Alemanno o Marino, su questi due nomi si gioca la sfida per il nuovo sindaco di Roma. In ambedue i casi, chiunque vinca, continuerà lo sfruttamento speculativo dell'agro romano, la nascita di nuovi inutili centri commerciali, l'abusivismo, la cementificazione del territorio. Nessuno dei due candidati ha un programma definito e chiaro contro la cementificazione di quel che resta dell'agro romano; nessuno dei due candidati si schiera contro i nomi noti della grande speculazione romana. Alemanno ha lasciato libero il campo ai soliti "squali" che si sono spartiti il suolo e il paesaggio romano negli ultimi decenni; ha addirittura creato gli strumenti legislativi per permettere l'edificazione di milioni di metri cubi "in deroga" al già generoso (e disastroso) piano urbanistico. Paradossalmente insieme alla cementificazione è cresciuto il disagio abitativo, indice del fatto che le costruzioni avvengono per speculare sulle aree più che per sopperire alle esigenze della popolazione. Marino fa a sua volta il pesce in barile: appena richiesto di un programma che contrasti gli interessi degli speculatori palazzinari si cela dietro risposte vaghe di rispetto del verde, di vaghi programmi di regolazione del fenomeno, di scarsa conoscenza dei fenomeni. Sembra un marziano calato dall'alto, in preda ad uno stato confusionale che lascerà probabilmente le cose come stanno o peggio.
Ugualmente desolante è la situazione alla regione Lazio. Qui gli squali si sono addirittura inseriti in prima persona nella precedente giunta Polverini in cui, caso unico in Italia (e forse nel mondo) un noto costruttore e cementificatore laziale era a capo della Commissione Ambiente della regione. Una situazione che sarebbe comica se non fosse tragica per il territorio romano e non ci fossero in gioco interessi miliardari. Addirittura un intero partito ha rappresentato gli interessi di un solo costruttore. Di questo partito era l'assessore all'urbanistica della precedente giunta (Ciocchetti) noto per gli interventi a favore della cementificazione, tra cui il famoso "comma Ciocchetti" che ha consentito agli enti religiosi di costruire edifici di qualunque destinazione, tra cui anche centri commerciali ed abitativi, oltre ogni regolamento, in deroga a qualsiasi piano urbanistico e senza limiti di cubatura, purché l'edificazione comprendesse un luogo di culto. Ora la nuova giunta Zingaretti è sulle orme della precedente, continuano i programmi di cementificazione senza alcuna distinzione dal passato, solo con un più pudico ruolo dei costruttori che si sono accontentati di dirigere la speculazione senza assumere direttamente gli assessorati.
Per avere un quadro della desolante situazione della più grande città italiana riporto questa intervista all'urbanista Giovanni Caudo, apparsa alcuni mesi fa su un giornale romano.
"Costruire nuovi alloggi
non basta a fronteggiare l'emergenza abitativa". Si allargherà il disagio
delle famiglie e si abbasserà la qualità della vita nella Capitale. Ne
risentiranno anche gli operatori immobiliari che ora credono di arricchirsi.
Parla Giovanni Caudo, professore di Urbanistica a Roma 3
Giovanni Caudo insegna Urbanistica all'università Roma 3. Da
anni studia le trasformazioni della capitale, in particolare il disagio
abitativo che a Roma raggiunge livelli di emergenza e le politiche attuate per
fronteggiarlo, compiendo raffronti con le principali realtà europee.
Professor Caudo qual è la logica urbanistica degli
"ambiti di riserva"?
"Non c'è logica urbanistica. Da anni a Roma si fa
urbanistica senza avere a cuore la cura per la città. Le scelte non incontrano
i bisogni dei cittadini: si fanno più case, molte restano invendute, ma il
disagio abitativo si allarga sempre di più".
Si può quantificare questo disagio?
"Sono 163 mila i romani che tra il 2003 e il 2010 hanno
lasciato Roma per spostarsi nei comuni della provincia, si tratta della
popolazione di una città come Cagliari. Sono gli stessi anni in cui si
elaborava il Piano regolatore, con scelte urbanistiche presentate come
"moderne" e "innovative"".
Che hanno prodotto quali effetti?
"Un urbanistica senza città e senza un'idea di città.
Questo degli "ambiti di riserva", poi, è un provvedimento che ci
allontana dalle altre città europee e ci avvicina a quelle del sud America,
dove chi ha il suolo costruisce e il resto non conta".
Quale può essere l'effetto sull'emergenza abitativa?
"La prima conseguenza è sulle regole: viene affossato il
Piano approvato appena nel febbraio del 2008. Un affossamento, va detto,
programmato dagli stessi autori del Piano, che con un articolo delle norme di
attuazione, il numero 62, hanno costruito il dispositivo che ne può scardinare
il contenuto. Anche se le 160 proposte considerate compatibili non impegnano
l'amministrazione, è altrettanto evidente che si alimentano delle aspettative
che prima o poi peseranno".
Questo per le regole, e per le case a chi ne ha più bisogno?
"Il Comune con il Piano casa del marzo 2010 ha stimato il
fabbisogno abitativo in 25.700 alloggi e ha deciso di utilizzare gli ambiti di
riserva per collocarvi la quota di alloggi che non si riesce a reperire con
altre iniziative. Non c'è un dimensionamento preciso, ma una stima prudente
parla di 7 mila alloggi. Le 160 proposte compatibili portano però a un
dimensionamento che è almeno dieci volte superiore".
Quindi l'obiettivo è altro?
"Bisognerebbe fare attenzione a usare il disagio abitativo.
Per alcune famiglie è un dramma cresciuto negli stessi anni in cui a Roma si registrava
un boom delle nuove costruzioni: dal 2003 al 2007 si sono costruiti quasi 52
mila alloggi, diecimila ogni anno. Un incremento percentualmente doppio di
quello di Milano. Negli stessi anni il disagio abitativo è diventato
insostenibile. Abbiamo visto quanti romani sono stati espulsi dalla città (il
costo medio di un alloggio in provincia è del 43 per cento più basso rispetto
alla media di Roma); gli sfratti eseguiti crescevano in un solo anno dell'8 per
cento e quelli per morosità erano quasi l'80 per cento".
Ma le diverse amministrazioni hanno riflettuto a sufficienza
su questi dati?
"L'espressione "emergenza abitativa" neanche
compare nella relazione del Piano. Ripeto: crescevano le case costruite e
aumentavano le persone senza casa. Alla Biennale Architettura del 2008,
Francesco Garofalo dedicò il padiglione italiano al tema della casa:
"Housing Italy. L'Italia cerca casa". In una mostra di architettura
sostenevamo che costruire case non basta per contrastare l'emergenza abitativa,
che c'è bisogno di politiche per la casa che toccano aspetti diversi e che
ruotano attorno a una sola questione: aumentare la dotazione di case a costo
accessibile, sia in affitto che per l'acquisto".
Non basta costruire.
"Occorre chiedersi per chi si costruisce, e il per chi si
porta appresso il come, sia rispetto ai modelli costruttivi che a quelli della
gestione degli immobili. In una parola bisogna fare delle politiche per
l'abitare e non solo case. Roma avrebbe bisogno di un piano per "riabitare
la città abitata", altro che cementificare l'agro romano".
Il sindaco Alemanno parla di housing sociale.
"Il cavallo di troia dell'housing sociale è ormai un gioco
troppo scoperto perché qualcuno possa ancora abboccare. La sola cosa che sta a
cuore a questa amministrazione è far costruire, non interessa dove purché
sia".
Chi trae vantaggio da questa operazione?
"Gli operatori immobiliari, i proprietari del terreno che
da agricolo diventa edificabile e che incassano incrementi di valore
consistenti, le imprese che si sono assicurate la promessa di vendita del
terreno nel caso che riescano a portare in porto l'operazione. Ma vorrei
azzardare che si tratta di vantaggi apparenti, o per lo meno momentanei".
Che vuol dire?
"Nei momenti in cui il sistema economico produce ricchezza
reale il settore immobiliare se ne avvantaggia perché patrimonializza quella
ricchezza. E questo è stato anche l'uso anticiclico che si è fatto del settore
edilizio in Italia. Tutto questo ormai appartiene a un'altra epoca, al secolo
scorso. Oggi che il nostro sistema economico è in difficoltà strutturale, che
ricchezza da patrimonializzare ce n'è sempre meno ci si illude di poterla
inventare costruendo. Il sindaco Alemanno nella sua relazione al seminario
sulle varianti urbanistiche dell'aprile scorso l'ha proprio teorizzato questo
approccio quando ha parlato di "moneta urbanistica".
Moneta urbanistica? La città come una banca dalla quale si
incassa rendita?
"Più che una banca, direi che Roma diventa una zecca: non
possiamo più stampare la lira e allora a Roma stampiamo metri cubi. Le
centralità definite dal Piano regolatore, già cariche di cubature, in alcuni
casi vedono raddoppiate le previsioni edificatorie; il bando sugli ambiti
di riserva; i milioni di metri cubi promessi al privato in cambio della
costruzione della metropolitana; le valorizzazioni dei depositi ATAC; poi le
caserme e le altre iniziative di questo tipo: si rischia di inflazionare la
"moneta urbanistica" e di produrre una perdita di valore complessivo.
Gli alloggi invenduti sono il segnale che non basta fare leva sull'offerta;
come dire: è inutile portare il cavallo a bere se non ha sete.
Quali sono le conseguenze sull'assetto di una città come
Roma, un assetto già precario quanto ad accessibilità, qualità della vita?
"A guardare la mappa con la localizzazione delle aree è
facile comprendere che i tanti problemi della città sono destinati a peggiorare
in modo definitivo, direi irrimediabilmente. Roma è una città a bassa densità,
tra le città europee è quella che ha la più alta quantità di suolo urbanizzato
ad abitante (circa 230 metri quadrtati per abitante), anche più di Berlino.
Anche il Piano regolatore del 2008 ha continuato a perseguire questo modello.
Con questo provvedimento si perpetua quel modello e le conseguenze sono esponenzialmente
più gravi e onerose".
La mobilità sarà sempre più faticosa?
"Già oggi nelle aree esterne al Grande raccordo anulare a
causa della bassa densità del sistema insediativo è impossibile inseguire
l'abitato con la metropolitana. Mentre dentro al Gra, con le due linee e mezza
di metropolitana si riesce a stento a servire la città consolidata. Ancora oggi
dentro il Gra ci sono ampie zone urbanizzate nelle quali la mobilità è
possibile solo con il mezzo privato, e resteranno in queste condizioni per
molto tempo ancora. Il provvedimento sugli ambiti di riserva aggrava lo stato
di cose spostando l'edificabilità ancora più all'esterno e in zone
irraggiungibili dal trasporto pubblico".
Una città completamente a misura di auto privata.
"Le aree individuate potranno essere raggiunte solo in
macchina. Basterebbe questo per misurare la contraddizione insanabile di
un'amministrazione che sbandiera la consulenza di Jeremy Rifkin e
contemporaneamente condanna al mezzo privato qualche centinaio di migliaia di
abitanti pur di solleticare gli istinti più bassi della speculazione
immobiliare".
In definitiva, che tipo di città prefigura una scelta
urbanistica di questo genere?
"Non una città, bensì un territorio urbanizzato a bassa
densità che in alcune direttrici è ormai senza soluzione di continuità con
l'abitato dei comuni vicini. Un territorio abitato formato da isole, frammenti,
appendici, propaggini, sacche, strisce... È un modello dispendioso da tutti i
punti di vista: ecologico, sociale e nel funzionamento dei servizi e delle
infrastrutture. È un atto che produrrebbe la cancellazione di quel paesaggio,
che è cultura e storia, costituito dalla campagna romana che sarebbe confinato
negli interstizi, in isole di verde tra il cemento".