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lunedì 29 giugno 2009

I Verdi e la devastazione del territorio italiano

L' orizzonte mentale dei Verdi in fondo non è diverso da quello del distruttore dell'ambiente, l'uomo occidentale antropocentrico. Essi non amano la campagna, il sacro che è racchiuso in essa, non amano gli olivi per quello che sono. Non hanno occhi nuovi per la natura. Amano gli uomini, le loro esigenze, i loro egoismi di specie.Non dicono nulla sull'eccesso di popolazione umana divoratrice di mondi, guardano a questa immane distruzione del pianeta con gli occhi gelidi della ragione umana, non vedono che l'uomo, non c'è un sentimento nuovo per gli alberi, per gli ulivi, per le antiche tradizioni, per un reale connubio tra quanto di naturale è nell'uomo e quanto di naturale è nel mondo.

domenica 28 giugno 2009

L'assurda fabbrica di figli

Da "La Stampa" dell'8/6/2007

L'assurda fabbrica di figli

di Guido Ceronetti

Quando si tratta di cifre-uomo bisogna squarciare il velo statistico astratto e ficcare lo sguardo nel formicaio, l'uomo è là.

La Cina e l'India, da sole, fanno - già oggi - poco meno di due miliardi e mezzo di esseri umani, attivi e per lo più all'oscuro di tutto come animali ingabbiati. Con Giappone, Indonesia, Vietnam, Taiwan e Pakistan credo che i tre miliardi siano, se non già raggiunti o superati, a un passo. Le religioni in quel crogiuolo sono quasi incalcolabili, ma l'idolatria biologica della famiglia numerosa è comune: il raddoppio, senza che passino molti decenni, è possibile. Il regime cinese, in tutto spietato, ha frenato per un certo tempo le nascite imponendo il massimo di due figli e reprimendo crudelmente il prevalere, che è fenomeno planetario, delle femmine, e tuttavia i disciplinati cinesi hanno aggiunto al loro miliardo altri trecento milioni. L'India, per democrazia, ha fatto grandi sforzi non coercitivi (ci sono, o c'erano, addirittura associazioni di sterilizzati volontari, ai quali probabilmente si danno premi di Stato).

Resta che, da quelle regioni del povero mondo materiale lo Spermatozoo sempre più dilagherà come un immenso incandescente magma di vita produttrice quasi esclusivamente di consumazione e di distruzione. Guardarsi dal lodare scioccamente la loro industrializzazione: è ben più disumana di quella, terribile, dell'Inghilterra vittoriana, che produceva come nocciolini stracci d'uomini malati a morte, e il loro grado d'inquinamento è una minaccia per la vita di tutti. O cercare di pensare - o rischiare d'impazzire.

Intervistato a New York da «La Stampa» Giovanni Sartori, che con Alberto Ronchey è, credo, il quasi unico politologo in Italia che batte il chiodo dell'eccesso di popolazione con autentica percezione della gravità primaria del problema demografico, accennava a possibili misure coercitive su larga scala come soluzione - anche in Africa, in Sudamerica... Ma, da perfetto razionalista, Sartori si rifiuta di ammettere che qui Malthus suona la resa e che l'esplosione demografica non ha soluzione razionale. Le più dure misure di coercizione non hanno fermato la crescita cinese: avendo scoperto l'invecchiamento, la Cina deve rassegnarsi e presto cercherà, tragicamente, il suo lebensraum in terre africane decimabili ulteriormente da siccità e carestie (più la guerra permanente). E a dire tragico evochiamo l'estremo, tra il fisico e le ombre ctonie, del pensare umano: nel tragico l'insolubilità è cittadina sempre, la razionalità risolutrice no. Gli stessi Stati Uniti perdono sempre più spazio per la follia della loro famiglia-tipo di almeno quattro figli, e per il tranquillo, serafico coniglismo dei coloured e dei portoricani, mentre dal Rio Grande che cosa gli arriva? Malthus in carrozza?

Mi dicevano di una prostituta nera che, in una farmacia di Torino, chiedeva «medigina ber non fare gente»: lei sola, forse, povera bambina, a preoccuparsi del problema in tutto il suo continente, per igiene propria, però. Nella Cina antica, in regioni dove l'aut-aut era tra nascite di troppo o epidemie di fame, le levatrici praticavano il pestaggio a morte dei pancini gonfi: il rimedio della «Modesta proposta» di Swift per i neonati irlandesi in eccesso è addirittura un po' meno raccapricciante. Emanuele Severino, ragionando su questo, osservava che l'Occidente, una volta che la nube migratoria da Oriente e da Sud gli oscurasse il cielo, risolverebbe la cosa con l'atomica. Fortunatamente né Sartori né io vedremo sorgere la glooming peace di un simile giorno del crimine umano.

Noi qui non riusciamo a immaginare noi stessi così pigiati (solo cartoline dai viaggi: «Ah le folle, sapessi... dormono ammucchiati per strada... autobus che scoppiano... miasmi...») eppure abbiamo i ghetti etnici e i rifugi dei clandestini che prefigurano la densità futura e dove nessuno pone limiti allo spermatozoo di bandiera. E vediamo le immagini di città del mondo inaccessibili ad ogni pensare di plausibile esistere umano, deliranti di brutto, che bisogna, pensando, non dissociare dall'ipertrofia delle nostre, dal deteriorarsi di tutto nei maggiori concentramenti urbani, perché il troppo pieno, negli spazi d'Italia più abitati, è presente già, e da tempo gli architetti urbanisti ammoniscono e fanno piani.

Nell'Italia sconquassata del 1945 (abitanti 39 milioni e mezzo: un censimento ideale da non superare) l'esplosione dei rifiuti a Napoli e la penosità dell'alloggiare sarebbero stati impensabili. Oggi siamo quasi venti di più (censiti) e l'Insolubile urbano è Hannibal ad portas.

E poiché il mare tutto quanto cambia per una pietra, e se non vogliamo aggiungere lavoro all'impazienza dell'angelo sterminatore, prima d'introdurre anche un solo essere tra i sette miliardi raggiunti e inarrestabili, in qualunque luogo siamo, e pur distantissimi dai duecento milioni che brulicano lungo il Gange meridionale, la cui onda sacra è ormai un sorso di peste pura, chi abbia un'intelligenza e un'etica deve rifletterci. La mia personale politica della famiglia è molto lontana dal coro.

La sovrappopolazione primo problema

Una popolazione del pianeta che era di meno di un miliardo nel 1900 (impiegando qualche milione di anni per arrivare a tanto) e che oggi va per i sette miliardi, in soli cento anni. Chi non riconosce un questo la tragedia del pianeta terra è cieco o fa finta di non vedere. La redistribuzione delle ricchezze è una chimera per allocchi: non farebbe che aumentare la produzione di rifiuti e di CO2, la deforestazione, la fine del pianeta.Né si può costringere gli uomini all'indigenza (che senso ha ridurre i consumi se non creare disoccupazione, degrado sociale, dittature autoritarie per impedire lo sviluppo). Marxisti e verdi degli specchietti solari spacciano castronerie. La verità è che l'unica soluzione è la politica del contenimento demografico mediante contraccettivi, incentivi fiscali per le famiglie con un solo figlio, sterilizzazioni, aiuti condizionati alla riduzione della natalità.

Chi afferma che lo sviluppo demografico aiuta lo sviluppo economico?
Potrebbe essere ben vero il contrario. Come spiegato da Ansley Coale della Princeton University, nei paesi del sottosviluppo c’è un rapporto di proporzionalità diretta tra tassi rapidi di incremento della popolazione e condizioni economiche declinanti. Le economie di molti paesi in via di sviluppo, ad esempio quelli dell’Africa e dell’America Latina, vengono frenate dal fatto che un’alta percentuale del reddito personale e di quello nazionale venga spesa per rispondere a necessità di consumo immediate, per cibo, alloggio e vestiti - ci sono, infatti, troppi bambini per ogni lavoratore adulto. Così rimane poco reddito disponibile, a livello personale e nazionale, per accumulare capitale da investire. La mancanza di capitali d’investimento deprime la crescita di produttività dell’industria e porta ad un’alta disoccupazione (che è esacerbata dalla rapida crescita del numero di persone in cerca di prima occupazione). La mancanza di capitale contribuisce anche all’incapacità, da parte di un paese, di investire in educazione, amministrazione, infrastrutture, nelle necessità ambientali e in altri settori che potrebbero contribuire al miglioramento della produttività a lungo termine dell’economia e degli standard di vita della gente.
Nessun paese, nel ventesimo secolo, ha fatto molti progressi nella transizione da “in via di sviluppo” a “sviluppato”, fino a che non ha messo sotto controllo la crescita della sua popolazione. Per esempio, in Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore, nelle Bahamas e nelle Barbados, un rapido sviluppo economico, misurato in prodotto nazionale lordo pro capite, è avvenuto solo dopo che ognuno di questi paesi aveva raggiunto un tasso di crescita naturale della sua popolazione al di sotto dell’1,5% l´anno e un numero medio di figli per donna di 2,3 al massimo. Herman Daly, ex Senior Economist della Banca Mondiale, ritiene che criteri simili potrebbero valere anche per altri paesi. Detto in parole semplici, se quanto affermano Simon e Forbes fosse vero, i paesi a bassa crescita demografica dell’Europa e del Nord America dovrebbero avere economie deboli, mentre le economie dell’Africa sub-sahariana e degli altri paesi dell’Asia e dell’America Latina, caratterizzati da una crescita impetuosa, dovrebbero essere robuste. La Cina è un buon esempio dei giorni nostri di come un cambiamento demografico nella direzione di una riduzione della fertilità possa stimolare il settore manifatturiero e potenziare la crescita economica.


martedì 23 giugno 2009

JFK contro la sovrappopolazione nel 1960

La lotta per lo sviluppo economico non s'imbatté soltanto nei ben noti ostacoli dell'ignoranza, delle epidemie, della corruzione e dell'inerzia. Anche quando i paesi erano decisi a riformare modi di vita e istituzioni, rimaneva pur sempre una minaccia costante: che la popolazione aumentasse più rapidamente della produzione, facendo sì che diminuisse il reddito individuale e che diminuissero di conseguenza i risparmi disponibili per la formazione di capitali. Nel Venezuela, ad esempio, dal 1957 al 1963, il prodotto nazionale lordo, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, aumentò del 4,5 per cento, ma la popolazione si accrebbe del 3,8 per cento, riducendo l'incremento netto del reddito individuale allo 0,7 per cento; nell'Uganda, le cifre furono rispettivamente del 3,4 e del 2,5 per cento e ridussero allo 0,9 per cento l'incremento del reddito individuale. "Come un ladro nella notte" disse Asoka Mehta della Commissione indiana per la pianificazione "l'incremento demografico può defraudarci di tutti i risultati ottenuti, un giorno dopo l'altro, nell'espansione economica". Un economista dell'AID (Agency for International Development) calcolò che in certi paesi ogni dollaro investito nel controllo delle nascite sarebbe stato duecento volte più produttivo dello stesso dollaro investito nello sviluppo economico.Nel 1959 fu pubblicato un rapporto sulla politica degli aiuti all'estero in cui si raccomandava coraggiosamente che gli USA dessero la loro assistenza ai piani di controllo delle nascite nei paesi sottosviluppati (rapporto Draper). Il rapporto Draper provocò l'energica reazione dei vescovi cattolici. Si sarebbe potuto supporre che l'elezione nel 1960 di un presidente cattolico escludesse più che mai dal campo della politica pubblica il controllo dell'incremento demografico. In realtà Kennedy si era interessato da tempo ai riflessi dell'aumento della popolazione sullo sviluppo economico. Nel 1959, ad esempio, John Cowles pronunciò un discorso sul problema demografico, sostenendo: "A meno che non vogliamo vedere le condizioni esistenti in India e in Egitto diffondersi nel resto del mondo, gli scienziati devono scoprire un metodo semplice, poco costoso ed efficace per il controllo delle nascite"; e Kennedy fece pubblicare il testo del discorso nel Congressional Record definendolo "un panorama significativo dei fattori che determineranno la nostra politica estera nei prossimi decenni".Nel suo primo messaggio sugli aiuti all'estero fece rilevare:"Nell'America latina l'incremento demografico sta già minacciando di rallentare l'espansione economica".
Nell'autunno del 1962 la Svezia presentò all'Assemblea generale delle Nazioni Unite una risoluzione che invitava il segretario generale a svolgere una ricerca sui problemi demografici. Questo significava che, per la prima volta, l'Assemblea generale avrebbe discusso di politica demografica. Gardner, intervenendo in accordo con il presidente Kennedy, disse che gli Stati Uniti avrebbero "se richiesti" aiutato altri paesi "a trovare fonti potenziali di informazioni e di assistenza per quanto concerneva i modi e i mezzi di affrontare i problemi della sovrappopolazione".

(Arthur M. Schlesinger Jr.: " I mille giorni di JFK" Biblioteca Universale Rizzoli 1992 pag.623)

giovedì 18 giugno 2009

L'integralismo religioso nemico mortale

Oggi l'integralismo religioso è il nemico mortale del pianeta. Il mondo integralista mussulmano in particolare costituisce oggi la più importante spinta all'incremento demografico della specie umana.Se a ciò si aggiunge la prospettiva di uno sviluppo economico sregolato di quei paesi dominati da integralisti che comporti una maggior produzione di gas serra e rifiuti tossici e un'incremento delle aree popolate nel pianeta, si può comprendere come i paesi mussulmani con politiche demografiche espansive saranno nei prossimi anni il primo pericolo in assoluto per la sopravvivenza della biosfera. Una sconfitta degli integralisti in quei paesi che portano avanti politiche basate sulla cosidetta rivoluzione islamica come l'Iran, è oggi fondamentale per salvare il mondo da un futuro sovrappopolato. Ugualmente importante è la sconfitta della politica cattolica verso l'Africa che, in contrasto con le esigenze alimentari e di sviluppo economico del continente, combattein maniera criminale l'uso degli anticoncezionali. Questa politica della Chiesa in Africa è corresponsabile della morte per AIDS di milioni di persone. Il danno non è consistito solo nel disincentivare l'uso del preservativo e quindi la diffusione della malattia. Le mancate politiche di controllo demografico hanno portato vaste aree dell'Africa ad uno sviluppo eccessivo di popolazioni umane in aree povere e senza risorse naturali quali acqua, cereali, infrastrutture ecc. Questa sovrappopolazione è stata causa determinante della origine e successivo sviluppo e progressione della pandemia dell'AIDS.

lunedì 15 giugno 2009

IMMIGRAZIONE E DIRITTO D’ASILO

Il pozzo senza fondo
di Giovanni Sartori

Per chi non lo sapes se, il pozzo di San Patrizio è un pozzo senza fondo, e quin di un pozzo che non si riempie mai. Finora risulta va che la terra fosse un pia neta tondo e racchiuso in se stesso. Ma per i «popola zionisti » e per chi si occu pa di migrazioni di massa è, si direbbe, un pozzo di San Patrizio. Siamo più di 7 miliardi? Nessun proble ma, il pozzo li ingurgita tut ti. Sarebbe lo stesso se fossi mo 77 miliardi: provvede rebbe sempre San Patrizio. Un Santo del VI secolo che la Chiesa dovrebbe rivaluta re.

Ma procediamo con ordi ne. Di recente Alberto Ron chey ricordava su queste co lonne che un secolo fa gli africani erano 170 milioni, mentre oggi si ritiene che siano 930 milioni. La sola Nigeria potrebbe arrivare, nel 2050, a 260 milioni di abitanti; e le Nazioni Unite stimano che Paesi come l’Etiopia, il Congo e il Su dan, già stremati da ricor renti carestie, rischiano di raddoppiare, entro il 2050, la loro popolazione. E men tre la popolazione cresce a dismisura, le risorse ali mentari del continente afri­cano sono state malamente dilapidate dall’erosione del suolo e dalla desertificazio ne.

Questi sono, all’ingros so, i numeri della «pressio ne dell’Africa» richiamata da Ronchey, che è la pres­sione a noi più vicina e quindi più minacciosa. Una pressione che si ascrive alla categoria degli «eco-profu ghi », e correlativamente de gli «eco-rifugiati». Che fa re? Come accoglierli? Fino ra si è parlato di diritto di asilo. Ora si comincia a par lare di «profughi ambienta li ». La prima categoria è im propria e difficile da accer tare, mentre la seconda è davvero troppo larga, trop po onnicapiente: presuppo ne che il mondo sia quel pozzo di San Patrizio che non è.

Il diritto di asilo è stato, nei millenni, una protezio ne, una immunità religiosa dalla «vendetta del san gue » (i parenti di un ucci so, o simili) per chi si rifu giava in un luogo sacro. Questo asilo trova la sua massima espansione nel l’Europa medievale, per poi venir meno. E il punto è che l’asilo non è mai stato riconosciuto come «dirit to » di intere comunità e tanto meno per motivi poli tici. Pertanto il diritto di asi lo concepito come titolo di entrata in un Paese per i ri fugiati politici è una recen te invenzione. E andiamo ancora peggio con la nozio ne di «vittime ecologiche». Questa categoria è davvero smisurata e sconfitta dai numeri. Gli eco-profughi sono già centinaia di milio ni; e basterebbe che il disse sto del clima spostasse i monsoni per ridurre alla fa me mezzo miliardo di india ni.

Il rimedio certo non può essere di accogliere tutti e di un Occidente che si pren de carico dei diritti di asilo e dei profughi ambientali. Per l’Africa un’idea sarebbe di «rinverdirla», di render la di nuovo fertile e vivibi le. Un po’ tardi, visto che l’agricoltura è già per metà perduta, che i laghi si pro sciugano e che la desertifi cazione è irreversibile. Per carità, l’Africa va aiutata. Ma tutto è inutile se e fin ché non apriremo gli occhi alla realtà, al fatto che l’Afri ca (e non soltanto l’Africa) muore di sovrappopolazio ne, e che la crescita demo grafica (ovunque avvenga) va risolutamente affrontata e fermata.



15 giugno 2009

Perché la Cina ha avuto un grande sviluppo economico

Nessuno lo ricorda, ma la Cina fin dagli anni sessanta e settanta è divenuta malthusiana nella propria politica demografica. Ammettendo che la rapida crescita demografica stava ostacolando lo sviluppo, il governo cinese elaborò un programma intensivo di pianificazione delle nascite. Attraverso il capillare sistema sanitario, i "medici scalzi" e gli assistenti alla pianificazione familiare distribuirono informazioni, pillole per il controllo delle nascite, IUD, preservativi, diaframmi e spermicidi. Gli ospedali e le cliniche locali fornivano sterilizzazione volontaria per le coppie che avevano chiuso con la gravidanza, e l'aborto veniva praticato come metodo per il controllo delle nascite.La tecnica dell'aborto per "aspirazione", ora usata in tutto il mondo, fu messa a punto dai cinesi negli anni Sessanta.
Negli anni Settanta, l'obiettivo del piano era che ciascuna coppia avesse due figli ben distanziati l'uno dall'altro. Gli incentivi comprendevano licenze maternità retribuite, pause nel lavoro per l'allattamento, assistenza gratuita per l'infanzia, contraccettivi gratuiti, e permessi retribuiti per gli aborti e le sterilizzazioni. i genitori che collaboravano erano ricompensati con alloggi migliori e maggiori possibilità di istruzione per i loro figli. Esistevano responsabili della pianificazione delle nascite nelle comunità che facevano pressione sulle coppie. Nelle zone rurali, rispettate donne anziane erano organizzate in "quadri femminili" per promuovere il programma di pianificazione. Tutto questo era in atto quando il censimento della popolazione verso la fine degli anni Settanta scioccò la leadership nazionale rivelando che, contrariamente alle precedenti stime di 900 milioni di abitanti nel 1979, la popolazione cinese era già salita ad un miliardo. Tra gli altri problemi, questo riduceva del 10% la crescita economica pro capite della Cina.Il governo decise che serviva una decisione storica: per la prima volta una nazione fissò come proprio obiettivo la riduzione della propria popolazione. Si decise di fermare la crescita a 1,2 miliardi e poi di iniziare un graduale declino verso la dimensione sostenibile (valutata in circa 650 milioni). Per far questo, fu promosso come ideale la famiglia con un unico figlio. A proposito del programma si deve ricordare:
1. è indigeno e non prevede aiuti esterni.
2.garantisce uguali diritti e istruzione alle donne.
3. fa parte di un programma riuscito per fornire assistenza sanitaria di base a tutta la popolazione.
4.usa come principale strumento di motivazione la pressione esercitata dai pari.
5. c'è stata notevole trasparenza da parte del governo centrale sui successi e sugli insuccessi del programma.

Il programma di controllo delle nascite cinese ha avuto il maggior successo che sia mai stato registrato: ha ridotto la fecondità di più della metà in una dozzina di anni. Sebbene successivamente siano subentrate alcune difficoltà e il tasso di crescita abbia ricominciato ad aumentare, il programma di riduzione delle nascite cinese rimane alla base del poderoso sviluppo economico della Cina di questi anni.

mercoledì 3 giugno 2009

Terra Madre

Terra madre, l'impossibile ricerca
di un buon rapporto con la natura


di Goffredo Fofi
ROMA (1 giugno) - La lodevole iniziativa di questo documentario di lungo metraggio, Terra madre, firmato da Ermanno Olmi ma cui hanno contribuito molte mani, è della Cineteca di Bologna, un’istituzione più solida e seria di quella romana, che pure è statale e non comunale-regionale. La Cineteca organizza dall’anno scorso una sorta di festival di cinema e cibo (il cibo è di gran moda tra chi ne consuma di più, e il mangiar bene, godurioso o austero, è un tema dominante nei nostri media che fa venire in mente il vecchio e saggio monito del “pancia piena non crede al digiuno”), e il festival si appoggia all’associazione Terra Madre fondata e diretta da Carlo Petrini. E’ dai materiali dell’incontro torinese di Terra Madre del 2006 (150 paesi rappresentati, alla presenza del Presidente della nostra non luminosa Repubblica) che partono le considerazioni di Olmi, servite da un montaggio dei materiali che, grosso modo, considera:
a) l’incontro torinese, con scelta di interventi, volti, dichiarazioni, inserti didascalici o dimostrativi, e dove la parte del leone, anzi della leonessa, la fa Vandana Shiva, che ripete da anni le stesse quattro cose sui danni della globalizzazione e dello sviluppo manipolato dal connubio finanza-scienza e sui vantaggi della decrescita;
b) un inserto bello e commovente sul piccolo campo e la piccola casa di una sorta di eremita padano, contadino autosufficiente vissuto ai margini di un’autostrada del nostro Nordest;
c) una lunga parte finale, più o meno un terzo dell’intero film, che è opera del grande documentarista Franco Piavoli, un vero poeta del cinema, il quale ci mostra stagione per stagione il lavoro di un orto, in una stupenda, anche se troppo edenica e stupenda, valle altoatesina, un posto che non tutti possono avere.

Terra madre è in definitiva di un buon film di propaganda ispirato da una visione del mondo molto condivisibile. Se i due brani più belli del film, quelli che abbiamo citato, hanno una loro autonomia, il primo come ritratto di un assente e illustrazione della sua scelta di vita, il secondo come idillio di un “ancòra possibile”, la lunga parte che apre il film e che ruota attorno al convegno torinese, è per ovvie ragioni la più prosastica, ma anche quella che dovrebbe convincere di più. Perché la propaganda di un modo di vivere sia efficace occorre, credo, molta convinzione in chi l’avanza. Se non si è veramente convinti di ciò che si afferma, la capacità di convincere gli altri si fa minore, ma più in generale non basta rispondere con la suggestione della poesia alla grande menzogna dello sviluppo che libera l’uomo, mentre ormai sappiamo bene che ne avvicina la fine.

I bellissimi brani citati ricordano allo spettatore la necessità di scelte che permettano all’uomo di ritrovare un buon rapporto con la natura. Ma essi lo consolano piuttosto che spaventarlo. Se insomma la poesia dei brani citati è ottima poesia (la prima trattando di un radicale rifiuto del mondo così com’è diventato, la seconda delle opere e i giorni di antica, antichissima memoria), però non basta a rispondere ai dilemmi più generali che nascono dalla prima parte del film, quella “in prosa”. Perché questa prosa – da buona propaganda – resta di suggestione più che di convinzione.

Per esempio: l’autosufficienza non è sufficiente a sfamare il mondo e non tutti possono permettersela, la sovrappopolazione è un incubo che si esorcizza tacendone tal quale la Madre Chiesa, il “ritorno dei contadini” è un obiettivo fondamentale ma che non potrebbe essere che graduale, tornare indietro è tutt’altro che facile per chi è abituato a tante macchine e tanto consumo, il riscaldamento globale è una minaccia per i poveri del mondo provocata dai ricchi, la già crescente disuguaglianza geopolitica porterà nuovi conflitti… eccetera… eccetera.... E soprattutto: si è imparato a diffidare dei “buoni” (e del “buonismo”) perché sul ricatto della bontà sono nati nuovi piccoli imperi (terzo settore a rimorchio dei primi due, ong ed enti nazionali e internazionali, milioni di associazioni di psueudo-volontariato, di difesa dell’ambiente, di questo e di quello) che lottano per la conquista di spazio più per sé che per chi ne ha bisogno e nel cui nome si dice di agire…
Non è in questione, è ovvio, la buona fede degli autori del film o delle organizzazioni coinvolte, anche se non si può giurare su tutte quelle presenti a Torino. Come sanno le organizzazioni e i teorici più attenti, la lotta per la affermazione di sé e della propria parte (gruppo o clan o corporazione) si serve spesso di molti alibi e il suo forte è proprio la propaganda, ma gruppi e persone coinvolti in questo film meritano grande rispetto e attenzione. Credono in ciò che fanno, ma non vanno abbastanza a fondo, o si compiacciono troppo della loro bontà. Dimenticano soprattutto che il capitalismo non potrà mai rinunciare alla propria anima, il profitto, pena la sua morte. E l’ecocapitalismo è già una delle risposte già adesso – slow food compreso – che il capitalismo cerca alla crisi in cui ci ha precipitato e in cui è precipitato.

Il percorso sarà molto lungo – se ci sarà – e le chiarificazioni non potranno che essere brucianti. No, non siamo ottimisti sul futuro del mondo e sulla bontà degli umani, e diffidiamo delle nuove, sempre nuove forme di edonismo dei ricchi, che difendono i propri giardini invece di aprirli, e più che di nuove consolazioni e nuove illusioni, più che di “bontà”, abbiamo bisogno di “lucidità”. Sappiamo peraltro assai bene che sono stati gli ottimisti, buoni per definizione, ad aver portato il mondo sulla soglia del precipizio! Cosa non sono stati capaci di fare gli ottimisti?

Noi abbiamo paura, e non ci vergogniamo di dirlo. E pensiamo che alla radicalità della crisi sia necessario rispondere anche con un maggior radicalismo delle analisi, e facendo più che predicando.
In modi molto generali e molto radicali, noi dovremmo essere certamente per nuovi modelli di sviluppo, e per “il ritorno dei contadini” – senza di loro, il mondo è fermo, il ciclo aggredito e spezzato. Ma anche per un nuovo accordo tra uomo e natura che non può avvenire, sul piano teorico, che in un nuovo incontro tra cristianesimo (l’amore del prossimo al suo centro) e paganesimo (il rispetto del vivente e della sua varietà, un nuovo equilibrio che contempli, per esempio, il ripudio o la drastica riduzione della violenza sugli animali). Occorrono analisi che non trascurino la parte delle responsabilità individuali in tutto questo, il rifiuto delle nostre abitudini più distruttive e delle nostre infinite (e astute) complicità, e forse un’etica di radici più orientali che occidentali e che ha avuto in Francesco e in Gandhi i due profeti da riscoprire. Il generale e il particolare devono congiungersi, in scelte individuali ben più drastiche di quelle che i “buoni” ci propongono. Terra Madre convince a metà perché non va a fondo, e risolve in poesia – anche se splendida poesia – molti cruciali del nostro presente e del nostro futuro.