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lunedì 3 giugno 2013

SULLE ORME DI HEIDEGGER


 (La Hutte com'è oggi)

Sono appena tornato da un viaggio in auto sui luoghi heideggeriani. Per questioni di tempo a disposizione non ho potuto visitare il paese natale Messkirch, dove si trova la casa del padre del filosofo, bottaio e sagrestano. Mi riprometto di farlo in altra occasione.  Ho visitato Friburgo con  l’Università dove Martin Heidegger ha insegnato, la casa allo Zaringhen (quartiere ad est della piccola città), e la baita a Todtnauberg, sulle montagne della Foresta Nera.
L’interesse per il viaggio mi è nato leggendo le opere del filosofo, quelle in cui si pongono le basi per un nuovo pensiero ecologista in grado di  arrestare l’infernale meccanismo che sta alterando la natura e l’ambiente dietro la sviante esaltazione della razionalità  tecnologica  come unica possibilità di salvezza per l’uomo. La critica che Heidegger rivolge alla Tecnica come modo di essere e addirittura come “destino” dell’uomo è un richiamo  a rivedere tutto il nostro pensiero basato sull’antropocentrismo, sul riferire cioè tutte le cose del mondo all’uomo, alla sua misura, al suo servizio, alla sua illimitata disponibilità. Criticare l’egoismo antropocentrico non significa svalutare l’uomo, anzi.  L’uomo con termine heideggeriano viene definito “esser-ci” ed è il luogo in cui l’essere si manifesta a se stesso attraverso la coscienza. Ma l’uomo non è il padrone della natura, ma un ente tra gli altri enti naturali, è inscindibilmente legato alla sua appartenenza  al resto della natura di cui è parte. Così si esprime il filosofo:
“L’uomo…è più che animal rationale, proprio in quanto è meno rispetto all’uomo che si concepisce a partire dalla soggettività. L’uomo non è il padrone dell’ente ( la natura e le cose del mondo). L’uomo è il pastore dell’essere. In questo “meno” l’uomo non perde nulla, anzi ci guadagna, in quanto perviene alla verità dell’essere. Guadagna l’essenziale povertà del pastore, la cui dignità consiste nell’esser chiamato dall’essere stesso a custodia della sua verità.”  (Lettera sull’Umanesimo, Adelphi, 1995, pag. 73).
L’essenza dell’uomo sta tutta in questo suo appartenere alla natura sia come esistenza corporea sia come comprensione spirituale. Dimenticare questa appartenenza originaria sta alla base della  considerazione dell’uomo come padrone di tutto, in cui la natura perde di senso e diviene un insieme di cose da fruire, da utilizzare da parte dell’uomo. Questo è il modo di pensare che  conduce al nichilismo, alla dimenticanza dell’essenza dell’uomo, alla sua riproducibilità tecnica, alla coscienza come puro strumento per prendere possesso del mondo, alla distruzione del pianeta e dell’uomo stesso. In questo invito a riconsiderare come noi abbiamo “pensato” il nostro modo di stare nel mondo c’è una vera rivoluzione copernicana: un invito a fare un passo indietro dallo sconsiderato antropocentrismo, e a porre al centro del nostro pensare e del nostro agire la salvaguardia della natura come luogo che da senso alla nostra esistenza di uomini. E’ un richiamo forte ad essere non i distruttori della natura, ma i suoi rappresentanti e i suoi custodi.
La metafisica occidentale ha condotto invece, fino ad oggi, al mondo della Tecnica. La Tecnica è alla base di quell’agire dell’uomo che è responsabile della cementificazione, del consumo fine a se stesso,  della produzione massiva di rifiuti, della concezione del mondo come cosa da utilizzare, dell’eccesso demografico che sta intossicando e togliendo senso alla nostra Terra e all’uomo stesso ridotto a numero. Heidegger usa il termine “Impianto” per definire questo apparato tecnologico prodotto dall’uomo che sta ricoprendo e trasformando l’ambiente e devastando gli esseri viventi.

LA BAITA SULLA FORESTA NERA
Uno dei motivi centrali del viaggio è stata la visita alla Hutte, la baita sulla foresta nera dove il filosofo scriveva le sue opere e meditava al suono del vento che soffiava tra gli abeti della foresta  intorno e sulle travi del tetto. E’ una modesta costruzione di circa 50 metri quadrati, realizzata  tutta in legno poggiante su un basamento di pietre, senza acqua. Il filosofo e la moglie attingevano l’acqua da un piccolo fontanile posto ad alcuni metri dalla baita. Sulla fontana una piccola stella scolpita nel legno posta come simbolo del sacro collegato ad ogni fonte. La baita appartiene oggi agli eredi e non è possibile visitarla all’interno. Esistono tuttavia numerose foto eseguite al tempo del filosofo. Stupisce la povertà e la semplicità spartana del piccolo edificio (poco più di una capanna), composto all’interno di quattro stanzette, con una stufa a legna centrale per riscaldarla e per cucinare. Una piccola scrivania posta davanti ad una finestra che da sulla vallata è il luogo in cui il filosofo scrisse gran parte di Essere e Tempo.
Dalla baita si dipartono alcuni sentieri che sono alla base delle similitudini ricorrenti tra il pensare inteso come un cercare, un vagare su sentieri che possono essere ciechi, oppure possono portare alla radura, cioè alla presenza della manifestazione della luce come illuminazione e comprensione della verità che si dis-vela. Questo paesaggio, questa folta foresta che circonda campi verdi e scorci panoramici sulle vallate,  sono importanti  per capire il senso delle similitudini e di tante frasi delle opere di Heidegger. La baita è in fondo, nel pensiero di Heidegger, un simbolo per riflettere sul concetto di sradicamento: l’uomo moderno ha perso il suo rapporto con la terra, e non riesce nel mondo di oggi a  ritrovare origine, appartenenza, casa. Un razionalismo astratto e privo di radici è alla base del consumismo e della commercializzazione di ogni cosa e minaccia nelle fondamenta questo sentimento di appartenenza e comunanza con i luoghi e con un ambiente naturale.  Ritrovare un rapporto con la terra, con le origini,  significa ritrovare equilibrio, rispetto, cura (termine eminentemente heideggeriano). Cura dei luoghi, del paesaggio, di ciò che essi hanno di trascendente, inteso come ciò che da un senso all’esistenza insieme alla natura e non contro di essa.  

L’ ACCUSA DI VICINANZA AL NAZISMO
E’ un argomento che perennemente ritorna, fomentato anche da interessi editoriali e politici estranei al dibattito della filosofia.  Numerose testimonianze hanno dimostrato che il filosofo, in qualità di rettore dell’Università di Friburgo, si adoperò per mantenere negli incarichi di insegnamento i docenti ebrei che le autorità naziste volevano estromettere. Quando si avvide che non riusciva più a mantenere l’autonomia dell’Università, otto mesi dopo aver assunto l’incarico di Rettore, Heidegger si dimise ( maggio del 1934) e non si occupò più di politica e di rapporti con le istituzioni. Come da lui dichiarato più volte, tutto l’ampio volume su Nietszche scritto dal 1936 in poi, è una feroce critica al nichilismo nazista. Nonostante i tentativi di isolare il pensiero heideggeriano dalla filosofia contemporanea, tutti i temi del dibattito filosofico attuale vedono l’opera del filosofo di Friburgo al centro di numerose ispirazioni e riconoscimenti, compresi quelli di pensatori in passato fortemente critici, come Habermas in Germania e i seguaci di Derrida in Francia. Gli esiti disastrosi dello sviluppo tecnologico e del sistema produttivo moderno con la messa in pericolo del pianeta e della sopravvivenza stessa dell’uomo hanno da una parte confermato le previsioni sul destino nichilista dell’occidente espresse in tante opere del filosofo, dall’altro ravvivato l’interesse per un nuovo pensiero che veda al centro la salvaguardia dell’ambiente e della natura. Alcuni degli accusatori inoltre sono stati sbugiardati da autori preparati, come Francois Fedier, pensatore francese, allievo di Jean Beaufret, che ne ha denunciato la mancanza di basi documentali e l'intento esclusivamente diffamatorio. Ultimamente lo storico cileno Farias, uno dei principali accusatori di Heidegger, ha rivelato la sua inaffidabilità arrivando ad accusare di antisemitismo,  in un suo saggio, persino l’eroe democratico e premier  cileno Salvator Alliende, ucciso durante il golpe dei militari nel 1973. 

2 commenti:

  1. << La metafisica occidentale ha condotto invece, fino ad oggi, al mondo della Tecnica. >>

    Giusto. Ma si potrebbe anche rovesciare l'assunto e dire che è stata la tecnica, con il suo sviluppo impetuoso, a modellare il cammino della metafisica occidentale.
    In genere si pensa che siano le idee a modificare gli stili di vita, ma spesso accade il contrario.

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  2. Il problema è di non fare della tecnica un Idolo, in senso baconiano. Un idolo sul cui altare sacrificare tutto, compreso il pianeta e noi stessi. La tecnica ci rende la vita più facile, ma come sta conciando il pianeta? Ci stiamo facendo dominare dalla tecnica, ed invece ce ne dovremmo servire. L'esplosione demografica da uno a sette miliardi nel giro di pochi decenni è frutto della tecnologia (meccanizzazione dell'agricoltura, maggiori risorse alimentari, sanità, antibiotici ecc.), ma a tanto potere della tecnica non abbiamo fatto seguire un maggior senso di responsabilità dell'uomo. Anzi, più il potere della tecnica aumentava, più ci siamo deresponsabilizzati per folle antropocentrismo. Il risultato è il mondo attuale, assetato di consumi e produttore di rifiuti. Un mondo senza senso, senza valori, avviato al nichilismo...

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