(La Hutte com'è oggi)
Sono appena
tornato da un viaggio in auto sui luoghi heideggeriani. Per questioni di tempo
a disposizione non ho potuto visitare il paese natale Messkirch, dove si trova
la casa del padre del filosofo, bottaio e sagrestano. Mi riprometto di farlo in
altra occasione. Ho visitato
Friburgo con l’Università dove Martin Heidegger ha insegnato, la casa allo Zaringhen (quartiere ad est della piccola
città), e la baita a Todtnauberg, sulle montagne della Foresta Nera.
L’interesse per
il viaggio mi è nato leggendo le opere del filosofo, quelle in cui si pongono
le basi per un nuovo pensiero ecologista in grado di arrestare l’infernale meccanismo che sta alterando la natura
e l’ambiente dietro la sviante esaltazione della razionalità tecnologica come unica possibilità di salvezza per l’uomo. La critica
che Heidegger rivolge alla Tecnica come modo di essere e addirittura come
“destino” dell’uomo è un richiamo
a rivedere tutto il nostro pensiero basato sull’antropocentrismo, sul
riferire cioè tutte le cose del mondo all’uomo, alla sua misura, al suo
servizio, alla sua illimitata disponibilità. Criticare l’egoismo
antropocentrico non significa svalutare l’uomo, anzi. L’uomo con termine heideggeriano viene definito “esser-ci”
ed è il luogo in cui l’essere si manifesta a se stesso attraverso la coscienza.
Ma l’uomo non è il padrone della natura, ma un ente tra gli altri enti
naturali, è inscindibilmente legato alla sua appartenenza al resto della natura di cui è parte.
Così si esprime il filosofo:
“L’uomo…è più
che animal rationale, proprio in quanto è meno rispetto all’uomo che si
concepisce a partire dalla soggettività. L’uomo non è il padrone dell’ente ( la
natura e le cose del mondo). L’uomo è il pastore dell’essere. In questo “meno”
l’uomo non perde nulla, anzi ci guadagna, in quanto perviene alla verità
dell’essere. Guadagna l’essenziale povertà del pastore, la cui dignità consiste
nell’esser chiamato dall’essere stesso a custodia della sua verità.” (Lettera
sull’Umanesimo, Adelphi, 1995, pag. 73).
L’essenza
dell’uomo sta tutta in questo suo appartenere alla natura sia come esistenza
corporea sia come comprensione spirituale. Dimenticare questa appartenenza
originaria sta alla base della
considerazione dell’uomo come padrone di tutto, in cui la natura perde
di senso e diviene un insieme di cose da fruire, da utilizzare da parte
dell’uomo. Questo è il modo di pensare che conduce al nichilismo, alla dimenticanza dell’essenza
dell’uomo, alla sua riproducibilità tecnica, alla coscienza come puro strumento
per prendere possesso del mondo, alla distruzione del pianeta e dell’uomo
stesso. In questo invito a riconsiderare come noi abbiamo “pensato” il nostro
modo di stare nel mondo c’è una vera rivoluzione copernicana: un invito a fare
un passo indietro dallo sconsiderato antropocentrismo, e a porre al centro del
nostro pensare e del nostro agire la salvaguardia della natura come luogo che
da senso alla nostra esistenza di uomini. E’ un richiamo forte ad essere non i
distruttori della natura, ma i suoi rappresentanti e i suoi custodi.
La metafisica
occidentale ha condotto invece, fino ad oggi, al mondo della Tecnica. La
Tecnica è alla base di quell’agire dell’uomo che è responsabile della
cementificazione, del consumo fine a se stesso, della produzione massiva di rifiuti, della concezione del
mondo come cosa da utilizzare, dell’eccesso demografico che sta intossicando e
togliendo senso alla nostra Terra e all’uomo stesso ridotto a numero. Heidegger
usa il termine “Impianto” per definire questo apparato tecnologico prodotto
dall’uomo che sta ricoprendo e trasformando l’ambiente e devastando gli esseri
viventi.
LA BAITA SULLA FORESTA NERA
Uno dei motivi centrali del viaggio è stata la visita alla Hutte, la baita sulla foresta nera dove il filosofo scriveva le sue opere e
meditava al suono del vento che soffiava tra gli abeti della foresta intorno e sulle travi del tetto. E’ una
modesta costruzione di circa 50 metri quadrati, realizzata tutta in legno poggiante su un
basamento di pietre, senza acqua. Il filosofo e la moglie attingevano l’acqua
da un piccolo fontanile posto ad alcuni metri dalla baita. Sulla fontana una
piccola stella scolpita nel legno posta come simbolo del sacro collegato ad
ogni fonte. La baita appartiene oggi agli eredi e non è possibile visitarla
all’interno. Esistono tuttavia numerose foto eseguite al tempo del filosofo.
Stupisce la povertà e la semplicità spartana del piccolo edificio (poco più di
una capanna), composto all’interno di quattro stanzette, con una stufa a legna
centrale per riscaldarla e per cucinare. Una piccola scrivania posta davanti ad
una finestra che da sulla vallata è il luogo in cui il filosofo scrisse gran
parte di Essere e Tempo.
Dalla baita si dipartono alcuni sentieri che sono alla base
delle similitudini ricorrenti tra il pensare inteso come un cercare, un vagare
su sentieri che possono essere ciechi, oppure possono portare alla radura, cioè
alla presenza della manifestazione della luce come illuminazione e comprensione
della verità che si dis-vela. Questo paesaggio, questa folta foresta che
circonda campi verdi e scorci panoramici sulle vallate, sono importanti per capire il senso delle similitudini
e di tante frasi delle opere di Heidegger. La baita è in fondo, nel pensiero di
Heidegger, un simbolo per riflettere sul concetto di sradicamento: l’uomo
moderno ha perso il suo rapporto con la terra, e non riesce nel mondo di oggi
a ritrovare origine, appartenenza,
casa. Un razionalismo astratto e privo di radici è alla base del consumismo e
della commercializzazione di ogni cosa e minaccia nelle fondamenta questo
sentimento di appartenenza e comunanza con i luoghi e con un ambiente
naturale. Ritrovare un rapporto
con la terra, con le origini,
significa ritrovare equilibrio, rispetto, cura (termine eminentemente
heideggeriano). Cura dei luoghi, del paesaggio, di ciò che essi hanno di trascendente,
inteso come ciò che da un senso all’esistenza insieme alla natura e non contro
di essa.
L’ ACCUSA DI VICINANZA AL NAZISMO
E’ un argomento che perennemente ritorna, fomentato anche da
interessi editoriali e politici estranei al dibattito della filosofia. Numerose testimonianze hanno dimostrato
che il filosofo, in qualità di rettore dell’Università di Friburgo, si adoperò
per mantenere negli incarichi di insegnamento i docenti ebrei che le autorità
naziste volevano estromettere. Quando si avvide che non riusciva più a
mantenere l’autonomia dell’Università, otto mesi dopo aver assunto l’incarico
di Rettore, Heidegger si dimise ( maggio del 1934) e non si occupò più di
politica e di rapporti con le istituzioni. Come da lui dichiarato più volte,
tutto l’ampio volume su Nietszche scritto dal 1936 in poi, è una feroce critica
al nichilismo nazista. Nonostante i tentativi di isolare il pensiero
heideggeriano dalla filosofia contemporanea, tutti i temi del dibattito
filosofico attuale vedono l’opera del filosofo di Friburgo al centro di
numerose ispirazioni e riconoscimenti, compresi quelli di pensatori in passato
fortemente critici, come Habermas in Germania e i seguaci di Derrida in
Francia. Gli esiti disastrosi dello sviluppo tecnologico e del sistema
produttivo moderno con la messa in pericolo del pianeta e della sopravvivenza
stessa dell’uomo hanno da una parte confermato le previsioni sul destino
nichilista dell’occidente espresse in tante opere del filosofo, dall’altro
ravvivato l’interesse per un nuovo pensiero che veda al centro la salvaguardia
dell’ambiente e della natura. Alcuni degli accusatori inoltre sono stati sbugiardati
da autori preparati, come Francois Fedier, pensatore francese, allievo di Jean Beaufret, che ne ha
denunciato la mancanza di basi documentali e l'intento esclusivamente
diffamatorio.
Ultimamente lo storico cileno Farias, uno dei principali accusatori di
Heidegger, ha rivelato la sua inaffidabilità arrivando ad accusare di
antisemitismo, in un suo saggio,
persino l’eroe democratico e premier cileno Salvator Alliende, ucciso durante il golpe dei
militari nel 1973.
<< La metafisica occidentale ha condotto invece, fino ad oggi, al mondo della Tecnica. >>
RispondiEliminaGiusto. Ma si potrebbe anche rovesciare l'assunto e dire che è stata la tecnica, con il suo sviluppo impetuoso, a modellare il cammino della metafisica occidentale.
In genere si pensa che siano le idee a modificare gli stili di vita, ma spesso accade il contrario.
Il problema è di non fare della tecnica un Idolo, in senso baconiano. Un idolo sul cui altare sacrificare tutto, compreso il pianeta e noi stessi. La tecnica ci rende la vita più facile, ma come sta conciando il pianeta? Ci stiamo facendo dominare dalla tecnica, ed invece ce ne dovremmo servire. L'esplosione demografica da uno a sette miliardi nel giro di pochi decenni è frutto della tecnologia (meccanizzazione dell'agricoltura, maggiori risorse alimentari, sanità, antibiotici ecc.), ma a tanto potere della tecnica non abbiamo fatto seguire un maggior senso di responsabilità dell'uomo. Anzi, più il potere della tecnica aumentava, più ci siamo deresponsabilizzati per folle antropocentrismo. Il risultato è il mondo attuale, assetato di consumi e produttore di rifiuti. Un mondo senza senso, senza valori, avviato al nichilismo...
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