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sabato 29 giugno 2013

Jared Diamond: LE STRATEGIE DEI SELVAGGI


(In alto la foto del primo incontro tra esploratori australiani  e individui cosiddetti selvaggi della Papuasia che non avevano mai visto un bianco, nel 1931).


Nel momento in cui il modello occidentale trionfa in tutto il pianeta, assistiamo ad una presa di coscienza collettiva sul destino tragico che attende la Terra e noi tutti se proseguiamo su questa strada. Il pianeta è vicino al collasso e i problemi energetici, di inquinamento, di riscaldamento globale e di devastazione ambientale irreversibile sono ormai evidenti anche per i più increduli.   Persino gli ottimisti sulle "magnifiche sorti e progressive" del genere umano si stanno rendendo conto che il modello di crescita e di consumi che stiamo seguendo e il boom demografico inarrestabile ci porteranno al collasso ambientale. Jared Diamond, antropologo già autore del best seller Armi, acciaio e malattie, ci invita nel suo ultimo libro (Il mondo fino a ieri, Einaudi) a guardare le società tradizionali che definiamo tribali o selvagge, quelle in cui l’uomo è vissuto per migliaia di anni prima della modernità, per scoprire dove abbiamo sbagliato e prendere da esse soluzioni valide anche per noi moderni. Abbiamo considerato, nella nostra orgogliosa prosopopea modernista, queste società come rozze, selvagge ed eticamente impresentabili. Eppure, inaspettatamente, hanno molto da insegnarci e possono contribuire a far ritrovare al pianeta la via della salvezza. Ad esempio la via per società meno popolose, più a dimensione umana, in cui la conoscenza reciproca costituisce una misura dei rapporti in grado di organizzare società più giuste e meno violente. Queste società possono suggerirci alcuni comportamenti ecologicamente virtuosi che ci aiutino a ritrovare un rapporto con la natura, l’ambiente e le altre specie viventi.

 Jared Diamond ha vissuto molti anni a contatto con tribù nelle isole del pacifico e in Nuova Guinea per studiare dal punto di vista antropologico e culturale popolazioni rimaste primitive e in alcuni casi, come nel caso di Papua in Nuova Guinea, fino a pochi decenni fa all’età della pietra. Queste popolazioni furono scoperte per la prima volta dagli esploratori australiani nel 1931 e furono redatte molte relazioni e scattate molte foto, che costituiscono un interessantissimo materiale di studio.

“… in quelle foto gli abitanti degli altipiani di Papua, che da millenni vivevano in stato di isolamento e pressoché ignari dell’esistenza di un mondo esterno, fissano terrorizzati i primi bianchi…erano a malapena coperti da gonnellini di foglie, avevano borse di rete gettate sulle spalle e sfoggiavano copricapo di piume di uccello.”

Diamond paragona le descrizioni e le foto di quei guineani a ciò che lui vede quando nel 2006 giunge nell’aeroporto di Papua Nuova Guinea per nuove ricerche connesse al suo lavoro di antropologo ( le sue prime esperienze in Nuova Guinea risalgono al 1964). Oggi i guineani indossano la solita tenuta standard internazionale a base di camicie, calzoni, gonne, pantaloncini e berretti con la visiera. Nell’arco di un paio di generazioni gli abitanti degli altipiani avevano imparato a scrivere, a usare il computer e ad andare in aereo.

“…La folla  guineana dell’aeroporto, pur presentandosi all’occhio di un occidentale inesperto come una massa omogenea di individui di pelle scura con capelli crespi, era assai eterogenea dal punto di vista dell’aspetto: c’erano gli abitanti delle pianure della costa meridionale, alti, con le barbe rade e facce più sottili; quelli delle zone montuose interne, più bassi, con barbe più folte e facce più larghe; infine gli isolani e gli abitanti delle pianure della costa settentrionale, dai lineamenti più asiatici. Nel 1931 sarebbe stato del tutto impossibile vedere insieme abitanti degli altipiani e delle pianure delle due coste, e qualunque assembramento di persone in Nuova Guinea sarebbe risultato molto più omogeneo di quello nell’aeroporto del 2006. Un linguista che si fosse messo in ascolto della folla avrebbe poi riconosciuto lingue diverse appartenenti a ceppi ben distinti: lingue tonali come il cinese, dominate dall’altezza del suono delle parole, lingue austronesiane composte da sillabe e consonanti abbastanza semplici, e lingue papua non tonali. Nel 1931 sarebbe stato già possibile vedere insieme singoli individui di lingue diverse, ma non certo un’intera folla che parlava decine di idiomi differenti. Nel 2006 al banco del check-in, e in molte delle conversazioni udibili fra i passeggeri, due erano le lingue più usate:  l’inglese e il tok pisin (noto anche come neomelanesiano o pidgin english); nel 1931, invece, sugli altipiani le conversazioni si svolgevano rigorosamente negli idiomi locali, ciascuno dei quali confinato entro una piccola area geografica.
Un’altra sottile differenza fra le scene del 1931 e del 2006 è che la folla in aeroporto comprendeva alcuni guineani dalla tipologia fisica tristemente americana, individui soprappeso con “pance da birra” che straripavano dalle cinture dei calzoni, mentre nelle foto di settantacinque anni prima non appare un solo individuo soprappeso e tutti si presentano anzi snelli e muscolosi. A giudicare dalle moderne statistiche del sistema sanitario pubblico di Papua Nuova Guinea si assiste a casi sempre più frequenti di diabete legato a problemi ponderali, di ipertensione, malattie cardiache, infarto e cancro, tutte patologie sconosciute soltanto una generazione prima.
A distinguere ancora le due scene c’era poi qualcosa che nel mondo moderno diamo ormai per scontato: sebbene la maggioranza delle persone ammassate in quella sala d’aeroporto fosse composta da sconosciuti che non si erano mai incontrati prima, a nessuno veniva in mente di aggredire il proprio vicino solo per questo- fatto inimmaginabile nel 1931, quando i contatti fra estranei erano rari,  pericolosi e tendenti a degenerare in violenza. Certo, nel 2006 c’erano i due poliziotti incaricati di mantenere l’ordine pubblico, ma di fatto a mantenere l’ordine era la folla stessa, visto che là in mezzo nessuno temeva di essere attaccato e tutti sapevano di vivere in una società dove, in caso di tafferugli, agenti e militari erano sempre e comunque a portata di mano. Nel 1931 polizia e autorità statali invece non esistevano. I passeggeri del 2006 avevano inoltre il diritto di recarsi in aereo o con qualsiasi altro mezzo a Wapenamanda e in ogni altro posto della Nuova Guinea senza dover chiedere alcun permesso. La libertà di circolazione, prerogativa ormai acquisita nel mondo occidentale, una volta era l’eccezione, non la regola, e nel 1931 nessun guineano di Goroka era mai stato a Wapenamanda, solo 170 chilometri più a ovest, perché l’idea di poter compiere quello spostamento senza restare ucciso entro i primi 20 chilometri in quanto forestiero era del tutto impensabile. Io invece avevo appena fatto 7000 miglia, da Los Angeles a Port Moresby, coprendo una distanza centinaia di volte  superiore a quella a cui qualunque   abitante degli altipiani di allora si sarebbe spinto in tutta la sua vita, partendo dal luogo dove  era nato. Potremmo sintetizzare tutte queste differenze tra la scena del 2006 e le foto del 1931 dicendo che in quei 75 anni la popolazione delle regioni interne paupane ha vissuto cambiamenti per cui, nel resto del mondo, sono occorsi migliaia di anni. Se si considerano poi i singoli individui, tali cambiamenti sono stati ancora più rapidi: alcuni amici guineani mi hanno raccontato di aver affilato le ultime asce di pietra e partecipato alle ultime battaglie fra tribù tradizionali solo dieci anni prima di conoscermi. Oggi i cittadini dei paesi  industriali non trovano nulla di strano nella scena del 2006: metalli, scrittura, automobili, aerei, polizia e governo, persone soprappeso, pacifici incontri tra sconosciuti, popolazioni eterogenee riunite insieme e via dicendo –tutte cose normali per le società moderne, ma relativamente recenti nella storia dell’uomo. Per la maggior parte dei sei milioni di anni trascorsi da quando le linee evolutive del protouomo e del protoscimpanzè si separarono, nessuna società umana ha avuto a disposizione i metalli e gli altri elementi appena citati. Si tratta infatti di prodotti moderni comparsi solo negli ultimi 11.000 anni e solo in alcune zone del pianeta. Sotto certi aspetti la Nuova Guinea rappresenta dunque una finestra sul mondo per come, in termini di evoluzione umana lungo questa scala di 6 milioni di anni, esso si è presentato praticamente fino a ieri. Fondamentalmente le società umane hanno subito trasformazioni profonde solo in tempi recenti e in modo rapido.
Ho amici cresciuti in piccoli paesi europei negli anni 1950 che descrivono la propria infanzia come quella nei villaggi tradizionali della Nuova Guinea: dove tutti conoscevano tutti, sapevano che cosa facevano gli altri e dicevano la loro in merito; dove ci si sposava solo con persone nate nel raggio di un paio di chilometri dal proprio paese di origine e lì si restava tutta la vita, o nelle immediate vicinanze, tranne i giovani che partivano per il militare; e dove i dissapori dovevano necessariamente trovare forme di composizione che ricucissero i rapporti, o che li rendessero almeno tollerabili, perché si era comunque destinati a trascorrere tutta la vita gli uni accanto agli altri. In altre parole il mondo di ieri non è stato cancellato e sostituito in toto dal mondo di oggi, e molto di esso è ancora tra noi. Comprenderlo può essere utile per trovare   soluzioni ad alcuni problemi nel mondo sovrappopolato e globalizzato.
Il grosso della nostra conoscenza della psicologia umana si basa sull’osservazione di individui che possono essere descritti per mezzo dell’acronimo WEIRD: provenienti cioè da società occidentali (western), istruite (educated), industrializzate (industrialized), ricche (rich) e democratiche (democratic). Se vogliamo generalizzare sulla natura umana, dobbiamo allargare il nostro campione di studio dai soliti soggetti WEIRD (maggioranza di studenti di psicologia americani di sesso maschile) all’intero range delle società tradizionali. Scopriremo così alcune soluzioni –il modo cioè in cui le società tradizionali allevano i figli, trattano gli anziani, preservano la salute, comunicano, trascorrono il tempo libero e risolvono le dispute – che possono sorprenderci per la loro superiorità rispetto alle normali pratiche del Primo Mondo, e che adottandone alcune potremmo persino guadagnarci. Per certi aspetti noi moderni siamo dei disadattati, e il nostro corpo e le nostre abitudini si trovano oggi ad affrontare condizioni diverse da quelle in cui si sono evoluti  e a cui, appunto, si sono adattati. Molti problemi psicologici, molte depressioni, molti stress e malattie conseguenti potrebbero essere spiegati da questi meccanismi.
Il concetto di stato come lo intendiamo oggi è nato solo in tempi antropologicamente molto recenti. I grandi numeri rendono impossibile la conoscenza reciproca fra tutti i componenti: persino per gli abitanti della minuscola monarchia di Tuvalu è impossibile conoscere la totalità degli altri 10000 concittadini, figurarsi per il miliardo e quattrocento milioni di cinesi. Gli stati hanno dunque bisogno della politica, di leggi e di codici di moralità  per garantire che i costanti e inevitabili incontri fra estranei non si trasformino in scontri, bisogno che non si pone affatto nelle minuscole società in cui tutti conoscono tutti. Le grandi popolazioni non possono funzionare senza leader che stabiliscono, dirigenti che rendono operative e burocrati che amministrano decisioni e leggi.

Per molte migliaia di anni le società umane si sono organizzate in bande (poche decine di individui per lo più cacciatori-raccoglitori), poi si sono organizzate in tribù (qualche centinaio di individui) caratterizzate da una società già dedita all’agricoltura e più stanziale. Solo in seguito sono nate le chefferies composta da migliaia di soggetti e da complessità organizzativa. Nelle chefferies (società che rispondono ad un capo) si ha anche un’innovazione di tipo economico che prende il nome di economia redistributiva: al posto del baratto fra i singoli, il capo riscuote tributi sotto forma di cibo e lavoro e buona parte di questi viene redistribuita ai guerrieri, sacerdoti e artigiani al suo servizio . La ridistribuzione costituisce dunque un sistema di tassazione in nuce finalizzato al sostegno di nuovi istituti. Parte del tributo in cibo è restituito ai cittadini comuni, che il capo ha il dovere morale di mantenere in tempi di carestia e che in cambio lavorano per lui in attività come la costruzione di monumenti e di sistemi di irrigazione. Oltre a queste innovazioni politiche ed economiche, che superano le pratiche di bande e tribù, le chefferies sono state le prime a introdurre l’innovazione sociale della disuguaglianza istituzionalizzata. Le chefferies del passato possono essere riconosciute dagli archeologi grazie a un’ediliza monumentale e a indicatori quali una distribuzione ineguale di reperti funebri nei sepolcri. Tali società cominciarono a formarsi intorno al 5500 a.C. ma ancora in epoca moderna erano ampiamente diffuse in Polinesia, in gran parte dell’Africa subsahariana, in America.
Al trend ininterrotto di aumento demografico, centralizzazione politica e produzione alimentare intensificata che dalle bande porta agli stati se ne aggiungono altri, come quelli che segnano l’aumento della dipendenza dagli utensili metallici, dalla sofisticazione tecnologica, dalla specializzazione economica, dalla disuguaglianza tra individui e dalla scrittura, oltre ai cambiamenti in campo bellico e religioso. Questi trend, e in particolare l’aumento demografico, la centralizzazione politica, il progresso tecnologico e gli armamenti degli stati rispetto all’organizzazione delle più semplici società tradizionali, sono ciò che ha permesso ai primi di conquistare le seconde e di sottometterne, ridurne in schiavitù, incorporare e sterminarne gli abitanti all’interno dei relativi territori…Un tempo si credeva, e ancora oggi molti ne sono convinti, che risultati così diversi da regione a regione riflettessero differenze innate a livello di intelligenza umana, di modernità biologica e di etica del lavoro…Le differenze che caratterizzano le società del mondo moderno si spiegano semmai sulla base di differenze di tipo ambientale. L’aumento della centralizzazione politica e della stratificazione sociale è dipeso da aumenti della densità demografica, a loro volta innescati dall’aumento e dall’intensificazione della produzione alimentare (agricoltura e pastorizia). Sorprendentemente però pochissime specie vegetali e animali selvatiche sono adatte alla domesticazione e possono trasformarsi in raccolti e bestiame da allevamento. E queste erano concentrate solo in una decine di aree limitate del pianeta, le cui società umane beneficiarono così di un vantaggio iniziale in termini di sviluppo della produzione e delle eccedenze alimentari, di espansione demografica, progresso tecnologico e organizzazione in stati. Come ho avuto modo di esporre dettagliatamente in “Armi, acciaio e malattie”, queste differenze spiegano come mai gli europei, che vivevano nei pressi della regione del mondo più ricca di specie vegetali e animali selvatiche domesticabili  (la Mezzaluna Fertile), hanno finito per espandersi in tutto il globo, mentre i kung  e gli aborigeni australiani no. Ciò significa che le popolazioni che ancora vivono, o fino a poco tempo fa vivevano in società tradizionali sono popolazioni biologicamente moderne a cui è semplicemente capitato di occupare zone del mondo con poche specie domesticabili disponibili, ma i cui stili di vita restano tuttavia importanti. Alcuni ex selvaggi della Nuova Guinea che hanno visitato l'america hanno notato come prima cosa che i ragazzi americani vanno a casa dopo la scuola, chiudono la porta, cominciano a giocare con i videogiochi ed escono di casa solo il giorno dopo per tornare a scuola. In Nuova Guinea -raccontano- si sta sempre  all'aperto e si gioca tutti insieme. I ragazzi americani sono ossessionati dalle cose materiali e dalla tecnologie già pronte e comprate. I ragazzi della Nuova Guinea o del Mozambico si costruiscono i giochi da loro stessi con atteggiamento creativo ed educativo.
Dopo lunghi mesi trascorsi in Nuova Guinea, ritorno a immergermi emotivamente nella realtà americana solo una volta atterrato a Los Angeles e qui mi accorgo che, nonostante le ovvie differenze fra la giungla americana e quella guineana, molto del mondo fino a ieri continua a vivere ancora nel nostro corpo e nelle nostre società. Anche nella regione dove sono comparsi per primi, i grandi cambiamenti socioantropologici hanno avuto inizio solo 11000 anni fa, e appena qualche decennio fa nelle aree più popolose della Nuova Guinea, mentre nelle pochissime tuttora incontaminate di Nuova Guinea e Amazzonia sono praticamente agli albori. Per chi è nato e cresciuto nelle nostre società, tuttavia, le condizioni di vita moderne sono talmente pervasive e talmente date per scontate, che nelle nostre brevi visite ci riesce difficile cogliere le differenze davvero fondamentali rispetto alle società tradizionali. Le società tradizionali rappresentano migliaia di esperimenti millenari nel campo dell’organizzazione umana, esperimenti che non possiamo ripetere riprogettando di sana pianta intere società, per poi osservarne i risultati dopo decenni; se vogliamo imparare qualcosa, dobbiamo farlo là dove gli esperimenti sono già stati compiuti. Quando scopriamo che cosa significa vivere in modo tradizionale scopriamo anche aspetti di cui siamo felici di esserci liberati (ad esempio la soppressione ritualizzata delle vedove); di fronte ad altri aspetti proviamo invece un senso di invidia e di perdita tout court, o magari ci chiediamo se non sarebbe il caso di riadattarli e riadottarli anche noi in maniera selettiva (ad esempio una alimentazione più sobria, unità civiche più ristrette dove sia possibile conoscersi a vicenda, ecc.). Di sicuro invidiamo per esempio l’assenza di malattie degenerative legate allo stile di vita occidentale, mentre possiamo desiderare di reintegrare alcuni aspetti dei metodi di risoluzione pacifica dei conflitti, di educazione dei figli, di trattamento degli anziani, di vigilanza nei confronti dei pericoli e del multilinguismo.  Molte forme di organizzazione della loro vita hanno un certo fascino, ma al di là di esso ciascuno sarà libero di provare a capire se qualcosa di ciò che così bene funziona per loro non potrebbe forse funzionare altrettanto bene per noi stessi come società."
(Brani tratti, con alcune modifiche, da Jared Diamond: Il Mondo fino a ieri. Einaudi, 2013).

2 commenti:

  1. Molto interessante.
    D'altra parte Diamond è un grande divulgatore e le sue analisi sono sempre molto acute.
    I suoi libri dovrebbero essere materia di scuola, al posto di tante altre sciocchezze inutili.

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  2. Hai notato anche tu che l'antropologia è una scienza poco frequentata da studiosi e midia in questi tempi? Fare dell'uomo un oggetto di studio e ricondurlo ad una dimensione naturalistica non è gradito alla ideologia dominante basata sull'antropocentrismo e sul concetto di dominio assoluto dell'uomo sulla natura.

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