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venerdì 29 marzo 2013

CHI SI BATTE PER NON FERMARE L'ESPLOSIONE DEMOGRAFICA

Nell'immagine qui sopra: l'edizione italiana dello storico saggio del Club di Roma sui limiti dello sviluppo.

Riporto un articolo di Edoardo Quaquini sulla necessità di fermare l'esplosione demografica che sta portando alla distruzione del pianeta e che individua in alcune credenze religiose, in tradizioni ormai superate, e in interessi economici e politici attuali,  le ragioni di chi si oppone al controllo demografico.



Uno dei punti centrali di scontro tra le ideologie laiche e quelle religiose è certamente quello relativo al sesso ed al controllo della popolazione.
Gran parte delle religioni (in primis quella cattolica che pretende di imporre la propria visione sul nostro paese) collega la sessualità direttamente alla riproduzione e vede il sesso in un’ottica positiva solo quando è volto alla procreazione. Diversamente, un approccio laico (o laicista che dir si voglia) alla realtà, imperniato sui principi di libertà individuale, considera la sessualità non necessariamente vincolata a fini riproduttivi ma anzi legata in primis al benessere psicofisico delle persone che la praticano.

Nasce da qui, fondamentalmente, il solco che divide laici e religiosi in merito ad uno dei problemi cardine dell’epoca attuale (e che ancor più importante diverrà in futuro): la crescita della popolazione.

Tale distanza non coinvolge soltanto l’aspetto riproduttivo, ma ha in sé implicazioni ambientali ed economiche di vastissima portata.
La posizione cattolica è chiara: si fa sesso per figliare, lo scopo principale della famiglia è quello di portare avanti l’espansione della specie (prestando obbedienza al biblico andate e moltiplicatevi) e dunque più figli si fanno, meglio è, specialmente in un’epoca – come questa – che vede un calo nella natalità dei paesi più avanzati. In tale ottica, che i paesi in questione abbiano una densità abitativa insostenibile da un punto di vista ambientale è secondario, come è secondario che la crescita della popolazione comporti maggiori consumi e dunque una necessità di crescita economica e di sfruttamento del pianeta.
L’imperativo, anche economico, è uno solo: crescere.

Un approccio razionale, ancor prima che laico, è invece portato a valutare le condizioni attuali del pianeta e dell’umanità: condizioni tutt’altro che rosee.
Lo sfruttamento del sistema-terra è a livelli mai toccati: in pochi decenni sono state bruciate, solo per fare un esempio, gran parte delle scorte di combustibili fossili che si sono accumulate in milioni di anni. Molti minerali iniziano a scarseggiare tanto che siamo già in riserva per quanto riguarda alcuni metalli fondamentali per molte applicazioni tecnologiche attuali, dal terbio all’indio, sino al platino, che in caso di diffusione delle auto ad idrogeno, per le quali è fondamentale, si esaurirebbe rapidamente.

Del rischio legato all’esaurimento del petrolio tutti ormai sanno molto: secondo gran parte degli studi siamo giunti al famoso picco dopo il quale la produzione è inevitabilmente destinata a decrescere con l’esaurirsi dell’olio combustibile. Si tratterebbe di un problema enorme, dato che gran parte della nostra civiltà, non di quella occidentale: di quella umana globale, è fondata sull’utilizzo di derivati del petrolio a fini energetici (e non solo: si pensi alle materie plastiche). Il gas naturale è destinato a durare un po’ di più, ma si tratta di due o tre decenni e non certo di secoli.

Cosa faremo quando tali combustibili andranno verso l’esaurimento? Siamo pronti a sostituirli con qualcosa di alternativo?
Purtroppo non ancora. Né si sta facendo granché per prepararsi a quello che avverrà, che non sarà improvviso, come in un film catastrofista in cui una mattina non c’è più benzina nei distributori o non arriva più il gas alla caldaia. Con ogni probabilità si passerà con una fase di rincari consistenti e continui dei prezzo sia dei carburanti che di ogni altro bene che necessiti trasporto (e dunque spese per carburante). È probabile il ritorno ad una economia di prossimità, ritorno che potrebbe certamente esser più agevole se venisse programmato razionalmente. Oggi il cocomero spagnolo costa pochissimo: meno di quello nostrale. Coi rincari del carburante il prezzo del cocomero (e di ogni altro bene) che provenga da distanze considerevoli è destinato a salire vertiginosamente, rendendo diseconomica l’importazione e favorendo l’utilizzo di prodotti locali. Per certi versi si può dire che la stessa globalizzazione economica rischia di crollare nel medio-lungo periodo: è inutile far produrre i beni in paesi dove la manodopera costa pochissimo se poi le spese di trasporto annullano tutti i benefici derivati dal risparmio sugli stipendi dei dipendenti.

Si può capire come una tale situazione genererebbe un caos economico e politico piuttosto rilevante: caos che diverrebbe drammatico se nel frattempo non si fosse riusciti a sfruttare le energie rinnovabili per la produzione elettrica in quantità tale da sostituire i combustibili fossili (parlare di un medioevo prossimo venturo è forse retorico, ma non è molto distante da quanto potrebbe avvenire in caso di mancata gestione della transizione tra fonti di energia e tra modelli economici).
E parlando di gestione della situazione futura, si giunge all’argomento sovrappopolazione, nevralgico in merito al tema di cui sopra.

Infatti, è lapalissiano che un pianeta con 7 miliardi di abitanti (come ad oggi, più o meno) consumi molte più risorse (ed ambiente) di un pianeta, per esempio, di soli 2 miliardi di persone. Ciononostante le previsioni parlano di un’espansione della popolazione sino a circa 10 miliardi di abitanti nei prossimi decenni. Chiedersi le condizioni di vita in cui verseranno tali abitanti è legittimo.

Se l’espansione economica, del tutto prevedibile, di paesi che sino a pochi anni fa potevano dirsi arretrati (in primis India e Cina, ma non solo) continuerà a questi ritmi, è lecito attendersi un esaurirsi dei carburanti fossili nei prossimi tre decenni. E dopo?
Il rischio di gravi carestie è fondato – del resto la stessa agricoltura che sta alla base dell’alimentazione mondiale si appoggia (almeno nei paesi avanzati e produttivi) sull’utilizzo di macchinari alimentati ad olio combustibile. Dunque la produttività agricola è destinata a crollare con la non utilizzabilità (o diseconomicità) di tali macchinari. Paradossalmente, un altro rischio elevato potrebbe porsi nel caso si decidesse di percorrere la strada dei biocarburanti. Tenuto conto che la terra coltivabile è limitata (ed espandibile solo in parte, grazie all’abbattimento di foreste che sono dei veri e propri “polmoni” per il nostro pianeta), se si decidesse di produrre in massa il biocombustibile (cioè di utilizzare la terra coltivabile per produrre piantagioni di vegetali utilizzabili come carburante) ovviamente ne risentirebbe la produzione a scopi alimentari. Chi produrrebbe volentieri grano se producendo mais a scopi “combustibili” guadagnasse 3 volte tanto? E dunque, la carenza di risorse alimentari potrebbe essere profonda e devastante, specialmente in quelle zone del pianeta più povere dove necessariamente non ci si può permettere di spendere molto per i beni di prima sussistenza.

Chiaramente se la popolazione mondiale fosse minore, la via dei biocombustibili sarebbe più agevolmente percorribile: con una popolazione di 1/3 rispetto a quella odierna, potremmo adibire i 2/3 delle terre ad oggi riservate a coltivazioni alimentari ad altri scopi.
E qui si torna, di nuovo, alla questione demografica.
Una forma di controllo delle nascite democratica e di tipo educativo/non impositivo parrebbe necessaria ed auspicabile viste le premesse ambientali ed economiche. Tuttavia ciò è tutt’altro che accettato da parte della maggioranza delle religioni organizzate, in particolare da quelle abramitiche (cattolicesimo in testa).

La visione della donna come moglie e madre (nel migliore dei casi) comporta una chiusura completa nei confronti dei sistemi di controllo delle nascite che, oltre ai benèfici effetti sulla popolazione e l’ambiente, hanno importanti effetti anche sull’emancipazione femminile, materia importante che è stata alla base del calo demografico delle società avanzate (insieme al ribaltarsi del rapporto costi/benefici della procreazione ed al calo della mortalità infantile).

Con ogni probabilità il miglioramento delle condizioni economiche e culturali delle popolazioni in via di sviluppo potrebbe portare nel lungo periodo ad un calo demografico anche in quei paesi che, ad oggi, hanno un tasso di natalità molto elevato: il problema è che mentre qualche decennio fa ci potevamo permettere di attendere il rallentamento demografico nel lungo periodo, ad oggi le situazioni ambientale ed economica non concedono grandi margini temporali.

Se veramente, come pare, i prossimi decenni porteranno l’esaurirsi degli idrocarburi e se, al contempo, il rapido sviluppo di molti degli Stati in fase di avanzamento economico porterà un avvicinarsi delle condizioni di vita di buona parte della popolazione del cosiddetto secondo mondo alle condizioni degli abitanti del primo mondo, il rischio di un tracollo ambientale ed economico globale è reale e tutt’altro che trascurabile.

E’ di certo urgente iniziare a sfruttare in modo più adeguato quelle che sono le fonti di energia rinnovabili (fonti peraltro non inquinanti: in questo contesto si è evitato di entrare nell’argomento relativo alla crisi climatica ed alle emissioni inquinanti per non complicare ulteriormente il contesto); è altresì saggio aspettarsi un calo del tenore di vita nei paesi più avanzati: quando l’energia costerà troppo molti comfort spariranno o saranno riservati solo a chi potrà permetterseli.

Tuttavia senza una seria politica di controllo delle nascite, basata in primis su fattori educativi (ma anche, perché no, economici: finanziare chi fa figli con i bonus bebè, per esempio, è quanto di più deleterio si possa fare per il futuro del pianeta), sarà difficile cavarsela senza stravolgimenti di portata immane: non c’è bisogno di essere scienziati per comprendere come, in un mondo in crisi energetica ed ambientale, sia più agevole cavarsela per un’umanità di pochi miliardi di persone rispetto ad un’umanità di dieci o più miliardi di individui.

Checché sostengano i responsabili delle varie religioni che inneggiano alla crescita demografica, richiedono le agevolazioni per chi mette al mondo più bambini e si battono contro la contraccezione.
Del resto, a costoro delle condizioni di vita dell’umanità futura evidentemente importa poco.
Dopo tutto, le religioni hanno sempre prosperato nelle valli di lacrime.

(Dal sito apocalisselaica.net) 

1 commento:

  1. << È probabile il ritorno ad una economia di prossimità, ritorno che potrebbe certamente esser più agevole se venisse programmato razionalmente. >>

    Caro Agobit,
    io credo che questo sia proprio il futuro che ci aspetta e, come tutti i cambi di paradigma, avrà dei pro e dei contro.
    Ma se la transizione sarà soltanto subita e non guidata, i contro saranno superiori.
    Tra i pro, peraltro, metterei il fatto che una economia locale NON PUO', per la sua stessa struttura, supportare una grande popolazione e quindi potrebbe facilitare il rientro demografico.

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