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sabato 12 dicembre 2015

COP21. L'Affare della Green Economy

L'accordo alla conferenza Cop21 si dovrebbe concretizzare oggi. Si tratta di soldi: 100 miliardi di dollari l'anno a partire dal 2021 destinati ai paesi a scarsa industrializzazione per incentivare le tecnologie rinnovabili ed il risparmio energetico. Si attendono dagli investimenti in green tecnology ben 48 milioni di posti di lavoro in 5 anni.L'EU sovvenzionerà le rinnovabili con 73 miliardi di euro. La torta da spartirsi dunque è bella grossa e io credo che siano in gioco a Parigi più i miliardi di dollari di sovvenzioni, che la preoccupazione per il clima. Come sempre a muovere finanza, imprese e governi ci sono i miliardi di dollari. Quanto all'obiettivo che dovrebbe essere principale, cioè il mantenimento entro i due gradi dell'aumento di temperatura atmosferica, siamo al generico: si, forse, vedremo. Ci saranno conferenze che controlleranno i risultati step by step. Quanto dire "nulla di definito" se non i soldi da spartirsi. Non esiste nessuna restrizione vincolante sull'utilizzo di fossili, anzi vengono mantenuti 270 dollari per ogni cittadino del pianeta per incentivo sui fossili, bell'esempio di contraddizione nei termini stessi del problema. Verrebbe da dire che "E' l'economia, bellezza!". Le capacità di riconversione del capitalismo sono infinite. Fino ad oggi ha vinto tutte le sfide perché il sistema del libero mercato ha questa capacità darwiniana di adattarsi alle mutate circostanze e anzi di cavalcare i cambiamenti. Altro che crisi del capitalismo in seguito al collasso ambientale, come sperato da tanti verdi politically correct. La bestia è camaleontica e si trasforma rapidamente per cibarsi delle novità. L'affare delle rinnovabili e della green economy profuma di dollari e attrae investitori da tutto il mondo con vecchi apparati che si riciclano adeguatamente convertiti e sistemi finanziari che si riassettano su nuovi equilibri fossili-rinnovabili. I paesi industrializzati, fiutato l'affare, stanno riorganizzando la propria produzione per intercettare i nuovi mercati. La Cina ne ha fatto un obiettivo primario della propria economia, ma nel frattempo continua ad estrarre e bruciare carbone . I paesi in via di sviluppo si dedicano alla colpevolizzazione dei paesi ricchi sulle emissioni, onde ricavarne finanziamenti (che andranno in gran parte ai fossili). Molti boicottano, specie i produttori di greggio e carbone: Alcuni dell'EU, Venezuela, paesi arabi, Iran, Cina, Pakistan, sapendo che comunque la conferenza distribuirà miliardi ma non cambierà l'andazzo di fondo del mercato energetico. Poi ci sono i repubblicani americani che non credono al riscaldamento globale. Sono pochi a pensare che si possa arrivare ad un accordo sugli obiettivi climatici davvero vincolante per ben 195 paesi. Gli interessi sono troppo distanti, ad esempio non c'è solo la differenza tra i produttori di combustibili fossili e i non produttori, c'è anche quella tra i nuclearisti e i senza nucleare. Per alcuni il nucleare, a carbonio zero, è un'ottima risorsa per abbattere le emissioni, per altri è il demonio. Sui tempi di raggiungimento degli obiettivi c'è poi una vera babele di voci tra chi è pronto e tra coloro che non risultano aver messo in piedi alcun piano d'azione. In tutto questo, come dicevo, fiutato l'affare è il capitalismo che si muove. Stando ai report delle banche d'affari e soprattutto all'affollamento degli indici che fanno da termometro all'eco-sensibilità delle imprese, il mondo dell'industria si sta dando target concreti. Riconvertire la produzione con un impiego sempre più massiccio delle tecnologie cosidette low-carbon e liberare maggiori investimenti in efficienza e risparmio energetico è ormai un obiettivo di molte imprese. In particolare i mercati sostengono le quotazioni di quelle utility del settore oil & gas più attive nelle fonti di energia a basso impatto inquinante, come fotovoltaico, eolico, idroelettrico e nucleare. Ma non solo le utility, l'interesse va esteso per cominciare alle società di costruzioni e a quelle del settore dei trasporti, dai costruttori di aerei a quelli di automobili. Per gli areomobili, tra i maggiori consumatori di combustibile, si guarda alla realizzazione di velivoli sempre più leggeri in grado di volare con un minor consumo di jet fuel. Il focus è su Airbus per l'Europa, o sui costruttori di motori come Safran. Per la Iata, l'organizzazione internazionale del trasporto aereo, le emissioni di CO2 del settore areonautico scenderanno addirittura del 50% nel 2020 rispetto ai livelli del 2005.
Tra le società che vinceranno sul mercato, secondo gli analisti di Credit Suisse, per avvantaggiarsi nella lotta allo shock climatico ci sono ai primi posti la società tedesca Verbund che basa il 90 % della sua generazione energetica sulle fonti idroelettriche. Ben posizionata anche la spagnola Iberdrola, grazie al suo mix di idroelettrico e nucleare. Tra le altre quotate c'è Centrica, che pur includendo ancora il termoelettrico, ha adottato tecnologie in grado di abbattere le emissioni. Guardando alle big oil, Credit Suisse segnala in particolare Royal Dutch Shell e Total come le major meglio posizionate nel settore gas e quindi pronte a raccogliere i maggiori benefici da un eventuale successo (almeno riguardo ad un accordo formale) della Cop21. Svantaggiate invece la ceca Cez e la tedesca Rwe, due utility che utilizzano ancora molto il carbone. Il caso della Germania è piuttosto emblematico. Il Paese è tra i maggiori produttori di energia da rinnovabili, e per questo la cancelliera Merkel aveva deciso una uscita graduale dal nucleare da concretizzare verso il 2020; poi ci si è accorti che le rinnovabili non erano in grado di assicurare energia sufficiente all'economia tedesca e alla vita di più di ottanta milioni di abitanti -in rapida crescita, visto l'esplodere su scala gigante del fenomeno immigratorio- e che i costi dell'energia stavano salendo esponenzialmente. Ha dovuto così fare un maggior ricorso al carbone per contenere i costi e non far levitare improvvisamente i prezzi dell'energia. Rwe, ad esempio, ricava il 60% della sua energia da lignite e carbone. La auspicata chiusura delle centrali nucleari rischia di costare molto all'economia tedesca e di far mancare gli obiettivi sul riscaldamento climatico: molti ossrvatori ritengono che saranno da rivedere le scelte fatte. Al contrario la Gran Bretagna ha fatto una scelta opposta, arrivando ad annunciare la chiusura del suo intero parco centrali a carbone entro il 2025, al contempo autorizzando per ora la costruzione di due nuove centrali nucleari (fidandosi poco del solo apporto delle rinnovabili) e mantenendo ben avviato il programma nucleare già realizzato con le sue numerose centrali attive. Diverso la situazione delle imprese attive nel settore minerario che vengono incluse nella lista nera degli inquinatori. E' per questo che Enel ha già da tempo deciso di separare i suoi destini da quelli di Bayan Resources, maggior produttore indonesiano di carbone,cedendone per ora il 10%. Il gigante Rio Tinto sta riducendo rapidamente la sua esposizione verso il carbone, ma altri gruppi faticano a riconvertirsi e guardano con preoccupazione alle decisioni che potrebbero arrivare dalla Cop21. Anche Glencore, Bhp Billiton (alle prese con il disastro brasiliano del Rio Dolce) e Goldfields hanno appena annunciato nuovi progetti pilota per adeguarsi al nuovo contesto del mercato. Per James Magness della Investors research di Cdp (Carbon disclosure Projet) "Le maggiori società minerarie del mondo, che attualmente capitalizzano circa 329 miliardi di dollari, sono impreparate alla transizione verso la low-carbon economy". Il Cdp è una organizzazione che conta ben 822 investitori istituzionali che gestiscono un patrimonio di circa 95 mila miliardi di dollari, e tra le società che si basano sui suoi parametri per contrastare gli shock climatici ci sono colossi come Dell, PepsiCo e Walmart. La riconversione al low-carbon è visto da tutti questi investitori più come un affare che come una battaglia per salvare la terra . Goldman Sachs segnala come la capitalizzazione di mercato delle compagnie minerarie statunitensi sia andata a picco addirittura del 95% nel 2015, in gran parte a causa dei nuovi regolamenti anti-emissioni. Secondo la banca d'affari, anche se gli obiettivi intermedi della Cop21 si allungano al 2030 e al 2050, il vero cambiamento del mercato comincia da adesso e si realizzerà in gran parte entro il 2025. Entro il 2020, per esempio, si prevede che la Cina aggiungerà 193 GigaWatt di energia eolica e fotovoltaica al suo parco produttivo, fermandosi invece per quel che riguarda il carbone a 23 GigaWatt aggiuntivi in un settore produttivo che già si basa su molto carbone. Altro input forte arriverà per i produttori di lampadine a Led, che rimpiazzeranno quasi per il 70 % le tradizionali lampadine a bulbo. Avanzata anche per le auto ibride ed elettriche, che si prevede cresceranno di 25 milioni nell'arco dei prossimi 10 anni, con previsti ricavi nell'ordine di 600 miliardi di dollari per le aziende produttrici. Goldman Sachs ha stilato una propria classifica delle aziende meglio posizionate nell'era della low carbon economy. Si tratta di SolarEdge (pannelli fotovoltaici), Vestas, Nordex e Gamesa (eolico onshore), Continental, Tesla e Albemarle per i veicoli ibridi ed elettrici, Aculty Brands e Hella KgaA Hueck per le lampadine a basso consumo. Un gruppo di imprese interessate al mercato di energia come BP, Pemex, Reliance Ind., Repsol, Saudi Aramco,Shell, Statoil, Total e la nostra Eni hanno fatto cartello creando l'Ogci (Oil and gas climate initiative) dichiarando nella carta di intenti: "scendere sotto i 2 C° di riscaldamento atmosferico è una sfida e ci impegnamo a fare la nostra parte con misure e investimenti per ridurre il gas ad effetto serra nel mix energetico globale". Via quindi ad investimenti crescenti nel settore del gas naturale, nella cattura dell'anidride carbonica e il suo stoccaggio, nelle rinnovabili, e nelle tecnologie a basse emissioni. Nel settore dei trasporti sono previsti investimenti nell'idrogeno e nei bio-combustibili oltre alle vetture elettriche. Per le costruzioni i grandi produttori di cemento si stanno organizzando per studiare e realizzare edifici con fonti integrate di energia rinnovabile e bio-combustibili. L'Eni nel periodo 2010-2014 ha raggiunto una riduzione delle emissioni del 27 % e sta investendo nel gas naturale dove ha raggiunto una quota sulla produzione complessiva del 50%. Nelle strategie low carbon di Eni c'è un piano di riconversione del business downstream attraverso la trasformazione in green refinery di Venezia e Gela e l'avvio dei progetti di "chimica verde" a Porto Torres e Porto Marghera, e la ricerca sulle rinnovabili innovative. Ha inoltre deciso di operare in Artico solo in zone libere da ghiacci. Impegnata nel settore anche Snam, Fiat FCA, Cnh Industrial, Save. Dice il presidente di Cdp Paul Dickinson che "le grandi aziende hanno grande influenza in quanto le scelte di business possono rallentare e arrestare il cambiamento climatico. Hanno bisogno di una politica ambiziosa sia a livello nazionale che internazionale". In prima linea anche l'Enel che sta per assorbire la controllata Enel Green Power proprio per gestire più direttamente il business delle rinnovabili con l'acquisizione di una grossa parte dei finanziamenti di stato e con l'apertura di un mercato in crescita. Enel è impegnato a giocare un ruolo attivo nel percorso di decarbonizzazione attraverso le sue attività industriali ed entro il 2020 ridurrà l'intensità delle emissioni di CO2 del 25 % rispetto al 2007. Gli investimenti sulle rinnovabili saranno di 11 miliardi di euro nel periodo 2015-2019 con accelerazione della ricerca e apertura di nuove produzioni.
Tuttavia molti osservatori si chiedono se gli accordi di Cop21 avranno un reale impatto. Le tempistiche sono diverse da paese a paese o addirittura da operatore a operatore. La copertura geografica degli impegni alla riduzione delle emissioni è a pelle di leopardo. Poi bisogna vedere il ruolo dei mercati e come l'economia di paesi spesso in carenza di fondi si tradurranno nel rispetto degli impegni. I costi delle riconversioni potrebbero riversarsi sulla gente a livello di bolletta energetica (come accaduto in Italia), oppure le pressioni e le resistenze dei produttori di petrolio e carbone (sia i privati sia gli stessi governi nazionali) potrebbero rivelarsi ancora forti. I grandi poteri finanziari e industriali insomma si sono messi in moto leccandosi i baffi per i miliardi in palio, ma le resistenze del BAU sono altrettanto forti.Nel frattempo il pianeta viaggia per un aumento delle temperature di oltre 4 gradi entro la fine del secolo e invertire la tendenza sarà molto complicato. Quanti dei partecipanti al Cop21 credono veramente che si riuscirà a ridurre il riscaldamento entro i due gradi? Qualcuno ha fatto notare che sono solo 55 le persone che hanno un ruolo rilevante nella stesura del documento finale del Cop21 a Parigi, e che questi pochi individui non avranno alcuna possibilità di influenzare seriamente i processi energetici in atto nelle grandi potenze economiche e anche nelle piccole realtà politiche locali. A questo scopo ci sarebbero ben altri argomenti da affrontare, anzi uno in particolare spicca su tutti gli altri per la completa assenza nei documenti e nelle discussioni in atto al Cop21: quello della sovrappopolazione del pianeta. Ho cercato nei vari argomenti in discussione e nelle bozze dei documenti anche solo un piccolo accenno al tema. Ma non ho trovato nulla di nulla al riguardo. L'argomento è un completo tabù. Ho letto in uno dei tanti documenti preparatori questo ragionamento: la Cina è il primo emettitore di carbonio del pianeta. Lo è nonostante che la produzione del carbonio sia di 74 tonnellate/anno ad abitante rispetto alle più di 200 tonnellate/anno di un abitante degli Stati Uniti. Ciò nonostante la Cina inquina di più degli Stati Uniti perché le 74 tonnellate vanno moltiplicate per un miliardo e mezzo di abitanti, mentre gli abitanti degli stati Uniti sono "solo" 360 milioni. Questo piccolo calcolo dovrebbe essere illuminante sul fatto che il numero di abitanti del pianeta ha un influsso diretto sull'effetto serra globale. Eppure nessuno ne parla, nessuno ha raccolto lo stimolo che deriva da quel calcolo matematico. La sovrappopolazione non influisce solo come moltiplicatore della quota individuale di emissioni. E' tutta l'organizzazione sociale, strutturale ed economica che viene trasformata dalla eccedenza demografica. Conseguenza della sovrappopolazione sono le megalopoli, la cementificazione massiccia delle superfici, l'organizzazione industriale della produzione, i consumi di massa, l'insufficienza delle risorse agricole e la necessità dell'uso massiccio della chimica, la carenza di acqua, la distruzione delle foreste (vero polmone verde che fissa il carbonio atmosferico), l'uniformizzazione produttiva e dei mercati di tutto il pianeta, la necessità di sempre maggiori quantità di energia per sostenere la popolazione sempre più numerosa e che richiede sempre più benessere (consumi). Non è un caso che coloro che chiedono deroghe alla low carbon economy, come Cina, India, Paesi Africani, Brasile , Indonesia ecc. siano anche i paesi con maggiore popolazione e in crescita demografica. Nessuno di questi paesi, in presenza di tassi di crescita demografica elevati, può fare a meno di carbone, gas e petrolio. Le rinnovabili non possono sostenere la maggiore richiesta di energia che deriva da un'alta crescita demografica. I verdi, per contestare questo argomento usano spesso esempi che sono invece la dimostrazione del contrario di quel che vogliono sostenere. Citano l'esempio della Danimarca che si è impegnata entro i prossimi dieci anni a non usare più i combustibili fossili come fonte di energia. Ma la Danimarca è un paese di soli cinque milioni di abitanti, con una popolazione stabile, e per di più con una economia fiorente (in grado di sostenere un 'energia molto costosa come le rinnovabili) e senza megalopoli. Questo obiettivo non può essere valido già per l'Italia che ha 62 milioni di abitanti, neanche riducendo di molto i consumi e riconvertendo molte industrie. Figurarsi se la cosa è possibile per paesi come l'India o la Nigeria con demografia in rapida crescita e una natalità che va dai 6 ai 9 figli in media per donna, con megalopoli in rapida espansione e consumi in forte aumento. La colpevole silenziazione e vera e propria censura posta in atto a Cop21 riguardo l'argomento della sovrappopolazione mi porta a concludere che questa incredibile ed inescusabile omissione renderà vano tutto il carrozzone messo su dall'Onu sull'argomento "Effetto Serra". Tutto si risolverà in quello di cui si tratta in realtà: un colossale affare per le multinazionali e la finanza che specula sulla green economy. Quanto a salvare il pianeta non si farà nessun passo avanti. Almeno fino a quando la popolazione planetaria continuerà a crescere ai ritmi attuali che ci porteranno sopra gli 11 miliardi entro pochi decenni.

mercoledì 25 novembre 2015

Il genocidio silenzioso

Le specie appartenenti all’ordine dei primati sono ormai tutte in via di estinzione. A parte la specie Homo sapiens ovviamente, che è la causa della estinzione delle altre specie. Ovunque sulla Terra diminuiscono le foreste che consentono ai primati di vivere nel loro ambiente naturale. Quello che sta avvenendo ai gorilla, uno dei nostri parenti più prossimi, è uno dei tanti esempi di prossima estinzione. Le due specie oggi esistenti di gorilla vivono ormai ridotte a poche decine di migliaia in Africa equatoriale, separate da circa 900 km di foresta del Bacino del Congo: si tratta del gorilla occidentale e del gorilla orientale. Ricoprono un ruolo cruciale nella biodiversità locale, spostandosi attraverso grandi territori e aiutando, per esempio, la diffusione e germinazione degli alberi da frutto di cui si nutrono. La pressione antropica ne sta profondamente alterando l’habitat. Intere foreste vengono abbattute per installarvi coltivazioni destinate ad alimentare la crescente popolazione umana in esplosiva crescita demografica. Strade e cementificazione erodono il territorio vergine e lo rendono sempre più inadatto alla sopravvivenza delle specie locali. Ogni anno perdiamo circa 700.000 ettari di foreste a causa della deforestazione e del taglio illegale di alberi. Una superficie enorme, che corrisponde a tre volte il Belgio, viene distrutta, sottraendo così anche spazi ed habitat a moltissime specie animali, tra cui quella dei gorilla. Ma non c’è solo questo purtroppo. Il commercio di “bushmeat” (carne da animali selvatici), che avviene in tutta l’Africa occidentale e centrale, è oggi la più grave minaccia per i gorilla. La carne di gorilla, di scimpanzé, di antilope e di molti altri animali è infatti un cibo ricercato nei mercati clandestini di molti paesi, e viene venduto a prezzi da capogiro. Uguale sorte monaccia gli scimpanzè africani, un’altra specie che ci è molto vicina geneticamente. Continua la caccia e l’uccisione degli elefanti allo scopo di alimentare il commercio di avorio, ufficialmente illegale ma di fatto consentito per il reddito che produce. Quello che avviene nel Borneo, Sumatra, Indonesia e Malesia non è meno grave. Qui il genocidio sta avvenendo ad una velocità e su una scala sconcertante e vergognosa. Di oranghi sono ormai rimaste poche decine di migliaia di esemplari nelle foreste pluviali di quei paesi. Nel silenzio di tutto il mondo, sia dei governi che dei media, viene distrutto giornalmente con avidità ed efficienza uno degli habitat naturali più importanti per la biodiversità e per la sopravvivenza di molte specie in pericolo di estinzione. Nella più assoluta indifferenza il genocidio degli oranghi sta raggiungendo la sua conclusione. Tutto questo a causa dell’olio di palma, un ingrediente presente in prodotti di uso quotidiano come grissini, merendine, shampoo, dentifricio e cioccolato. Dietro l’uso di questo olio, che secondo alcuni sarebbe addirittura tossico e dannoso alla salute, c’è la speculazione: viene usato perché a buon mercato e molto conveniente. L’altra causa, quella determinante, è l’enorme richiesta mondiale di prodotti alimentari a basso costo in seguito alla crescita demografica esplosiva ed ininterrotta della specie Homo che infesta il pianeta. Al fine di spianare la strada per le piantagioni di palma da olio, immense distese di foreste pluviali incontaminate vengono distrutte, gli animali come gli oranghi e altre specie locali uccisi, catturati con trappole, venduti, lasciati senza il loro ambiente naturale e avviati all’estinzione. Le grandi aziende interessate non si preoccupano minimamente del problema e anzi incoraggiano i lavoratori locali impegnati nella deforestazione ad approfittare delle risorse naturali per aumentare i guadagni. Se la deforestazione continua a questo ritmo, oltre alla estinzione degli oranghi e di tante altre specie, avremo la distruzione pressoché completa della foresta pluviale in quell’area del pianeta (si calcola che al ritmo attuale di deforestazione venga raggiunta nel 2035). Tutto questo provocherà conseguenze estreme al nostro clima a causa del rilascio di anidride carbonica nell'atmosfera non più assorbita dal polmone verde di quelle foreste, una volta immense. Le organizzazioni ecologiste invitano a boicottare i prodotti contenenti olio di palma, e non posso che appoggiare questa iniziativa. Ma se non interveniamo all’origine del problema, cioè sulla esplosione demografica della nostra specie, ho l’impressione che la crescente richiesta di prodotti alimentari a basso costo impedirà la riuscita della campagna volta a salvare i primati e le altre specie in pericolo e con essi la foresta pluviale rimasta. Per lo stesso motivo sarà difficile in Africa arrestare il genocidio dei primati e delle altre specie in estinzione come gli elefanti se non si intraprenderà una seria politica di controllo della natalità in quei paesi e di riduzione della pressione antropica sulle ultime riserve verdi rimaste.

sabato 21 novembre 2015

La fine della Rivoluzione Francese

Il 13 novembre e stato l'11 settembre dell'Europa. Cosa succederà adesso? Dicono che c'è una guerra in corso, una guerra che nessun europeo e nessun americano vuole combattere. Chi difenderà i valori dell'illuminismo, della libertà e della democrazia? Ormai i valori del laicismo sono in regresso ovunque, la superstizione religiosa si diffonde con o senza il Califfo.Al posto della ragione si parla di nuove idolatrie: la sicurezza dei rivoluzionari del 1789 lascia il posto al trionfo dell'oscurantismo. Di fronte a questa radicalizzazione che fine fanno i valori dell'ecologia, del rispetto per la natura e le altre specie? Semplicemente non se ne parla, o se ne parla sempre meno. Sembra che la conferenza di Parigi sulle emissioni di carbonio non si terra più. Non e' una gran perdita, sarebbe servita a poco, ma anche questo e' un segno. Intanto in Siria E Iraq un intero territorio grande come uno stato e' in mano ai terroristi tagliagole. Il presidente Usa ha fatto finta, con radi e inutili bombardamenti, di contrastarlo. Come ha giustamente fatto notare il leader russo Putin persino i pozzi di petrolio e le migliaia di autobotti per trsportarlo in mano ai terroristi sono state lasciate intatte e funzionanti dagli americani, non si sa bene perché. L'Europa in tutta questa situazione da uno spettacolo ancor più mediocre. Ridotta ad una semplice area finanziaria e di commercio, con una grossa burocrazia e senza più alcun valore in cui credere, parla - anzi balbetta- in una pruralita di lingue senza saper prendere una sola decisione efficace. Senza più frontiere e senza più idee gli europei attendono una lenta fine mascherata da multiculturalismo tollerante. Tante culture senza più alcuna cultura. La forza morale che nacque dalla rivoluzione francese estinta. Si canta la marsigliese purché non si faccia nulla, per non fare nulla. Tutti invocano intelligence senza intelligenza, ci si affida alla illusione che qualcun altro risolva il problema e sembra che il 1945 non abbia mai termine, si prolunghi ai nostri giorni ma senza più la speranza di allora e senza l'America di allora. Nessun Roosvelt ci viene a soccorrere e non si vede nessun Churchill all'orizzonte. Mentre un Hitler redivivo e alle porte, anzi e' già tra di noi.

martedì 10 novembre 2015

La legge inutile sul consumo di suolo

Giorno dopo giorno viene annacquata la legge in discussione alla Commissione Ambiente della Camera sulla difesa del suolo verde in Italia. Il vino ora è talmente annacquato che è quasi diventato acqua. Le potenti lobby dei costruttori e dei proprietari terrieri, con un consenso generalizzato di tutti quelli che ci speculano, in particolare i comuni e la classe politica locale, hanno fatto pressioni e hanno raggiunto lo scopo di neutralizzare la legge. Il testo unificato che ora passa al vaglio delle altre commissioni per approdare poi in aula ha l’obiettivo teorico di azzerare entro il 2050 il consumo di suolo, introducendo una serie di vincoli progressivi sull’utilizzo dei terreni agricoli ed incentivando il riuso e la rigenerazione urbana, ma una serie di aggiunte e modifiche hanno di fatto azzerato l'efficacia della legge. L'Italia ha uno dei record mondiali sul consumo di suolo verde: 7 mq al minuto, una superficie che nell'arco di una giornata corrisponde a circa 80 campi di calcio. Nel 2014 il suolo “consumato” ha così raggiunto il 7% del territorio nazionale, contro il 6,4% del 2006, il 5,7% del 1996 ed il 2,7 degli anni ’50. Parliamo di qualcosa come 21mila chilometri quadrati, ovvero 345 metri quadri per ogni abitante. Uno dei punti deboli della legge è la genericità: non esiste infatti alcun dato certo e sarà un decreto del ministero delle Politiche agricole, di concerto con Ambiente, Beni Culturali e Infrastrutture e trasporti, a definire «la riduzione progressiva vincolante di consumo del suolo» a livello nazionale. Criteri e modalità verranno definite dalla Conferenza unificata (alla quale partecipano anche le regioni), che dovrà tenere conto delle specificità territoriali, delle caratteristiche dei suoli, delle produzioni agricole e dell’estensione delle coltivazioni (anche in chiave di sicurezza alimentare nazionale), della sicurezza ambientale, della pianificazione territoriale e dell’esigenza di realizzare opere pubbliche e fornire il suo parere entro 180 giorni dall’approvazione della legge, altrimenti subentra il governo. Il risparmio di suolo verde viene così diluito nel tempo e sottoposto ad una serie di vincoli e di pareri che renderà difficile opporsi alla cementificazione, la quale invece avanza rapida e senza vincoli, se non quelli minimi sulle licenze, spinta dal vento in poppa della speculazione e dei facili guadagni per costruttori e per i comuni che concedono le licenze.
Intanto restano fuori dalla nuova legge le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale e le opere di interesse statale e regionale. L’attuazione concreta del provvedimento compete alle Regioni che devono fissare criteri e modalità da rispettare nell’ambito della pianificazione urbanistica a livello comunale. Anche in questo caso a fronte di enti inadempienti decide il governo esercitando il proprio potere sostitutivo. Ma rimandare i criteri alla pianificazione urbanistica comunale apre la porta a qualsiasi appetito dei costruttori, che attraverso i legami interessati con i politici locali, faranno le solite pressioni per inserire "varianti" e "aggiunte" come in passato. La nuova legge prevede anche che entro il termine di 180 giorni le Regioni «dettano disposizioni per incentivare i comuni, singoli e associati, a promuovere strategie di rigenerazione urbana anche mediante l’individuazione negli strumenti di pianificazione degli ambiti urbanistici da sottoporre prioritariamente a interventi di ristrutturazione urbanistica e di rinnovo edilizio, prevedendo il perseguimento di elevate prestazioni in termini di efficienza energetica ed integrazione di fonti energetiche rinnovabili, accessibilità ciclabile e ai servizi di trasporto collettivo, miglioramento della gestione delle acque a fini di invarianza idraulica e riduzione dei deflussi». Come dire: "state calmi cari costruttori, la torta anziché ridursi si amplia" con nuove cementificazioni di aree già urbanizzate.
Le Regioni dovranno dettare anche le disposizioni per la redazione di un «censimento comunale degli edifici sfitti, non utilizzati o abbandonati esistenti», al fine di creare una banca dati del patrimonio edilizio pubblico e privato inutilizzato, disponibile per il recupero o il riuso. Spetta invece ai comuni segnalare ogni anno al prefetto, che raccoglie le segnalazioni in un apposito registro, le proprietà fondiarie in stato di abbandono o suscettibili di arrecare danno al paesaggio o ad attività produttive a causa dello stato di degrado o incuria nel quale sono lasciate dai proprietari. Questo significa che ogni rudere abbandonato in aree verdi anche di alto valore paesaggistico sarà la scusa per aprire la strada a ruspe e gru e alle gettate di cemento dietro il paravento della riqualificazione dell'area.
La legge assegna una delega specifica al governo, da esercitare entro nove mesi, per "semplificare attraverso uno o più decreti le procedure per gli interventi di rigenerazione delle aree urbanizzate degradate da un punto di vista urbanistico, socio-economico e ambientale, innanzitutto attraverso progetti organici relativi a edifici e spazi pubblici e privati, basati sul riuso del suolo, la riqualificazione, la demolizione, la ricostruzione e la sostituzione degli edifici esistenti, la creazione di aree verdi, pedonalizzate e piste ciclabili, l’inserimento di funzioni pubbliche e private diversificate volte al miglioramento della qualità della vita dei residenti, garantendo elevati standard di qualità, minimo impatto ambientale e risparmio energetico, attraverso l’indicazione di precisi obiettivi prestazionali degli edifici, di qualità architettonica, di informazione e partecipazione dei cittadini". E' così che la legge consentirà in maniera generica e con criteri aleatori l'edificazione di aree non ben definite, coprendo il vizio della speculazione e della corruzione dei politici locali dietro la virtù della riqualificazione ambientale e del risparmio energetico e della partecipazione dei cittadini - tutte parole vuote dietro cui tutto è consentito.
La legge fissa criteri "molto precisi e rigidi" per i compendi agricoli neorurali e sui mutamenti di destinazione. Vietati per 5 anni, in particolare, per le superfici coltivate che hanno beneficiato di aiuti comunitari. Ma come dimostra la storia passata delle leggi in Italia, se vengono inserite deroghe regolamentari o temporali, il "criterio rigido" viene subito aggirato e reso nullo. Dall’entrata in vigore della legge e fino all’adozione dei piani regionali, e comunque non oltre il termine di tre anni, non è consentito il consumo di suolo tranne che per i lavori e le opere inseriti negli strumenti di programmazione urbanistica e per le opere prioritarie. Ma sono fatti comunque salvi i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge che consentono il consumo di suolo inedificato, nonché gli interventi ed i programmi di trasformazione previsti nei piani attuativi. Nel caso il termine di tre anni dovesse trascorrere inutilmente "regioni e province autonome non potranno autorizzare il consumo di suolo in misura superiore al 50 per cento della media di consumo di suolo di ciascuna regione nei cinque anni antecedenti". E' ovvio che questa parte della legge in realtà consente l'edificazione in modo pressoché indiscriminato in quanto i parametri rimangono vaghi e indeterminati e salva in ogni caso tutte le procedure di edificazione in corso o già autorizzate o addirittura soltanto pianificate. Il fatto che poi si possa edificare su suolo verde col vago criterio del 50 % della edificazione nei cinque anni precedenti apre il vaso di pandora della cementificazione a tappeto e rende ridicola e inefficace tutta la legge.
Secondo il ministro dell’Ambiente Galletti e quello dell’Agricoltura Martina ora occorre passare rapidamente all’aula «per fermare lo scempio del territorio» e «preservare i suoli fertili». Mentre il Pd, col presidente della Commissione Ambiente Ermete Realacci e la relatrice Chiara Braga difendono il provvedimento, alla Camera non mancano i malumori. «L’intervento del partito del cemento ha peggiorato il testo» denuncia Adriano Zaccagni di Sel, che punta il dito contro «la delega in bianco» assegnata al governo sulla rigenerazione urbana. «ll ddl è mutato, negli ultimi due anni è andato avanti a singhiozzi e a ogni ripartenza c’è stata una sorpresina che l’ha svuotato progressivamente – dichiara Samuele Segoni, ex M5s ora deputato di Alternativa Libera -. Da un provvedimento che avrebbe dovuto contenere il consumo di suolo, si è tramutato in un testo per il rilancio dell’edilizia».
I costruttori dell’Ance invece ovviamente apprezzano la nuova legge soprattutto perchè «il mercato è fortemente cambiato, la domanda di case si è dimezzata rispetto al 2006 e le imprese sono consapevoli che si debba intervenire sul costruito, andando a intercettare una domanda che è sempre più selettiva ed esigente». Però chiedono al governo «più coraggio - spiega il presidente Claudio De Albertis -. Ci vogliono strumenti operativi, sia di tipo normativo che fiscale, poche cose che potrebbe essere adottate molto rapidamente e altrettanto rapidamente dare buoni risultati, che consentano di realizzare interventi di vera rigenerazione urbana». Ma dietro il paravento della "rigenerazione urbana" si nascondono ben altri intenti dei costruttori, i quali chiedono un rilancio della attività edilizia anche con sgravi fiscali, in un paese che ha già gran parte del territorio urbanizzato.
Con il passaggio di molte competenze dalle province ai comuni si rischia un ulteriore assalto alla diligenza (suoli verdi delle aree in passato competenza delle province che andranno alla competenza dei comuni) a cui parteciperanno al solito con voracità anche le regioni. Troppi interessi girano intorno alle aree verdi, e finché una seria legge sui suoli non intervenga sui facili guadagni del cambio d'uso, tutto sarà inutile. Una legge che blocchi in maniera efficace il consumo di suolo dovrebbe intervenire proprio alla base del problema: la speculazione sul cambiamento di destinazione del suolo verde. In un altro post su questo blog ho proposto quella che potrebbe essere una soluzione efficace: assoggettare tutti i suoli non edificati in Italia al regime delle concessioni di Stato. La proprietà privata di un suolo rurale (sia esso ad uso agricolo o meno) dovrebbe divenire una concessione dello Stato, una specie di affitto pluridecennale,che obbliga il proprietario pro tempore a mantenere il suolo nell'uso cui è stato concesso dallo Stato il quale detiene la proprietà effettiva del suolo. Questo è quanto prevede ad esempio la legge in Inghilterra. Ogni cambiamento di destinazione di quel suolo dovrebbe essere autorizzato dallo Stato: in particolare la vendita di un terreno da parte di un privato cocessionario dovrebbe essere esclusa da ogni speculazione passando per una transazione obbligatoria con il proprietario effettivo, lo Stato. Eventuali apprezzamenti di valore derivanti dal cambio di destinazione verrebbero così incamerati dallo Stato e sottratti alla speculazione. Nel frattempo la nuova legge rischia di essere un nulla di fatto e di mantenere il tasso di cementificazione del suolo immutato o addirittura aumentato.

mercoledì 4 novembre 2015

In arrivo la fusione tedesca

Al Max Plank Institut fur Plasmaphysic di Greifswald (Germania) sono vicini all'accensione del reattore a fusione, denominato Wendelstein 7-x. La macchina è stata completata l'anno scorso e ora fervono i preparativi per la verifica sperimentale della fusione e soprattutto del suo mantenimento. Il problema principale nella gestione della fusione nucleare non è innescare la fusione in sé, quanto riuscire a controllarla e mantenerla nel tempo: bisogna infatti governare le temperature altissime (100 milioni di gradi Celsius, circa 7 volte la temperatura del centro del Sole) alle quali deve essere portato il plasma affinché gli atomi possano fondersi e generare in tal modo energia. A tale scopo il sistema Wendelstein 7-x è un miglioramento del sistema tomawak di confinamento magnetico. Mentre il Tomawak (come quello del progetto ITER in costruzione a Cadarache) prevede una camera toroidale di confinamento magnetico fisso, il sistema tedesco denominato "Stellarator" presenta una camera a conformazione del tipo "a torsione" che possiede un campo variabile comandato da un software con lo scopo di mantenere costante la pressione e la temperatura del plasma reagente nella fusione. Nel Tomawak le spire che creano il campo magnetico hanno un problema: poiché gli avvolgimenti del filo sono più vicini all'interno del foro della ciambella, il campo magnetico è più forte al centro e più debole verso il bordo esterno della ciambella. Lo squilibrio provoca particelle alla deriva fuori rotta che vanno a impattare sul rivestimento e portano instabilità al confinamento. La soluzione progettata nel sistema Stellarator è di aggiungere una torsione che costringe le particelle attraverso regioni di campi magnetici variabili ma più omogenei nella camera , con effetti che si annullano a vicenda e creano stabilità al confinamento. Stellarator ha un sistema che assicura questa torsione dall'esterno. La strategia di progettazione, nota come ottimizzazione, prevede la definizione della forma del campo magnetico che meglio confina il plasma, poi la progettazione di un insieme di magneti per produrre il campo. Questa progettazione prende una notevole potenza di calcolo, e i supercomputer non erano all'altezza del compito fino al 1980. Uno dei primi tentativi di realizzare uno Stellarator con la finalità di ottimizzare la progettazione del campo magnetico fu iniziato negli Stati Uniti da parte del Nazional Compact Stellarator (NCSX) nel 2004, con una strategia di ottimizzazione diversa dai tentativi precedenti. Ma la difficoltà di costruzione e assemblaggio delle parti e la precisione millimetrica necessaria sia nella progettazione che nella realizzazione ha portato ad aumenti di costi e ritardi di pianificazione. Nel 2008, con l'80% dei principali componenti o costruiti o acquistati, il Dipartimento dell'Energia ha staccato la spina sul progetto (Science, 30 maggio 2008, pag. 1142). "Abbiamo sottovalutato il costo e sbagliato il calendario", dice L. George "Hutch" Neilson, direttore di NCSX. Ulteriori progetti di stellarator sono stati portati avanti e in corso di realizzazione, come ad esempio quello a Toki in Giappone. Nel frattempo a prendere in mano la guida avanzata del progetto si sono fatti avanti i tedeschi con la costruzione del reattore W7-X che è stato terminata nel 2014 ed è ormai prossimo all'accensione. Il governo del paese aveva dato il via libera all'iniziativa subito dopo la riunificazione nel 1993, e nel 1994 aveva deciso di istituire un nuovo istituto dipendente dal Max Plank Institut a Greifswald, nella ex Germania dell'Est, per costruire la macchina. Cinquanta membri del personale di IPP furono spostati da Garching a Greifswald, a 800 chilometri di distanza, con altri ricercatori che hanno fatto frequenti viaggi tra i siti. I nuovi assunti hanno portato l'organico fino ad oggi a 400 ricercatori. W7-X è stato programmato per iniziare la fase realizzativa nel 2006 ad un costo previsto di 0,550 miliardi di euro. Ad oggi, a macchina realizzata i costi hanno raggiunto gli 1,1 miliardi di euro. Ma proprio come era successo con lo sfortunato tentativo americano del NCSX, anche la realizzazione della macchina tedesca ha incontrato problemi enormi. La macchina dispone di 425 tonnellate di magneti superconduttori e prevede una complessa struttura di supporto con il compito di tenere refrigerati i sistemi vicino allo zero assoluto. Il raffreddamento dei magneti con elio liquido è un compito ingegneristico che Klinger, direttore della filiale di Greifswald, definisce "l'inferno sulla Terra". "Tutti i componenti freddi devono lavorare, le perdite non sono possibili, e l'accesso è molto difficoltoso" a causa dei sistemi di torsione dei magneti. Tra i magneti con la loro forma stranissima, gli ingegneri devono ottenere più di 250 aperture che permettano di fornire e rimuovere il carburante, riscaldare il plasma, e dare accesso a strumenti diagnostici estremamente precisi. Tutti gli elementi richiedono una modellazione 3D estremamente complessa. "Si può fare solo sul computer", dice Klinger. "Non si può adattare nulla in loco."Dopo 1,1 milioni di ore di costruzione, l'istituto di Greifswald ha terminato la macchina nel maggio 2014 e ha trascorso l'anno effettuando controlli di operatività, che W7-X ha passato senza intoppi. Prove con fasci di elettroni mostrano che il campo magnetico nel reattore è della forma giusta. "Tutto sembra eseguito con una estrema precisione, esattamente come dovrebbe", dice Thomas Sunn Pedersen del Max Plank Institut. L'Agenzia per l'energia nucleare tedesca ha dato il via recentemente alla continuazione dell'esperimento . Il vero test arriverà una volta che la macchina W7-X sarà piena di plasma e ricercatori verificheranno alcune condizioni di funzionamento. La misura chiave è il tempo di confinamento e il rapporto di dispersione dell'energia, il tasso al quale il plasma perde energia all'ambiente. "I ricercatori sul campo della fusione di tutto il mondo sono in attesa per vedere se nell'esperimento tedesco otteniamo il tempo di confinamento necessario e se realizziamo una reazione di fusione abbastanza lunga con una produzione di energia adeguata", dice l'americano David Gates del Princeton Plasma Physics Lab. Il successo potrebbe significare un cambiamento di rotta per la fusione. Il passo successivo dopo ITER è una centrale-prototipo che deve ancora essere progettata chiamata DEMO. La maggior parte degli esperti hanno ipotizzato che sarebbe stato una sorta di tokamak, ma ora, con quanto accade intorno al progetto tedesco, alcuni stanno iniziando a ipotizzare che la futura centrale sarà del tipo a stellarator derivata da Wendelstein 7-x. . Tutto dipenderà da come saranno i risultati dell'esperimento tedesco. Se saranno positivi, ci sarà un sacco di entusiasmo ". La realizzazione industriale della fusione potrebbe essere accelerata e alcuni gravi problemi del pianeta potrebbero cominciare ad avere risposte tecnologiche adeguate, primo fra tutti l'eccessiva emissione di carbonio in atmosfera.
(Molte delle notizie riportate nell'articolo sono tratte da Science 23 October 2015: Vol. 350 no. 6259).

martedì 27 ottobre 2015

Gli eco-ottimisti

(Nella foto Hans Rosling)
Mentre i sistemi naturali si vanno esaurendo, le specie spariscono, il mondo si trasforma in una discarica e i gas serra surriscaldano il clima, prosperano ovunque gli eco-ottimisti. Il primo in assoluto è ovviamente il papa che nella sua enciclica "ecologista" ci ha fatto sapere che basta un po' di buona volontà nel rispettare piante e animali e tutto si sistema, e soprattutto che " l’eccesso di popolazione umana non contribuisce a rendere difficile la situazione della Terra" ma anzi è un segno del ruolo preminente assegnato all'uomo dal disegno divino. Una castroneria "apostolica" verrebbe da dire. Ma alla schiera degli eco-ottimisti appartengono anche molti laici dei movimenti ambientalisti. Cito l'esempio di sedicenti esperti come Fred Pearce e Danny Dorling che lanciano messaggi rassicuranti sostenendo che la crescita demografica si concluderà presto e che i temi da affrontare sono altri. La conseguenza è che molti governi di paesi in piena esplosione demografica non vengono sostenuti nelle politiche di pianificazione familiare e di miglioramento delle condizioni di vita e nella formazione culturale e professionale delle donne. Gran parte delle Ong che lavorano nei paesi del terzo mondo non affrontano il problema della sovrappopolazione ma si limitano a distribuire aiuti a pioggia senza neanche preoccuparsi di migliorare il know how sulle tecnologie necessarie ad aumentare la produttività della terra o avviare produzioni industriali. Il messaggio ottimista che lanciano porta al contrario molte famiglie a programmare più figli perché tanto ci saranno soluzioni ai problemi della fame e della sopravvivenza. Recentemente il professore di statistica Hans Rosling ha sostenuto in un programma sulla Bbc che i problemi di sovrappopolazione e di povertà si andranno rapidamente risolvendo grazie alla tecnologia e allo sviluppo economico. Rosling cita l'esempio del Bangladesh in cui - secondo lui- le famiglie composte da due figli sono ormai la norma. Il professore poi assicura che mai come oggi sono diminuite in percentuale le persone che vivono in estrema povertà e che, citando studi delle nazioni unite (che notoriamente non ne hanno mai azzeccata una), nel giro di pochi decenni l'estrema povertà sarà eradicata dal pianeta. Perché queste informazioni mistificanti? Probabilmente si tratta di banali interessi. Molte università sono sostenute da banche e da lobbies finanziarie. Le grandi imprese vedono in un mondo sovrappopolato occasioni di mercato e di aumento di consumi. Per molti stati la crescita demografica rappresenta una occasione per incrementare il loro peso strategico sulla scena geopolitica. Poi ci sono quelli che ritengono che i problemi creati dalla sovrappopolazione verranno risolti dallo sviluppo tecnologico. Portano ad esempio la vita nelle megalopoli dove un maggior uso di tecnologie permette a milioni di persone di vivere ammassate con densità di popolazione mai viste. La falsa sensazione che il problema dell'eccesso di natalità sia di facile soluzione ritarda l'avvio di provvedimenti efficaci per il controllo delle nascite. Da parte degli organi di informazione si cita spesso il calo demografico in Europa o negli Stati Uniti come dimostrazione che l'esplosione demografica non è un problema, senza specificare che i numeri dimostrano un forte aumento della popolazione in questi paesi nonostante l'asserito calo della natalità. In realtà i tassi di natalità variano molto da zona a zona sia all'interno dei singoli paesi sia tra paesi e continenti diversi.Questo azzera ogni vantaggio di controllo demografico limitato a certe zone soltanto. Aree di rientro demografico possono coesistere con altre vicine ( o rese vicine dai veloci mezzi di trasporto attuali) in pieno boom demografico che annullano i vantaggi attesi dal calo locale. Inoltre esiste una reale inerzia demografica per cui interventi che tendono a portare al rientro demografico si rivelano in realtà di difficile attuazione. La parziale efficacia di questi interventi conduce comunque ad una crescita, per l'interferenza di altri fattori come l'allungamento della vita media o le diverse dinamiche demografiche tra città e campagna. La Cina iniziò una politica "del figlio unico" già all'inizio degli anni sessanta quando la popolazione cinese era di 600 milioni. Nonostante la legislazione sia durata (e resa più efficace negli anni 70 con divieti severi da Deng Xiao-Ping) fino ad oggi, attualmente la popolazione cinese è di 1,36 miliardi, più che raddoppiata. Figurarsi quale sarebbe l'attuale popolazione cinese senza questa legislazione restrittiva. Questo sottolinea tra l'altro l'importanza di una politica di sostegno economico e di formazione culturale verso la pianificazione, più che del mero divieto per legge. Il Global Footprint Network e la Zoological Society di Londra, ci dicono che l'umanità sta già consumando risorse ecologiche rinnovabili ad un tasso superiore al 50% della quantità che può essere prodotta in modo sostenibile, mentre le risorse ecologiche non rinnovabili sono in costante esaurimento. Le conseguenze, che sono già con noi, sono un aumento dei prezzi delle risorse e il degrado ambientale. Di tutto questo è responsabile l'antropizzazione massiccia del pianeta. Inoltre il mantenimento di una alta natalità impedisce l'industrializzazione e lo sviluppo dei paesi arretrati. Nonostante questo, gli eco-ottimisti negano che il problema esista, e al massimo se la prendono con l'eccesso di consumi, ritardando così l'iniziativa di molti governi e di molti stati verso una politica di controllo demografico in grado di ridurre la crescita. Con questo modo di fare informazione spesso si ottiene l'effetto opposto, come avvenuto in Zimbawe dove rappresentanti del governo hanno pubblicamente incoraggiato la popolazione ad aumentare il numero di figli e condannato l'uso di mezzi contraccettivi, in quanto la crescita demografica è l'unico mezzo, dicono, per migliorare le condizioni economiche del paese (maggiori aiuti internazionali, più emigrazione, più rimesse dagli emigrati, più peso strategico). Gli eco-ottimisti dettano legge anche tra gli esperti dell'Onu i quali inviano continuamente messaggi rassicuranti seguiti regolarmente da rettifiche. Ora il picco demografico è stato spostato dall'Onu a fine secolo con una previsione di undici miliardi di abitanti. E' facile prevedere che tutto verrà clamorosamente smentito da una crescita superiore alle previsioni. Nel frattempo si dilazionano i tempi per iniziare a porsi seriamente il problema di cosa fare.

mercoledì 14 ottobre 2015

La buffonata degli ecologisti sul clima

Leggo sul sito del principale movimento ecologista italiano, Legambiente, il seguente articolo evidenziato in primo piano:
"Il 2015 è un anno importante per il futuro del Pianeta: a dicembre, nel prossimo vertice delle Nazioni Unite che avrà luogo a Parigi (30 novembre/11 dicembre), si dovrà definire il nuovo accordo internazionale sul clima. Una partita non scontata. I governi dovranno assumere impegni significativi per ridurre le emissioni di gas serra, attivare aiuti per le comunità e i territori maggiormente colpiti dall'effetto devastante dei mutamenti climatici, e, non ultimo, definire strategie e investimenti per uno sviluppo senza fonti fossili. Ci stiamo avventurando verso un surriscaldamento del Pianeta di 4°C con scenari apocalittici se non interverremo rapidamente. Milioni di persone nel mondo stanno pagando le conseguenze di un sistema economico, di produzione, di consumi insostenilbile e ingiusto che va radicalmente cambiato, per salvare il clima del Pianeta, per restituire dignità e speranza alle persone.
Legambiente con la campagna "In marcia per il clima" vuole contribuire a mettere in moto il cambiamento stimolando cittadini, amministrazioni, piccole e medie imprese verso un modello di sviluppo differente, sostenibile, nel rispetto dei territori e delle comunità."
Nel caso i lettori non avessero ben capito quale è o dovrebbe essere il modello di "sviluppo sostenibile" (termine quanto mai vago, un vero "Idola Theatri" secondo la definizione di Bacone delle parole vuote di senso) secondo le menti ecologiste di Legambiente ecco una immagine chiarificatrice sempre reperibile sul sito della associazione ambientalista:
Tra l'altro nell'articolo si parla di 100% dell'energia fornita da rinnovabili. La domanda che viene alla mente spontanea è: ...e chi o che cosa fornirà l'energia necessaria a sostenere vita e consumi di dieci-undici miliardi di umani che abiteranno la Terra, come prevede l'Onu, per fine secolo?" Prosegue l'articolo di Legambiente:
"Ecco, in sintesi, gli impegni che le 50 associazioni che hanno dato vita oggi alla coalizione "Parigi 2015: mobilitiamoci per il clima", hanno deciso di affrontare in vista dell’appuntamento di Parigi. “I cambiamenti climatici rappresentano oggi un'emergenza globale e locale, che mette a rischio la vita di persone, specie ed ecosistemi – si legge nel documento approvato dalla Coalizione - In pericolo c’è la sicurezza di intere popolazioni in ogni area del pianeta, costi economici, difficoltà crescenti nell’accesso all’acqua, riduzione della produzione agricola, aggravamento delle condizioni di povertà e nuove cause di conflitto e di fuga: oggi si pongono esplicitamente questioni di giustizia climatica nel mondo. Se le cause antropiche sono ormai condivise a livello scientifico mondiale e si è tutti concordi sul fatto che in gran parte dipendono dall'esplosione negli ultimi secoli dell'utilizzo delle fonti energetiche di origine fossile e della deforestazione, oggi esistono le conoscenze e le soluzioni tecnologiche per sviluppare un'economia fossil free, che apre prospettive di nuovi settori produttivi con importanti ricadute occupazionali e che sviluppa una nuova democrazia energetica”. La COP21, che si terrà a Parigi il prossimo dicembre, rappresenta allora una tappa molto importante nella battaglia contro i cambiamenti climatici, ma molte sono le resistenze, guidate soprattutto dalle lobby delle vecchie fonti energetiche, e molte sono le timidezze che i governi stanno dimostrando. Per questo non si può dare per scontato che l'esito della COP21 sia positivo, e sia cioè varato un accordo efficace, equo e incisivo, che permetta davvero di raggiungere l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C. “Per noi oggi è necessario e urgente agire perché, grazie alla pressione dell'opinione pubblica e delle organizzazioni della società civile, si riesca a strappare un accordo legalmente vincolante e in linea con le indicazioni della comunità scientifica – dichiarano le associazioni della coalizione -. Per questo è nata la Coalizione italiana "Parigi 2015: mobilitiamoci per il clima", perché Parigi apra un percorso concreto e condiviso da tutti i Paesi, nel quadro di una responsabilità comune e differenziata in rapporto al contributo storicamente dato alle emissioni di CO2. Vogliamo arrivare con una grande partecipazione alle mobilitazioni internazionali del 28 novembre prima e di dicembre a Parigi poi”.
Primi promotori
ACLI, AIAB, AIIG, ARCI, ARCI CACCIA, ARCI SERVIZIO CIVILE, ASUD, AUSER, CEVI - CENTRO DI VOLONTARIATO INTERNAZIONALE DI UDINE, CGIL, CIA, COLDIRETTI, CTS, FEDERCONSUMATORI, FIAB, FIOM, FOCSIV, FONDAZIONE CULTURALE RESPONSABILITA' ETICA, FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L'ACQUA, GREENPEACE, ISDE-MEDICI PER L'AMBIENTE, ISTITUTO NAZIONALE URBANISTICA – INU, ITALIAN CLIMATE NETWORK, KYOTO CLUB, LA NUOVA ECOLOGIA.IT, LEGA PESCA, LEGAMBIENTE, LINK, LIPU, LUNARIA, MAREVIVO, MOVIMENTO CONSUMATORI, MOVIMENTO DIFESA CITTADINO, OXFAM, PRO NATURA, RETE DEGLI STUDENTI MEDI, RETE DELLA CONOSCENZA, RETE PER LA PACE, RINNOVABILI.IT, RSU ALMAVIVA, SALVIAMO IL PAESAGGIO, SBILANCIAMOCI, SI' RINNOVABILI NO NUCLEARE, SLOW FOOD ITALIA, SPI – CGIL, TOURING CLUB ITALIANO, UIL, UISP, UNIONE DEGLI STUDENTI, UNIONE DEGLI UNIVERSITARI, WWF ITALIA"
Direi che ci sono tutti gli eco-demagoghi italiani. Confesso che quando ho letto che"...si è tutti concordi sul fatto che in gran parte dipendono (i cambiamenti climatici ) dall'esplosione negli ultimi secoli..." mi sono detto: ecco finalmente qualcuno ha capito, finalmente si riconosce nella esplosione demografica la causa di fondo. Ma mi ero illuso. Infatti l'articolo prosegue:" dall'esplosione negli ultimi secoli dell'utilizzo delle fonti energetiche di origine fossile e della deforestazione". Quindi il riscaldamento climatico dipende soltanto -secondo costoro- dall'utilizzo di idrocarburi e deforestazione. Bene. Ma chi è che utilizza gli idrocarburi e chi è che realizza la deforestazione? Pare che la Terra sia abitata da marziani che facciano tutte queste cose e che gli uomini si trovino lì per caso. In realtà il pianeta è sovrappopolato di ben sette miliardi e trecento milioni di persone (dati di ieri) che aumentano ogni giorno di 225.000 individui. I quali, credo, saranno propensi a consumare idrocarburi e a deforestare il pianeta per le proprie esigenze di vita e di alimentazione , oltre che di spazio. Ma, dicono gli eco-demagoghi, "oggi esistono le conoscenze e le soluzioni tecnologiche per sviluppare un'economia fossil free, che apre nuove prospettive occupazionali (sic!) e che sviluppa una nuova democrazia energetica (sic! al quadrato)". Insomma continua negli ambientalisti a persistere e ad ingrandirsi il famoso "Scotòma della sovrappopolazione" nella magnifica definizione coniata da Luca Pardi. Cioè la loro visione delle cose e il loro intelletto presenta una zona cieca, un'area di pensiero rimossa (in senso freudiano), come se si trattasse di qualcosa di impronunciabile, di scandaloso, di impuro anzi di immondo e osceno. Si tratta, con tutta evidenza, di uno scotòma fatale perché la cecità riguarda il fenomeno all'origine di tutti i mali del pianeta, compreso il riscaldamento climatico: la spaventosa incredibile esplosione demografica della specie Homo avvenuta a spese dell'ambiente e di tutte le altre specie viventi del pianeta negli ultimi secoli (in particolare negli ultimi cento anni). Altro che modello carbon free. Con questi tassi di natalità e questa crescita demografica sfrenata nessuna economia sarà in grado di sostenere la crescita dei bisogni alimentari e di consumo e le richieste di qualità della vita ( le epocali migrazioni in atto lo dimostrano) degli altri miliardi che si aggiungeranno nei prossimi anni. Altro che prospettive occupazionali nelle fabbriche di mulini a vento e di pannelli solari. E dove si coltiverà la terra necessaria a sfamare gli altri miliardi che si aggiungeranno, se quella esistente si inaridisce e il clima si surriscalda? Abbattere tutte le foreste rimaste non basterà. Spazzare via gli ultimi animali selvaggi non basterà. Depredare tutta la bio-massa dei mari non basterà. I nuovi venuti chiedono di alimentarsi con la carne e vogliono viaggiare in automobile o in aereo. E non vedo nessuno Stalin o Hitler o Mao Tze Tung all'orizzonte in grado di obbligarli a cibarsi di cavallette e girare a piedi o in bicicletta.(Se mai la cosa fosse possibile mi immagino dove andrebbero a finire le famose prospettive occupazionali oltre che la pace nel mondo...). La declamata "democrazia energetica" è una perfetta sparata demagogica, un flatus vocis vuoto di senso in un mondo in cui tutte le potenze corrono a scavare nuovi pozzi petroliferi (anche col famigerato Fracking) e a costruire gasdotti. Anzi si fanno persino guerre per assicurarsi il transito del gas e del petrolio. La malattia mortale dell'ecologismo in chiave europea, cioè una ridicola visione naif del mondo, in cui lo scotòma della demografia continua ad accecarli, li condanna ad un ruolo inefficace e marginale, ad essere dei giardinieri in un pianeta asfaltato e cementificato dalla sovrappopolazione antropica che sta distruggendo la biosfera trasformandola in una tecnosfera invivibile e irrespirabile. Una tecnosfera che sta travolgendo la natura e i paesaggi, ed in cui le persone sono ridotte ad esemplari di allevamento intensivo all'interno di mostruose megalopoli.

martedì 6 ottobre 2015

Stupidità e sviluppo sostenibile

Il 25-27 settembre scorso si è svolto a New York il vertice Onu per adottare la nuova Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile con la partecipazione di oltre 150 capi di Stato e di governo. Compito della nuova agenda è di indicare gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 per assicurare uno sviluppo sostenibile al pianeta. La commissione europea è stata rappresentata dal vicepresidente Frans Timmermans , dall’alto rappresentante per gli affari esteri Federica Mogherini e dal Commissario per la Cooperazione e lo sviluppo Neven Mimica. Sono stati individuati 17 obiettivi: no alla povertà, zero fame, buona salute, educazione, eguaglianza di genere, acqua pulita, energia, crescita economica, infrastrutture, riduzione delle disuguaglianze, città sostenibili, consumi responsabili, azione climatica, vita dei mari, biodiversità, pace e giustizia, partnerships per lo sviluppo. Quello che colpisce immediatamente nel prefigurare questi obiettivi da parte dei cervelloni dell’Onu e dei politici che li supportano è la totale mancanza del tema della sovrappopolazione. Secondo i cervelloni il fatto che il pianeta terra nell’ultimo secolo abbia assistito ad una spaventosa esplosione demografica della specie Homo che ha portato da uno a sette miliardi e mezzo gli abitanti non conta nulla. Eppure i loro stessi esperti in demografia hanno recentemente allertato tutte le nazioni che la crescita demografica mondiale accelera: sono previsti non più 9, ma ben 11 miliardi per la fine del secolo. Pare, secondo i redattori dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile, che il tema sovrappopolazione non abbia alcuna attinenza con i consumi, con la devastazione ambientale, con la desertificazione delle terre, con la fame delle popolazioni povere, con l’inquinamento delle acque e dei mari, con il riscaldamento climatico. La sovrappopolazione e ciò che ne è alla base, cioè gli alti tassi di natalità che –guarda caso riguardano in particolare i paesi più poveri- non viene mai menzionata tra i diciassette obiettivi principali e i 169 obiettivi associati nell’Agenda elaborata dagli esperti Onu. Mai menzionata, neanche in secondo ordine o tra parentesi. Semplicemente l’esplosione demografica umana non è mai esistita, non esiste. Il pianeta consuma di più perché ci sono le disuguaglianze –dicono i rappresentanti Onu-, il clima si surriscalda per eccessivo ricorso ad energie sbagliate in un pianeta che vivrebbe benissimo con dieci miliardi di umani in mezzo a torri eoliche e pannelli solari (la nuova versione del paradiso terrestre). Le città crescono e si circondano di sterminate bidonville? E’ perché mancano le infrastrutture e diritti del lavoro, rispondono gli esperti naif. Le foreste spariscono e la biodiversità va a farsi fottere? Basta rendere responsabili i consumi (che cosa significa? Verrebbe da chiedere…) e improvvisamente 10 o 11 miliardi di umani vivranno in mezzo a foreste lussureggianti e tantissime varietà di animali. Eppure esistono studi documentati che le masse umane in crescita spaventosa nei paesi del terzo mondo non chiedono sequoie e farfalle, chiedono invece di vivere in città, girare in auto, volare in aereo, mangiare carne. La quale dieta carnea è alla base della trasformazione delle biomasse del pianeta in cui l’uomo e poche specie di animali da allevamento stanno facendo sparire le varietà di specie selvaggie originarie della terra ormai in via di estinzione, insieme a tente varietà di piante sostituite dalle coltivazioni. Negli ultimi 15 anni la popolazione mondiale è aumentata di 1,2 miliardi di persone. Durante tale periodo la popolazione dei paesi meno sviluppati è cresciuta ad un ritmo dieci volte superiore rispetto a quella dei paesi sviluppati, contribuendo a mantenere le economie locali arretrate e povere. La popolazione dei paesi arretrati presto supererà quella dei paesi più sviluppati (si prevede proprio nel 2030) e nel 2070 si calcola che i paesi arretrati avranno il doppio della popolazione dei paesi più avanzati. Questo sarà all’origine di sradicamenti e migrazioni più epocali di quelle odierne ma non solo. I nuovi miliardi di abitanti chiederanno più cibo, più acqua, più consumi, più carne per alimentarsi. Lo squilibrio della biomassa si accentuerà, fino alla scomparsa di quasi tutti gli animali selvaggi a favore dell’allevamento intensivo. O crediamo che i dieci miliardi di umani si accontenteranno di mangiare gli insetti e girare in bicicletta, come sembrano credere gli eco-ingenui del paradiso terrestre previsto dall’Onu? Eppure più lenti tassi di crescita demografica darebbero a quei paesi arretrati più tempo per adattarsi ai cambiamenti della popolazione. Ci sarebbero più possibilità per indirizzare le risorse a politiche di sviluppo, di espandere le economie, migliorare le condizioni di vita, educare i giovani, sviluppare infrastrutture e proteggere gli ambienti naturali. Migliorerebbero non solo problemi come la povertà, la fame, la casa, l’istruzione, l’occupazione, la salute, l’uguaglianza di genere, l’ambiente. Ridurre gli elevati tassi di crescita demografica nei paesi meno sviluppati (ed anche in quelli sviluppati) migliorerebbe le prospettive economiche e occupazionali, contribuirebbe a mantenere gli ambienti naturali, ridurrebbe la pressione migratoria verso altri paesi e garantirebbe un livello di vita dignitoso. Non solo, ma minori tassi di natalità consentirebbe, con il tempo di ridurre i conflitti politici e per le risorse, e ridurrebbe la tendenza alle guerre e alle aggressioni . L’UE con i suoi rappresentanti inadeguati (è il meno che si possa dire) non fa nulla per cambiare questa cecità delle Nazioni Unite che rasenta la follia (oltre che il ridicolo). Nessun rappresentante europeo ha posto il tema dei tassi di natalità e quindi delle reali possibilità di sviluppo sostenibile, nonostante che l’Europa sia la vittima (o meglio una delle vittime) di questa situazione sperimentando letteralmente una invasione di popolazioni povere che non trovano possibilità di cibo e lavoro nei luoghi di origine dove i tassi di natalità sono superiori a 6-7 figli per donna in media. L’Unione europea ha destinato ben 58 miliardi di euro nel 2014 in aiuti ai paesi in via di sviluppo. Tale massa di soldi avrebbe potuto essere una grande opportunità per influenzare le politiche locali nel senso di un maggior controllo della natalità con politiche e organizzazioni che operassero in favore della procreazione responsabile, dell’igiene della gravidanza, della formazione culturale femminile. Ma i rappresentanti dell’UE hanno preferito tapparsi occhi, orecchie e bocca e ignorare completamente il problema demografico, si sono adeguati ai burocrati dell’Onu e alla grande maggioranza dei governanti che vedono nella crescita demografica opportunità di potere politico e un interesse strategico. Così l’Europa continuerà a pagarne le conseguenze e il pianeta continuerà a correre verso il disastro ambientale nell’era dell’antropocene.

venerdì 25 settembre 2015

Le balle di Piazzapulita

In una delle peggiori mistificazioni cui abbia mai assistito in una trasmissione TV, il conduttore del Programma della 7 Piazza Pulita ha affermato ieri tra l'altro che l'Europa è in via di desertificazione e che l'unica salvezza per la civiltà occidentale è l'arrivo di milioni di migranti. Ricordo a Formigli, sommessamente, che l'Europa dei 27 in circa trent'anni ha quasi raddoppiato la popolazione, da 300 a 510 milioni di abitanti. In un delirio che credo abbia raggiunto vette da Centro di Igiene Mentale, Corrado Formigli ha poi affermato che l'Unione Europea ha assoluto bisogno di almeno 50 milioni di migranti nei prossimi venti anni e di 250 milioni entro i prossimi 50 anni, altrimenti assisteremo al fallimento economico dell'UE e lo spopolamento dell'Europa. Al delirio hanno contribuito i numerosi ospiti, tutti rigorosamente favorevoli al fenomeno immigratorio la cui consistenza sarebbe, a detta di tutti, falsamente esagerata in quanto si tratterebbe di una migrazione limitata con numeri reali di lieve entità. Un timido Sallusti ha compartecipato al delirio auspicando che si vadano a prendere i profughi dove necessario.Un rappresentante della Lega ha avuto il ruolo che il conduttore gli aveva riservato: un fenomeno da baraccone. Ad un certo punto è intervenuto il fotografo milionario Oliviero Toscani che ha sproloquiato di accoglienza e solidarietà ancora abbronzato dal soggiorno nella sua tenuta di svariati ettari situata nei pressi del Parco di San Rossore, ben protetta e isolata da alte recinzioni contro eventuali intrusi clandestini. Ma il meglio lo ha dato il rappresentante della Fiat e di Unicredit nella direzione del Corriere della Sera, Palo Mieli. In una sintonia completa con Formigli, evidenziata dai numeri delle tabelle che inframezzavano il suo intervento in cui si venivano evidenziate le necessità di ripopolamento dell'Europa in piena desertificazione, l'attuale direttore di RCS libri ha affermato che il nostro continente sta declinando demograficamente, che è in preda ad una spaventosa carenza di mano d'opera e di abitanti, e che l'unica speranza è che arrivino decine di milioni di immigrati nei prossimi anni. Il tutto con la sua solita sicumera da ex sessantottino non ancora demoralizzato dai numerosi fallimenti (tutti ricordano la raccomandazione di votare Prodi sull'articolo di fondo del Corriere, seguita dalla sconfitta elettorale del professore). In una delle affermazioni più paradossali di tutto il programma -vado a memoria- Formigli interrompeva le elucubrazioni dell'ex direttore del Corriere con questa frase: " il solo fatto di dare accoglienza e sostegno economico ad alcuni milioni di immigrati nei prossimi anni, porterebbe il Prodotto interno lordo europeo a crescere di quasi il 10 %". Mai frase fu più disvelante di quel che si nasconde dietro queste giaculatorie in favore di immigrazione e sovrappopolazione in un territorio già sovrassaturo di umani come l'Europa. Gettando la maschera di rappresentante del pensiero equo e solidale, il conduttore svela così il vero intento di tutti queste pseudo-ideologie solidaristiche: l'aumento del Pil e degli affari per imprese e banche. Tra i presenti spiccava il volto bonario del medico Strada, che in tutte le sue attività nei paesi del terzo mondo si è sempre guardato bene dall'intervenire in favore della pianificazione familiare e nel controllo delle nascite. In maniera stupefacente durante la trasmissione nessuno, di qualsivoglia parte politica, ha ricordato la più semplice ed evidente delle verità: che oltre le cause contingenti (guerre, carestie ecc.), la causa di fondo di tutto il fenomeno migratorio consiste negli enormi spropositati tassi di natalità che infestano vaste aree del pianeta e che sono anche all'origine della loro arretratezza economica, della mancanza di sufficienti risorse locali e persino dello scoppio di conflitti. Non solo, ma la sovrappopolazione del pianeta e i consumi connessi sono anche all'origine dei fenomeni di inquinamento ambientale, della cementificazione, della scarsità di acqua, cibo e risorse energetiche, e del cambiamento climatico. Ma l'intento della trasmissione era tutto nell'esaltazione del Mieli-pensiero: per continuare a fare affari è necessario che la popolazione aumenti, e più aumenta più si faranno affari.

mercoledì 23 settembre 2015

Il destino demografico dell'Europa (e dell'Italia)

Questa mappa mostra le variazioni medie annue nella popolazione di ciascuno dei comuni di 43 paesi europei: i Comuni in blu hanno perso popolazione, mentre quelle in rosso hanno l'hanno vista aumentare. L'intensità del colore è proporzionale a quello del cambiamento demografico: è più intenso in quelle aree in cui la variazione è superiore al 2% all'anno. I dati si riferiscono al periodo tra il 2001 e il 2011, l'ultimo disponibile. Sono stati raccolti e sviluppati dai ricercatori BBSR (Bundesinstitut für Bau-, Stadt- und Raumforschung), ente pubblico tedesco che si occupa di studi urbani e geografici. Regioni europee la cui popolazione ha registrato la maggiore crescita sono le isole britanniche, Francia e Spagna mediterranea. Quelli in cui la popolazione è diminuita di più sono i Balcani (ma bisogna considerare che mezza Romania si è trasferita in Italia) , la parte nord-occidentale della penisola iberica e gran parte dei paesi che si affacciano sul Mar Baltico. All'interno dello stesso stato, le tendenze possono variare da regione a regione. Per esempio, in tutta l'Europa nord-occidentale si vede una forte crescita nelle principali città. L'attuale situazione demografica nell'UE-27 conferma la tendenza verso una continua crescita ininterrotta dal 1960. La popolazione dell'UE-27 è cresciuta di 4,1 per 1 000 abitanti nel 2008, per effetto di una crescita naturale (cfr: Fonti e disponibilità dei dati) di 1,2 per 1 000 abitanti e di un saldo migratorio[1] di 2,9 per 1 000 abitanti. Nonostante un aumento della popolazione complessiva dell'UE-27 nel 2008, la distribuzione della variazione mostra una tendenza a concentrarsi nelle maggiori aree urbane. Senza il fenomeno immigratorio,ad eccezione della Francia, dell'Inghilterra e dell'Irlanda in cui la popolazione tenderebbe a crescere lievemente, tutte le altre aree andrebbero incontro ad un tasso di sostituzione o ad un lieve regresso della popolazione (complessivamente circa 100 mila abitanti in meno per anno considerando tutta l'area dei paesi UE).L'incremento demografico è invece attualmente positivo sia per i fenomeni immigratori che per i tassi complessivi di natalità che, considerando la differenza tra nuovi nati e nuovi arrivati e il numero dei morti, portano il tasso complessivo annuo di crescita della popolazione europea al 4,2 per 1000 ( secondo dati che riguardano l'anno 2008 si sono avuti due milioni e cento mila abitanti in più nell'Europa dei 27, di cui 1.500.000 per l'immigrazione e 600.000 per la natalità autoctona -anche essa in gran parte legata a popolazione di ex immigrati). Dati più recenti mostrano un aumento complessivo del numero annuale degli immigrati e una minore crescita dei nati autoctoni. Se notiamo le aree particolareggiate della carta europea redatta dal BBSR (ricordo che si riferisce al 2011 e non vi è ancora considerata l'accelerazione del fenomeno immigratorio degli ultimi anni) notiamo come a crescere complessivamente con una forte antropizzazione di tutto il territorio siano soprattutto la Francia, l'Irlanda e vaste zone della Spagna, il nord e il centro dell'Italia, il sud della Svezia, l'Inghilterra e la Scozia, l'area dell'ex Germania occidentale, le aree cittadine della Polonia.Tutte le grande aree urbane crescono fortemente. Fuori della UE è notevole la crescita in alcune aree della Turchia (grandi città). Crescono in maniera diffusa anche le popolazioni di Olanda e Belgio. La popolazione Italiana in assenza del fenomeno migratorio avrebbe potuto registrare un lieve calo di circa 60.000 unità per anno dal 2003 in poi. A causa della immigrazione regolare (quella illegale sfugge ad una quantificazione precisa e quindi non è compresa), il saldo demografico di crescita è consistito in circa 570.000 unità ogni anno, sempre a partire dal 2003. In sostanza, ogni due anni occorre trovare posto sul nostro già sovraffollato territorio (202 abitanti /kmq nel censimento 2012) per una nuova città delle dimensioni di Torino. Gli interessi della grande industria, dei gruppi finanziari e delle Banche (proprietarie di quasi tutti i giornali italiani) tendono ad identificare questa crescita come un fattore positivo per l'economia e una opportunità per il nostro paese. E' ovvio anche l'interesse dei costruttori, dei cementificatori, dei palazzinari e delle imprese che realizzano le infrastrutture sul nostro già martoriato e urbanizzato territorio, a vedere nella crescita della popolazione un ulteriore vantaggio e possibilità di affari (oltre che di corruzione). Sui media viene generata ad arte l'impressione che non esista alcun dissenso in merito, e che il destino del nostro paese e dell'Europa, dei paesaggi e della natura, del verde rimasto, dei suoli e delle acque di tutto il continente sia inesorabilmente segnato: teatro di una massiccia urbanizzazione, di una trasformazione in una unica infrastruttura che colleghi tra loro le aree delle megalopoli in un fitto intrecciarsi di asfalto, cemento, tubazioni, condotte, capannoni e tralicci. Areoporti, porti, stazioni, ferrovie e immense discariche di rifiuti, insieme a rigassificatori, centrali elettriche a idrocarburi, zone industriali e aree coperte da pannelli solari o colline rivestite di torri eoliche, secondo questi fautori della crescita demografica, completerebbero magnificamente il quadro paesaggistico della nuova Europa e dell'ex Bel Paese. Ultime arrivate, tanto per addolcire il panorama marino dalle nostre coste, le piattaforme di trivellazione per l'estrazione di gas e petrolio nelle coste e nei mari di Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, magari ricorrendo al fracking per aumentare la resa. Tutto questo viene fatto passare come sviluppo, come normale progresso economico e sociale, rabbonendo la popolazione con le solite giaculatorie sul fare più figli, sull'accoglienza illimitata, sulla desertificazione impellente e sullo spauracchio delle culle vuote. (Con l'occasione di questo articolo ringrazio tutti i lettori per le 200.000 visualizzazioni che il blog ha raggiunto dal primo post nel 2009)

martedì 15 settembre 2015

Il casino di un presidente

Persino il freddo e distaccato Sergio Romano, che non ama sbilanciarsi in giudizi, ha sentenziato giorni fa sul Corriere: "Washington non vuole Assad, non vuole l'Isis e non vuole Putin nel Mediterraneo. Un tale groviglio di desideri incompatibili sarebbe più facilmente sostenibile se il presidente Obama fosse disposto ad impegnare le forze americane sul terreno. Ma esclude anche quella possibilità.Ha un altro piano? Se crede ancora che una guerra, come quella combattuta dall'Isis in Siria e in Iraq, possa essere vinta con i droni, commette un errore. E commettono un errore, per le stesse ragioni, quei paesi occidentali che sembrano pronti, pur di provare la propria esistenza, a ripetere la disastrosa esperienza libica". Il Nobel preventivo della pace dato ad Obama, come tutte le cose fatte per superficialità politica, ha premiato una nullità, una assenza assoluta di idee in politica estera. Una delle sue prime mosse fu di andare al Cairo a fare un bel discorsetto alla locale Università islamica, proponendo nientedimeno che una riconciliazione tra occidente e islam. Fu accolto dai sorrisetti degli imam e dalla presa di coscienza della sua debolezza. Ha cercato poi di convincere l'Iran a denuclearizzare, prima spingendo sulle sanzioni poi, con una piroetta da tanghèro, accettando un compromesso che da di fatto il via libera all'Iran sul nucleare militare. Nella questione palestinese si è arenato subito. Un capolavoro è stata l'estromissione di Gheddafi, fatta in combutta con Sarkozy interessato al petrolio e gas libico, che ha portato al disastro della guerra civile e alla conquista delle coste da parte del partito degli scafisti. Chi ne ha pagato le conseguenze è stata l'Italia. Ma il meglio di se il presidente americano l'ha dato con la Siria. Prima ha appoggiato i ribelli senza sapere bene chi erano e ha tentato di imporre il bombardamento di Assad. Poi, dopo avere irritato la Russia, ha tentato di metterlo fuori gioco con le buone. Peccato che il buon Assad non abbia alcuna intenzione di levarsi dai piedi, specie dando retta a dei discorsetti. Poi s'è reso conto che i ribelli erano egemonizzati dall'Isis, il quale era ben armato proprio da mezzi bellici americani passati da Sauditi,Quatariani, Turchi e Irakeni doppiogiochisti. Dice Massimo Gaggi sempre sul Corriere: " La Siria è la vera croce del presidente democratico: è sugli errori e ripensamenti davanti ai massacri, i tentativi falliti di estromettere Assad, la sottovalutazione dell'Isis, l'illusione di rimettere ordine in quello che è diventato il più pericoloso crocevia mondiale del terrorismo con qualche milizia filo-occidentale sommariamente addestrata, che Obama rischia di essere giudicato in modo severo dalla Storia". In queste condizioni, mentre ormai Damasco è assediata (due quartieri sono già in mano all'Isis) e gran parte del paese è caduta sotto il governo del califfato, è normale che Putin cerchi di riempire un abissale vuoto politico e di salvare le sue basi militari e l'influenza russa nella zona. Ormai quella è terra di nessuno. I milioni di profughi che scappano verso la Grecia e l'Europa stanno veramente fuggendo la morte sotto gli attacchi del califfato. La sovrappopolazione e la natalità ha solo assicurato la massa critica dei giovani militanti e delle masse di disperati, il resto del disastro lo ha fatto la dissennata politica occidentale e in primo luogo quella ondivaga e senza senso degli Stati Uniti ( cominciata con gli errori fatti in Irak dall'amministrazione Bush).La diplomazia americana è stata presa un'altra volta alla sprovvista dalla mossa di Putin che spostando armi e soldati nella zona ha messo gli stivali russi su suolo strategico in preda al caos. Intanto il regime sciita dell'Iran è stato rimesso in gioco proprio da Obama che spera di farne un alleato nella lotta contro l'Isis, ma in questo modo non farà che certificare la debolezza americana e rinforzare la presenza di Russia e Iran nella zona con quali prospettive, viste le intenzioni degli Iraniani verso Israele, è facile immaginare. Di tutto questo fallimento politico americano (e occidentale) per adesso pagano le spese gli europei, con migrazioni epocali che non possono essere regolate perché nessuno ha la forza di farlo.Di una fantomatica guerra agli scafisti parlano gli eterei governanti europei per solleticare un ego ormai inconsistente, ma di fatto continuando a restituire le imbarcazioni ai trafficanti per non irritarli, tutte le volte che li colgono in pieno traffico. Tutto questo serva almeno di insegnamento alle alte menti che assegnano i nobel della pace: aspettare a vedere che tipo di azioni il premiato compie, prima di precipitarsi a premiarlo per manifesta simpatia politica.

domenica 6 settembre 2015

Non c'è scampo

" Allorché per dismisura d'incivilimento l'incapacità di riflettere ci rimena alle sciagure della barbarie..." (Foscolo)
Dunque non c'e' scampo. Non siamo in grado di difenderci, di difendere la nostra Terra, i nostri paesaggi, il nostro suolo verde e incontaminato rimasto. Nessuno e' in grado di difendere la natura della penisola. Non siamo in grado forse di difendere la civiltà e la natura dell'Europa intera. Non sono questi che arrivano che spaventano, non sono i barconi, i treni presi d'assalto. Non sono quelli che si vedono, ma quelli che non vediamo. Non e' la realtà ma gli spettri che si aggirano per il mondo annunciando una fine che sta sbiancando i poli, seccando i fiumi, abbattendo le foreste, gassificando la biosfera. Quello che spaventa e' quello che ancora non si vede, e' l'ondata che si sta preparando nella profondità abissale dei continenti in esplosione demografica, e' il futuro inimmaginato e inimmaginabile quello che spaventa. Quello che spaventa e la incapacità di percepire le responsabilità,di comprendere l'origine del bene e del male. E' una seconda cacciata dal Paradiso terrestre, cioè dal pianeta Terra, forse quella definitiva. Si attribuisce la responsabilità della morte di un bimbo (chissà perché solo quello) e di migliaia di disperati alla civiltà occidentale con un senso di colpa che prelude al suicidio, e non si riconoscono gli assassini reali, vivi e vegeti che massacrano e scannano innocenti a qualche decina di chilometri. Non e' che l'inizio, e allo stesso tempo non e' che la fine. Ci attende una invasione enorme, epocale, secolare o millenaria, che trasformerà tutto, il mondo che conosciamo, i valori che condividiamo, le città a misura d'uomo (uomo di un altro tempo) che rimarranno un ricordo nel nuovo mondo fatto di megalopoli e asfalto. La Nato dice che durerà 20 anni, hanno sempre detto così:"durerà ancora qualche anno l'esplosione demografica di Homo poi ci sara' la transizione demografica e tutto tornerà normale". Lo dicevano sessanta, cinquanta, quaranta anni fa. Lo ripetono come una cantilena tranquillizzante i demografi, l'Onu, gli studiosi. Tutto falso. Il mondo soffoca sotto miliardi e miliardi di Homo inquinatori, che trasformano tutto quello che toccano, cementificano scavano tunnellizzano estraggono sbancano abbattono, producono rifiuti, tossici, veleni, pesticidi, acidi, corrosivi, fumi, diossine, chimica chimica per tutti per uomini piante e animali, asfaltano, sversano,bruciano, elettrificano, bombardano di radiazioni, ionizzano, strutturano, distruggono, consumano, esauriscono, carbonizzano l'atmosfera. Una delle più grandi invenzioni del novecento, i campi di concentramento, dopo essere stata sperimentata sulle persone viene ora estesa agli animali, da uccidere e macellare in maniera industriale per soddisfare le brame onnivore di sette militari e mezzo di Homo. Ci dicevano fino a poco tempo fa del picco di nove miliardi di Homo in questo secolo.Poi hanno detto dieci. Ora l'Onu stesso (che tutto minimalizza) ci dice dodici, ma forse 18, forse 20 miliardi. Una marea senza fine ne limiti. E non c'e' salvezza, non ci sara' salvezza se i numeri saranno questi. Il Papa,secoli fa guida spirituale dell'Europa,farnetica di un uomo padrone del creato e vieta ancora, ancora oggi che la rovina demografica ci e' davanti, la pillola e i preservativi, favorendo le nascite in luoghi dove le donne sono bestiame da parto, dove l'eccesso di bocche da sfamare impedisce qualunque sviluppo. In certe notti piene di incubi vedo la fine dell'Occidente iniziata nel 1914. Le premesse c'erano già nell'uso pazzo fatto dall'uomo della tecnica. E' una malattia cominciata nel 600. Ma la data del 1914 e' quella dell'inizio della fine. Nei campi di morte della Somme e Ardenne e sui monti del Carso si e concretizzata una follia autodistruttiva della civiltà di Cartesio e Kant, di Locke e di Voltaire.La civilta' laica basata sulla conoscenza che era cominciata nell'Atene di Pericle. Oggi non assistiamo che all'epilogo. Il trionfo di Darwin non poteva essere più completo verso una civiltà che non lo ha mai accettato. La civiltà occidentale e già morta da un pezzo, da circa un secolo. Due guerre mondiali in pochi anni erano il segno infausto di una morte annunciata. La degenerazione totalitaria era il segno della follia con i suoi milioni di vittime, con i suoi forni crematori, una malattia delle radici, malattia mortale nonostante ogni vittoria delle cosiddette democrazie ormai in preda al delirio consumistico. La guerra del 14 non e' finita, sta finendo oggi dentro le nostre città , nell'apatia dei nostri giovani verso i valori fondanti, nel non dominio della legge, nell'abiura della libertà, nel non riconoscimento delle differenze, nella nientificazione dei confini e della terra, nei diritti di Homo portati a valori assoluti contro tutta la natura, senza doveri e senza obblighi di rispetto per il suolo verde che ci nutre e verso gli animali che ci accompagnano nella nostra appartenenza al pianeta. Non e' quello che si vede che mi spaventa, ma quello che non si vede. Non e' il presente che preoccupa, ma il futuro che si prepara.

sabato 22 agosto 2015

Stephen Emmott: 10 miliardi




Volete sapere come la penso?  Penso che siamo fottuti “. A parlare così non è uno qualunque. E’ Stephen Emmott uno scienziato titolare della cattedra di Scienze Computazionali a Cambridge, esperto di scienze naturali e modelli di sistemi biologici complessi. Nel 2013 è uscito il suo libro: “10 miliardi “ in cui denuncia la minaccia che sta distruggendo la Terra ma di cui nessuno parla: l’esplosione demografica della specie Homo. Emmott è pessimista, anche perché nessuno si preoccupa seriamente del problema, le poche iniziative delle organizzazioni internazionali sono fallite, e ormai la situazione è troppo degradata per sperare che si riesca a salvare il pianeta. Ma non si può bollare semplicemente come catastrofista, Emmott infatti parla con i dati scientifici che possediamo, con i numeri che la situazione attuale ci pone di fronte. Anzi, proprio per evitare l’accusa di catastrofismo, si attiene alla visione in parte ottimistica dei dati dell’Onu sui tassi di fertilità: la previsione dei dieci miliardi per questo secolo si basa su tassi di fertilità che gli esperti Onu sperano si possano ottenere nei prossimi decenni. Essi sono inferiori agli attuali  che se rimanessero tali vedrebbero la popolazione mondiale schizzare a 28 miliardi, un dato che equivarrebbe alla fine della vita sul pianeta Terra.  Il suo è un grido di angoscia che vuole svegliare questa umanità cieca e sorda che sta divorando la Terra senza mostrare un minimo barlume di comprensione del problema. Davanti ai nostri occhi si consuma la fine della biosfera senza che  nessuno intervenga per fare le cose necessarie. Al contrario in tutti i media e in tutte le parti politiche (compresi i falsi ecologisti!)  prevale la retorica del “fare figli è bello” e che “oddio ci stiamo spopolando”. Una suprema stupidità per una fine, a questo punto, giusta e meritata.  Riporto di seguito un breve sunto del libro.

“ Noi umani siamo emersi come specie circa 200.000 anni fa. Per i tempi geologici, ciò è davvero incredibilmente recente.
 Solo 10.000 anni fa, c'erano un milione di noi. Nel 1800, solo poco più di 200 anni fa, eravamo 1 miliardo. Nel 1960, 50 anni fa, eravamo 3 miliardi. Ora siamo più di 7 miliardi. Nel 2050, i vostri figli, o i figli dei vostri figli, vivranno su un pianeta con almeno 9 miliardi di altre persone. A un certo punto verso la fine del secolo, ci saranno almeno 10 miliardi di esseri umani. Probabilmente di più. Siamo giunti dove ci troviamo ora attraverso diverse civiltà – e società – che hanno “dato forma” agli eventi, tra le più importanti: la rivoluzione agricola, la rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale e – in Occidente – la rivoluzione dell'assistenza sanitaria pubblica. Nel 1980, c'erano 4 miliardi di noi sul pianeta. Solo 10 anni dopo, eravamo 5 miliardi. Da questo punto si sono cominciate a vedere le conseguenze della nostra crescita. Non ultima  quella sull'acqua. Il nostro fabbisogno d'acqua – non solo l'acqua che beviamo, ma l'acqua di cui abbiamo bisogno per la produzione di cibo e per fare tutte le cose che stiamo consumando – sta andando alle stelle. Ma all'acqua sta cominciando ad accadere qualcosa. Nel 1984, i giornalisti hanno scritto dall'Etiopia di una carestia di proporzioni bibliche causata da siccità diffuse. Molte aree del medio oriente e dell’Africa stanno sperimentando crisi di siccità. Siccità inusuale, e alluvioni inusuali, stanno aumentando ovunque: Australia, Asia, USA, Europa. L'acqua, una risorsa vitale che pensavamo fosse abbondante, ora è improvvisamente divenuta potenzialmente scarsa.
Prendiamo un aspetto importante, per quanto poco conosciuto, dell'aumento dell'uso di acqua: “l'acqua nascosta”. L'acqua nascosta è l'acqua usata per produrre le cose che consumiamo ma delle quale non pensiamo possano contenere acqua. Tali cose comprendono pollo, manzo, cotone, automobili, cioccolato e telefoni cellulari. Per esempio: ci vogliono circa 3000 litri d'acqua per produrre un hamburger. Nel 2012, sono stati consumati circa 5 miliardi di hamburger solo nel Regno Unito. Sono 15 trilioni di litri di acqua, in hamburger. Solo nel Regno Unito. Qualcosa come 14 miliardi di hamburger sono stati consumati negli Stati Uniti nel 2012. Sono circa 42 trilioni di litri d'acqua. Per produrre hamburger negli Stati uniti. In un anno. Per produrre un pollo ci voglio circa 9.000 litri d'acqua. Nel solo Regno Unito abbiamo consumato circa un miliardo di polli nel 2012. Per produrre un chilogrammo di cioccolato ci vogliono circa 27.000 litri d'acqua.
Un’altra conseguenza della sovrappopolazione umana e della attività antropica sono i cambiamenti climatici.
I dieci anni più caldi mai registrati sono stati dopo il 1998. Sentiamo il termine “clima” ogni giorno, quindi vale la pena pensare a cosa intendiamo veramente con esso. Ovviamente, “clima” non equivale a tempo meteorologico, Il clima è uno dei sistemi di supporto vitali della Terra, che determina se noi esseri umani possiamo o no vivere su questo pianeta. E' generato da quattro componenti: l'atmosfera (l'aria che respiriamo), l'idrosfera (l'acqua del pianeta), la criosfera (le calotte glaciali e i ghiacciai), la biosfera (le piante e gli animali del pianeta). Ormai, le nostre attività hanno iniziato a modificare ognuna di queste componenti.

La richiesta di terreno per il cibo  raddoppierà – come minimo – nel 2050 e triplicherà per la fine di questo secolo. Ciò significa che la pressione per radere al suolo (per l'uso umano) molte delle foreste pluviali che rimangono si intensificherà ad ogni decennio, perché questo è pressoché l'unico terreno disponibile rimasto per espandere l'agricoltura su scala mondiale, specialmente in certe aree. A meno che la Siberia non si scongeli prima che finiamo di deforestare. Nel 2050, è probabile che 1 miliardo di ettari di terreno saranno deforestati per soddisfare la domanda di cibo in aumento da parte di una popolazione in aumento. E' un'area più grande degli Stati Uniti. E ad accompagnare questo ci saranno 3 gigatonnellate all'anno di ulteriori emissioni di CO2.
La Siberia, liberandosi dai ghiacci, trasformerebbe la Russia in una notevole forza economica e politica in questo secolo, per via delle sue risorse minerali, agricole ed energetiche appena scoperte. Ciò sarebbe accompagnato inevitabilmente dal fatto che ampi depositi di metano – attualmente intrappolati sotto il Permafrost siberiano della tundra – vengano liberati, accelerando ulteriormente il problema climatico.
Nel frattempo, altri 3 miliardi di persone avranno bisogno di un posto in cui vivere. Nel 2050, il 70% di noi vivrà nelle città. Sotto i nostri occhi sta avvenendo una crescita esponenziale della popolazione di molte città che si trasformano in megalopoli, spesso invivibili con una qualità della vita bassa. Questo secolo vedrà la rapida espansione territoriale delle città, così come la nascita di città completamente nuove che non esistono ancora. Vale la pena di menzionare il fatto che delle 19 città brasiliane che hanno raddoppiato la loro popolazione nei decenni passati, 10 sono in Amazzonia. Tutte queste useranno più territorio.

Attualmente non abbiamo nessun mezzo conosciuto per riuscire a sfamare 10 miliardi di noi al ritmo di consumo attuale e con l'attuale sistema industriale. Infatti, solo per sfamare noi stessi nei prossimi 40 anni avremo bisogno di produrre più cibo di tutta la produzione agricola degli ultimi 10.000 anni messa insieme. Tuttavia, la produttività alimentare è sulla via del declino, probabilmente in modo netto, durante i prossimi decenni a causa di: cambiamento climatico, degrado e desertificazione del suolo – entrambi i quali stanno aumentando rapidamente in molte parti del mondo – e stress idrico. Per la fine del secolo, vaste aree del pianeta non avranno più acqua utilizzabile. Inoltre l’uso massiccio dei fertilizzanti chimici, necessari per aumentare il rendimento della terra, sta inaridendo il terreno, inquinando le acque, asfissiando la vita di fiumi, laghi, acque costiere con un generale impoverimento di ossigeno.

Allo stesso tempo, il settore delle spedizioni e quello aereo sono proiettate verso una espansione rapida  ogni anno, anno dopo anno, intorno al pianeta, trasportando più persone  e più  cose che vogliamo consumare. Questo ci causerà enormi problemi in termini di emissioni di CO2, più utilizzo di idrocarburi, e più inquinamento da estrazione e lavorazione di tutta questa roba. Ma pensate a questo. Nel trasportare noi stessi e le nostre cose per tutto il pianeta, noi stiamo creando anche una rete molto efficiente per la diffusione di malattie potenzialmente catastrofiche. C'è stata una pandemia globale solo 95 anni fa – la Spagnola, che ora si stima abbia ucciso fino a 100 milioni di persone. E questo prima che una delle nostre innovazioni più discutibili – le linee aeree low cost – fossero inventate. La combinazione di milioni di persone che viaggiano in tutto il mondo ogni giorno e di altri milioni di persone che vivono in prossimità estrema a maiali e pollame o di animali selvaggi che finora erano vissuti in aree spopolate come avviene in Africa e in Asia –   rendendo più probabile il salto di specie dei virus ( come avvenuto per l’HIV, per il virus Lebola, e per fortuna parzialmente con la SARS)– significa che stiamo aumentando, significativamente, la probabilità di una nuova pandemia globale. Quindi non c'è da stupirsi che gli epidemiologi siano sempre più d'accordo sul fatto che una nuova pandemia ora sia una questione di “quando” e non di “se”.
Per il problema dell’energia la situazione è già ora delle più difficili. Per soddisfare la domanda attesa, dovremo almeno triplicare – come minimo – la produzione di energia per la fine del secolo. Per soddisfare tale domanda, dovremo costruire, approssimativamente, qualcosa come: 1.800 delle dighe più grandi al mondo, o 23.000 centrali nucleari, 14 milioni di pale eoliche, 36 miliardi di pannelli solari o continuare prevalentemente con le riserve petrolio, carbone e gas – e costruire le 36.000 nuove centrali a idrocarburi di cui   avremo bisogno. Le nostre riserve di petrolio, carbone e gas da sole valgono trilioni di dollari. I Governi e le grandi aziende di petrolio, carbone e gas – alcune delle più influenti multinazionali della Terra – decideranno davvero di lasciare i soldi sottoterra, mentre la domanda di energia aumenta senza sosta? Ne dubito.
Nel frattempo, il problema climatico emergente si trova su una scala completamente diversa. Il problema è che potremmo essere diretti verso un certo numero di “punti di non ritorno” nel sistema climatico globale. C'è l'obbiettivo globale politicamente condiviso - guidato dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – di limitare l'aumento della temperatura media globale a +2°C. Il fondamento logico di questo obbiettivo è che un aumento al di sopra dei 2°C porta a rischi significativi di cambiamento climatico catastrofico che porterebbero quasi certamente a “punti di non ritorno” planetari, causati da eventi come la fusione della piattaforma di ghiaccio della Groenlandia, il rilascio dei depositi di metano ghiacciato dalla tundra artica, o il degrado dell'Amazzonia. Di fatto, i primi due stanno già avvenendo ora, al di sotto della soglia dei +2°C.
Nei decenni lungo il tragitto che stiamo seguendo , saremo testimoni di estremi eventi atmosferici senza precedenti, incendi, alluvioni, ondate di calore, perdita di raccolti e foreste, stress idrico e aumento del livello del mare con inondazione di aree costiere.
I paesi più “fortunati”, come il Regno Unito, gli Stati Uniti e gran parte dell'Europa, potrebbero divenire simili a paesi militarizzati, con pesanti controlli in difesa dei confini al fine di evitare l'ingresso di milioni di persone, persone che si stanno muovendo perché il loro paese non è più abitabile, o vi sono riserve di  acqua insufficienti per il cibo o che sta vivendo dei conflitti per le risorse sempre più scarse. Queste persone saranno “migranti climatici”. Il termine “migranti climatici” è un termine al quale ci dovremo abituare sempre di più, insieme a quello di migranti per eccesso di nascite in aree con poche risorse. Infatti, chiunque pensi che l'emergente stato globale delle cose non abbia un grande potenziale per un futuro conflitto civile e internazionale illude sé stesso. Non è una coincidenza che quasi ogni conferenza scientifica alla quale vado sul cambiamento climatico, ora abbia un nuovo tipo di partecipante: i militari. In ogni modo la guardiamo, un pianeta di 10 miliardi si presenta come un incubo. Quali sono, quindi, le nostre opzioni?
La sola soluzione che ci rimane è quella di cambiare comportamento, radicalmente e globalmente, ad ogni livello. In breve, abbiamo urgentemente bisogno di consumare meno. Molto meno. Radicalmente di meno. E dobbiamo conservare di più. Molto di più. Per ottenere un tale cambiamento radicale nel comportamento, avremmo bisogno anche di un'azione governativa radicale. Ma per quanto riguarda questo tipo di cambiamento, attualmente i politici sono parte del problema, non parte della soluzione, perché le decisioni che devono essere prese per attuare un significativo cambiamento di comportamento dei cittadini rendono inevitabilmente i politici molto impopolari e loro ne sono del tutto consapevoli.
Quindi, ciò per cui hanno invece optato i politici è una diplomazia fallimentare. Per esempio: il UNFCCC (UN Framework Convention on Climate Change), il cui lavoro è stato per 20 anni di ottenere la stabilizzazione dei gas serra nell'atmosfera: fallito. Il UNCCD (UN Convention to Combat Desertification), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di fermare il degrado dei terreni e la desertificazione: fallito. Il CBD (Convention on Biological Diversity), il cui lavoro è stato per 20 anni quello di ridurre il ritmo di perdita della biodiversità: fallito. Questi sono solo tre esempi di iniziative globali fallite da parte del principale organismo politico internazionale. L'elenco è tristemente lungo.
E che dire degli affari? Nel 2008, un gruppo di economisti e scienziati molto rispettati guidati da Pavan Sukhdev, allora un economista anziano della Deutsche Bank, ha condotto un'autorevole analisi economica del valore della biodiversità.
Sukhdev ha poi dichiarato: “Le regole del commercio devono essere urgentemente cambiate, in maniera che  le multinazionali competano sulla base dell'innovazione, della conservazione delle risorse e la soddisfazione delle richieste delle diverse parti in causa, piuttosto che, come ora avviene, sulla base di chi è più efficace nell'influenzare le regole governative, evitando tasse e ottenendo sussidi per attività dannose per massimizzare il ritorno per gli azionisti”. Penso che ciò potrà accadere? No.
 E per quanto riguarda noi?
I cambiamenti nel comportamento che ci vengono richiesti sono così fondamentali che nessuno vuole metterli in pratica. Quali sono? Noi dobbiamo consumare meno. Molto meno. Meno cibo, meno energia, meno cose. Questo è sicuro. Ma non abbiamo ancora trovato una chiave politica che possa portarci a questo risultato. Inoltre i paesi che stanno ottenendo sviluppo attualmente non ne vogliono sapere di cambiare parametri. E quelli già sviluppati stanno cercando di aumentare il Pil anche per soddisfare le popolazioni affluenti con le migrazioni, e non ne vogliono sapere di ridurre i loro consumi.
Ma anche se fossimo in grado di ridurre di molto i consumi, tutto questo non può bastare a salvare il pianeta se continueremo con l’attuale esplosione demografica. La specie Homo con la propria crescita incontrollata sta cambiando irreversibilmente e in maniera autodistruttiva il proprio ambiente e l’ecosistema complessivo del pianeta. La peggior cosa che possiamo continuare a fare – globalmente – è quella di avere figli al ritmo attuale. Se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di esseri umani ma molti di più. Secondo le stime  delle Nazioni unite, la popolazione dello Zambia è prevista in aumento del 941% per la fine del secolo.

La popolazione della Nigeria in crescita del 349%, fono a 730 milioni di persone.
L'Afghanistan del 242%.
La Repubblica democratica del Congo del 213%.
Il Gambia del 242%.
Il Guatemala del 369%.
L'Iraq del 344%.
Il Kenya del 284%.
La Liberia del 300%.
Il Malawi del 741%.
Il Mali del 408%.
Il Niger del 766%.
La Somalia del 663%.
L'Uganda del 396%.
Lo Yemen del 299%.

Persino la popolazione degli Stati Uniti è prevista in crescita del 54% per il 2100, da 315 milioni nel 2012 a 478 milioni. Voglio solo sottolineare che se l'attuale ritmo globale di riproduzione continua, per la fine del secolo non ci saranno 10 miliardi di persone, ce ne saranno 28 miliardi.
Solo un idiota negherebbe che c'è un limite al numero di persone che la Terra può sostenere. La domanda é, sono 7 miliardi (la nostra popolazione attuale), 10 miliardi o 28 miliardi? Penso che abbiamo già superato quel limite. Di gran lunga.

La scienza è essenzialmente scetticismo organizzato. Io passo la mia vita cercare di provare che il mio lavoro sia sbagliato o a cercare spiegazioni alternative ai miei risultati. E' chiamata condizione popperiana della falsificabilità. Spero di sbagliarmi. Ma la scienza va in una direzione che dice che non mi sto sbagliando. Possiamo a ragione chiamare la situazione un'emergenza senza precedenti. Abbiamo urgentemente bisogno di fare – e intendo fare realmente – qualcosa di radicale per evitare la catastrofe globale. Ma non credo che lo faremo. Penso che siamo fottuti. Ho chiesto ad alcuni dei più razionali e brillanti scienziati che conosca – uno scienziato che lavora in questo campo, uno giovane e uno del mio laboratorio – se ci fosse stata una sola cosa che doveva fare per la situazione che abbiamo di fronte, quale sarebbe stata? Uno di loro sapete come ha replicato? “Insegnare a mio figlio come usare una pistola”

(Stephen  Emmott: Dieci Miliardi. Feltrinelli serie bianca)