Parliamo continuamente di cambiare
l’ambiente per permetterci di vivere meglio. Ma ci sono altre possibilità, come
ci ricorda James Watson, uno dei due premi Nobel che hanno scoperto la doppia
elica del codice genetico (1953). Secondo Watson per ritrovare una armonia tra
uomo e pianeta possiamo anche modificare il DNA umano, e non solo per eliminare
alcune malattie. Oggi la biologia da diritti fondamentali ad una madre. Lei può
sapere con molto anticipo se
avrà un bambino malato di cui
porterà le conseguenze. In teoria in futuro sarà possibile avere persone più
idonee ad imparare e utilizzare una intelligenza più brillante (già oggi è possibile farlo intervenendo sul codice genetico di popolazioni di topi per migliorarne la memoria e la capacità a risolvere problemi). Una maggiore
consapevolezza nel mettere al mondo figli che siano sani, più istruiti, più idonei alla cultura e in grado di vivere
nella modernità senza ricadere negli errori del passato, può contribuire a
ridurre la discrepanza tra tassi di natalità e rispetto del pianeta. Watson denuncia le resistenze
fortissime che la religione e gli ideologi dell’antropocentrismo oppongono alle
nuove frontiere della genetica. Costoro vedono solo l’uomo e fanno l’errore di
vederlo staccato da tutto il resto della natura, posto su di un piedistallo di
intangibilità etica (mentre tutto il resto della natura sarebbe tangibilissimo
e a disposizione…).
In fondo solo pochissime modificazioni
del DNA ci separano dallo scimpanzè, eppure sono bastate quelle poche per
generare il bene e il male della storia dell’Homo sapiens. Tenere presente
questa vicinanza e la possibilità di correggere gli errori di una nostra eccessiva
arroganza riportandoci a quella realtà biologica cui tutti gli esseri viventi
appartengono ci potrà aiutare a ritrovare il nostro posto nel mondo.
Riporto alcuni brani tratti dal libro
di James D. Watson: "DNA – Il segreto della vita." - Adelphi (2006).
“Gli studi sul DNA hanno dimostrato che noi siamo
geneticamente distinti dall’uomo di Neandertal. D’altra parte, l’insegnamento
generale che possiamo trarre da un approccio molecolare allo studio
dell’evoluzione umana ha fornito una indicazione opposta, e cioè che siamo
sorprendentemente vicini, dal punto di vista genetico,al resto del mondo
naturale…Nel loro confronto dei genomi dello scimpanzè e dell’uomo, Mary-Claire
King e Wilson combinarono numerosi metodi, compresa una tecnica molto ingegnosa,
denominata “ibridazione del DNA”. Il grado di prossimità si rivelò
sorprendente: Mary-Claire King riuscì infatti a stabilire che le sequenze di
DNA delle due specie differiscono solo dell’un per cento. Abbiamo in comune con lo scimpanzè più di quanto lo
scimpanzè abbia in comune con il gorilla, giacché il genoma delle due
antropomorfe differisce di circa il 3 per cento. Il risultato era talmente
straordinario che King e Wilson si sentirono in obbligo di avanzare una
spiegazione per l’evidente discordanza tra il ritmo (lento) dell’evoluzione
genetica e quello (rapido) dell’evoluzione anatomica e comportamentale. Come poteva un cambiamento genetico
così esiguo render conto della differenza sostanziale che si osserva, al
giardino zoologico, tra gli scimpanzè e la specie che li guarda dall’altra
parte della vetrata? Essi ipotizzarono che la maggior parte dei cambiamenti
evolutivi importanti si fosse verificata nei tratti di DNA che controllano
l’attivazione e la disattivazione dei geni (ad esempio l’organizzazione
tridimensionale della molecola che espone alcuni gruppi di geni e ne nasconde
altri secondo la nuova nascente
scienza epigenetica. Ndr). In tal modo, un piccolo mutamento genetico poteva
avere un impatto significativo, modificando, ad esempio, la scansione temporale
dell’espressione di un certo gene. In altre parole, la natura può creare due
esseri di aspetto molto diverso semplicemente orchestrando gli stessi geni in
modo che funzionino in modo differente…
Pur ammettendo che il pressante desiderio di migliorare le
condizioni altrui faccia parte della natura umana, molti non sono d’accordo sul
modo migliore di perseguire quel fine, così che questo rimane un eterno
argomento di dibattito politico e sociale. Secondo l’ortodossia prevalente, il
modo migliore per aiutare i nostri simili consiste nell’affrontare i problemi
legati all’ambiente e alla cultura. Esseri umani privati di cibo, amore e
istruzione hanno minori possibilità di condurre una vita produttiva. Ma come abbiamo visto, pur
essendo fattori estremamente influenti, ambiente e cultura hanno i loro limiti,
che si rivelano in modo decisamente drammatico nel caso di gravi difetti
genetici. Ad esempio bambini con grave sindrome dell’ X fragile non
diventeranno mai adulti capaci di badare a se stessi. Né tutta l’assistenza
scolastica del mondo potrà mai garantire a chi ha seri problemi di
apprendimento di diventare il primo della classe. Il punto è questo: siamo
preparati ad accogliere il potenziale della genetica al fine di migliorare la
condizione umana a livello individuale e collettivo? Che dire della prospettiva
di una terapia genica sulla linea germinale: saremmo disposti in futuro a
esercitare il potere di trasformare, ancora prima che nascano, gli individui
che apprendono lentamente in soggetti più brillanti? C’è da chiedersi quale
sarebbe stata la nostra risposta viscerale di fronte a tali prospettive se
l’umanità non avesse assistito all’oscura esperienza dell’eugenetica. La realtà
è che l’idea di migliorare il nostro patrimonio genetico naturale allarma la
gente, dando per scontato che la soluzione escogitata dalla natura sia
necessariamente la migliore. Nel campo della salute questo viene più accettato,
ad esempio nel modificare i nostri geni per renderci più resistenti all’AIDS.
Ma qualcuno sosterrà che invece di modificare i geni delle persone, dovremmo
concentrare i nostri sforzi nel curare chi può essere curato e inculcare in
tutti gli altri la cognizione dei pericoli della promiscuità sessuale. Secondo
me, una reazione moralistica di questo tipo è profondamente immorale.
Attualmente, in tutto il mondo le leggi proibiscono di aggiungere DNA alle
cellule germinali umane. Il sostegno a tali proibizioni viene da numerosissimi
gruppi di opinione. I gruppi religiosi – convinti che maneggiare la linea
germinale umana sia come sostituirsi a Dio – sono i principali responsabili
della violenta opposizione nell’opinione pubblica. Da parte loro, i critici
laici temono trasformazioni sociali: scenari in cui le naturali differenze
umane sono amplificate, cancellando ogni traccia di società egalitaria. Io vedo
un solo argomento razionale per ritardare il progresso del miglioramento
genetico umano, ed è la preoccupazione se la terapia genetica della linea
germinale potrà mai essere eseguita in condizioni sufficientemente sicure. Vale
la pena sottolineare che, contrariamente alla apparenze, dovrebbe essere meno
rischioso intervenire con la terapia sulla linea germinale che non sulle
cellule somatiche. Infatti nella cellula germinale il DNA viene inserito in una
singola cellula ed è possibile monitorare il processo in modo rigoroso, mentre
sulle cellule somatiche bisogna intervenire su una moltitudine di cellule.
Secondo me dovremmo prendere in seria considerazione la terapia genetica della linea germinale e trascurare le
critiche inevitabili. Alcuni di noi già conoscono il dolore che si prova ad
essere fatti oggetto delle censure un tempo riservate agli eugenetisti. In
ultima analisi, però, si tratta di un piccolo prezzo da pagare per raddrizzare
l’ingiustizia genetica. Se questo tipo di ricerca sarà definito eugenetica,
allora io sono un eugenetista…Il fatto che nella nostra società tanto
progredita dal punto di vista medico quasi nessuna donna sia sottoposta allo
screening per rilevare la presenza della mutazione dell’X fragile, a dieci anni
buoni dalla scoperta (1993), può testimoniare solo ignoranza o intransigenza
ideologica (e religiosa). Qualsiasi donna legga queste mie parole dovrebbe
rendersi conto che una delle cose importanti che può fare come madre (reale e
potenziale) è di raccogliere informazioni sui rischi genetici che i suoi figli,
non ancora nati, dovranno poi affrontare; lo potrà fare cercando geni deleteri
nella propria famiglia o in quella del suo partner; o anche, più direttamente,
nell’embrione di un figlio già concepito. E che nessuno dica che una donna non
ha il diritto di accedere a questa conoscenza. Ne ha invece tutto il diritto,
come è suo diritto agire tenendone conto.
E’ lei, infatti, che ne subirà le immediate conseguenze…Io non discuto
il diritto dei singoli individui di rivolgersi alla religione come bussola
morale privata; contesto però l’assunto di troppe persone religiose, secondo le
quali gli atei vivrebbero in un vuoto morale. Secondo me, quelli di noi che non
sentono alcun bisogno di un codice morale scritto in un libro antico fanno
ricorso a un intuito morale innato, plasmato moltissimo tempo fa dalla
selezione naturale, per promuovere la coesione sociale nei gruppi dei nostri progenitori. La frattura fra
tradizione e laicismo aperta per la prima volta dall’Illuminismo ha poi imposto
il ruolo che la biologia deve avere nella società…Se solo riuscissimo ad
accettare senza paura la verità rivelata dal DNA, non dovremmo più disperare
per il futuro di chi verrà dopo di noi.”
<< Io non discuto il diritto dei singoli individui di rivolgersi alla religione come bussola morale privata; contesto però l’assunto di troppe persone religiose, secondo le quali gli atei vivrebbero in un vuoto morale.>>
RispondiEliminaCaro Agobit, questa è senza dubbio una delle affermazioni più false e detestabili di tutto l'armamentario religioso.
Ed il colmo è che, molto spesso, chi la pronuncia mentre cerca disperatamente la pagliuzza altrui, perde di vista la propria trave.
Il viaggio del Papa con la sceneggiata a Lampedusa mi ha confermato, una volta per tutte, che questa Chiesa è sorda e cieca. Il mondo va in rovina, il pianeta soffoca, la biosfera va degradandosi giorno per giorno, e questi ragionano con lo stesso armamentario di secoli fa, quando il mondo aveva qualche centinaio di milioni di abitanti. Dio ci salvi da questa chiesa
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