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domenica 17 luglio 2011

La Distruzione di Roma (seconda parte)

Dal 1970 al 1980: La fine dall’Agro Romano.

«Non v’è su tutta la terra spettacolo che uguagli in ricchezza di emozioni quello che la
Campagna Romana presenta
» (George Byron).

«Bella era quella muta, deserta campagna romana, sparsa dei ruderi degli antichi templi e,
nell’ineffabile pace diffusa intorno, ardente dell’oro di fiori gialli o accesa dalla bragia rovente dei
papaveri selvatici
» (Nikolaj V. Gogol).


Un decennio. Tutto è avvenuto in un decennio. Sparite, cancellate per sempre, per sempre, le vigne cariche d’uva delle ottobrate. Sparite la pianura e le colline verdi d’alberi, di piante d’olivo e di frutta, di grano. Sparite le mandrie di bovini, sparite le trasparenze, i pantani, le giuncaie, le ninfee, le nebbie tra la vegetazione, i boschi di lecci e castagni, i tramonti di un rosso sfumato nel rosa, gli antichi fontanili, le fonti circondate dall'ombra di alberi maestosi, i campi interrotti da antiche rovine…Tutto sostituito da una immane colata di cemento e asfalto, tutto coperto da muri sbrecciati, da piloni incompiuti, da manufatti degradati, uno squallore diffuso. Quello che si vede è un grido che lacera l'animo, un'offesa all'essenza dell'uomo, qualcosa che procura un dolore indicibile che nessuna parola scritta può riprodurre: conviene andare a vedere, constatare con i propri occhi. Non tutto è avvenuto in quel decennio, la devastazione è antica: già nell’ottocento l’attività umana aveva alterato il paesaggio, poi il suo contributo l’aveva dato il Fascismo con le bonifiche, con l’edificazione di ferrovie, strade asfaltate, nuovi centri abitati e intere nuove città. Nel dopoguerra c'erano state le prime baraccopoli, le prime prove di abusivismo a tappeto. Ma nel decennio ’70-’80 avvenne la sparizione irrevocabile, irrecuperabile da cui mai si potrà tornare indietro. Non è solo sparita fisicamente la campagna romana, ne è sparita l’anima millenaria.
Sono sorte dal nulla intere città tutte abusive , tragicamente, perché espressione di una natura umana infelice. Hanno nomi che suonano strani: Montespaccato, Guidonia, Ciampino, Finocchio, Morena, Torre Maura, Rustica, Corcolle, Labaro. Sgraziati come se riflettessero nei nomi l'estetica mostruosa. Abusive ma poi legalizzate da tante scandalose incomprensibili sanatorie. Siamo il paese del cattolicesimo: prima pecchi ma poi vieni perdonato e assolto. Un invito ad aggirare la legge, ogni legge. Non riesco ad abituarmi. Ogni volta che per lavoro torno nella periferia est di Roma, quella che guarda verso i colli che da Tivoli arrivano ai laghi vulcanici di Albano, sorge in me l’indignazione e la rivolta. Indignazione e rivolta nel vedere come, nel silenzio di tutti (con l'unica notevole eccezione di Antonio Cederna), si sia proceduto in appena un decennio dal 1970 al 1980, al saccheggio sistematico, regolare, minuzioso, metro per metro, di uno dei tesori assoluti ambientali dell’umanità: l’agro romano. Un saccheggio meticoloso, parcellare, fatto di migliaia, decine di migliaia di squallide costruzioni ad 1, 2 o più piani, del tutto abusive, illegali, al di fuori di ogni programmazione, di ogni piano regolatore (peraltro inesistente). Qui non si parla di grandi imprese, di multinazionali edilizie, di grandi speculatori, qui si parla di meschinerie da poveracci, di furto sistematico su di un cadavere, perché qui lo Stato, il Comune, le istituzioni sono quello che appare dallo scempio: un cadavere putrefatto su cui possono pascolare tutti, dai cani agli avvoltoi. Si vedono così orribili palazzine, grige, scrostate, rustiche, di materiali poveri, di tufo già sbreccolato, case, casette, casematte tutte con il loro bel terreno intorno perché lo squallore si desse almeno una tinta verdognola. Terreno recintato in sfregio ad ogni legge e regolamento, lasciando al Pubblico (chi è costui?) un misero e striminzito passaggio nominato dal Comune trombonescamente “via” con tanto di nome di qualche personaggio pescato chissà dove e chissà perché. E’ sempre la solita sottintesa regola italica: "prima viene ciò che è mio e de’ famija, poi viè er pubblico”. Tipica mentalità italiana. Le vie, chiamiamole pietosamente così, non hanno regola e, quando va bene, danno luogo ad un labirinto inestricabile. Molte volte finiscono invece nel nulla, contro un muro (abusivo anche quello) , contro un’inferriata, una rete di recinzione di altra proprietà, di altra costruzione abusiva. E’ così che l’ignaro e imprudente viandante, l’ingenuo automobilista che si avventura nel dedalo di vie e viette cieche o con squallidi sbocchi in ulteriori degradi, si ritrova perso a dover ripercorrere a ritroso in retromarcia (perché non fu previsto neanche apposito slargo per rigirarsi con l’auto) verso un tentativo di ritorno alla civiltà. Piange il cuore a vedere, tra calcinacci, pacchi di residuati edili, sacchi di spazzatura, copertoni bruciati e ferraglie, qualche pianta di vite o qualche albero di frutta, qualche papavero, miseri resti di quella che ancora alcuni decenni fa era una delle più belle campagne d’Europa, cantata da poeti, impreziosita dai monumenti dell’Appia antica, ammirata, dipinta e descritta da artisti e scrittori di ogni tempo. Ora solo cemento, asfalto diroccato, buche, fogne a cielo aperto, casupole, reti di recinzione, pali, transenne, cancelli rugginosi, cartelloni, muracci, ed ogni traccia possibile di una presenza umana miserabile perché eccessiva, sregolata, illegale,violenta se non fisicamente certo nell’anima. Persino gli storici acquedotti romani sono stati circondati dai tuguri abusivi, persino il Parco dell'Appia antica con i suoi monumenti patrimonio della cultura ha vaste aree edificate massivamente di casupole nate vecchie, già sbreccate appena costruite (Antonio Cederna ha scritto su questo libri e articoli di denuncia da tutti ignorati). Nel frattempo, nello stesso tempo, con un accanimento crudele verso luoghi un tempo meravigliosi, continuava in tutta la periferia romana l'altro tipo di edificazione di quartieri-mostro in quegli anni, edificazione che con sottile ironia potremmo definire "regolare" rispetto a quella caotica e abusiva. Il Nuovo Salario, il Portuense, l'Appio e il Nuovo Tuscolano, Laurentino, Corviale, Cassio, Bufalotta, Castel Giubileo e tutti gli altri incubi sorti sotto il crisma della legalità fatta di carte (...e della relativa corruzione) ma in reatà lacerata e stuprata nella sostanza dai soliti noti, i soliti grandi o medi costruttori-distruttori che sono sempre stati la mafia di Roma, insieme alla sua criminale casta politica.
Chi ha permesso tutto questo? CHI HA PERMESSO TUTTO QUESTO?
Ho chiesto, come sul luogo di un delitto, qua e là a poveri abitanti di questi luoghi d’inferno (si, poveri, anche se abusivi e illegali, comunque poveri perché loro hanno fatto quello che gli è stato concesso di fare senza alternative), ho chiesto, dicevo, l’anno di costruzione degli orribili manufatti.1968, 1970, 1972, 1975, 1978-1981. Mi sono andato a rivedere i sindaci di Roma di quegli anni, per capire, cercare di capire: Americo Petrucci, Rinaldo Santini, Clelio Darida, Carlo Giulio Argan, Petroselli… I governi nazionali: Dc, centrosinistra, Psi, compromesso storico con il Pci (si, veramente storico!). Chi, come, perché fu permesso tutto questo scempio senza pari, almeno in Europa? Chi ha distrutto Roma, chi ha devastato la campagna romana in questa maniera immonda? Dove era la giustizia, dove i giudici che dovevano sorvegliare? Dove s'erano nascosti gli amministratori? Il marziano di Flaiano non capirebbe, io da italiano capisco; non mi do pace, ma capisco. Siamo in Italia, siamo a Roma. Siamo negli anni della Dc, del terrorismo, della illegalità diffusa. Questo è il paese della mafia, del pensiero mafioso che si fa potere pubblico e privato.
Pare che alla facoltà di Architettura dell’Università di Roma, qualche esimio Professore difenda lo scempio in nome di una mal compresa “democrazia”. Si parla di “stato di necessità”, di esigenze popolari inderogabili, di diritto alla casa. Classico esempio di metafisica dei diritti. Si calpesta il Diritto in nome dei diritti: italiano tipicamente italiano. L'affermazione dei diritti, da parte di costoro, ha sempre una dimenticanza: quella dei doveri, doveri che sono alla base di quei diritti. Gli architetti “democratici” hanno persino elaborato una teoria estetica adeguata a giustificare il misfatto: parlano di “stratificazione sociale e urbanistica”. Secondo tale teoria la città, stratificatasi nella illegalità e nel degrado paesaggistico in questo modo abominevole, sarebbe più vera e viva, più vissuta secondo i canoni popolari, rispetto alla città progettata nelle regole e secondo un disegno più razionale. Siamo qui alla pura estetica stercoracea! Secondo questa logica qualunque discarica abusiva, qualunque tugurio edificato in spregio alle regole dovrebbe essere dichiarato monumento nazionale in quanto frutto della vita vera del popolo. Si, sono d’accordo. Conserviamo l’Appio-Tuscolano, conserviamo tutta la periferia romana degradata ad est, sud, ovest e nord della città e dichiariamolo monumento nazionale: a perenne memento di come una città e la natura magnifica che la circondava possa essere distrutta e devastata per sempre dalla infinita stupidità e arroganza degli uomini.

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