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martedì 12 luglio 2011
1950-2011 La Distruzione di Roma (prima parte)
Dal dopoguerra al 1970.
Secondo la scienza semiotica è possibile studiare la conformazione esteriore di un oggetto, la simbologia che lo sottende, il suo senso, e da questo studio interpretare il pensiero che ne è alla base e all’origine. Così vedendo e studiando l’espansione urbanistica di Roma a partire dal dopoguerra, analizzandone i singoli elementi, la conformazione dei manufatti, i suoi costituenti materiali, la loro rispondenza a regole e leggi, la loro valenza economica e sociale, è possibile risalire non solo alla politica, all’economia, agli ideali che hanno sostenuto quella urbanizzazione, ma al pensiero degli uomini che vi hanno dato luogo. Un pensiero che si esprime in pochi concetti: svalutazione del territorio, rapina, corruzione, impotenza politica, mancanza di cultura di governo, sopraffazione, violenza. L’urbanizzazione di Roma, avvenuta come è noto a cominciare dal dopoguerra in seguito ad un intenso flusso immigratorio di lavoratori e impiegati meridionali protrattosi poi anche negli anni 60 e 70, ad una grave carenza di abitazioni e in mancanza di un vero piano regolatore, si può distinguere in quella legale e in quella illegale. Per capire l'entità del fenomeno e la carenza di abitazioni si deve considerare che la città alla fine degli anni 30 aveva circa mezzo milione di abitanti. In pochi decenni quindi si è assistito ad un aumento vertiginoso della popolazione, in pratica quasi un milione di persone in più. Le costruzioni abusive e al di fuori di ogni regola nel territorio di Roma sono di tale entità da avere pochi altri esempi simili al mondo, con l’eccezione del comune e della provincia di Napoli. Lo scempio senza pari è frutto di una mentalità, di una cultura della illegalità perfino degli stessi legislatori, della corruzione, della mancanza di scrupoli, della imbecillità di un’intera classe dirigente, di amministratori, di imprenditori. Al fenomeno immigratorio si poteva far fronte con una programmazione lungimirante regolata da leggi semplici ed efficienti con attenzione alle necessità della gente e altrattanta alla qualità edilizia e al rispetto del territorio. Invece si procedette lasciando fare a corruzione e illegalità, con un misto di demagogia popolare e di trombonismo politico e di incapacità a programmare e regolare il fenomeno. Ma veniamo alla edificazione legale. Numerose leggi di quegli anni, dietro copertura della necessità sociale, avevano avallato deroghe a piani regolatori o inesistenti o evanescenti. L’unico Piano Regolatore faticosamente approvato, dopo il lavoro di innumerevoli commissioni, nel 1962 e vanificato dopo il 1965 per contrasti, deroghe, cambiamenti e ripensamenti, non riuscì neppure ad impedire l’edificazione criminale e scandalosa del parco storico e paesaggistico dell’Appia. Quelle poche leggi di regole edilizie esistenti non erano rispettate e nessuno le attuava. I controlli non esistevano o erano pilotati. Gli edifici erano di una miseria progettistica e economicità realizzativa da sbalordire solo a vederli, figurarsi ad abitarvi. Il pauperismo da mentecatti con cui furono ideati dai committenti pubblici e privati era da comica: non furono previsti garage condominiali in quanto i garage erano considerati elementi di lusso e quindi appartenenti ad una visione "borghese" dell'edilizia. Il risultato fu che i casermoni, circondati da vie strettissime perennemente intasate di auto in sosta, erano doppiamente invivibili dentro e fuori, sia dai proletari che dai borghesi. Anche nella Roma umbertina di fine ‘800 e di inizio ‘900 si costruiva con la corruzione, ma almeno c’era ancora un minimo di dignità a cui architetti e costruttori si attenevano, dignità ancora oggi visibile nei palazzi di qualità che rendono Prati e Piazza Mazzini un quartiere accettabile. La dignità e ogni senso di vergogna furono abbandonati nel dopoguerra. Dagli anni 1950 al 1970 si sono edificati numerosi quartieri dell’orrore: il nuovo salario, nomentano, la zona della cassia-trionfale, il tiburtino, l’appio-tuscolano, il prenestino-casilino e tutte le altre degradate periferie romane edificate in quegli anni. Tutte le zone sono state edificate in economia povera, con materiali scadenti, senza alcun criterio estetico o di valorizzazione ambientale, con l’uso massiccio di cemento, di materiali tossici (eternit, catrami ecc.), con una viabilità ridotta al minimo sia in ampiezza che in numero per meglio sfruttare commercialmente i terreni con una edificazione massiva. Qui si rivela una concezione che vede il territorio (il territorio di Roma !) come un mero oggetto, anzi come un mero oggetto di rapina. Un elemento di quegli anni che assurge a simbolo dello sprezzo del territorio e di un pur minimo criterio estetico ambientale fu la costruzione della famigerata strada a forte scorrimento “sopraelevata” che corre tra gli edifici nel quartiere tiburtino-san giovanni, resa famosa dai film di Fantozzi. Basta passeggiare nelle vie del quartiere tiburtino appena fuori dal Verano e da Portonaccio per rendersi conto che stiamo parlando di un vero e proprio disastro ambientale, sociale e culturale. L’idea di città, la concezione valoriale dell’idea di città che avevano le classi dominanti a Roma negli anni ’50-’60 è quella che appare osservando gli orribili manufatti-dormitorio del tiburtino terzo. Come si fa con Auschwitz ci si portino i ragazzi delle scuole, così come ci vadano coloro che vogliono fare i politici, o gli studenti di architettura: quei casermoni esprimono meglio di tanti discorsi il concetto di come un pensiero sbagliato può distruggere il pianeta e dar luogo ad un incubo materializzato. Questo disastro fu concepito con un rispetto minimo ma formale delle leggi edilizie allora vigenti, tra l’altro con numerosi interventi di edilizia sociale pubblica di infima qualità. L’orrore estetico si accompagna nel caso della periferia romana, all’orrore morale. La tecnica criminale con cui ci si arricchiva illegalmente con l'edificazione massiva a scapito di contadini e piccoli possidenti ingenui e ignari delle capacità criminali di pubblici amministratori era la seguente: i terreni agricoli venivano acquistati a quattro soldi da costruttori criminali o dagli stessi politici corrotti, spesso taglieggiando e minacciando i proprietari con lo spettro dell'esproprio, poi con opportune varianti al piano regolatore i terreni agricoli venivano fatti divenire edificabili. A questo punto si procedeva all’edificazione massiva dei terreni o si rivendevano a prezzo decuplicato arricchendo così speculatori, costruttori e amministratori e lasciando i contadini e vecchi proprietari con le pive nel sacco. Ma un danno ancora peggiore avvenne negli anni 1970-1980. Questo decennio può avere, per quel che riguarda la città di Roma e del suo territorio, un unico tragico titolo: la distruzione dell’Agro Romano.
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