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mercoledì 13 marzo 2013

OBAMA SPINGE LA RIPRESA AMERICANA



Passata la sbornia della turbo-finanza degli scorsi anni, gli Stati Uniti di Obama tracciano la strada per un ritorno di un ruolo cruciale dell’industria  neglie equilibri complessivi dell’economia. Tanto che le ultime statistiche hanno evidenziato un sorprendente aumento dell’occupazione nelle fabbriche Usa. Nel recente Workshop Ambrosetti a Villa d’Este di Cernobbio si è parlato dell’importanza per i paesi avanzati della ripresa dei settori produttivi: se i governi – dagli Usa al Giappone – puntano sul rilancio delle attività orientate all’export, l’Europa –che, come sottolineato dall’ultima ricerca del Team Ambrosetti, “resta il principale hub manifatturiero mondiale”- non può prescindere dal sostegno dell’economia reale per mantenere il suo ruolo globale. L’ a.d. di General Electic Italia, Sandro De Poli, afferma che “In Italia è strategico difendere la piattaforma industriale che fa ancora del paese l’ottava potenza mondiale”. Ma l’Economia italiana perde colpi quasi ogni giorno e il 90 % delle imprese in Italia esprimono preoccupazioni per il futuro: il paese perde competitività, le scuole sono scollegate dalla produzione, la tassazione è elevata, l’energia costa in media il 30 % in più del resto dell’Europa. In Usa invece bassi costi dell’energia e incentivi territoriali stanno spronando un ritorno di manifatture a valore aggiunto che erano state decentrate altrove. Le imprese manifatturiere, incoraggiate da una ritrovata competitività della Corporate America e da incentivi federali e locali, sono il cuore strategico di questa riscossa. Su scala nazionale accelera il reshoring, il rimpatrio di produzioni dall’Asia da aziende che comprendono colossi del calibro di General Electric. GE ha ripreso a sfornare caldaie, frigoriferi e lavatrici in Kentucky di ritorno dalla Cina, convinta di poter meglio innovare e tenere il passo con i consumatori. Nell’insieme il manifatturiero è riuscito a generare il mezzo milione di posti di lavoro in 37 mesi, 14 mila a febbraio, vantato dall’amministrazione Obama. Il forte boom energetico, soprattutto nel gas ricavato dalle formazioni rocciose, ha contribuito a una straordinaria spinta indiretta, abbassando i costi per altre società, e diretta al rlancio dell’occupazione. Nell’energia l’anno scorso sono stati creati 31.400 posti, metà del picco dell’anno precedente, ma lo sviluppo è destinato a proseguire rapidamente.Il mix giusto trovato da Obama unisce le dinamiche del libero mercato e la bassa tassazione sul lavoro, tipiche dell’economia liberista, agli incentivi e allo stimolo pubblico secondo una rivisitazione dell’economia keynesiana. Si tratta in fondo del solito pragmatismo americano che utilizza le varie “filosofie” economiche quando servono e secondo le esigenze del tempo, senza farsi bloccare da rigidità ideologiche come avviene ancora in Europa e specialmente in Italia. Per mantenere basso il costo dell’energia Obama non ha avuto scrupoli: non solo ha mantenuto i programmi di costruzione di nuove centrali nucleari anche dopo Fukushima (due sono in costruzione in Georgia, altre sei sono in programma) ma ha ampiamente finanziato e facilitato la nuova tecnologia del Fracking per l’estrazione di petrolio e del gas che, per quanto più costosa delle tecnologie tradizionali, ha ridotto la curva di  costo complessivo degli idrocarburi espandendone il consumo e passando addirittura all’esportazione di una quota di petrolio e di gas prodotto in casa. Per mantenere le direttive sull’energia ha recentemente nominato il fisico nucleare del MIT Ernest  Moniz a ministro dell’Energia. Moniz si e' pronunciato in passato a favore di una liberalizzazione del mercato dell'energia, e addirittura anche di un potenziamento della produzione di energia nucleare, e cio' potrebbe garantirgli l'appoggio dei repubblicani in Senato. Muniz, direttore dell'Energy Initiative presso il Massachusetts Institute of Technology, ha contribuito alla ricerca sulle tecnologie necessarie per aumentare la produzione di fonti di energia tradizionali tra cui petrolio, gas e nucleare. Ma ha anche puntato sulla ricerca sulle rinnovabili minimizzando il danno all'ambiente (è da ricordare inoltre che gli Usa sono tra i principali finanziatori della ricerca sulla Fusione Calda e partecipano alla costruzione del Reattore Iter di Caradache in Francia).  
 Obama non silimita però al settore eneregetico: ha rifinanziato, dopo aver rivisto la legislazione finanziaria permissiva del passato, le banche con soldi pubblici, e ha dato ingenti aiuti all’impresa privata (basti pensare all’esempio della Chrysler). L’eclettismo e il pragmatismo premiano, e non solo in economia.  Alla base delle politiche di ripresa rimane comunque, anche nell’ottica di Obama e dei democratici americani (ma anche dei repubblicani) il settore strategico dell’energia.  Le aree del pianeta che "tirano" l'economia (Cina, Usa, Brasile, India, ecc.) si stanno attrezzando sul fronte energetico con strategie differenziate: 1)favorire nuove tecniche di estrazione di idrocarburi superando la crisi del "picco" del petrolio, 2) implementare il nucleare solo quanto basta alle necessità finanziando allo stesso tempo la ricerca su nuova generazione e fusione,3) dare spazio alle rinnovabili ma per ora come semplice supporto ai settori tradizionali. Il momento è delicato e Obama ha fatto le scelte cui, forse, era obbligato per uscire dalla crisi. Ma la situazione per il pianeta è sempre più critica.



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