Riporto un articolo di Edoardo Quaquini sulla necessità di fermare l'esplosione demografica che sta portando alla distruzione del pianeta e che individua in alcune credenze religiose, in tradizioni ormai superate, e in interessi economici e politici attuali, le ragioni di chi si oppone al controllo demografico.
Uno dei punti centrali di scontro
tra le ideologie laiche e quelle religiose è certamente quello relativo al sesso ed al controllo
della popolazione.
Gran parte delle religioni (in primis quella cattolica che pretende di
imporre la propria visione sul nostro paese) collega la sessualità direttamente
alla riproduzione e vede il sesso
in un’ottica positiva solo quando è volto alla procreazione. Diversamente,
un approccio laico (o laicista che dir si voglia) alla realtà, imperniato sui
principi di libertà individuale, considera la sessualità non
necessariamente vincolata a fini riproduttivi ma anzi legata in primis al benessere
psicofisico delle persone che la praticano.
Nasce da qui, fondamentalmente,
il solco che divide laici e religiosi in merito ad uno dei problemi cardine
dell’epoca attuale (e che ancor più importante diverrà in futuro): la crescita della
popolazione.
Tale distanza non coinvolge
soltanto l’aspetto riproduttivo, ma ha in sé implicazioni ambientali ed
economiche di vastissima portata.
La posizione cattolica è chiara: si fa sesso
per figliare, lo scopo principale della famiglia è quello di portare avanti l’espansione
della specie (prestando obbedienza al biblico andate e moltiplicatevi) e dunque più
figli si fanno, meglio è, specialmente in un’epoca – come questa – che vede un
calo nella natalità dei paesi più avanzati. In tale ottica, che i paesi in
questione abbiano una densità abitativa insostenibile da un punto di vista
ambientale è secondario, come è secondario che la crescita della popolazione
comporti maggiori consumi e dunque una necessità di crescita economica e di
sfruttamento del pianeta.
L’imperativo, anche economico, è
uno solo: crescere.
Un approccio razionale, ancor prima
che laico, è invece portato a valutare le condizioni attuali del pianeta e
dell’umanità: condizioni tutt’altro che rosee.
Lo sfruttamento del sistema-terra è a livelli mai
toccati: in pochi decenni sono state bruciate, solo per fare un esempio, gran
parte delle scorte di combustibili fossili che si sono accumulate in milioni di
anni. Molti minerali iniziano a scarseggiare tanto che siamo già in riserva per
quanto riguarda alcuni metalli fondamentali per molte applicazioni tecnologiche
attuali, dal terbio all’indio, sino al platino, che in caso di diffusione delle
auto ad idrogeno, per le quali è fondamentale, si esaurirebbe rapidamente.
Del rischio legato all’esaurimento del
petrolio tutti ormai sanno molto: secondo gran parte degli studi siamo
giunti al famoso picco dopo il quale la produzione è inevitabilmente
destinata a decrescere con l’esaurirsi dell’olio combustibile. Si tratterebbe
di un problema enorme, dato che gran parte della nostra civiltà, non di quella occidentale: di quella
umana globale, è fondata
sull’utilizzo di derivati del petrolio a fini energetici (e non solo: si pensi
alle materie plastiche). Il gas naturale è destinato a durare un po’ di
più, ma si tratta di due o tre decenni e non certo di secoli.
Cosa faremo quando tali
combustibili andranno verso l’esaurimento? Siamo pronti a sostituirli con
qualcosa di alternativo?
Purtroppo non ancora. Né si sta
facendo granché per prepararsi a quello che avverrà, che non sarà improvviso,
come in un film catastrofista in cui una mattina non c’è più benzina
nei distributori o non arriva più il gas alla caldaia. Con ogni probabilità si
passerà con una fase di rincari consistenti e continui dei prezzo sia dei
carburanti che di ogni altro bene che necessiti trasporto (e dunque spese per
carburante). È probabile il ritorno ad una economia di prossimità, ritorno che
potrebbe certamente esser più agevole se venisse programmato razionalmente.
Oggi il cocomero spagnolo costa pochissimo: meno di quello nostrale. Coi rincari
del carburante il prezzo del cocomero (e di ogni altro bene) che provenga da
distanze considerevoli è destinato a salire vertiginosamente, rendendo diseconomica l’importazione
e favorendo l’utilizzo di prodotti locali. Per certi versi si può dire che la
stessa globalizzazione economica rischia di crollare nel medio-lungo periodo: è
inutile far produrre i beni in paesi dove la manodopera costa pochissimo se poi
le spese di trasporto annullano tutti i benefici derivati dal risparmio sugli
stipendi dei dipendenti.
Si può capire come una tale
situazione genererebbe un caos economico e politico piuttosto rilevante: caos
che diverrebbe drammatico se nel frattempo non si fosse riusciti a sfruttare le
energie rinnovabili per la produzione elettrica in quantità tale da sostituire
i combustibili fossili (parlare di un medioevo prossimo venturo è forse
retorico, ma non è molto distante da quanto potrebbe avvenire in caso di
mancata gestione della transizione tra fonti di energia e tra modelli
economici).
E parlando di gestione della
situazione futura, si giunge all’argomento sovrappopolazione, nevralgico in
merito al tema di cui sopra.
Infatti, è lapalissiano che un
pianeta con 7 miliardi di abitanti (come ad oggi, più o meno) consumi molte più
risorse (ed ambiente) di un pianeta, per esempio, di soli 2 miliardi di
persone. Ciononostante le previsioni parlano di un’espansione della popolazione
sino a circa 10 miliardi di abitanti nei prossimi decenni. Chiedersi le
condizioni di vita in cui verseranno tali abitanti è legittimo.
Se l’espansione economica, del
tutto prevedibile, di paesi che sino a pochi anni fa potevano dirsi arretrati
(in primis India e Cina, ma non solo) continuerà a questi
ritmi, è lecito attendersi un esaurirsi dei carburanti fossili nei prossimi tre
decenni. E dopo?
Il rischio di gravi carestie è
fondato – del resto la stessa agricoltura che sta alla base dell’alimentazione
mondiale si appoggia (almeno nei paesi avanzati e produttivi) sull’utilizzo di
macchinari alimentati ad olio combustibile. Dunque la produttività agricola è
destinata a crollare con la non utilizzabilità (o diseconomicità) di tali
macchinari. Paradossalmente, un altro rischio elevato potrebbe porsi nel caso
si decidesse di percorrere la strada dei biocarburanti. Tenuto conto
che la terra coltivabile è limitata (ed espandibile solo in parte, grazie
all’abbattimento di foreste che sono dei veri e propri “polmoni” per il nostro
pianeta), se si decidesse di produrre in massa il biocombustibile (cioè di
utilizzare la terra coltivabile per produrre piantagioni di vegetali
utilizzabili come carburante) ovviamente ne risentirebbe la produzione a scopi
alimentari. Chi produrrebbe volentieri grano se producendo mais a scopi
“combustibili” guadagnasse 3 volte tanto? E dunque, la carenza di risorse
alimentari potrebbe essere profonda e devastante, specialmente in quelle zone
del pianeta più povere dove necessariamente non ci si può permettere di
spendere molto per i beni di prima sussistenza.
Chiaramente se la popolazione
mondiale fosse minore, la via dei biocombustibili sarebbe più agevolmente
percorribile: con una popolazione di 1/3 rispetto a quella odierna, potremmo
adibire i 2/3 delle terre ad oggi riservate a coltivazioni alimentari ad altri
scopi.
E qui si torna, di nuovo, alla questione
demografica.
Una forma di controllo delle
nascite democratica e di tipo educativo/non impositivo parrebbe
necessaria ed auspicabile viste le premesse ambientali ed economiche. Tuttavia
ciò è tutt’altro che accettato da parte della maggioranza delle religioni
organizzate, in particolare da quelle abramitiche (cattolicesimo
in testa).
La visione della donna come moglie e
madre (nel migliore dei casi) comporta una chiusura completa nei
confronti dei sistemi di controllo delle nascite che, oltre ai benèfici effetti
sulla popolazione e l’ambiente, hanno importanti effetti anche sull’emancipazione
femminile, materia importante che è stata alla base del calo demografico
delle società avanzate (insieme al ribaltarsi del rapporto costi/benefici della
procreazione ed al calo della mortalità infantile).
Con ogni probabilità il
miglioramento delle condizioni economiche e culturali delle popolazioni in via
di sviluppo potrebbe portare nel lungo periodo ad un calo demografico anche in
quei paesi che, ad oggi, hanno un tasso di natalità molto elevato: il problema
è che mentre qualche decennio fa ci potevamo permettere di attendere il
rallentamento demografico nel lungo periodo, ad oggi le situazioni ambientale
ed economica non concedono grandi margini temporali.
Se veramente, come pare, i
prossimi decenni porteranno l’esaurirsi degli idrocarburi e se, al
contempo, il rapido sviluppo di molti degli Stati in fase di avanzamento economico
porterà un avvicinarsi delle condizioni di vita di buona parte della
popolazione del cosiddetto secondo mondo alle condizioni degli abitanti
del primo
mondo, il rischio di un tracollo ambientale ed economico globale è
reale e tutt’altro che trascurabile.
E’ di certo urgente iniziare a
sfruttare in modo più adeguato quelle che sono le fonti di
energia rinnovabili (fonti peraltro non inquinanti: in questo contesto si è evitato
di entrare nell’argomento relativo alla crisi climatica ed alle emissioni
inquinanti per non complicare ulteriormente il contesto); è altresì saggio
aspettarsi un calo del tenore di vita nei paesi più avanzati: quando l’energia
costerà troppo molti comfort spariranno o saranno riservati solo a chi potrà
permetterseli.
Tuttavia senza una seria politica
di controllo delle nascite, basata in primis su fattori
educativi (ma anche, perché no, economici: finanziare chi fa figli con i bonus
bebè, per esempio, è quanto di più deleterio si possa fare per il
futuro del pianeta), sarà difficile cavarsela senza stravolgimenti di portata
immane: non c’è bisogno di essere scienziati per comprendere come, in un mondo
in crisi energetica ed ambientale, sia più agevole cavarsela per un’umanità di
pochi miliardi di persone rispetto ad un’umanità di dieci o più miliardi di
individui.
Checché sostengano i responsabili
delle varie religioni che inneggiano alla crescita demografica, richiedono le
agevolazioni per chi mette al mondo più bambini e si battono contro la
contraccezione.
Del resto, a costoro delle
condizioni di vita dell’umanità futura evidentemente importa poco.
Dopo tutto, le religioni hanno
sempre prosperato nelle valli di lacrime.
(Dal sito apocalisselaica.net)