul ruolo di queste comunità di alghe nel mantenere la concentrazione salina dei letti, e pertanto nel conservare le acque dell'oceano al di sotto del livello critico di salinità di 0,8 M. Al di sopra di quella soglia, la sopravvivenza degli organismi viventi diventa difficile. Lynn tagliò con la paletta un pezzo di tappeto di alghe di 10 cm di lato. Osservammo la sua struttura bandata, in cui ogni fascia corrispondeva ad una diversa comunità di microrganismi, isolata dalle altre in base al flusso di nutrienti e ossigeno. Tutto sembrava ordinato per mantenere l'equilibrio salino del mare."
Meccanismi analoghi regolano la temperatura della superficie terrestre, ad esempio la colorazione delle piante, l'umidità conservata o emessa dalla vegetazione, la riserva dei ghiacci artici e delle grandi montagne, le correnti oceaniche. Le temperature sono un elemento essenziale nel mantenere le popolazioni in un range equilibrato ai fini della biodiversità. " La maggior parte dei vincoli che limitano la crescita degli organismi (anche somatica oltre che numerica) è costituita da forze chimiche e geofisiche che si oppongono alla crescita stessa innalzando barriere non superabili con l'adattamento. Nel mondo naturale, la crescita delle piante puuò essere ancora più limitata di quanto lasci pensare l'intervallo tra 5 e 40 gradi celsius. Negli oceani, la disponibilità dei nutrienti è un fattore limitante la crescita delle alghe, e questa disponibilità declina bruscamente quando la temperatura dell'acqua sale al di sopra dei 12 gradi. L'acqua calda, infatti, stratifica e i nutrienti disciolti nelle acque più fredde relegati negli strati inferiori, non sono più disponibili." L'evoluzione dell'ambiente - rappresentata dalla temperatura e dalla composizione- e quella degli organismi costituiscono un processo unico e accoppiato con sistemi di controllo reciproco a feedback.
Un elemento fondamentale dell'omeostasi della temperatura ottimale della biosfera compresa tra 5 e 40 gradi centigradi sono le nubi.
"L'evento che avrebbe sollevato la teoria di Gaia dalla indifferenza generale si presentò del tutto inaspettato. Nel 1986, il dottor Murray, oceanologo della Washington University di Seattle, mi invitò da lui come visiting professor. In seguito a una conferenza tenuta al dipartimento di chimica, ebbi una feconda discussione con Robert Charlson, un insigne scienziato che si occupava di problemi dell'atmosfera. Bob mi spiegò che le nubi sovrastanti l'oceano erano al centro di un problema irrisolto. Quale era la fonte delle minuscole particelle, nuclei di sostanze idrosolubili, dalle quali si formano le nubi? Senza di esse, senza questi nuclei, non possono esistere le nubi. Quando Bob mi disse questo rimasi sorpreso. Senza dubbio, pensavo io, l'acqua che evapora dal mare tiepido condenserà in goccioline mentre, salendo, attraverserà strati di aria più fredda. -Si, ammise Bob, salirà. Ma se ci saranno pochi nuclei sui quali condensare, si tratterà di gocce grandi. Non saranno goccioline foriere di nubi, così piccole da galleggiare quasi sospese nell'aria. Invece, saranno grosse gocce che precipiteranno da un limpido cielo azzurro -.
Bob proseguì raccontandomi che sulle terre emerse ci sono sempre particelle intono alle quali si possono formare le nubi- per esempio le goccioline solforiche derivanti dall'inquinamento dell'aria; sull'oceano invece, a parte qualche isola vulcanica, non ci sono fonti di questi nuclei. Campionando l'aria sull'Oceano Pacifico, abbiamo trovato nuclei abbondanti di goccioline di acido solforico e solfato d'ammonio. Da dove provengono, si chiese Bob? Il giorno prima aveva tenuto una lezione sulla regolazione del ciclo dello zolfo e di altre sostanze chimiche attraverso l'emissione di dimetilsolfuro da parte delle alghe dell'oceano, e improvvisamente venne in mente a entrambi che le goccioline di acido solforico - quelle che fungevano da nuclei per la formazione delle nubi- potessero derivare propro dalla ossidazione del dimetilsolfuro. Ci spingemmo poi oltre, domandandoci se questo fenomeno non potesse far parte di un processo di autoregolazione del clima su vasta scala. Senza le nubi che sovrastano l'oceano , la vita come noi la conosciamo non potrebbe esistere. L'oceano infatti - con la sua massa scura che assorbe fortemente la luce solare - copre il 70 per cento della superficie del pianeta; le nubi invece sono bianche e riflettono le radiazioni. Senza le nubi la Terra sarebbe stata di circa venti gradi più calda; una Terra senza nubi avrebbe avuto una temperatura superficiale di 35 C, e pertanto sarebbe stata inospitale per il nostro tipo di vita. Esistono anche altre fonti di nuclei per la formazione di nubi; noi però pensammo che fosse ragionevole riflettere sul legame fra clima, nubi, dimetisolfuri e alghe considerandolo quale parte del sistema di autoregolazione di Gaia. Decidemmo di mettere le nostre idee nero su bianco in un articolo da pubblicare su Nature che poi venne pubblicato come editoriale".
I Verdi non accettano l'idea di trovare dei limiti alla crescita demografica di Homo. L'antropizzazione eccessiva della biosfera non smuove le loro proteste, quello che li disturba e' la tecnica e l'aumento di produzione delle merci. Le condanne riguardano l'industria, il mercato e l'energia da idrocarburi e da nucleare che sono visti come unici responsabili della catastrofe ambientale. La critica al consumismo e' assoluta ma, stranamente, non riguarda il numero dei consumatori. Ma bisogna domandarsi: non sono i consumi degli individui a sostenere le grandi industrie? E piu' numerosi sono gli individui piu' alti sono i consumi. Non sono le richieste di produzione da parte di otto miliardi di umani a stabilire il tipo di economia? Non sono gigantesche masse umane a spostarsi, anche fisicamente, verso le produzioni più abbondanti sostenendo industria e consumi, distruzioni di habitat e di natura?
L'antipatia del grande ecologo Lovelock verso i Verdi è dunque giustificata. Cosi conclude infatti la sua autobiografia:
"...dovremmo cercare di migliorare la nostra capacità di convivere con il nostro pianeta. Questa idea ci mette in guardia dalle conseguenze di un umanesimo senza freni. Abbiamo dovuto spingerci fin quasi ai giorni nostri per riconoscere che l'esclusivo amore per la nostra stirpe e la nostra nazione sfigura il patriottismo, stravolgendolo in un nazionalismo esasperato e dannoso. Oggi cominciamo a intravvedere la possibilità che la venerazione dell'umanità possa anch'essa trasformarsi in una filosofia squallida che esclude gli altri esseri viventi - le specie che vivono con noi sulla Terra. L'ape non è completa senza il suo alveare; tutti gli esseri viventi hanno bisogno dell'ambiente fisico che la Terra offre loro. Insieme alla Terra, tutti noi costituiamo un'unità.Dobbiamo riprendere la nostra percezione della Terra come organismo, e tornare a rispettarla. Gaia fa parte della scienza, e pertanto sarà sempre provvisoria; la Terra, che è la sua incarnazione, è invece qualcosa di reale, qualcosa più grande di noi.Ogni cambiamento che apportiamo avrà delle conseguenze se rivolto solo ai nostri interessi. Il nostro destino ultimo non è quello di avere diritti infiniti in un ambiente finito: è di condividere il futuro con il sistema della Terra e con tutte le altre specie viventi, e alla fine di fonderci nella chimica del nostro pianeta vivente."
Le citazioni, con qualche adattamento, sono tratte da James Lovelock: Omaggio a Gaia , la vita di uno scienziato indipendente. Bollati Boringhieri, 2000