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mercoledì 10 luglio 2013

IL PIANO B: IL MONDO DI LESTER BROWN




Riporto alcuni brani conclusivi dell’ultimo libro di Lester R. Brown “Piano B 4.0”  (Edizioni Ambiente, 2010) sulla strategia da seguire per cercare di invertire la rotta prima che il pianeta vada incontro al disastro ecologico. Brown propone un piano B rispetto all’attuale sviluppo caratterizzato da crescita demografica, crescita del Pil,  energia basata sul petrolio,  alti consumi e inquinamento della biosfera.

“Mobilitarsi per salvare la civiltà significa fondamentalmente ristrutturare l’economia globale per riequilibrare il clima, sradicare la povertà, stabilizzare la popolazione, recuperare i sistemi naturali di supporto dell’economia e, soprattutto, ridare la speranza. Abbiamo le tecnologie e gli strumenti economici e finanziari per farlo. Gli Stati Uniti, la più ricca società mai esistita, possiedono le risorse per guidare questo sforzo.
Riguardo allo sradicamento della povertà, Jeffrey Sachs, dell’Earth Institute della Columbia University, riassume bene la situazione: “La tragica ironia di questo momento è che i paesi ricchi sono così ricchi e i poveri così poveri che basterebbe una frazione dell’ 1 % del prodotto interno lordo dei più facoltosi nel corso dei prossimi decenni a rendere possibile ciò che non è mai stato fatto in tutta la storia dell’umanità: assicurare che i bisogni fondamentali di salute e istruzione siano soddisfatti per tutti i bambini poveri del pianeta”.
Possiamo dare alcune stime grossolane degli sforzi necessari per muovere la nostra civiltà del XXI secolo fuori dal tracciato del declino e del collasso, incamminandoci su un percorso capace di sostenere la civiltà. Quello che non possiamo calcolare è il costo della mancata adozione del Piano B. E’ possibile mettere una targhetta con il prezzo sul collasso della civiltà e sulle innumerevoli sofferenze e morti che l’accompagnerebbero?
Come illustrato in altro capitolo, i fondi aggiuntivi necessari a garantire un’istruzione primaria ai paesi in via di sviluppo sono stimati prudenzialmente intorno ai 10 miliardi di dollari l’anno.
Il finanziamento di analoghi programmi di istruzione di base per adulti, largamente basati sul volontariato, richiederebbe altri 4 miliardi di dollari annui. Secondo l’organizzazione mondiale della Sanità, servirebbero 33 miliardi di dollari per fornire l’assistenza sanitaria di base ai paesi in via di sviluppo. I fondi addizionali necessari a garantire assistenza sanitaria, assistenza alla salute riproduttiva e alla pianificazione familiare a tutte le donne dei paesi in via di sviluppo sono stimati in 17 miliardi di dollari l’anno.
Colmare il cosiddetto condom gap, con la fornitura di 14,7 miliardi di profilattici necessari al controllo della diffusione dell’HIV nei paesi del terzo mondo e nell’Europa dell’Est richiede 3 miliardi di dollari, dei quali 440 milioni per i preservativi e 2,5 miliardi per la loro distribuzione e l’educazione alla prevenzione. Il costo per l’avvio di programmi di refezione scolastica nei 44 paesi più poveri del mondo è di circa 6 miliardi. Negli stessi paesi, circa 4 miliardi di dollari all’anno coprirebbero il costo dell’assistenza ai bambini in età prescolare e alle donne in gravidanza. Nell’insieme, il costo per il raggiungimento degli obiettivi relativi ai servizi sociali di base sarebbe dunque di 77 miliardi di dollari all’anno. Ma, come notato nel capitolo 8, qualsiasi intervento per debellare la povertà è destinato al fallimento se non sarà accompagnato da uno sforzo per il ripristino degli ecosistemi terrestri. Proteggere il suolo, riforestare il pianeta, ricostituire le riserve ittiche richiederanno circa 110 miliardi di dollari di spese aggiuntive l’anno.  Le attività più costose, la protezione della biodiversità richiederebbe 31 miliardi di dollari, la conservazione del suolo altri 24, assorbirebbero circa la metà delle risorse necessarie annualmente al recupero del pianeta. La somma dei costi previsti nel budget del piano B è di circa 187 miliardi di dollari all’anno, all’incirca un terzo dell’attuale bilancio della difesa degli Stati uniti e il 13 % di quello mondiale. In un certo senso è questo il nuovo budget della difesa, quello che affronta le minacce più serie alla nostra sicurezza.
Sfortunatamente, gli Stati uniti continuano a concentrarsi sul rinforzo delle forze armate, e ignorano quasi completamente i rischi posti dal deterioramento dell’ambiente, dalla crescita demografica e dalla povertà. Il bilancio per la difesa degli Stati Uniti del 2008 è di 607 miliardi di dollari, il 41 % del totale mondiale di 1.464 miliardi di dollari. Gli altri paesi che spendono maggiormente nel settore militare sono la Cina, 85 miliardi, la Francia 66 miliardi, il regno Unito, 65 miliardi, e la Russia, 59 miliardi. Alla metà del 2009 i costi dell’occupazione dell’Iraq, che è già durata più della Seconda guerra mondiale, sono arrivati a 642 miliardi di dollari. L’impegno bellico in Iraq potrebbe rivelarsi uno dei più costosi errori della storia non solo per l’emorragia di risorse economiche, ma anche perché ha distratto l’attenzione del mondo dal cambiamento climatico e dalle altre minacce alla civiltà.
E’ tempo di decisioni. Possiamo scegliere di perseverare nel business  as usual, e assistere al declino del sistema economico seguito dal possibile collasso della nostra civiltà,oppure possiamo decidere di muoverci lungo un nuovo percorso, che sia in grado di sostenere il progresso economico. Nessuno può oggi sostenere che non ci sono risorse sufficienti. Possiamo stabilizzare la popolazione mondiale, sbarazzarci della fame, dell’analfabetismo, delle malattie e della povertà e possiamo ripristinare i suoli, le foreste e le aree di pesca. Spostare un ottavo dei bilanci militari mondiali al budget del Piano B sarebbe più che sufficiente a porci su un cammino in grado di sostenere il progresso. Possiamo costruire una comunità globale capace di soddisfare le necessità elementari di chiunque. Questa ristrutturazione economica dipende, come abbiamo già detto, da una revisione del sistema fiscale capace di rendere il mercato corrispondente alla realtà ecologica. I politici dovranno essere valutati in base alla loro capacità di riformulare il sistema fiscale, spostando le tasse dal lavoro alle attività distruttive per l’ambiente: questa riforma fiscale, condotta senza imporre imposte ulteriori, è la chiave per ristrutturare l’economia energetica e per stabilizzare il clima. E’ facile spendere centinaia di miliardi di dollari in risposta alle minacce del terrorismo, ma la realtà è che le risorse necessarie a distruggere un’economia moderna sono assai piccole e che il Department of Homeland Security, per quanto ben fornito, non potrà che offrire una minima protezione dai terroristi suicidi.
La sfida non è tanto quella di dare al terrorismo una risposta militare ad alto contenuto tecnologico, ma quella di costruire una società globale equa e sostenibile, che possa restituire a ognuno la speranza. Gli aumenti di efficienza che riducono la dipendenza dal petrolio, tagliano anche le emissioni di anidride carbonica e l’inquinamento atmosferico. Le misure che sradicano la povertà aiutano a stabilizzare la popolazione. La riforestazione sequestra la CO2, contribuisce al ripristino degli acquiferi e riduce l’erosione del suolo. Una volta che avremo operato in modo che un numero sufficiente di fenomeni vadano nella giusta direzione, questi si rinforzeranno gli uni con gli altri. Per rinforzare la speranza nel futuro, il mondo ha bisogno di un deciso passo in avanti nella riduzione delle emissioni e della dipendenza dal petrolio. Se gli Stati Uniti, per esempio, dovessero lanciare un forte programma di conversione della produzione automobilistica verso vetture ibride plug-in e completamente elettriche, e contemporaneamente investissero nella costruzione di migliaia di centrali eoliche, gli americani potrebbero effettuare la maggior parte dei loro spostamenti servendosi dell’energia catturata dal vento. Ciò ridurrebbe radicalmente la necessità di petrolio. Dato che negli Stati Uniti numerosi stabilimenti per la costruzione delle auto sono attualmente inattivi, sarebbe relativamente semplice riorganizzarne qualcuno per la produzione di turbine eoliche, permettendo al paese di utilizzare le sue grandi potenzialità di sfruttamento dell’energia dal vento.”
(Tratto da “Lester R. Brown: “Piano B 4.0”, Edizioni Ambiente 2010 pag. 312 e segg.)

A volte il trascorrere degli anni non fa bene agli uomini, persino nel campo in cui i capelli bianchi dovrebbero assicurare una maggiore saggezza, come quello sugli studi ecologici. E’ facile per gli uomini cadere nell’utopia. Purtroppo è capitato anche a L. Brown. Le denunce dei mali del pianeta sono tutte giuste. Brown è stato meritoriamente uno dei primi a denunciare il pericolo mortale della sovrappopolazione e degli alti tassi di natalità in vaste zone della Terra. Ma accade poi a molti di cadere nella banalità del ripetitivo, dell’uniformizzazione culturale  prevalente: un misto di buonismo, di equosolidale, di fratellanza universale basata su parole-totem che nascondono il nulla.  Quello che lui propone con il Piano B è condivisibile e sarebbe efficace, ma in un mondo perfetto, in un mondo dove la distanza tra  ricchi e poveri si fosse generata per una semplice  disfunzione del software, un mondo fatto di popolazioni di esseri umani non affetti da passioni o idolatrie o odi atavici,   e avessimo a disposizione un pianeta stabile, regolato e pacifico. Un mondo dei sogni, quello di Brown,  dove le differenze culturali non esistono, se non come parvenze facilmente rimuovibili, dove le tradizioni, i costumi, le visioni religiose e politiche sono semplici sovrastrutture di una economia pronta a riparare tutte le storture al prezzo, veramente conveniente, di 187 miliardi di dollari l’anno.    Un mondo così, mi dispiace per Lester  Brown, non esiste. Basterebbe, nella visione utopica di Brown, che  gli Usa  pagassero il conto ai paesi arretrati: il mondo si pacificherebbe d’incanto, la sovrappopolazione finirebbe, Al Quaeda diventerebbe un circolo di bocciofili, l’economia assicurerebbe progresso equo e solidale per tutti.    Il tema finale poi delle centrali  eoliche che svettando su di un mondo pacificato assicurano a tutti energia e benessere mi riporta alla retorica da “carosello” del “mulino bianco” con le famiglie felici di mangiare biscotti in uno sfondo agreste.Nella realtà i miliardi di dollari andrebbero ad ingrassare speculatori, classi dirigenti corrotte, furfanti che fanno del buonismo il paravento del malaffare, cricche di potere di integralisti e nazionalisti . Contro ogni utopia provo a immaginare uno scenario B, quello che seguirebbe all’attuazione del piano B.   Ridurre le spese per la difesa può essere una buona idea, così come    tassare le fonti tradizionali   e abbattere i consumi di petrolio. Ma bisogna fare attenzione agli equilibri strategici e geo-politici, alla lotta al terrorismo, e  alle  conseguenze   sull’economia e sul prezzo dell’energia. L'eolico su cui confida Brown può andar bene come fonte alternativa in ambiti locali, per rendere energeticamente autonome alcune aree; ma fondarci tutta la politica energetica degli Stati Uniti vuol dire andare dritti verso una crisi energetica e finanziaria.  Una crisi finanziaria americana abbiamo imparato in questi anni  cosa significa: la povertà aumenterebbe in tutto il mondo, le tensioni internazionali si acuirebbero, la sovrappopolazione non si arresterebbe e con essa i fenomeni migratori, e l’effetto finale sarebbe un’ulteriore crescita delle emissioni inquinanti aggravato dal ritardo tecnologico per le minori risorse disponibili  sulla ricerca.
Preferivo il Lester Brown del 1973 con le sue precise, scientifiche denunce degli effetti devastanti della sovrappopolazione, senza i pannicelli caldi del buonismo verde  “equo e solidale”.

NB: non sono contrario a destinare miliardi di dollari, reperiti da tagli alle spese statali nei paesi avanzati,  all’aiuto ai paesi arretrati. Ma le donazioni ai paesi in via di sviluppo debbono essere legate a fatti concreti, a obiettivi precisi localizzati nello spazio e nel tempo, con effetti immediati e misurabili. Si deve lavorare sugli obiettivi, e non su regole astratte e programmi troppo vasti. Ad esempio creare scuole per le ragazze e centri di assistenza  alla pianificazione familiare, alla contraccezione e all’igiene riproduttiva, con finanziamenti di campagne educative e con premi alla riduzione della natalità nelle aree in cui questa è eccessiva.

7 commenti:

  1. ciao!
    sì è vero, alla fine Lester vede uno scenario un pò utopico..
    Riguardo gli aiuti,concordo: ben vengano,ma mirti.
    Che senso ha mandare riso e altri aiuti in pesi poveri,
    se contemporaneamente non si dice loro di calare di numero?
    Con educazione,istruzione...invece vedo spesso che tra gli aiuti c'èanche quello a procreare,viene pubblicizzato,e infatti le varie pubblicità delle vrie associazioni puntano proprio sui volti di BAMBINI,neonati e mamme nelle loro campagne.
    MAI una scritta tipo: "Aiutiamoli e studiare e a non fare figli".
    MAI.
    Vero?

    Un esempio do aiuto vero credo sia il microcredito,come avvenuto in Bangladesh grazie a Muhammad Yunus.
    E anche le parole di Dambisa Moyo sono utili.

    Non credo a quegli aiuti stile "dona un caffè per dare le matite ai bimbi di______"

    No.

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  2. Cara Laura, come sempre sono completamnete d'accordo con te.

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  3. Certo, continuare a mandare aiuti al terzo mondo con la logica attuale è del tutto autolesionista.
    Non solo non li aiutiamo a progredire sulla strada della demografia respnsabile, ma addirittura otteniamo l'effetto opposto, ovvero di AUMENTARE l'incidenza complessiva della povertà, anzichè ridurla.
    Il che è ovvio, se si conoscono un poco i meccanismi demografici, ma è paradossale per le tante pesone che, in perfetta buona fede, mandano il proprio obolo laggiù.
    Una grande occasione sprecata !

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  4. E' quello che denuncia la coraggiosa economista africana Dambisa Moyo nei suoi libri. Dead aid li chiama, aiuto della morte, perche' non abitua gli africani all'autonomia e alla responsabilità compresa quella verso il proprio ambiente. Un ambiente, tra i più belli del pianeta, che oggi rischia la distruzione (e la sparizione di migliaia di specie) per la violenta antropizzazione cui, secondo tutte le previsioni tra cui quella dell'ONU, andrà incontrerà nei prossimi anni.

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  5. leggete l'articolo-boiata (a mio modesto avviso) e i commenti saggi scritti sotto.


    http://www.wallstreetitalia.com/article/1604013/societa/in-europa-non-si-fanno-piu-figli-crolla-numero-nascite.aspx

    E' datato.......ieri!
    articoli di questo tipo mi fanno paura.
    ma come si fa?
    Poi la gente va in giro a ripetere "ah non si fanno più figli........", io ne ho sentiti vari. come i pappagalli.....

    ma a loro importano solo cose come il pil,come fare a garantire le pensioni e privilegi.....ecc?????
    Non posso che darmi un sola risposta: SI'!

    perchè se importasse davvero,basterebbe farsi una passeggiata o fare qualche ricerca per capire che assolutamente la popolazione mondiale (e italiana nel dettaglio) non deve aumentare.

    (finche si trovi 1 altro pianeta)

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  6. << ma a loro importano solo cose come il pil,come fare a garantire le pensioni e privilegi.....ecc?????
    Non posso che darmi un sola risposta: SI'! >>

    Cara Laura, penso anche io che sia così, ma si tratta di una strategia autolesionista.
    E' come segare il tronco su cui si è seduti.

    Se il pianeta va gambe all'aria per l'overshoot demografico, lor signori sono davvero sicuri di poter continuare a fare la bella vita come se nulla fosse ?

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  7. Già...
    ma poi la storia che "ah non si fanno più figli..."
    Ogni volta che esco di casa non faccio altro che vedere pancioni e mamme!
    E' pieno!

    Da come parlano invece sembra che stiamo facendo la fine del panda,ma non è vero!
    E la gente ci crede!
    con la conseguenza che anche chi non farebbe figli o si fermerebbe a 1, pressato da nonni,conoscenti,tv.......ecc......gli dà almeno il fratellino

    :-(

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