Passata la sbornia della
turbo-finanza degli scorsi anni, gli Stati Uniti di Obama tracciano la strada
per un ritorno di un ruolo cruciale dell’industria neglie equilibri complessivi dell’economia. Tanto che le
ultime statistiche hanno evidenziato un sorprendente aumento dell’occupazione
nelle fabbriche Usa. Nel recente Workshop Ambrosetti a Villa d’Este di
Cernobbio si è parlato dell’importanza per i paesi avanzati della ripresa dei
settori produttivi: se i governi – dagli Usa al Giappone – puntano sul rilancio
delle attività orientate all’export, l’Europa –che, come sottolineato
dall’ultima ricerca del Team Ambrosetti, “resta il principale hub
manifatturiero mondiale”- non può prescindere dal sostegno dell’economia reale
per mantenere il suo ruolo globale. L’ a.d. di General Electic Italia, Sandro
De Poli, afferma che “In Italia è strategico difendere la piattaforma
industriale che fa ancora del paese l’ottava potenza mondiale”. Ma l’Economia
italiana perde colpi quasi ogni giorno e il 90 % delle imprese in Italia
esprimono preoccupazioni per il futuro: il paese perde competitività, le scuole
sono scollegate dalla produzione, la tassazione è elevata, l’energia costa in
media il 30 % in più del resto dell’Europa. In Usa invece bassi costi
dell’energia e incentivi territoriali stanno spronando un ritorno di
manifatture a valore aggiunto che erano state decentrate altrove. Le imprese
manifatturiere, incoraggiate da una ritrovata competitività della Corporate
America e da incentivi federali e locali, sono il cuore strategico di questa
riscossa. Su scala nazionale accelera il reshoring, il rimpatrio di produzioni
dall’Asia da aziende che comprendono colossi del calibro di General Electric.
GE ha ripreso a sfornare caldaie, frigoriferi e lavatrici in Kentucky di
ritorno dalla Cina, convinta di poter meglio innovare e tenere il passo con i
consumatori. Nell’insieme il manifatturiero è riuscito a generare il mezzo
milione di posti di lavoro in 37 mesi, 14 mila a febbraio, vantato
dall’amministrazione Obama. Il forte boom energetico, soprattutto nel gas
ricavato dalle formazioni rocciose, ha contribuito a una straordinaria spinta
indiretta, abbassando i costi per altre società, e diretta al rlancio
dell’occupazione. Nell’energia l’anno scorso sono stati creati 31.400 posti,
metà del picco dell’anno precedente, ma lo sviluppo è destinato a proseguire
rapidamente.Il mix giusto trovato da Obama unisce le dinamiche del libero
mercato e la bassa tassazione sul lavoro, tipiche dell’economia liberista, agli
incentivi e allo stimolo pubblico secondo una rivisitazione dell’economia
keynesiana. Si tratta in fondo del solito pragmatismo americano che utilizza le
varie “filosofie” economiche quando servono e secondo le esigenze del tempo,
senza farsi bloccare da rigidità ideologiche come avviene ancora in Europa e
specialmente in Italia. Per mantenere basso il costo dell’energia Obama non ha
avuto scrupoli: non solo ha mantenuto i programmi di costruzione di nuove
centrali nucleari anche dopo Fukushima (due sono in costruzione in Georgia, altre sei sono in
programma) ma ha ampiamente finanziato e facilitato la nuova tecnologia del
Fracking per l’estrazione di petrolio e del gas che, per quanto più costosa delle
tecnologie tradizionali, ha ridotto la curva di costo complessivo degli idrocarburi
espandendone il consumo e passando addirittura all’esportazione di una quota di
petrolio e di gas prodotto in casa. Per mantenere le direttive sull’energia ha
recentemente nominato il fisico nucleare del MIT Ernest Moniz a ministro dell’Energia. Moniz si e'
pronunciato in passato a favore di una liberalizzazione del mercato
dell'energia, e addirittura anche di un potenziamento della produzione di
energia nucleare, e cio' potrebbe garantirgli l'appoggio dei repubblicani in
Senato. Muniz, direttore dell'Energy Initiative presso il Massachusetts
Institute of Technology, ha contribuito alla ricerca sulle tecnologie
necessarie per aumentare la produzione di fonti di energia tradizionali tra cui
petrolio, gas e nucleare. Ma ha anche puntato sulla ricerca sulle rinnovabili
minimizzando il danno all'ambiente (è da ricordare inoltre che gli Usa sono
tra i principali finanziatori della ricerca sulla Fusione Calda e partecipano
alla costruzione del Reattore Iter di Caradache in Francia).
Obama non
silimita però al settore eneregetico: ha rifinanziato, dopo aver rivisto la legislazione
finanziaria permissiva del passato, le banche con soldi pubblici, e ha dato
ingenti aiuti all’impresa privata (basti pensare all’esempio della Chrysler).
L’eclettismo e il pragmatismo premiano, e non solo in economia. Alla base delle politiche di ripresa
rimane comunque, anche nell’ottica di Obama e dei democratici americani (ma
anche dei repubblicani) il settore strategico dell’energia. Le aree del pianeta che "tirano" l'economia (Cina, Usa, Brasile, India, ecc.) si stanno attrezzando sul fronte energetico con strategie differenziate: 1)favorire nuove tecniche di estrazione di idrocarburi superando la crisi del "picco" del petrolio, 2) implementare il nucleare solo quanto basta alle necessità finanziando allo stesso tempo la ricerca su nuova generazione e fusione,3) dare spazio alle rinnovabili ma per ora come semplice supporto ai settori tradizionali. Il momento è delicato e Obama ha fatto le scelte cui, forse, era obbligato per uscire dalla crisi. Ma la situazione per il pianeta è sempre più critica.
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