La vita potrebbe essere un fenomeno unitario che riguarda tutto l'universo. Oppure un fenomeno estremamente raro confinato perifericamente nello spazio-tempo. In ambedue i casi, la vita presuppone un delicato equilibrio tra la materia barionica organizzata in microambienti su scale diverse. Dai mega buchi neri al centro delle galassie, alle particelle del microcosmo quantistico, i livelli di organizzazione dell'informazione sono ben differenziati e distinti con leggi fisiche non omogenee. Le dimensioni, le energie e i tempi delle varie scale sono su valori molto distanti tra loro. Eppure il fenomeno della vita, che avviene a dimensioni intermedie tra il macrocosmo e il microcosmo, è perfettamente collegato a ciascuna scala dimensionale, e intimamente legato al microambiente da cui la vita ha origine. Dimenticare questa interconnessione può essere estremamente pericoloso. Considerare l'Homo sapiens un fenomeno a parte, distaccato da tutto il resto della natura, può essere alla base della nostra fine e del disastro planetario. Di questo tema cruciale per il futuro del pianeta tratta il libro di Dimitar Sasselov "Un'altra Terra. La scoperta della vita come fenomeno planetario" di cui riporto una sintesi.
La vita avviene a un livello intermedio
dell’organizzazione della materia nell’Universo. Ciò è fondamentale in quanto
in questo modo le molecole della vita e le cellule sono abbastanza grandi da
evitare le imprevedibili e distruttive stravaganze della scala degli atomi,
cioè del mondo della fisica quantistica, dove l’elevata velocità e
l’instabilità dei fenomeni impediscono l’auto-organizzazione di sistemi
complessi. Allo stesso tempo le macromolecole della vita sono abbastanza
piccole da beneficiare della ricchezza dei legami chimici, che è un segno
distintivo della scala atomica. Stando in una scala intermedia le molecole
complesse e le reti chimiche della vita evitano la distruttività violenta
dell’universo su grande scala, abitando una scala abbastanza piccola da
consentire molti ambienti stabili. Inoltre anche la scala dei tempi della vita
ha una sua logica. Le galassie si muovono lentamente, come tartarughe giganti,
le loro stelle appena un poco di più, e i pianeti che orbitano intorno alle
stelle si muovono ancora più velocemente, e così via fino a raggiungere le
dimensioni del microcosmo, il mondo quantistico di atomi ed elettroni. Quanto
più piccola è la scala, tanto più pazzo sembra il mondo. In effetti è pazzo, e
la fisica moderna ha una buona spiegazione al riguardo. Per semplificare: le
cose grandi si muovono lentamente, le cose piccole si muovono più velocemente.
Se la massa aumenta, la velocità diminuisce. La vita con la sua scala di macromolecole ha la velocità giusta per
lo scambio di informazioni e per la creazione di complessità. Le
informazioni comportano la
gestione di segni strutturati in sistemi complessi. In fondo il cervello umano
è una macchina computazionale in cui diversi sistemi complessi di segni
interagiscono tra loro e con l’ambiente esterno. Tutto questo avviene a livelli
di energia incredibilmente bassi. Energie appena di poco più alte in azione nei
sistemi biologici renderebbero impossibile la complessità nella gestione delle
informazioni. Il futuro della complessità richiederà forse all’uomo di elaborare tecnologie assai simili a
quelle della biologia. Questa è in grado infatti di gestire assai meglio
strutture e informazioni complesse con basse energie. In uno studio di un ricercatore
di ST Microelectronics , Ubaldo Mastromatteo, viene confrontato il processo di fabbricazione di un
microchip elettronico e il
processo biologico necessario per costituire una struttura biologica di
dimensione simile: un chicco di grano. Solo stimando l’energia necessaria per
creare i due sistemi, vediamo che il bilancio energetico differisce di tre
ordini di grandezza. Per ottenere il microchip di silicio di quella dimensione
e di media complessità, l’energia utilizzata è dell’ordine di 1 KWh, mentre l’energia necessaria
per un chicco di grano è dell’ordine di 1 Wh. Questa forte differenza nel
bilancio energetico è una sorpresa alquanto singolare e ha pesanti implicazioni
non scientifiche. Inoltre è opportuno considerare che la complessità di una
cellula eucariotica biologica è molto superiore a quella di un microchip. La
vita presuppone un utilizzo estremamente sofisticato di informazioni, la loro
conservazione e lo scambio con l’effetto di aumentare la complessità
dell’organizzazione della materia barionica. In fondo il Dna e l’Rna sono codici
di informazione e le proteine (enzimi, ormoni, strutture della materia vivente)
sono il codificato. La cosa stupefacente è che mentre a livello di macrocosmo
l’informazione (ad esempio l’interazione tra un buco nero e la materia
circostante) viene gestita ad altissime energie, l’informazione delle
macromolecole biologiche viene elaborata e gestita a livelli energetici
estremamente bassi. Con l’uomo si assiste inoltre ad un ulteriore salto
qualitativo della gestione dell’informazione: questa, elaborata dal cervello
umano, subisce un processo ulteriore di smaterializzazione con la creazione di strutture culturali
complesse sempre più virtuali (immateriali).
L’Homo sapiens è il
frutto di una catena di eventi successiva allo sviluppo della materia ordinaria
nell’universo e dimostra che non solo la biologia può accadere ma che è in
grado di svilupparsi in sistemi di elaborazione delle informazioni molto
strutturati e complessi. L’organizzazione della materia in sistemi biologici
sul pianeta Terra ha raggiunto un punto di svolta e la biologia fino all’uomo
può prefigurare un primo stadio, seguito da un ulteriore stadio che alcuni
ricercatori definiscono “biologia sintetica”. La biologia sintetica, una volta
che la sua strategia di ricerca abbia successo, potrebbe dimostrare che la
materia ordinaria ha una capacità intrinseca di auto-organizzarsi per creare la
diversità da una singola biochimica e, alla fine, amplificare tale diversità
generando molteplici biochimiche. Ciò suggerisce l’esistenza di una ricetta per
l’amplificazione delle diversità su scala galattica e su tempi lunghissimi
(miliardi di anni), e
l’esistenza (adesso o in futuro) di una nuova generazione di vita.
Chiamiamola Generazione II: la sua caratteristica principale è che il suo
albero non affonda le radici nella chimica pre-biotica, ma ha origine nella
vita di Generazione I. La vita sulla Terra è di generazione I. La biologia
sintetica potrebbe implicare un ruolo crescente della biochimica nella
ridistribuzione della materia barionica (ordinaria) in un lontano futuro
dell’universo. Alla luce di quello che sappiamo su come gli altri pianeti
possono essere o saranno – per esempio, quando i pianeti di carburi supereranno
in quantità quelli di silicati, come il nostro-, vi è abbastanza spazio nel
paesaggio chimico da consentire un ancora più vasto paesaggio biochimico. La
vita di Generazione II potrebbe essere già presente nella nostra galassia. In
questo contesto l’umiltà può farci bene: guardare alla vita come a un fenomeno
planetario, nel quale la biochimica di base è profondamente legata al pianeta
stesso, contribuirà a rafforzare la nostra consapevolezza di essere un tutt’uno
con la nostra Terra, un prodotto di un’unica biochimica emersa quattro miliardi
di anni fa e decisamente terrestre. Siamo parte di qualcosa di buono, e saperlo
potrebbe aiutarci a non rovinare tutto. L’alba della biologia sintetica si apre
quando si compie (o si dovrebbe compiere) quella rivoluzione copernicana che
porta dalla fine del capitolo della consapevolezza del mondo da parte
dell’umanità, all’inizio di un capitolo sul nostro posto nel mondo come parte
della natura e non come estranei ad essa.
(Argomenti tratti dal libro di Dimitar Sasselov : “Un’altra
Terra –La scoperta della vita come fenomeno planetario”. Edizioni Le Scienze
2013. Il lavoro di ST Microelectronics è reperibile a questo indirizzo
web: http://www.j-asa.org/paperInfo.aspx?ID=49).
Nessun commento:
Posta un commento