(In alto la foto del primo incontro tra esploratori australiani e individui cosiddetti selvaggi della Papuasia che non avevano mai visto un bianco, nel 1931).
Nel momento in cui il modello
occidentale trionfa in tutto il pianeta, assistiamo ad una presa di coscienza
collettiva sul destino tragico che attende la Terra e noi tutti se
proseguiamo su questa strada. Il pianeta è vicino al collasso e i problemi energetici,
di inquinamento, di riscaldamento globale e di devastazione ambientale
irreversibile sono ormai evidenti anche per i più increduli. Persino gli ottimisti sulle "magnifiche sorti e progressive" del
genere umano si stanno rendendo conto che il modello di crescita e di consumi
che stiamo seguendo e il boom demografico inarrestabile ci porteranno al collasso ambientale. Jared Diamond,
antropologo già autore del best seller Armi, acciaio e malattie, ci invita nel
suo ultimo libro (Il mondo fino a ieri, Einaudi) a guardare le società
tradizionali che definiamo tribali o selvagge, quelle in cui l’uomo è vissuto per migliaia di anni prima della
modernità, per scoprire dove abbiamo sbagliato e prendere da esse soluzioni
valide anche per noi moderni. Abbiamo considerato, nella nostra orgogliosa
prosopopea modernista, queste società come rozze, selvagge ed eticamente
impresentabili. Eppure, inaspettatamente, hanno molto da insegnarci e possono
contribuire a far ritrovare al pianeta la via della salvezza. Ad esempio la via
per società meno popolose, più a dimensione umana, in cui la conoscenza
reciproca costituisce una misura dei rapporti in grado di organizzare società
più giuste e meno violente. Queste società possono suggerirci alcuni comportamenti ecologicamente virtuosi che ci aiutino a ritrovare un rapporto con la natura, l’ambiente e le altre specie viventi.
Jared Diamond ha vissuto molti anni a contatto con tribù
nelle isole del pacifico e in Nuova Guinea per studiare dal punto di vista
antropologico e culturale popolazioni rimaste primitive e in alcuni casi, come
nel caso di Papua in Nuova Guinea, fino a pochi decenni fa all’età della
pietra. Queste popolazioni furono scoperte per la prima volta dagli esploratori
australiani nel 1931 e furono redatte molte relazioni e scattate molte foto,
che costituiscono un interessantissimo materiale di studio.
“… in quelle foto gli abitanti degli
altipiani di Papua, che da millenni vivevano in stato di isolamento e pressoché
ignari dell’esistenza di un mondo esterno, fissano terrorizzati i primi
bianchi…erano a malapena coperti da gonnellini di foglie, avevano borse di rete
gettate sulle spalle e sfoggiavano copricapo di piume di uccello.”
Diamond paragona le descrizioni e le
foto di quei guineani a ciò che lui vede quando nel 2006 giunge nell’aeroporto
di Papua Nuova Guinea per nuove ricerche connesse al suo lavoro di antropologo
( le sue prime esperienze in Nuova Guinea risalgono al 1964). Oggi i guineani
indossano la solita tenuta standard internazionale a base di camicie, calzoni,
gonne, pantaloncini e berretti con la visiera. Nell’arco di un paio di
generazioni gli abitanti degli altipiani avevano imparato a scrivere, a usare
il computer e ad andare in aereo.
“…La folla guineana dell’aeroporto, pur presentandosi all’occhio di un
occidentale inesperto come una massa omogenea di individui di pelle scura con
capelli crespi, era assai eterogenea dal punto di vista dell’aspetto: c’erano
gli abitanti delle pianure della costa meridionale, alti, con le barbe rade e
facce più sottili; quelli delle zone montuose interne, più bassi, con barbe più
folte e facce più larghe; infine gli isolani e gli abitanti delle pianure della
costa settentrionale, dai lineamenti più asiatici. Nel 1931 sarebbe stato del
tutto impossibile vedere insieme abitanti degli altipiani e delle pianure delle
due coste, e qualunque assembramento di persone in Nuova Guinea sarebbe
risultato molto più omogeneo di quello nell’aeroporto del 2006. Un linguista
che si fosse messo in ascolto della folla avrebbe poi riconosciuto lingue
diverse appartenenti a ceppi ben distinti: lingue tonali come il cinese,
dominate dall’altezza del suono delle parole, lingue austronesiane composte da
sillabe e consonanti abbastanza semplici, e lingue papua non tonali. Nel 1931
sarebbe stato già possibile vedere insieme singoli individui di lingue diverse,
ma non certo un’intera folla che parlava decine di idiomi differenti. Nel 2006
al banco del check-in, e in molte delle conversazioni udibili fra i passeggeri,
due erano le lingue più usate:
l’inglese e il tok pisin (noto anche come neomelanesiano o pidgin
english); nel 1931, invece, sugli altipiani le conversazioni si svolgevano
rigorosamente negli idiomi locali, ciascuno dei quali confinato entro una
piccola area geografica.
Un’altra sottile differenza fra le
scene del 1931 e del 2006 è che la folla in aeroporto comprendeva alcuni
guineani dalla tipologia fisica tristemente americana, individui soprappeso con
“pance da birra” che straripavano dalle cinture dei calzoni, mentre nelle foto
di settantacinque anni prima non appare un solo individuo soprappeso e tutti si
presentano anzi snelli e muscolosi. A giudicare dalle moderne statistiche del
sistema sanitario pubblico di Papua Nuova Guinea si assiste a casi sempre più
frequenti di diabete legato a problemi ponderali, di ipertensione, malattie
cardiache, infarto e cancro, tutte patologie sconosciute soltanto una
generazione prima.
A distinguere ancora le due scene c’era
poi qualcosa che nel mondo moderno diamo ormai per scontato: sebbene la
maggioranza delle persone ammassate in quella sala d’aeroporto fosse composta
da sconosciuti che non si erano mai incontrati prima, a nessuno veniva in mente
di aggredire il proprio vicino solo per questo- fatto inimmaginabile nel 1931,
quando i contatti fra estranei erano rari, pericolosi e tendenti a degenerare in violenza. Certo, nel
2006 c’erano i due poliziotti incaricati di mantenere l’ordine pubblico, ma di
fatto a mantenere l’ordine era la folla stessa, visto che là in mezzo nessuno
temeva di essere attaccato e tutti sapevano di vivere in una società dove, in
caso di tafferugli, agenti e militari erano sempre e comunque a portata di
mano. Nel 1931 polizia e autorità statali invece non esistevano. I passeggeri
del 2006 avevano inoltre il diritto di recarsi in aereo o con qualsiasi altro
mezzo a Wapenamanda e in ogni altro posto della Nuova Guinea senza dover
chiedere alcun permesso. La libertà di circolazione, prerogativa ormai
acquisita nel mondo occidentale, una volta era l’eccezione, non la regola, e
nel 1931 nessun guineano di Goroka era mai stato a Wapenamanda, solo 170
chilometri più a ovest, perché l’idea di poter compiere quello spostamento
senza restare ucciso entro i primi 20 chilometri in quanto forestiero era del
tutto impensabile. Io invece avevo appena fatto 7000 miglia, da Los Angeles a
Port Moresby, coprendo una distanza centinaia di volte superiore a quella a cui qualunque abitante degli altipiani di
allora si sarebbe spinto in tutta la sua vita, partendo dal luogo dove era nato. Potremmo sintetizzare tutte
queste differenze tra la scena del 2006 e le foto del 1931 dicendo che in quei
75 anni la popolazione delle regioni interne paupane ha vissuto cambiamenti per
cui, nel resto del mondo, sono occorsi migliaia di anni. Se si considerano poi
i singoli individui, tali cambiamenti sono stati ancora più rapidi: alcuni
amici guineani mi hanno raccontato di aver affilato le ultime asce di pietra e
partecipato alle ultime battaglie fra tribù tradizionali solo dieci anni prima
di conoscermi. Oggi i cittadini dei paesi
industriali non trovano nulla di strano nella scena del 2006: metalli,
scrittura, automobili, aerei, polizia e governo, persone soprappeso, pacifici
incontri tra sconosciuti, popolazioni eterogenee riunite insieme e via dicendo
–tutte cose normali per le società moderne, ma relativamente recenti nella
storia dell’uomo. Per la maggior parte dei sei milioni di anni trascorsi da
quando le linee evolutive del protouomo e del protoscimpanzè si separarono,
nessuna società umana ha avuto a disposizione i metalli e gli altri elementi
appena citati. Si tratta infatti di prodotti moderni comparsi solo negli ultimi
11.000 anni e solo in alcune zone del pianeta. Sotto certi aspetti la Nuova
Guinea rappresenta dunque una finestra sul mondo per come, in termini di
evoluzione umana lungo questa scala di 6 milioni di anni, esso si è presentato
praticamente fino a ieri. Fondamentalmente le società umane hanno subito
trasformazioni profonde solo in tempi recenti e in modo rapido.
Ho amici cresciuti in piccoli paesi
europei negli anni 1950 che descrivono la propria infanzia come quella nei
villaggi tradizionali della Nuova Guinea: dove tutti conoscevano tutti,
sapevano che cosa facevano gli altri e dicevano la loro in merito; dove ci si
sposava solo con persone nate nel raggio di un paio di chilometri dal proprio
paese di origine e lì si restava tutta la vita, o nelle immediate vicinanze,
tranne i giovani che partivano per il militare; e dove i dissapori dovevano
necessariamente trovare forme di composizione che ricucissero i rapporti, o che
li rendessero almeno tollerabili, perché si era comunque destinati a trascorrere
tutta la vita gli uni accanto agli altri. In altre parole il mondo di ieri non
è stato cancellato e sostituito in toto dal mondo di oggi, e molto di esso è
ancora tra noi. Comprenderlo può essere utile per trovare soluzioni ad alcuni problemi nel
mondo sovrappopolato e globalizzato.
Il grosso della nostra conoscenza della
psicologia umana si basa sull’osservazione di individui che possono essere
descritti per mezzo dell’acronimo WEIRD: provenienti cioè da società
occidentali (western), istruite (educated), industrializzate (industrialized),
ricche (rich) e democratiche (democratic). Se vogliamo generalizzare sulla
natura umana, dobbiamo allargare il nostro campione di studio dai soliti
soggetti WEIRD (maggioranza di studenti di psicologia americani di sesso
maschile) all’intero range delle società tradizionali. Scopriremo così alcune
soluzioni –il modo cioè in cui le società tradizionali allevano i figli,
trattano gli anziani, preservano la salute, comunicano, trascorrono il tempo
libero e risolvono le dispute – che possono sorprenderci per la loro
superiorità rispetto alle normali pratiche del Primo Mondo, e che adottandone
alcune potremmo persino guadagnarci. Per certi aspetti noi moderni siamo dei
disadattati, e il nostro corpo e le nostre abitudini si trovano oggi ad
affrontare condizioni diverse da quelle in cui si sono evoluti e a cui, appunto, si sono adattati.
Molti problemi psicologici, molte depressioni, molti stress e malattie
conseguenti potrebbero essere spiegati da questi meccanismi.
Il concetto di stato come lo intendiamo
oggi è nato solo in tempi antropologicamente molto recenti. I grandi numeri
rendono impossibile la conoscenza reciproca fra tutti i componenti: persino per
gli abitanti della minuscola monarchia di Tuvalu è impossibile conoscere la
totalità degli altri 10000 concittadini, figurarsi per il miliardo e
quattrocento milioni di cinesi. Gli stati hanno dunque bisogno della politica,
di leggi e di codici di moralità
per garantire che i costanti e inevitabili incontri fra estranei non si
trasformino in scontri, bisogno che non si pone affatto nelle minuscole società
in cui tutti conoscono tutti. Le grandi popolazioni non possono funzionare
senza leader che stabiliscono, dirigenti che rendono operative e burocrati che
amministrano decisioni e leggi.
Per molte migliaia di anni le società
umane si sono organizzate in bande (poche decine di individui per lo più
cacciatori-raccoglitori), poi si sono organizzate in tribù (qualche centinaio
di individui) caratterizzate da una società già dedita all’agricoltura e più
stanziale. Solo in seguito sono nate le chefferies composta da migliaia di
soggetti e da complessità organizzativa. Nelle chefferies (società che
rispondono ad un capo) si ha anche un’innovazione di tipo economico che prende
il nome di economia redistributiva: al posto del baratto fra i singoli, il capo
riscuote tributi sotto forma di cibo e lavoro e buona parte di questi viene
redistribuita ai guerrieri, sacerdoti e artigiani al suo servizio . La
ridistribuzione costituisce dunque un sistema di tassazione in nuce finalizzato
al sostegno di nuovi istituti. Parte del tributo in cibo è restituito ai
cittadini comuni, che il capo ha il dovere morale di mantenere in tempi di
carestia e che in cambio lavorano per lui in attività come la costruzione di
monumenti e di sistemi di irrigazione. Oltre a queste innovazioni politiche ed
economiche, che superano le pratiche di bande e tribù, le chefferies sono state
le prime a introdurre l’innovazione sociale della disuguaglianza istituzionalizzata.
Le chefferies del passato possono essere riconosciute dagli archeologi grazie a
un’ediliza monumentale e a indicatori quali una distribuzione ineguale di
reperti funebri nei sepolcri. Tali società cominciarono a formarsi intorno al
5500 a.C. ma ancora in epoca moderna erano ampiamente diffuse in Polinesia, in
gran parte dell’Africa subsahariana, in America.
Al trend ininterrotto di aumento
demografico, centralizzazione politica e produzione alimentare intensificata
che dalle bande porta agli stati se ne aggiungono altri, come quelli che
segnano l’aumento della dipendenza dagli utensili metallici, dalla
sofisticazione tecnologica, dalla specializzazione economica, dalla
disuguaglianza tra individui e dalla scrittura, oltre ai cambiamenti in campo
bellico e religioso. Questi trend, e in particolare l’aumento demografico, la
centralizzazione politica, il progresso tecnologico e gli armamenti degli stati
rispetto all’organizzazione delle più semplici società tradizionali, sono ciò
che ha permesso ai primi di conquistare le seconde e di sottometterne, ridurne
in schiavitù, incorporare e sterminarne gli abitanti all’interno dei relativi
territori…Un tempo si credeva, e ancora oggi molti ne sono convinti, che
risultati così diversi da regione a regione riflettessero differenze innate a
livello di intelligenza umana, di modernità biologica e di etica del lavoro…Le
differenze che caratterizzano le società del mondo moderno si spiegano semmai
sulla base di differenze di tipo ambientale. L’aumento della centralizzazione
politica e della stratificazione sociale è dipeso da aumenti della densità
demografica, a loro volta innescati dall’aumento e dall’intensificazione della
produzione alimentare (agricoltura e pastorizia). Sorprendentemente però
pochissime specie vegetali e animali selvatiche sono adatte alla domesticazione
e possono trasformarsi in raccolti e bestiame da allevamento. E queste erano
concentrate solo in una decine di aree limitate del pianeta, le cui società
umane beneficiarono così di un vantaggio iniziale in termini di sviluppo della
produzione e delle eccedenze alimentari, di espansione demografica, progresso
tecnologico e organizzazione in stati. Come ho avuto modo di esporre
dettagliatamente in “Armi, acciaio e malattie”, queste differenze spiegano come
mai gli europei, che vivevano nei pressi della regione del mondo più ricca di
specie vegetali e animali selvatiche domesticabili (la Mezzaluna Fertile), hanno finito per espandersi in tutto
il globo, mentre i kung e gli
aborigeni australiani no. Ciò significa che le popolazioni che ancora vivono, o
fino a poco tempo fa vivevano in società tradizionali sono popolazioni
biologicamente moderne a cui è semplicemente capitato di occupare zone del
mondo con poche specie domesticabili disponibili, ma i cui stili di vita
restano tuttavia importanti. Alcuni ex selvaggi della Nuova Guinea che hanno visitato l'america hanno notato come prima cosa che i ragazzi americani vanno a casa dopo la scuola, chiudono la porta, cominciano a giocare con i videogiochi ed escono di casa solo il giorno dopo per tornare a scuola. In Nuova Guinea -raccontano- si sta sempre all'aperto e si gioca tutti insieme. I ragazzi americani sono ossessionati dalle cose materiali e dalla tecnologie già pronte e comprate. I ragazzi della Nuova Guinea o del Mozambico si costruiscono i giochi da loro stessi con atteggiamento creativo ed educativo.
Dopo lunghi mesi trascorsi in Nuova
Guinea, ritorno a immergermi emotivamente nella realtà americana solo una volta
atterrato a Los Angeles e qui mi accorgo che, nonostante le ovvie differenze
fra la giungla americana e quella guineana, molto del mondo fino a ieri
continua a vivere ancora nel nostro corpo e nelle nostre società. Anche nella
regione dove sono comparsi per primi, i grandi cambiamenti socioantropologici
hanno avuto inizio solo 11000 anni fa, e appena qualche decennio fa nelle aree
più popolose della Nuova Guinea, mentre nelle pochissime tuttora incontaminate
di Nuova Guinea e Amazzonia sono praticamente agli albori. Per chi è nato e
cresciuto nelle nostre società, tuttavia, le condizioni di vita moderne sono
talmente pervasive e talmente date per scontate, che nelle nostre brevi visite
ci riesce difficile cogliere le differenze davvero fondamentali rispetto alle
società tradizionali. Le società tradizionali rappresentano migliaia di
esperimenti millenari nel campo dell’organizzazione umana, esperimenti che non
possiamo ripetere riprogettando di sana pianta intere società, per poi
osservarne i risultati dopo decenni; se vogliamo imparare qualcosa, dobbiamo
farlo là dove gli esperimenti sono già stati compiuti. Quando scopriamo che
cosa significa vivere in modo tradizionale scopriamo anche aspetti di cui siamo
felici di esserci liberati (ad esempio la soppressione ritualizzata delle
vedove); di fronte ad altri aspetti proviamo invece un senso di invidia e di
perdita tout court, o magari ci chiediamo se non sarebbe il caso di riadattarli
e riadottarli anche noi in maniera selettiva (ad esempio una alimentazione più
sobria, unità civiche più ristrette dove sia possibile conoscersi a vicenda,
ecc.). Di sicuro invidiamo per esempio l’assenza di malattie degenerative
legate allo stile di vita occidentale, mentre possiamo desiderare di
reintegrare alcuni aspetti dei metodi di risoluzione pacifica dei conflitti, di
educazione dei figli, di trattamento degli anziani, di vigilanza nei confronti
dei pericoli e del multilinguismo. Molte forme di organizzazione della loro
vita hanno un certo fascino, ma al di là di esso ciascuno sarà libero di
provare a capire se qualcosa di ciò che così bene funziona per loro non
potrebbe forse funzionare altrettanto bene per noi stessi come società."
(Brani tratti, con alcune modifiche, da
Jared Diamond: Il Mondo fino a ieri. Einaudi, 2013).
Molto interessante.
RispondiEliminaD'altra parte Diamond è un grande divulgatore e le sue analisi sono sempre molto acute.
I suoi libri dovrebbero essere materia di scuola, al posto di tante altre sciocchezze inutili.
Hai notato anche tu che l'antropologia è una scienza poco frequentata da studiosi e midia in questi tempi? Fare dell'uomo un oggetto di studio e ricondurlo ad una dimensione naturalistica non è gradito alla ideologia dominante basata sull'antropocentrismo e sul concetto di dominio assoluto dell'uomo sulla natura.
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