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sabato 19 novembre 2011

ROGER SCRUTON: ECOLOGIA E APPARTENENZA




UN PUNTO DI VISTA ECOLOGISTA E CONSERVATORE


Credo che gli ambientalisti siano stati abituati a vedere il conservatorismo come l'ideologia della libera impresa e la libera impresa come un attacco alle risorse della Terra, senza alcun fine oltre al tornaconto a breve termine che anima il mercato... Considerato che in un'economia di mercato sono i grandi protagonisti ad arrecare i maggiori danni, gli ambientalisti rivolgono la loro ostilità alle grandi società e a quelle economie che ne sono origine. Imprese altrettanto grandi e devastatrici sono l'usuale risultato dell'abolizione dell'economia di mercato; ma queste, essendo nelle mani dello Stato, non devono -di norma- rispondere ad un potere sovrano che ne possa limitare i saccheggi. E' quindi plausibile che una risposta conservatrice non invochi una libera economia a qualunque costo, ma che riconosca i suoi prezzi e faccia tutti i passi possibili per ridurli. Abbiamo bisogno della libera impresa, ma anche del principio di legalità che la tenga a freno. Quando l'impresa è prerogativa dello Stato, l'entità che controlla la legge è la stessa che ha il motivo maggiore per evaderla: ecco, a mio parere, una spiegazione sufficiente della catastrofe ecologica prodotta dalle economie del socialismo.
Di norma, l'ottica conservatrice dell'azione politica è formulata più in termini di curatela che di impresa, di dialogo più che di ordine perentorio, di amicizia più che di solidarietà. Queste idee si prestano facilmente a un progetto ambientale, e mi sorprende sempre il fatto che ben pochi ambientalisti sembrano accorgersene. Agli occhi di un conservatore appare ovvio che la nostra sconsiderata caccia alla gratificazione individuale mette a repentaglio, nello stesso modo, l'ordine sociale e il nostro Globo. Le democrazie sembrano raggiungere un equilibrio solo in condizioni di crescita economica, mentre i periodi di stagnazione, rapida inflazione o depauperamento sono anche periodi di grande scontento, nei quali invidia sociale, rancore o rabbia conducono ad instabilità. Di qui la necessità che la preoccupazione precipua di un governo democratico sia incoraggiare la crescita economica senza considerare le sue ripercussioni sull'ambiente. (Lo si vede nella risposta Usa al protocollo di Kyoto: la vera pressione sulla Camera dei Rappresentanti al Congresso, affinché non ratifichi gli accordi, non è esercitata dalle grandi società, ma scaturisce dal desiderio dei suoi membri di essere rieletti). La democrazia, d'altro canto, non è il solo caso problematico. Non troppo diversamente, altre forme di equilibrio sociale possono costituire una minaccia all'ambiente, non perché dipendano dalla crisi economica, bensì da quella demografica o dallo sfruttamento di risorse non rinnovabili come le foreste pluviali. La risposta dei conservatori a questo tipo di problema è riconoscere che l'equilibrio ambientale è parte di qualunque ordine sociale durevole. La tesi che ci ha proposto a suo tempo Burke dovrebbe piacere agli ambientalisti. La sua risposta alla teoria del contratto sociale di Rousseau consisteva nel riconoscere che l'ordine politico può essere equiparato a un contratto, purché si aggiunga che non si tratta di un contratto solo tra viventi, ma tra chi è vivo, chi non è ancora nato e chi è già morto. In altre parole, non è affatto un contratto, piuttosto una relazione di curatela nella quale i benefici ereditati sono conservati e poi tramandati ad altri. I viventi possono avere un interesse nel consumare le risorse della Terra, ma non è stato per questo che i defunti hanno faticato e chi non è ancora nato dipenderà dai vincoli che ci poniamo. Ecco perché in un equilibrio sociale a lungo termine deve essere contemplato l'equilibrio ecologico.
Le società moderne sono società di estranei. Uno dei progetti conservatori basilari dei nostri tempi è stato volto a scoprire il tipo di relazione affettiva che è in grado di legare questo tipo di società per generazioni, senza rischiare di ricadere nella frammentazione di tipo familiare, tribale o perfino mafioso. Da qui scaturisce l'importanza che il pensiero conservatore attribuisce alla nazione e allo stato-nazione. I conservatori non tendono a conservare qualunque legge, istituzione o consuetudine: il loro intento è mantenere quelle istituzioni che rappresentino le soluzioni collettive a problemi ricorrenti e che tramandino una conoscenza generata dalla società. Secondo Burke (e secondo me), questo tipo di istituzioni è rappresentato, da un punto di vista legale, dal diritto comune (common law); da un punto di vista politico, da un governo rappresentativo, e , da un punto di vista sociale, dal matrimonio e dalla famiglia. Sono istituzioni che incoraggiano l'abitudine al sacrificio e così generano la forza motrice dalla quale dipende una buona e parsimoniosa gestione delle risorse...
C'è bisogno di una motivazione non egoistica che possa essere sollecitata nei membri comuni della società e sulla quale si possa fare affidamento per perseguire il fine ecologico a lungo termine. Burke proponeva il "principio ereditario"-proteggere le istituzioni importanti da devastazione o rovina- ed era convinto che la gente fosse per sua natura incline ad accettare i vincoli che quel principio impone ai loro desideri. Il modello proposto da Burke si rifaceva a quello della proprietà ereditaria inglese che toglieva il patrimonio dal mercato, lo proteggeva dal depauperamento e creava, al posto di un possesso assoluto, un tipo di curatela che aveva come beneficiario l'usufruttuario. Questa istituzione, protetta dalla legge, difendeva la terra e le risorse naturali dallo sfruttamento, e donava agli usufruttuari un tipo di sovranità per tutta la vita, ma a condizione che lasciassero ai loro eredi la proprietà non gravata da ipoteche. Nessun ambientalista può non vedere l'immenso vantaggio ecologico di una "terra gestita" (settled land) così concepita: era una risorsa che non poteva essere sfruttata in tutto il suo valore; doveva essere messa a profitto a beneficio dei "successori aventi diritto" o, in altre parole, gestita in modo sostenibile. E' probabile che gli ambientalisti di oggi siano ben consapevoli delle disuguaglianze sociali e delle strutture gerarchiche che si sono perpetuate grazie a questa forma di proprietà. Le leggi approvate ed emendate a varie riprese nel corso del XIX e XX secolo, concedevano agli usufruttuari il diritto di convertire le proprietà terriere in capitale liquido. In un batter d'occhio sono subentrate le società industriali e minerarie: per la Gran Bretagna ciò ha significato un grande aumento di ricchezza, i primi passi verso l'uguaglianza sociale...e un secolo di distruzione ambientale.
Burke vedeva il principio ereditario come un deterrente psicologico per chi avesse voluto allungare le mani sulle proprietà, i beni, gli edifici appartenenti alla Chiesa e alle istituzioni e le raccolte di tesori che avevano in precedenza salvaguardato il patrimonio della Francia, di generazione in generazione. Aveva anche previsto che, una volta che tale principio fosse stato abbandonato con la Rivoluzione, non ci sarebbe stata ragione di moderazione, e il patrimonio sarebbe passato di mano e sperperato. Non possiamo ritornare a quel tipo di motivazione sociale alla quale si appellava Burke: la gente ormai non la pensa più così. Tuttavia, dovremmo imparare la lezione impartitaci da Burke, Hegel e de Maistre, e riconoscere che la protezione dell'ambiente è una causa persa se non riusciamo a trovare la motivazione umana che dovrebbe condurre la gente in generale - e non solo i suoi autoplocamatisi rappresentanti- a portarla avanti. E qui, io penso, è dove gli ambientalisti e i conservatori potrebbero e dovrebbero fare causa comune. E tale causa comune è la lealtà locale o, più precisamente, nazionale. Se, da una parte molti ambientalisti di sinistra riconosceranno che la lealtà e le questioni locali devono avere un giusto posto nel processo decisionale affinché si sia in grado di contrastare gli effetti negativi dell'economia globale, dall'altra, saranno inclini a tirarsi indietro di fronte alla proposta che vedrebbe la lealtà locale in termini nazionali più che comunitari. La nazionalità è una forma di attaccamento al territorio, ma anche un'intesa protolegislativa, ed è attraverso lo sviluppo di questa idea -di un sentimento territoriale che ha in sé i semi della sovranità- che i conservatori possono contribuire in modo determinante al pensiero ecologico. A me sembra che l'approccio conservatore sia più razionale, anche se, al contempo, meno ambizioso. Invece di tentare di porre rimedio ai problemi sociali e ambientali a livello globale, i conservatori mirano a controlli locali e a una riasserzione della sovranità locale in ambienti conosciuti e regolati. Questo significa affermare il diritto di una nazione all'autogoverno e l'adozione di indirizzi politici che concordino con lealtà locali e sentimenti di orgoglio nazionale. L'attaccamento al territorio e il desiderio di proteggerlo da erosione e sperpero rimangono motivazioni forti, sempre addotte in tutte le richieste di sacrificio da parte dei politici. Infatti, c'è un'unica, semplice e formidabile motivazione: l'amore per la propria casa.
Io credo che sperare realisticamente in un miglioramento sia possibile solo a questo livello locale. Non c'è prova, infatti, che le istituzioni politiche globalistiche abbiano fatto alcunché per arginare l'entropia globale; al contrario: incoraggiando la comunicazione in tutto il mondo, intaccando la sovranità nazionale e le barriere legislative, hanno favorito quell'entropia e hanno indebolito le uniche vere risorse per opporle resistenza. I soli tentativi che siano riusciti a invertire la marea della distruzione ecologica sono stati il frutto di iniziative e progetti locali volti a proteggere un territorio che sia visto come "nostro" o, in altre parole, determinato da un diritto ereditario (v. le leggi svizzere di pianificazione urbanistica che hanno permesso alle comunità locali di conservare il controllo sul loro ambiente e di trattarlo come un bene comune). A me sembra che questo sia il fine a cui mirano l'ambientalismo e il conservatorismo più seri; cioè la casa, il luogo dove siamo, il posto che ci definisce, che noi teniamo in custodia per i nostri discendenti e che non vogliamo danneggiare. Questo è il motivo per cui è probabile che i conservatori si dissocino dalle forme di attivismo ambientale attualmente di moda. Gli ambientalisti radicali hanno ereditato la diffidenza della sinistra nei confronti della nazione e della condizione di nazione. Definiscono i loro obiettivi in termini globalistici e internazionali. I conservatori non amano questo approccio. La mia personale speranza è che gli ambientalisti si affranchino dalla mentalità della caccia alle streghe che ha loro alienato le simpatie dei conservatori e che questi ultimi smettano di stare sulle difensive. Mi piacerebbe vedere una rivista dal titolo Ecologist, che nella sua struttura dia spazio ai vecchi valori Tory di lealtà e fedeltà. Mi sembra, infatti, che il predominio di un processo decisionale internazionale di burocrazie irresponsabili, di irresponsabili ONG e società che rispondono solo ai loro azionisti, abbia reso più che necessario per noi seguire la via dei conservatori. Dobbiamo fare un passo indietro e dal globale tornare al locale, in modo da affrontare i problemi che possiamo identificare collettivamente come nostri, con i mezzi che possiamo controllare, per le motivazioni che sentiamo. Questo comporta che sia evidente chi noi siamo, perché siamo tutti uniti e impegnati nella causa della sopravvivenza comune. Io rispetto il tentativo di George Monbiot di identificare la prima persona plurale in termini planetari, proprio come rispetto la concezione illuministica dell'essere umano come agente razionale motivato da principi universali. Da conservatore quale sono, devo tuttavia inchinarmi alle evidenze fornite dalla storia, che mi dicono che gli esseri umani sono creature dagli affetti limitati e locali,il migliore dei quali è la lealtà territoriale, che le conduce a vivere in pace con gli estranei, a onorare i defunti e a provvedere ai bisogni di chi, un giorno, prenderà il loro posto come usufruttuario della terra.
(Roger Scruton: Manifesto dei conservatori, R. Cortina editore, 2007, pag.41 e seg.).
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Gli utilitaristi possono considerare i sentimenti di pietà come meri residui del pensiero morale; ma non lo sono affatto. La pietà (pietas dei romani) significa il riconoscimento profondo della nostra fragilità e della nostra dipendenza; ammettere cioè che il peso che ereditiamo non può essere sopportato senza un aiuto, senza la disposizione a ringraziare per la nostra esistenza e a rispettare il mondo da cui dipendiamo, e senza il senso di insondabile mistero che circonda la nostra nascita e la nostra morte. Tutti questi sentimenti confluiscono nell'umiltà che proviamo al cospetto dell'opera della natura, e questa umiltà è il terreno fertile su cui spargere i semi della moralità. Tuttavia , è vero che dall'Illuminismo il pensiero morale è stato separato dalla pietà e ha investito la sua maggiore energia in quelle idee legali astratte, associate al rispetto per le persone. Ma non è irragionevolecredere che lo sfruttamento, la sovrappopolazione e la distruzione dell'ambiente derivino tutti da un'unica fonte, che è la perdita della pietas. E' la pietà, e non la ragione, a impiantare in noi il rispetto per il mondo, per il suo passato e per il suo futuro, e che ci evita di saccheggiare tutto ciò che possiamo, prima che la luce della coscienza in noi venga meno.
(Roger Scruton: Guida filosofica per tipi intelligenti. Il sole 24 ore,2007, pag 113-114).

Scruton guarda il mondo da un punto di vista insolito per un ambientalista, quello conservatore. Ma le sue critiche vanno al centro del problema. L'uomo astratto creato dall'Illuminismo è cresciuto staccato dall'uomo reale. I diritti universali dell'uomo sono divenuti diritti di un ego metafisico capace solo di desiderare, sfruttare, appropriarsi, consumare, fare del mondo una discarica. L'uomo reale, quello che abita i luoghi con i suoi limiti e i suoi difetti, è la vittima di quest'uomo astratto super-egoico. Abitiamo in città avvelenate, respirando fumi tossici e mortali, prodotti da questa visione totalitaria del mondo. Contro l'ego antropocentrico e i suoi sconfinati desideri, Scruton ci richiama ai sentimenti tradizionali di appartenenza, di storia, di pietas verso il mondo che ci accoglie, la natura, gli avi defunti, i discendenti che dovranno nascere. Richiama la lealtà ai luoghi, che suona ridicola ai nostri orecchi di moderni occidentali che vediamo nei luoghi solo occasioni commerciali per impiantare, edificare, vendere, sfruttare. Ridare diritti all'uomo reale e non a quello astratto, ridare significato all'appartenenza, al radicamento, all'amore per i luoghi della propria storia, ai paesaggi che ci appartengono, al rispetto del passato e di chi ci seguirà su questo pianeta. Il dovere supremo di conservare il mondo nella sua bellezza, questo è l'unico senso che possiamo dare alla nostra vita, per sottrarla al tricacarne del macchina produzione-consumo, triste destino dell'uomo contemporaneo, globalizzato, sradicato, depositario di tutti i diritti assoluti sulla natura e sul mondo. E proprio per questo un uomo alienato, intossicato, perso nell'abisso della mancanza di senso di se stesso e del mondo.

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