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mercoledì 10 aprile 2013
IL MALE DELL'OCCIDENTE
Nel suo libro "Eichmann a Gerusalemme", Hannah Arendt ci descrive la figura di un uomo mediocre, si potrebbe dire un omuncolo, seduto sul banco degli imputati al tribunale di quella città, in qualità di unico imputato per aver deciso e diretto l'operazione con cui decine o centinaia di migliaia di persone furono avviate alle camere a gas durante l'olocausto. Si trattava di un uomo "normale". Era il funzionario nazista Otto Adolf Eichmann, a capo dell'organizzazione che eseguiva le deportazioni nei campi di sterminio. Ecco come la Arendt ne descrive la normalità:
"Mezza dozzina di psichiatri lo ha certificato come "normale" - "più normale, in ogni caso, di quanto non lo sia io stesso dopo averlo esaminato", esclamò uno degli esaminatori, mentre un altro aveva rilevato che il suo profilo psicologico globale, il suo atteggiamento verso la moglie e i figli, il padre e la madre, le sorelle e gli amici fosse "non solo normale ma il più desiderabile".
Il problema, occupandoci di Eichmann, era esattamente che così tanti altri che si erano macchiati di questi crimini fossero come lui e che non risultassero più perversi o sadici dei loro essaminatori poiché erano terribilmente, spaventosamente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e del nostro criterio morale di giudizio, questa normalità era molto più inquietante di tutte quelle atrocità messe assieme."
(Hannah Arendt: Le origini del totalitarismo).
Eichmann si giustificò nel processo, dicendo che egli era solo una minuscola rotella di un grande ingranaggio (lo stato nazista) e che egli doveva rispondere agli ordini dei superiori. Anzi, si giustificava Eichmann, che nell'organizzazione generale egli non poteva avere coscienza di ciò che avveniva ai vari livelli. Così si annullava ogni responsabilità individuale, ma anche collettiva, nell'ottica di un grande disegno ideale, in cui le idee -totalitarie o no che fossero- erano più importanti degli uomini. L'uomo era ridotto ad ingranaggio e a res nullius. Carnefice e vittime erano reificati, resi cose tra le cose e come tali manipolati e distrutti come fossero materiali immessi e consumati nel grande macchinario dell'organizzazione moderna della società.
Può essere che quell'omuncolo, piccolo burocrate insignificante che risolveva le pratiche ordinando la morte di migliaia di persone, fosse l'epigono di un tipo di uomo nuovo, quello nato nelle contingenze della rivoluzione francese illuminista?
C'è uno straordinario film di Rohmer, La Nobildonna e il Duca, in cui è descritto in maniera magistrale la nascita del totalitarirmo giacobino durante la rivoluzione francese, e l'uomo nuovo rivoluzionario che con il Terrore diede inizio alla eliminazione fisica sistematica del nemico politico. L'uomo nuovo e le nuove idee, libere da credenze religiose e da strutture sociali superate dalla modernità, è ben descritto da Rohmer sia nel capo illuminato depositario della verità assoluta (Robespierre) che nel giovane funzionario giacobino a capo del comitato di salute pubblica, figura archetipica dell'estremista politico. Il conservatore britannico Edmund Burke, nelle sue "Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia", esprimeva la previsione di una deriva totalitaria e catastrofica cui avrebbero portato le idee rivoluzionarie francesi, se avessero imboccato -come stava accadendo- la via dell'abbandono totale delle tradizioni e dei valori che avevano retto il mondo fino ad allora, consegnando il destino dell'uomo ad una ragione del tutto teorica e distaccata dagli eventi reali. Purtroppo tutte le vicende storiche del XX secolo sono state una triste conferma delle riflessioni di Burke.
Non dobbiamo illuderci che ciò che è accaduto nel XX secolo sia dovuto alle personalità patologiche di pochi individui come Hitler o Stalin. Purtroppo il male che ha infiltrato e stravolto la società occidentale ha radici ben più profonde e non ha riguardato solo i totalitarismi. Nel suo ultimo libro "Le Sorgenti del Male", il filosofo Zygmunt Bauman analizza l'evoluzione della società occidentale nell'ultimo secolo, cercando di ricostruire quello che è il fondamento della violenza e del male di cui l'Occidente ha dato prova e soprattutto verso cui sta avviando il destino del pianeta. Non si tratta solo del totalitarsimo nazista e comunista, avverte Bauman, ma di tutta la nostra civiltà. Basti pensare ai vincitori del conflitto mondiale e di ciò che hanno fatto a Hiroshima:
"Come avevano affermato i critici della versione ufficiale, i governanti del Giappone erano pronti ad arrendersi circa un mese prima che piovesse la prima bomba...Truman, però, temporeggiava. Attendeva i risultati del test che stava per essere effettuato ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, dove erano in corso gli ultimi ritocchi per poi far esplodere le prime bombe atomiche. La notizia dei risultati arrivò a Potsdam il 17 luglio: non solo il test aveva avuto successo, ma l'impatto dell'esplosione aveva eclissato la più ardita delle aspettative. Così, riluttante a sprecare una tecnologia che aveva avuto costi esorbitanti, Truman cominciò a prendere tempo. La vera posta in gioco della sua procastinazione può essere facilmente dedotta dal trionfante discorso presidenziale il giorno successivo alla distruzione di centinaia di migliaia di vite a Hiroshima ( 6 agosto 1945): "Abbiamo fato la scommessa scientifica più audace della Storia, una scommessa da due miliardi di dollari - e abbiamo vinto!" ...
Il 16 marzo 1945, quando la Germania nazista era già in ginocchio e una rapida conclusione del conflitto non era più in dubbio, Arthur "bomber" Harris inviò 225 bombardieri Lancaster e 11 aerei Mosquito con l'ordine di lanciare 289 tonnellate di esplosivo e 573 tonnellate di sostanze incendiarie su Wurzburg, una città di media grandezza con 107 mila abitanti, ricca di storia e di tesori artistici e carente invece di industrie...
Nella sua seconda lettera aperta a Klaus Eichmann, Anders parla della relazione tra lo Stato criminale nazista e il nostro regime globale contemporaneo: "L'affinità fra l'impero tecnico-totalitario che ci minaccia e il mostruoso impero nazista è evidente".
(Zygmunt Bauman: Le Sorgenti del Male" Erickson, 2013)
Purtroppo il male dell'Occidente non è dovuto all'impazzimento di pochi gerarchi e non corrisponde al vero il fatto che il Terzo Reich sia stato un fenomeno isolato. Nelle nostre società occidentali contemporanee c'è un raccapricciante, macabro potenziale da cui non possiamo stornare lo sguardo. Basta vedere quello che stiamo facendo al pianeta nel momento in cui la globalizzazione occidentale si sta diffondendo ovunque. L'impianto tecnico e la massificazione dell'uomo e delle merci ha creato un mostruoso meccanismo sociale, politico, economico e tecnocratico che sta divorando tutta la Terra. Non ci limitiamo più a distruggere gli uomini ( e la sovrappopolazione non è che l'altra faccia della stessa svalorizzazione e reificazione della vita umana), ma ci rivolgiamo al resto della natura distruggendo specie viventi animali e vegetali, alterando gli equilibri ambientali, intossicando l'aria, le acque, i terreni. Basta vedere come i campi di concentramento e di eliminazione siano ora rivolti agli animali con la stessa crudeltà con cui si procedeva alla morte tecnologicizzata delle persone in quelli degli anni 40 del XX secolo. Il male è profondamente radicato, si potrebbe dire "costitutivo", della nostra società contemporanea e richiede di essere combattuto con una nuova rivoluzione - prima di tutto etica- che rimetta tutta la natura al centro e ridia all'uomo la sua appartenenza.
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Caro Agobit, il male dell'occidente, nel senso di un errato rapporto con la natura, esiste sicuramente.
RispondiEliminaHo però l'impressione che anche le altre civiltà emergenti (che magari in passato potevano avere un rapporto più equilibrato in questo senso), crescendo economicamente finiscono per copiare sempre di più i nostri vizi.
Forse noi non siamo peggiori di loro: siamo solo partiti (ed arrivati) prima.
Speriamo solo, tutti quanti, di poter invertire il cammino prima che sia troppo tardi.
Quando avrete prosciugato l’ultimo dei fiumi,
RispondiEliminatagliato l’ultimo degli alberi,
ucciso l’ultimo dei bisonti
e magari pescato l’ultimo dei pesci,
allora, ma neppure un attimo prima, capirete
che non si può mangiare il DENARO.
(deve averla detta un nativo americano)
ps
ma l'occidente ha sempre avuto in se' gli anticorpi per le malattie che esso stesso produce.
E sperare di reagire alla malattia (business as usual) è solo un atto di fede,che bisogna però fare.
E' vero che il governo del Giappone aveva maturato l'idea di trattare la resa (non di arrendersi incondizionatamente) circa un mese prima di Hiroshima (6 Agosto 1945) e Nagasaki 9 Agosto.
RispondiEliminaMa il governo Usa non ne aveva la minima idea, ed anzi era convintissimo della irriducibilita' della risoluzione nipponica di combattere fino alla fine come dichiarava la radio giapponese e come avevano fatto la guarnigione e la popolazione delle prime 2 isolette Giapponesi invase: Iwo Jima ed Okinawa, nell'arcipelago delle RyuKyu.
Bisogna ricordare che il governo Giapponese ad un mese prima della resa era era ancora in pace con la URSS dato che aveva firmato con essa un trattato di non aggressione nel 1940 cioe' durante i due anni di alleanza fra Hitler e Stalin (Patto Ribbentropp Molotov 23 Agosto 1939 - invasione tedesca della URSS 22 Giugno 1941).
Pertanto il governo giapponese (e' storia documentata) aveva richiesto al governo sovietico con cui era in pace ed con normali rapporti diplomatici aperti a Mosca ed a Tokio di avvertire gli USA della sua intenzione di negoziare la resa e di intervenire come mediatore di pace per evitare la resa incondizionata.
Ma Stalin se ne guardo' bene perche' voleva tradire il patto di non aggressione sempre rispettato dal Giappone. Stalin voleva allargare il suo impero anche in Asia e pertanto aveva bisogno di intervenire ad aggredire il Giappone prima della sua resa ed aveva bisogno di tempo per trasferire l'esercito dalla Germania al confine con la Manciuria occupata dai Giapponesi. Pertanto Stalin non comunico' la volonta' giapponese di trattare la resa (non ancora di arrendersi senza condizioni)e dunque i morti di Hiroshima e Nagasaki pesano piu' su Stalin che su Truman.
Truman ordino' i bombardamenti per porre fine alla guerra ed alle perdite per finirla, stimate in decine di volte il paio di centinaia di migliaia di morti che fecero le atomiche. Stalin tradi' il patto di non aggressione per conquistare influenza e possedimenti in Manciuria, Corea, Sakhalin, Kurili.
Il 9 Agosto 1945 in contemporanea con lo sgancio della seconda atomica la URSS nella completa sorpresa dei giapponesi attacco' il Giappone con sbarchi aerei e di paracadutisti in Manciuria e prosegui' poi l'occupazione fino in Corea. Fu occupata dai Russi anche l'isola di Sakhalin meridionale, eppoi le isole Kurili.
L'imperatore del Giappone proclamo' la resa il 15 Agosto.
La resa fu poi firmata il 2 Settembre con gli Usa. Mai firmata la pace con la URSS, per cui rimane in contestazione la sovranita' su 4 delle isole Kurili meridionali.
Uno studio dell'esercito USA realizzato proprio in base alla esperienza della conquista di Okinawa e di Iwo Jima, altra piccola isola, riferiva previsioni di colossali possibili perdite USA, oltre un milione fra morti e feriti e vari multipli per le perdite civili e militari giapponesi. Okinawa in fondo era solo una isoletta se comparata alle isole principali del Giappone, ma era costata 49.151 perdite americane (morti e feriti), pari ad quarto delle forze Usa sbarcate, oltre ai morti in mare e nei cieli e ben 3 mesi di battaglie. Di questi i morti furono 12.520, mentre i giapponesi ebbero un numero di morti di circa 20 volte tanti fra civili, militari e civili militarizzati con 110.071 morti militari e 142.058 perdite fra i civili.
Pertanto lo studio sulla invasione e conquista manu militari di tutte le restanti isole del Giappone concludeva con una stima sulle probabili perdite nell'ordine di milioni di persone: un milione di perdite Usa e molti milioni di Giapponesi.
A fronte di timori di perdite tanto colossali furono lanciate le atomiche.
Non furono emessi ultimatum per l'incertezza sul funzionamento delle stesse.